L’avvocato partigiano: in ricordo di Duccio Galimberti

In occasione della celebrazione del 78° anniversario della Liberazione dell’Italia dall’occupazione nazista e dal regime fascista, ricordiamo l’avvocato Duccio Galimberti, valoroso partigiano, figura di spicco della Resistenza, eroe nazionale, medaglia d’oro al valore militare, esempio di virtù civili, la cui memoria è stata omaggiata anche dal Presidente della Repubblica. Ricordiamo inoltre che la pubblicazione del quotidiano riprenderà il 26 aprile, mentre la Newsletter tornerà nelle vostre caselle di posta elettroniche a partire dal 27 aprile.

Il discorso dell’avvocato Galimberti, pronunciato dal proprio Studio legale il 26 luglio 1943 e rivolto ai cittadini di Cuneo esortati ad unirsi nella lotta al nazifascismo, rappresenta una pietra angolare della Resistenza Italiana. Cenni biografici dell’avvocato Galimberti Nato a Cuneo il 30 aprile 1906. Impatta sulla personalità di Duccio Galimberti la non comune levatura intellettuale dei genitori che ebbero il merito di infondere al figlio un amore appassionato per la cultura, la sensibilità civica e l’acutissimo senso di responsabilità il padre è avvocato, ministro e poi senatore, aderente al fascismo la madre poetessa, scrittrice, critica letteraria. Duccio si laurea in diritto penale presso la facoltà di giurisprudenza dell’Università di Torino e svolge la professione di avvocato. Pur nutrendo ammirazione verso il padre, diventa antifascista. Nell’autunno del 1942 aderisce al neonato Partito d’Azione, divenendone uno dei principali organizzatori e animatori nella sua città. Il 26 luglio del 1943 arringa la folla dal balcone del suo Studio prospiciente Piazza Vittorio Emanuele nella lotta contro l’oppressione nazista e fascista. Assieme ad alcuni amici costituisce il primo nucleo di Italia Libera dalla quale nascerà Giustizia e Libertà”. Assume il comando di formazioni partigiane piemontesi, incurante di ogni rischio. Catturato dalle brigate nere a fine novembre 1944, viene interrogato e ridotto in fin di vita da atroci sevizie. Il mattino del 3 dicembre l’avv. Galimberti viene ucciso a Cuneo dai suoi carnefici. Medaglia d’oro al valore militare, proclamato Eroe nazionale dal CLN piemontese cfr. www.anpi.it . Elogio di un avvocato scritto da un giudice Il magistrato Antonino Répaci ricorda Duccio Galimberti quale valente avvocato penalista descrivendone, con termini nitidi, l’ineffabile statura professionale. Si riportano di seguito alcuni significativi passaggi tratti dal volume Duccio Galimberti e la Resistenza Italiana , Torino, 1971, 79 ss. Duccio fu nella professione quello che era nella vita di relazione valeva, sapeva di valere, ma non faceva pesare questa sua superiorità con nessuno. Come in ogni altro rapporto sociale, così nei rapporti professionali, sia coi clienti che coi colleghi, che coi giudici, improntò sempre la propria condotta a serietà e dignità, fermezza e scrupolo, e seppe mantenere questa linea intendo dire questo stile pur senza venire meno alla sua naturale cordialità e giovialità. Il cliente gli era sacro, non tanto perché pagava la parcella – quanti non glie la pagarono, lo sapeva soltanto lui! – ma perché aveva messo il proprio destino, il proprio interesse, e talora la propria vita, nelle sue mani. Anche su questo punto è ampiamente in grado di testimoniare lo scrivente, che lo ebbe spesso avversario nei processi penali. Per me, rappresentante in erba del Pubblico Ministero, Duccio fu l’avversario più duro e tenace fra quanti avvocati di Cuneo e di fuori mi trovai di fronte. Duro e tenace, ma abile, perché, piuttosto che sostenere tesi temerarie per épater clienti e pubblico, aveva l’accortezza di concedere all’accusa ciò che giudicava impossibile sottrarle. Luigi Di Oreste, che allora era mio collega al Tribunale di Cuneo, quale giudice istruttore dice L’avv. Galimberti esplicava il suo mandato con una diligenza del tutto singolare che è poi la dote che soprattutto occorre in materia penale e nella fase istruttoria e con un attaccamento davvero appassionato alle sorti del proprio cliente, talché io reputavo lui un difensore eccezionalmente capace e valoroso e ben fortunato il cliente che l’aveva eletto a proprio patrocinatore”. Ma credo di poter aggiungere che questo suo attaccamento al cliente fosse collegato con la certezza di difendere una causa giusta, e nei limiti del giusto il fattore morale non era mai assente da ogni gesto e da ogni comportamento di Duccio [ ] Ho parlato poco fa di stile , e non a caso. Per Duccio la professione era un sacerdozio – ciò che in realtà dovrebbe essere per tutti coloro che la esercitano –. Ma, a differenza di molti colleghi suoi, i quali mutano atteggiamento a seconda che si trovano di fronte il cliente, il collega o il magistrato, Duccio aveva una sola linea, il suo stile . Cortese, affabile con tutti, ma con tutti fermo – e talora duro – quando si andava alla sostanza delle cose. Paterno – non paternalistico – coi clienti che chiedevano a lui, oltre alla difesa, anche un po’ di conforto e di incoraggiamento, era fraterno coi colleghi. Ricorda Spartaco Beltrand che egli era avversario temibile e vigoroso, ma di una perfetta lealtà. Egli cercava di far trionfare la causa del suo cliente coll’acume giuridico, colla profondità della scienza, ma non ricorreva mai a quei mezzi di astuzia e di sorpresa, a cui talora ricorrono gli avvocati. Con lui non c’era da temere sorprese o intrighi. Nessun collega ebbe a dolersi mai di aver subito un torto o un sopruso”. Ma guai al collega che sorprendesse o tentasse di sorprendere la sua buona fede o abusasse della sua lealtà! Diventava implacabile. Quanto ai magistrati – parlo di quelli del Tribunale di Cuneo – è in grado lo scrivente di affermare che ne godeva la stima, la fiducia e l’amicizia. Egli si comportava con tutti noi allo stesso modo che coi suoi colleghi. Si sarebbe fatto fare a pezzi piuttosto che abbassarsi a quell’ossequio untuoso e adulatore di taluni suoi colleghi – pochissimi in verità – o alla maldicenza verso i colleghi stessi si sfogava talvolta con me contro qualche collega, ma soltanto per motivi politici . Pochi come lui sapevano fondere con tanta naturalezza un profondo senso di dignità con la cortesia e l’amabilità dei modi. Egli, che possedeva un fondo di viva e umana passionalità, non dava mai in escandescenze, mai si abbandonava ad atteggiamenti plateali, e ripudiava mezzucci, del resto inutili e affatto producenti di taluni suoi colleghi, che ricorrono ad argomenti suggestivi e sentimentali per far breccia sulla psicologia dei giudici. Possedeva un’oratoria calma, pacata, chiara, densa di efficacia, che cercava, talora mediante qualche spunto leggermente umoristico, di ridare al fatto le sue reali dimensioni. La sua parlata, contrappuntata dalla tipica pizzicata alla francese, era elegante, mai leziosa, sempre piacevole. Sta di fatto che, quando parlava lui, la tribuna riservata al pubblico era sempre gremitissima . Estratti del discorso di Duccio Galimberti Di seguito alcuni passaggi del discorso tenuto dall’avvocato Galimberti il 26 luglio 1943 Dove non si muore per armi, si rischia di morire di fame. Manca il pane, manca l’indispensabile per vivere. Siamo arrivati a questo punto per una guerra assurda imposta al paese da una dittatura che ha distrutto non solo la vita pubblica della nostra patria, ma anche la sua dignità e il suo onore [ ] Ora io mi chiedo come può continuare la guerra a fianco dei tedeschi e come possono al contempo le millenarie, o anche solo secolari, tradizioni nazionali essere rispettate? Il balcone da cui vi parlo, affiancato da tanti amici, sinceri patrioti, di diverso orientamento politico, è quello stesso dal quale nel novembre 1918 mio padre assieme con voi cuneesi salutò la battaglia di Vittorio Veneto, la sconfitta degli Imperi centrali e, con la liberazione di Trento e Trieste, il compimento del Risorgimento. É contro il dominio austrogermanico che il popolo italiano ha dovuto combattere per conquistare la sua indipendenza. E allora, se crediamo nel destino e nel senso della storia dell’Italia, noi ribattiamo che, sì, la guerra continua, ma fino alla cacciata dell’ultimo tedesco, fino alla scomparsa delle ultime vestigia del regime fascista, fino alla vittoria del popolo italiano che si ribella contro la tirannia mussoliniana [ ] cfr. Bocchio, Ebbe inizio la Resistenza, in crpiemonte.medium.com . In argomento, cfr., ex multis , Greco, Duccio Galimberti , in Giustizia e Libertà , Cuneo, 1945 Allason, Tancredi Galimberti e i partigiani della montagna , in Il Ponte , 1951 Repaci, Fascismo vecchio e nuovo, Torino, 1954, Rosa, E Duccio parlò , in Patria indipendente , 1963. Più recentemente, v. Sacchetti, Un romano tra i ribelli. Da Duccio Galimberti a Piero Cosa , Cuneo, 1990 Tripodina, La Costituzione di Duccio. Il Progetto di Costituzione Confederale Europea ed Interna di Duccio Galimberti e Antonino Rèpaci. A settant’anni dalla prima pubblicazione 1946-2016 ”, in Costituzionalismo , 2016, 37, ss. La Resistenza secondo Piero Calamandrei Commemorare i morti della Resistenza è un pio dovere. Ma commemorare i morti non basta nel commemorarli bisogna guardare dentro di noi e fare il nostro esame di coscienza verso loro, i morti, che ci convocano qui come dinanzi ad un tribunale invisibile, a render conto di quello che in questi dieci anni possiamo aver fatto per non essere indegni di loro, noi vivi è la nostra vita che può dar un significato e una ragione rasserenatrice e consolante alla loro morte e dipende da noi farli vivere o farli morire per sempre. La Resistenza non basta commemorarla, bisogna riviverla non basta esaltarla nel ricordo del suo momento più glorioso, che fu quello della guerra di liberazione, ma bisogna saperla proseguire nella nostra vita quotidiana infondendo in essa quel continuo impegno di progresso sociale, senza il quale non vive la democrazia. Ieri Resistenza volle dire guerra con il mitra in pugno agli oppressori di fuori e di dentro oggi la Resistenza vuol dire Repubblica e disciplinato governo di popolo, vuol dire pacifica legalità volta a conquistare ad una ad una le mete segnate dalla Costituzione così Calamandrei, Uomini e città della resistenza , Roma-Bari, 1977, 276 .