L’usucapibilità (o meno) di un terreno appartenente al patrimonio indisponibile del Comune

È esclusa l’usucapibilità dei terreni compresi in un piano approvato a norma della l. n. 167/1962 e perciò appartenenti ex art. 35 della l. n. 865/1971 al patrimonio indisponibile del Comune in vista dell'attuazione di un progetto volto a soddisfare esigenze di edilizia economica e popolare.

Nel caso di specie, la Corte territoriale avrebbe erroneamente confermato la declaratoria di usucapione , escludendo che il fondo, oggetto di causa, facesse parte del patrimonio indisponibile del Comune , richiamando il disposto dell' art. 826, comma 3, c.c. , applicando alla fattispecie il principio secondo cui l'appartenenza di un bene al patrimonio indisponibile di un ente territoriale discende non soltanto dall'esistenza di un atto amministrativo che lo destini ad uso pubblico, ma anche dalla sua concreta utilizzazione a fini di pubblica utilità in un periodo di tempo compatibile con la realizzazione dello scopo pubblico . L' art. 35, l. 865/1971 stabilisce, ai commi 2 e 3, che le aree comprese nei piani approvati a norma della legge 18 aprile 1962, n. 167 cioè le disposizioni per favorire l'acquisizione di aree fabbricabili per l'edilizia economica e popolare , sono espropriate dai comuni o dai loro consorzi e, […] vanno a far parte del patrimonio indisponibile del comune o del consorzio . La stessa giurisprudenza ha già avuto modo di evidenziare che le aree comprese nei piani approvati a norma della l. n. 167 del 1962 hanno , in virtù di quanto previsto dall' art. 35 della l. n. 865 del 1971 , la qualifica di patrimonio indisponibile del Comune , in vista dell'attuazione di un progetto volto a soddisfare di edilizia economica e popolare esigenze e sono, pertanto, sottoposte al regime degli artt. 826 e 828 c.c. . Quindi, non potendo tali beni essere sottratti alla loro destinazione se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano , ex art. 828, comma 2, c.c., la relativa declassificazione non può trarsi da una condotta concludente dell'ente proprietario , ma , derivando la destinazione all'uso pubblico di siffatte aree da una determinazione legislativa, deve avvenire in virtù di atto di pari rango Cass. n. 17308/2020 . Per tutti questi motivi, la S.C. accoglie il ricorso in oggetto.

Presidente Lombardo – Relatore Papa Fatti di causa 1. Con atto di citazione del 26/11/07, C.Q. e B.R. convennero in giudizio il Comune di omissis dinnanzi al locale Tribunale, chiedendo fosse dichiarato il loro acquisto per usucapione di un terreno di proprietà dell'ente convenuto, identificato in catasto al omissis , da essi recintato e poi coltivato da oltre vent'anni. Il Comune chiese in riconvenzionale il rilascio del fondo occupato abusivamente e il risarcimento dei danni. Il Tribunale di Catanzaro dichiarò l'usucapione, rigettando la domanda riconvenzionale e condannando il Comune al rimborso delle spese. 2. Sul gravame proposto dall'ente comunale, la Corte d'appello di Catanzaro confermò la sentenza di primo grado. La Corte territoriale, condividendo la motivazione resa dal primo giudice, ritenne che un bene non appartenente al demanio necessario può rivestire il carattere pubblico proprio dei beni patrimoniali indisponibili, perché destinato al pubblico servizio ai sensi dell' art. 826 comma III c.c. , soltanto ove ricorra la manifestazione di volontà dell'ente ossia un atto amministrativo da cui risulti la specifica volontà di destinare quel bene ad un servizio pubblico nonché la attuale ed effettiva destinazione del bene al pubblico servizio aggiunse che la sola previsione della destinazione di un bene al perseguimento di finalità pubbliche non è sufficiente perché un bene sia compreso nel patrimonio indisponibile dell'ente in mancanza di una trasformazione che lo renda fruibile per un pubblico servizio. Tale circostanza non ricorreva nel caso di specie, in quanto il terreno era stato recintato e posseduto senza soluzione di continuità dagli attori, in modo pubblico e pacifico. Avverso questa sentenza ha spiegato ricorso per cassazione il Comune sulla base di quattro motivi. C.Q. e B.R. hanno resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo, il Comune ha prospettato, in riferimento all' art. 360, comma I, n. 3 c.p.c. , la violazione dell' art. 35, comma 3 della L. 22 ottobre 1971, n. 865 , in relazione all' art. 113 c.p.c. la sentenza sarebbe viziata dalla mancata applicazione e dalla conseguente violazione della disciplina imperativa vigente in materia di beni destinati di diritto al patrimonio indisponibile di cui alla l. 865-71, art. 35, comma 3. Con il secondo motivo, ha lamentato, in riferimento all' art. 360, comma I, n. 3, c.p.c. , la violazione del combinato disposto di cui agli artt. 826, comma III, c.c. e 828, comma II c.c. in relazione all' art. 113 c.p.c. l'accoglimento della domanda di usucapione sarebbe stata preclusa dall'applicazione delle norme sui beni indisponibili dei comuni. Con il terzo motivo, il ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell' art. 1158 c.c. in relazione all' art. 360, comma I, n. 3, c.p.c. la Corte non avrebbe dovuto applicare la normativa sull'usucapione, ritenendone integrati tutti i requisiti. Con il quarto motivo, infine, il Comune ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per omessa valutazione di un fatto decisivo e non controverso in relazione all' art. 360 comma I n. 4 c.p.c. la Corte ha confermato l'usucapione dell'area, sulla base di una prova testimoniale che sarebbe stata inammissibile, essendo pacifico tra le parti che il bene fosse stato acquisito per espropriazione per essere destinato ad un piano di edilizia economica e popolare. 1.1. Tutti i quattro motivi - che possono essere esaminati congiuntamente in quanto legati da stretta connessione - sono fondati. La Corte territoriale ha confermato la declaratoria di usucapione, escludendo che il fondo per cui è causa facesse parte del patrimonio indisponibile del Comune, richiamando a tal fine il disposto dell' art. 826, III comma, c.c. ha applicato, invero, alla fattispecie il principio per cui l'appartenenza di un bene al patrimonio indisponibile di un ente territoriale discende non soltanto dall'esistenza di un atto amministrativo che lo destini ad uso pubblico, ma anche dalla sua concreta utilizzazione a fini di pubblica utilità in un periodo di tempo compatibile con la realizzazione dello scopo pubblico. Il giudice di appello ha omesso di considerare, tuttavia, che l'area contesa era stata oggetto di espropriazione nell'ambito del procedimento relativo al Piano di zona omissis , al fine di dare esecuzione al Piano di zona per l'edilizia economica e popolare approvato con Decreto regionale n. 65 del 13 ottobre 1972, su conforme delibera del Consiglio regionale come rappresentato, al decreto di esproprio era seguito il verbale di consistenza, redatto proprio alla presenza di C. , uno degli attori nel presente giudizio ed erano state corrisposte le relative indennità. Nella specie, pertanto, la destinazione del fondo conteso al patrimonio indisponibile dell'ente comunale deriva da espressa disposizione di legge, senza necessità di alcuna attuazione, proprio in quanto il bene è ricompreso nei piani per l'edilizia economica e popolare. Infatti, la l. 865 del 1971, art. 35 stabilisce, ai commi 2 e 3, che le aree comprese nei piani approvati a norma della L. 18 aprile 1962, n. 167 cioè le disposizioni per favorire l'acquisizione di aree fabbricabili per l'edilizia economica e popolare , sono espropriate dai comuni o dai loro consorzi e, vanno a far parte del patrimonio indisponibile del comune o del consorzio . Secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte, che il collegio condivide, le aree comprese nei piani approvati a norma della l. n. 167 del 1962 hanno, in virtù di quanto previsto dalla l. n. 865 del 1971, art. 35, la qualifica di patrimonio indisponibile del Comune, in vista dell'attuazione di un progetto volto a soddisfare di edilizia economica e popolare esigenze e sono, pertanto, sottoposte al regime degli artt. 826 e 828 c.c. Ne consegue che, non potendo tali beni essere sottratti alla loro destinazione se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano , ex art. 828, comma 2, c.c. , la relativa declassificazione non può trarsi da una condotta concludente dell'ente proprietario, ma, derivando la destinazione all'uso pubblico di siffatte aree da una determinazione legislativa, deve avvenire in virtù di atto di pari rango Cass., Sez. 2, n. 17308 del 19/08/2020 , che ha escluso che alcuni terreni entrati a far parte del patrimonio indisponibile del Comune, ex art. 35 cit., siccome espropriati ed inclusi in un piano di zona finalizzato alla realizzazione di un progetto residenziale economico o popolare, possano essere usucapiti per il sol fatto di non essere stati, poi, utilizzati in concreto dall'ente locale . È esclusa, pertanto, l'usucapibilità dei terreni per cui è causa, trattandosi di aree comprese in un piano approvato a norma della L. n. 167 del 1962 e perciò appartenenti ex L. n. 865 del 1971, art. 35 al patrimonio indisponibile del Comune, in vista dell'attuazione di un progetto volto a soddisfare esigenze di edilizia economica e popolare. Fino a diversa loro classificazione da adottarsi con atto di pari rango, è irrilevante la condotta concludente dell'ente proprietario, seppure consistente nella mancata loro trasformazione e nel mancato loro utilizzo. 2. Il ricorso va pertanto accolto, con conseguente cassazione della sentenza e rinvio alla Corte d'appello di Catanzaro perché si conformi al principio di diritto enunciato e statuisca in ordine alle domande rimaste assorbite. Il giudice di rinvio provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'appello di Catanzaro in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.