Condizioni di salute incompatibili con il regime detentivo: cosa deve verificare il giudice?

Con sentenza n. 16815, depositata il 20 aprile 2023, la Corte di Cassazione affronta l’ennesima controversia, avente ad oggetto la compatibilità delle condizioni di salute di un imputato con il regime detentivo.

Nel caso di specie, il Tribunale ha trascurato quanto evidenziato dalla relazione sanitaria circa la necessità per l'imputato , protagonista della vicenda, di un'assistenza continua ai fini del compimento di atti elementari della vita, conseguente alla sua dipendenza da personale di tipo non sanitario o da altri detenuti, risultando una situazione al limite con lo stato di detenzione . Ne consegue che l'ordinanza in oggetto è viziata e va annullata ed il giudice dovrà procedere ad un nuovo esame dell'istanza attenendosi al seguente principio di diritto la possibilità di procedere alle cure di un soggetto presso il luogo di detenzione non basta ai fini del superamento del vaglio di umanità della pena , dovendo il giudice verificare anche se la patologia dalla quale il medesimo è affetto sia di natura tale da far sì che la detenzione non si appalesi, in concreto, come inaccettabile, in quanto del tutto esorbitante dal livello di sofferenza che consegue allo status detentionis .

Presidente Mogini Relatore Casa Ritenuto in fatto 1. Con l'ordinanza in epigrafe, il Tribunale di sorveglianza di Catania dichiarava inammissibile l'istanza, proposta da Z.G. , volta alla concessione della detenzione domiciliare ex art. 47-ter, comma 1, lett. c , ord. pen. , e rigettava l'ulteriore istanza, presentata dal medesimo soggetto, volta alla concessione del differimento della pena per motivi di salute ex artt. 146, comma 1, n. 3 , e 147, comma 1, n. 2 , c.p. . La prima istanza veniva dichiarata inammissibile ai sensi dell' art. 58-quater ord. pen. , non essendo decorsi tre anni dalla revoca della stessa misura alternativa disposta con ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Catania il 13 ottobre 2021 . In merito alla seconda istanza, invece, il giudice a quo riteneva che le condizioni di salute di Z. fossero compatibili con il regime detentivo, non necessitando di cure e trattamenti che non potessero essere prestati in carcere. Tale giudizio si basava sulla relazione sanitaria, redatta dall'ASP di il omissis , dalla quale risultava che il condannato, affetto da omissis , patologia di tipo neurologico a carattere ingravescente, si trovava in condizioni di salute compatibili con lo stato di detenzione e tali da consentire adeguate cure in Istituto, dove veniva costantemente seguito da personale medico e infermieristico e dove veniva, peraltro, costantemente e continuativamente assistito da altri detenuti nel compimento degli atti, anche elementari, della vita quotidiana. 2. Con il ricorso per cassazione, il difensore dell'interessato ha proposto un solo motivo, con il quale ha dedotto la violazione degli artt. 146 e 147 c.p. , lamentando che il Tribunale abbia trascurato quanto evidenziato dalla relazione sanitaria circa la necessità per Z. di un'assistenza continua ai fini del compimento di atti elementari della vita, conseguente alla sua dipendenza da personale di tipo non sanitario ovvero da altri detenuti, e che, pertanto, risultasse una situazione al limite con lo stato di detenzione. Tale valutazione avrebbe dovuto condurre all'accoglimento nel merito dell'istanza, o, quantomeno, a disporre una perizia sullo stato di salute del soggetto. Secondo il ricorrente, tale accertamento, che era stato richiesto nell'istanza e disatteso dal Tribunale senza alcuna spiegazione, avrebbe consentito di chiarire anche il tipo di cure necessarie nel caso concreto e la loro compatibilità con il regime detentivo. 3. Il Procuratore generale, intervenuto con requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto del ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato per le ragioni che seguono. 2. Preliminarmente va ricordato che, secondo la previsione di cui all' art. 147, comma 1, n. 2 , c.p. , il differimento facoltativo dell'esecuzione della pena può essere concesso al condannato che risulti affetto da una grave infermità fisica . Il rigetto dell'istanza postula una valutazione di compatibilità delle condizioni di salute del detenuto con il regime carcerario al quale egli è sottoposto. Si tratta di un giudizio bifasico, che deve essere effettuato dapprima in astratto, tenendo conto dell'inquadramento nosografico della patologia del detenuto e della astratta possibilità di cura, e quindi in concreto, tenendo conto delle modalità di somministrazione delle terapie di cui il soggetto necessita, valutate in relazione all'istituto penitenziario in cui è ristretto e alle eventuali ulteriori strutture dove poterlo trasferire, nonché alla concreta incidenza della specifica situazione ambientale con il peculiare quadro clinico del detenuto Sez. 1, n. 35772 del 20/11/2020 , Furnari, Rv. 280126 Sez. 4, n. 19880 del 19/6/2020 , Barberi, Rv. 279250 Sez. 6, n. 4117 del 10/1/2018 , Calì, Rv. 272184 . Ai fini della valutazione sull'incompatibilità tra il regime detentivo e le condizioni di salute del condannato, ovvero sulla possibilità che il mantenimento dello stato di detenzione costituisca trattamento inumano o degradante, occorre verificare non soltanto se le condizioni di salute del condannato, da determinarsi ad esito di specifico e rigoroso esame, possano essere adeguatamente assicurate all'interno dell'istituto di pena o comunque in centri clinici penitenziari, ma anche se esse siano compatibili o meno con le finalità rieducative della pena, alla stregua di un trattamento rispettoso del senso di umanità, che tenga conto della durata della pena e dell'età del condannato, comparativamente con la sua pericolosità sociale Sez. 1, n. 53166 del 17/10/2018 , Cinà, Rv. 274879 Sez. 1, n. 30495 del 5/7/2011 , Vardaro, Rv. 251478 . Si è pure precisato che il provvedimento di rigetto della istanza di differimento dell'esecuzione della pena per grave infermità fisica è affetto da vizio di motivazione solo se l'omesso riferimento alle necessità di tutela del diritto alla salute e al divieto di trattamenti contrari al senso di umanità si combini con l'accertata sussistenza di un quadro patologico particolarmente grave, capace ictu oculi di essere causa di una sofferenza aggiuntiva proprio per effetto della privazione dello stato di libertà, nonostante il regime di detenzione possa assicurare la prestazione di adeguate cure mediche Sez. 1, n. 32882 del 24/6/2014, Lainà, Rv. 261414 . Tale sentenza ha ammonito sulla necessità che il giudice di sorveglianza tenga conto, indipendentemente dalla compatibilità o meno dell'infermità con le possibilità di assistenza e cura offerte dal sistema carcerario, dell'esigenza di non ledere il fondamentale diritto alla salute e il divieto di trattamenti contrari al senso di umanità, previsti dalla Cost., artt. 32 e 27 circostanza questa che ricorre, ad esempio, allorché, nonostante la fruibilità di adeguate cure anche in stato di detenzione, le condizioni di salute accertate diano luogo ad una sofferenza aggiuntiva, derivante proprio dalla privazione dello stato di libertà in sé e per sé considerata, in conseguenza della quale l'esecuzione della pena risulti incompatibile coi richiamati principi costituzionali. E ciò considerando, inoltre, che detta sofferenza aggiuntiva è comunque inevitabile ogni qual volta la pena debba essere eseguita nei confronti di soggetto in non perfette condizioni di salute, di tal che essa può assumere rilievo solo quando si appalesi, presumibilmente, di entità tale - in rapporto appunto alla particolare gravità di dette condizioni - da superare i limiti della umana tollerabilità. 3. Ciò premesso, la censura del ricorrente coglie nel segno, avendo il giudice a quo violato i superiori principi. Contrariamente a quanto emerge dall'ordinanza, la relazione sanitaria in atti, che la Corte può esaminare, quale giudice del fatto processuale Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001 , Policastro e altri, Rv. 220092 , non ha riconosciuto la compatibilità delle condizioni di salute del detenuto con il regime carcerario, ma la mera possibilità terapeutica che le stesse vengano monitorate nel luogo di detenzione. Di contro, quel documento evidenzia che, da un punto di vista assistenziale, si versa in una situazione al limite con lo stato di detenzione . Invero, sotto il profilo terapeutico, ovvero della mera somministrazione della terapia farmacologica , la relazione afferma che la patologia risulta gestibile in ambiente carcerario , essendo il detenuto costantemente trattato e seguito da personale medico ed infermieristico adeguato tuttavia, aggiunge, in merito alla specifica gestione ed assistenza del detenuto , che quest'ultimo si pone in una condizione limite con lo stato di detenzione, avendo necessità di assistenza continua ai fini del compimento di atti elementari della vita, risultando dipendente da personale di tipo non sanitario, ovvero da altri detenuti . Del resto, la relazione rappresenta che la patologia di cui risulta essere affetto il detenuto, di tipo neurologico ed a carattere ingravescente, necessita di costante e continua assistenza da parte di terzi per l'espletamento di tutti gli atti quotidiani della vita, dei bisogni fisiologici e della cura della persona aspetti che risultano essere inficiati dai movimenti coreici degli arti, tipici della patologia, che determinano il mancato controllo degli stessi, con conseguente impossibilità per il detenuto di attendere ai propri bisogni primari ed alla cura della propria persona se non esclusivamente con assistenza di personale continua e permanente . Ebbene, il Tribunale, effettuando un'analisi selettiva della relazione, si è limitato a constatare la concreta possibilità di cura della patologia del detenuto nel luogo di detenzione, ma nulla ha osservato, neppure in punto di pericolosità sociale del soggetto, sulla compatibilità con il principio di umanità della pena della decisione di mantenere in vinculis un soggetto impossibilitato ad espletare le attività vitali in autonomia. L'ordinanza, pertanto, è viziata e va annullata, perché ha omesso il doveroso vaglio sull'accettabilità della detenzione per un soggetto gravemente malato. Il giudice del rinvio dovrà, quindi, procedere ad un nuovo esame dell'istanza, attenendosi al principio secondo il quale la possibilità di procedere alle cure di un soggetto presso il luogo di detenzione non basta ai fini del superamento del vaglio di umanità della pena, dovendo il giudice verificare anche se la patologia dalla quale il medesimo è affetto sia di natura tale da far sì che la detenzione non si appalesi, in concreto, come inaccettabile, in quanto del tutto esorbitante dal livello di sofferenza che consegue allo status detentionis. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Catania.