Gli vende l’eroina e il suo cliente (non abituale) muore per overdose: è dolo o colpa?

Con sentenza n. 16930, depositata il 20 aprile 2023, la Suprema Corte ha espresso un importante principio di diritto in tema di sostanze stupefacenti.

M.R., accusato di aver cagionato la morte per overdose di eroina di G.M. e di non essersi sincerato delle sue condizioni, essendo in cura presso il Sert di Urbino con assunzione di dosaggi molto bassi di metadone, e quindi correndo il rischio di intossicazione acuta da eroina ricorre in Cassazione lamentando l'errato scrutinio dell'elemento soggettivo del reato contestato, in quanto la vittima non era un cliente abituale e quindi, non poteva essere a conoscenza della sua situazione personale. La doglianza è fondata. Infatti, secondo il Collegio, ai fini della imputazione della conseguenza ulteriore non voluta di un reato-base doloso , la colpa non può essere presunta in forza della sola violazione della legge incriminatrice del reato doloso . Occorre, invece, che l'agente abbia violato una regola cautelare diversa dalla norma che incrimina il delitto base, e che sia specificatamente diretta a prevenire la morte o le lesioni personali, richiedendosi una valutazione positiva di prevedibilità ed evitabilità in concreto dell'evento, compiuta ex ante , sulla base del comportamento che sarebbe stato tenuto da un omologo agente modello, tenendo peraltro conto di tutte le circostanze della concreta e reale situazione di fatto. Si dovrà pertanto verificare se , dal punto di vista di un agente modello, nella situazione concreta, risultava prevedibile l'evento morte come conseguenza della condotta illecita tenuta dall'agente . Ne consegue che, con specifico riferimento alla situazione della morte conseguita all'assunzione di sostanze stupefacente ceduta a terzi , come nel caso di specie, che l'evento sarà imputabile al cedente a titolo di colpa, ove dalle circostanze del caso concreto risulti evidente un concreto pericolo per l'incolumità dell'assuntore o comunque rimanga un dubbio in ordine alla effettiva pericolosità dell'azione tale da dovere indurre l'agente ad astenersi dall'azione .

Presidente Zaza Relatore Belmonte Ritenuto in fatto 1.Con la sentenza impugnata, emessa il 28/06/2021, la Corte di appello di Ancona ha confermato la decisione del Tribunale di Urbino, che aveva dichiarato R.M. colpevole del delitto di cui agli artt. 83, 586, 589 c.p. , condannandolo alla pena di giustizia, con le attenuanti generiche equivalenti alla recidiva e ritenuta la continuazione, per avere cagionato la morte per overdose di eroina di M.G. in conseguenza del delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, per colpa consistita nell'avere ceduto al predetto sostanza stupefacente contenente un elevato principio attivo, superiore a quello della droga venduta abitualmente in strada, e per non essersi sincerato delle condizioni individuali del M. che, essendo in cura presso il omissis , con assunzione di dosaggi molto bassi di metadone, correva un elevato pericolo di intossicazione acuta da eroina. Il ricorrente veniva condannato alla pena di anni quattro e mesi quattro di reclusione, con le statuizioni risarcitorie in favore della parte civile costituita, con liquidazione di una provvisionale. 2. Ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, cori il ministero del difensore di fiducia, avvocato U.L., che si affida a due motivi. 2.1. Con il primo, denuncia erronea applicazione di legge penale e processuale - segnatamente degli artt. 192 e 530 c.p.p. in relazione agli artt. 586 e 589 c.p. - e correlati vizi della motivazione nell'affermazione di responsabilità dell'imputato, dolendosi, in particolare, dell'errato scrutinio dell'elemento soggettivo, dal momento che la vittima non era un cliente abituale dell'imputato, al quale aveva venduto eroina in un'unica occasione R. , inoltre, non era a conoscenza della situazione personale del M. . D'altro canto, si contesta anche l'accertamento del nesso causale, giacché non può escludersi - nell'ottica difensiva - che la sostanza risultata fatale sia stata venduta alla vittima da terzi. 2.2. Con il secondo motivo, viene eccepita la prescrizione dei reati, stante il giudizio di equivalenza tra la recidiva ex art. 99 comma 4 c.p. e le circostanze attenuanti generiche, sicché, non essendo stato operato l'aumento per la recidiva, il termine di prescrizione dei reati sette anni e sei mesi , commessi nell'estate del 2013, sarebbe maturato prima della pronuncia della sentenza impugnata 28/06/2021 . Considerato in diritto 1.È fondato il primo motivo di ricorso che denuncia vizi della motivazione nello scrutinio dell'elemento soggettivo del reato, e, per questo, la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio al Giudice di merito per nuovo giudizio sul punto. Nel resto, il ricorso va dichiarato inammissibile. 2. Le Sezioni Unite Roncì, nell'esaminare la natura e l'ambito della responsabilità prevista dall' art. 586 c.p. , dopo avere ricordato come, secondo unanime orientamento, morte o lesioni devono, comunque, costituire una conseguenza non voluta, e quindi non devono essere sorrette da alcun coefficiente di volontà, nemmeno nel grado minimo del dclo eventuale, giacché in tal caso l'agente risponde anche dell'ulteriore delitto di omicidio volontario o di lesioni volontarie in concorso con il delitto inizialmente voluto Sez. I, 19.6.2002', Persechino Sez. I, 21.12.1993, Rodar, m. 197756 Sez. I, 3.6.1993, Piga, m. 195270 Sez. I, 11.10.1988, Scavo, m. 182196 Sez. I, 13.10.1097, Lollo, m. 178194 Sez. III, 13.11.1985, Salvo, m. 171945 Sez. II, 6.11.1984, Frisina, m. 167810 Sez. IV, 20.12.1984, Boncristiano, m. 169186 , ai fini della individuazione della natura e del criterio di imputazione della responsabilità per la morte o le lesioni non volute ai sensi dell' art. 586 c.p. , hanno considerato che a Corte costituzionale ha esplicitamente affermato che si pone in contrasto con la Cost., art. 27 la previsione sia di una responsabilità oggettiva pura o propria sia del principio qui in re illicita vessatur respondit etiam pro casu. Il principio invero, richiede, come requisito subiettivo minimo di imputazione, la colpa dell'agente in relazione a tutti gli elementi che concorrono a contrassegnare il disvalore della fattispecie, o quanto meno agli elementi più significativi di essa, ed impedisce di addebitare all'agente anche gli ulteriori eventi che a lui non sono rimproverabili. Questo perché - continua la sentenza Ronci - In definitiva, secondo la Corte costituzionale, non vi è posto nel nostro ordinamento per una terza forma di responsabilità colpevole, diversa da quella dolosa o colposa, e quindi la colpevolezza non potrebbe essere sostituita, a discrezione del legislatore, da altri elementi, quale il rischio da attività totalmente illecite. Ne consegue che l'unica interpretazione conforme al principio costituzionale di colpevolezza è quella che richiede, anche nella fattispecie dell' art. 586 c.p. , una responsabilità per colpa in concreto, ossia ancorata ad una violazione di regole cautelari di condotta e ad un coefficiente di prevedibilità ed evitabilità, in concreto e non in astratto, del rischio connesso alla carica di pericolosità per i beni della vita e dell'incolumità personale, intrinseca alla consumazione del reato doloso di base . Ha poi precisato il massimo concesso di legittimità che Ora, secondo l'opinione più diffusa, la colpa normale consiste nella realizzazione di un fatto non voluto, rimproverabile al soggetto per la violazione di una regola di diligenza di prudenza, di imperizia , che discende da una valutazione positiva di prevedibilità e di evitabilità della verificazione dell'evento Tale valutazione, sempre secondo la tesi più diffusa, deve essere compiuta con un giudizio di prognosi postuma, collocandosi in una prospettiva ex ante, cioè riferita al momento in cui è avvenuto il fatto, da svolgersi in concreto, secondo il punto di vista di un omologo agente modello, ossia di un agente ideato mentalmente come coscienzioso ed avveduto che si trovi nella concreta situazione e nel concreto ruolo sociale dell'agente reale. Anche in ambito illecito, pertanto, occorre pur sempre che il fatto costitutivo del reato colposo sia una conseguenza in concreto prevedibile ed evitabile dell'inosservanza di una regola cautelare. Sez. U, n. 22676 del 22/01/2009 Ud. dep. 29/05/2009 , Ronci, Rv. 243381, in motivazione 2.1. Dunque, ai fini della imputazione della conseguenza ulteriore non voluta di un reato-base doloso, la colpa non può essere presunta in forza della sola violazione della legge incriminatrice del reato doloso. Occorre, invece, che l'agente abbia violato una regola cautelare diversa dalla norma che incrimina il delitto base, e che sia specificamente diretta a prevenire la morte o le lesioni personali, richiedendosi una valutazione positiva di prevedibilità ed evitabilità in concreto dell'evento, compiuta ex ante, sulla base del comportamento che sarebbe stato tenuto da un omologo agente modello, tenendo peraltro conto di tutte le circostanze della concreta e reale situazione di fatto. Si dovrà, pertanto, verificare se, dal punto di vista di un agente modello, nella situazione concreta, risultava prevedibile l'evento morte come conseguenza della condotta illecita tenuta dall'agente. 2.2. Questo comporta, con specifico riferimento alla situazione, qui rilevante, della morte conseguita alla assunzione di sostanza stupefacente ceduta da terzi, che l'evento sarà imputabile al cedente a titolo di colpa, ove dalle circostanze del caso concreto risulti evidente un concreto pericolo per l'incolumità dell'assuntore o comunque rimanga un dubbio in ordine alla effettiva pericolosità dell'azione, tali da dovere indurre l'agente ad astenersi dall'azione. 2.3. Nella casistica giurisprudenziale si è affermato che al cedente lo stupefacente è richiesto un particolare livello di attenzione e di prudenza, sicché lo stesso potrà essere ritenuto in colpa qualora non si sia astenuto dal cedere lo stupefacente dinanzi ad una circostanza dal significato equivoco o, comunque, quando abbia ignorato una circostanza pericolosa o sia caduto in errore sul suo significato e l'ignoranza o l'errore siano determinati da colpa e siano, quindi, a lui rimproverabili perché non inevitabili. Così, si è ravvisata la responsabilità in un caso in cui l'acquirente della sostanza presentava caratteristiche esteriori di fragilità fisiche Sez. 6, n. 5348 del 09/12/1989, Rv. 184004 in un caso in cui la stessa vittima aveva dichiarato allo spacciatore di essere alla sua prima esperienza di assuntore di droga Sez. 3, n. 41462 del 02/10/2012, Rv. 253606 in altra fattispecie, in cui si era verificata la ripetuta vendita di cocaina, a breve distanza di tempo e destinata all'assunzione dello stesso soggetto, si è ritenuto integrata la violazione di una regola cautelare idonea a configurare la colpa in capo allo spacciatore e, quindi, ad imputare psicologicamente allo stesso l'evento morte dell'acquirente, verificatosi a distanza di poche ore Sez. 4, n. 8058 del 23/09/2016 dep. 2017 Rv. 269127 . La colpa è stata ravvisata anche in particolari circostanze attinenti alla quantità, natura e qualità della sostanza ceduta, come nel caso in cui lo spacciatore predisponga dosi a composizione diversa da quelle usuali o miscelate con sostanze diverse, con consapevolezza della probabilità di maggiori rischi per la vita del consumatore. Sez. 6 n. 49573 del 19/C19/2018, Rv. 274277, in un caso in cui era emerso che l'imputato era consapevole del fatto che la sostanza stupefacente ceduta presentava un'elevata concentrazione di principio attivo, tale da essere potenzialmente pericolosa per gli assuntori . 2.4. Ora, esaminando la motivazione della sentenza impugnata alla luce dei principi richiamati e della concreta applicazione che nella giurisprudenza di questa Corte se ne è fatta, non può non rilevarsi come essa non evidenzi alcun elemento da cui si possa ricavare, in concreto, la colpa dell'imputato ricorrente. L'unico elemento, infatti, al quale la decisione àncora la colpa del cedente è costituito dal grado di purezza dello stupefacente consegnato a M. , poi deceduto. Tuttavia, per un verso, la stessa sentenza non indica alcun elemento dal quale possa dedursi la consapevolezza in capo al ricorrente di tale grado di purezza dello stupefacente, di cui il giudice è divenuto consapevole solo a seguito delle analisi di laboratorio e del loro risultato esposto in giudizio dal consulente tecnico Dott. F. . Sotto altro profilo, la Corte di appello ha optato, con motivazione sostanzialmente apodittica e pure illogica, per la tesi che una dose di eroina con una percentuale di purezza pari al 25% fosse connotata da elevata purezza , laddove, nel passaggio precedente aveva dato atto delle conclusioni del consulente di parte, che evidenzia come la droga da strada oscilli mediamente tra il 10% e il 30% di purezza, e che, nel caso di specie, si tratterebbe, appunto, di una dose connotata da una purezza contenuta nel range ordinario pure se in prossimità dell'estremo massimo cfr. pg. 8 della sentenza impugnata . Ancora, non si rinviene, nella sentenza impugnata, neppure un riferimento al prezzo pagato dalla vittima per l'acquisto della dose che, in ipotesi, avrebbe potuto costituire un elemento orientativo per valutare la consapevolezza, da parte dell'imputato, del maggiore grado di purezza della dose ceduta al M. , rispetto a quelle ordinariamente vendute nelle piazze di spaccio e dallo stesso R. consegnate in più occasioni al cugino della vittima, il P. . D'altro canto, la stessa sentenza afferma la non rilevanza della eterogeneità dello stupefacente ceduto al M. rispetto a quello ceduto al cugino della parte offesa, affermandosi che gli acquisti da parte del P. e del M. sarebbero avvenuti in tempi diversi ma anche tale circostanza non rivela di per sé la consapevolezza da parte del cedente che il grado di purezza della dose ceduta alla parte offesa fosse superiore a quello della dose ceduta al P. , e quindi potenzialmente più letale. Infine, non vi è alcun accenno, in sentenza, alla conoscenza, da parte del cedente, della situazione personale del M. , che era in cura presso il XXXX con un piano terapeutico che prevedeva l'assunzione di basse dosi di metadone, e, quindi, del rischio maggiore di intossicazione acuta in caso di nuova assunzione di eroina, atteso che risulta acclarato in atti che quella fu la prima volta che R. incontrò, per il tramite del cugino, la persona offesa, e gli cedette eroina. 2.5. I limiti argomentativi della motivazione della sentenza impugnata risultano, dunque, evidenti, ed essi dovranno essere colmati dal Giudice del rinvio, chiarendo, in sintesi, quali siano gli elementi fattuali - alla luce della vicenda concreta e delle condizioni soggettive della vittima - dai quali possa desumersi che il ricorrente fosse consapevole di avere ceduto una dose letale di eroina. 3. Del tutto inammissibile il primo motivo di ricorso laddove contesta la sussistenza della prova del nesso causale tra la condotta dell'imputato e il decesso del M. , omettendo di confrontarsi con la specifica motivazione rassegnata, sul punto, dalla Corte di appello, che ha ricostruito, al pari di quella conforme di primo grado, le circostanze che hanno consentito di affermare che la persona offesa assunse la droga già la sera precedente al decesso. 4. Il secondo motivo è manifestamente infondato. La contestata recidiva, che dallo stesso ricorso si desume essere quella dell' art. 99, comma 4, c.p. , nel caso di specie, è stata contestata ed applicata, essendo stata assoggettata al bilanciamento con le attenuanti generiche. Il principio di diritto che viene in rilievo è quello accreditato dalla recente pronuncia delle Sezioni Unite Sez. U, n. 30046 de123/06/2022, Cirelli, Rv. 283328 -01 , a mente del quale, la recidiva di cui all' art. 99, comma 4, c.p. rimane circostanza ad effetto speciale, rilevante per il calcolo della prescrizione, il cui computo è da effettuarsi secondo parametri oggettivi, generali e astratti, anche a fronte del limite all'aumento di pena previsto dall' art. 99, comma 6, c.p. , che non rileva ai fini della prescrizione. Nel caso di specie, come detto, la recidiva è stata applicata, essendo irrilevante, ai fini della prescrizione, che sia entrata nel giudizio di bilanciamento con le attenuanti generiche, risultate equivalenti. Poiché, quindi, il tempo base di prescrizione del reato di cui all' art. 586 c.p. è di sei anni, con l'aumento di due terzi ex art. 99, comma 4, c.p. esso diventa pari a dieci anni, oltre all'ulteriore estensione per l'atto interruttivo. Il reato, contestato all'agosto 2013, non è quindi ancora prescritto. 5. L'epilogo del presente scrutinio di legittimità è l'annullamento della sentenza impugnata limitatamente all'elemento soggettivo del reato di cui all' art. 586 c.p. , con rinvio al Giudice di merito per nuovo giudizio sul punto. Nel resto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Perugia.