Ignora platealmente il richiamo del suo coordinatore: illegittimo il licenziamento

Vittoria piena per la dipendente di una residenza assistenziale sanitaria per anziani. I Giudici le riconoscono il diritto a ritornare in servizio e condannano l’azienda a versarle un’adeguata indennità risarcitoria. Per i magistrati l’episodio che ha portato al licenziamento è assolutamente non grave.

Niente licenziamento per la dipendente che ignora platealmente il richiamo verbale del suo coordinatore. Per i Giudici è impossibile catalogare come grave l’episodio. Scenario della vicenda è una residenza assistenziale sanitaria per anziani. Sotto i riflettori il comportamento tenuto in un’occasione da una infermiera, la quale, secondo quanto segnalato dalla società proprietaria della struttura, una sera «si rivolgeva al coordinatore infermieristico, che le rammentava le corrette procedure di messa in sicurezza della sala da pranzo, da lei nell’occasione inosservate, voltandogli le spalle ed allontanandosi da lui mentre le stava parlando» ed «esclamava “Ma va’, va’”, accompagnando l’esclamazione con ampio e derisorio gesto del braccio». Secondo l’azienda ci si trova di fronte ad «un contegno scorretto ed offensivo» della lavoratrice – «avente mansioni di addetta alle cure igieniche della persona, rifacimento letti, pulizia locali e assistenza ai pazienti» e «rappresentante per la sicurezza dei lavoratori» – «verso il suo superiore gerarchico», contegno così grave da legittimarne il licenziamento. Per i giudici d’Appello, però, la presunta insubordinazione della lavoratrice non è sufficiente giustificarne l’allontanamento definitivo dalla struttura. In sostanza, «il comportamento della lavoratrice rientra», spiegano i giudici di secondo grado, «tra gli illeciti per i quali la contrattazione collettiva prevede sanzioni esclusivamente conservative». Ciò significa che l’episodio contestato alla lavoratrice va catalogato come «insubordinazione non connotata da particolare gravità». Di conseguenza, il licenziamento è nullo e «la società viene condannata» in Appello «alla reintegrazione della dipendente» nonché a versarle «una indennità risarcitoria pari a dodici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto» con annessa «regolarizzazione della posizione contributiva e previdenziale». Inutile il ricorso proposto in Cassazione dalla società, che, difatti, vede confermato il proprio obbligo di riaccogliere in servizio la lavoratrice. Anche per i Giudici di terzo grado, difatti, l’episodio che ha portato alla lettera di licenziamento non è davvero grave. Condivisa in pieno in Cassazione la valutazione compiuta dai giudici d’Appello. In sostanza, tenuto presente ogni aspetto concreto della vicenda, quello tenuto dalla lavoratrice «è stato un comportamento rimasto a livello verbale nell’ambito di uno scambio di vedute contrapposte tra un operatore ed il suo coordinatore». Peraltro, «la condotta, oltre a non essere connotata da violenza, né fisica né verbale, non ha determinato ripercussioni specifiche e significative a livello aziendale né è emerso alcun pericolo o danno per utenti o colleghi e per il patrimonio aziendale», sottolineano i magistrati. In questo quadro è irrilevante, infine, il riferimento fatto dall’azienda alla «riottosità della lavoratrice» e alla sua «personalità molto poco incline alla collaborazione e immotivatamente polemica».

Presidente Raimondi – Relatore Cinque Fatti di causa 1. Con contestazione del 12.12.2016, per quello che interessa in questa sede, la omissis srl addebitava ad P.A. , dipendente presso la omissis dal 15.3.2004 in qualità di assistente livello C3 in base al CCNL di riferimento con mansioni di addetta alle cure igieniche della persona rifacimento letti, pulizia locali e assistenza ai pazienti e dal 2009 rappresentante, altresì, dei lavoratori per la sicurezza, i seguenti fatti < in data omissis , alle ore 20,20 circa, ella si rivolgeva al coordinatore infermieristico B.M. che le rammentava le corrette procedure di messa in sicurezza della sala da pranzo, da Lei nell'occasione inosservate, voltandogli le spalle ed allontanandosi da lui mentre le stava parlando, esclamando Ma va, va ed accompagnando l'esclamazione con ampio e derisorio gesto del braccio, integrando, in tal modo, un contegno scorretto ed offensivo verso il suo superiore gerarchico. Le si contesta la recidiva in relazione alla sanzione disciplinare di due giorni dal lavoro e della retribuzione comminatale il 14 ottobre 2016> . 2. In data 3.4.2017, reiterato poi il 3.5.2017, la società intimava il licenziamento senza preavviso, sia in quanto le capacità lavorative della dipendente erano state ritenute non ulteriormente compatibili con le necessità operative dell'Azienda ma tale addebito non rileva più ai fini del presente giudizio sia per i continui episodi di insubordinazione, di particolare gravità, posti in essere nei confronti dei superiori gerarchici, sia per i comportamenti pregiudizievoli alla struttura sanitaria tali da configurare notevole inadempimento ai doveri contrattualmente assunti e costituire giustificato motivo per la risoluzione del rapporto. 3. Impugnato il recesso, limitatamente all'episodio dell'8.12.2016 unico posto a base del licenziamento, il Tribunale di Velletri con ordinanza resa in fase sommaria, confermata poi in sede di opposizione ex lege numero 92 del 2012, dichiarava risolto il rapporto di lavoro e condannava la società al pagamento di una indennità risarcitoria pari a 24 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, oltre alle spese processuali. 4. La Corte di appello di Roma, con la sentenza numero 558-2020, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, annullava il licenziamento intimato e condannava la società alla reintegrazione del dipendente nonché al pagamento di una indennità risarcitoria commisurata a numero 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori e regolarizzazione alla posizione contributiva e previdenziale. 5. A fondamento della decisione i giudici di seconde cure ritenevano che il comportamento della lavoratrice rientrasse tra gli illeciti per i quali la contrattazione collettiva prevedeva sanzioni esclusivamente conservative insubordinazione non connotata da particolare gravità , applicando quindi la tutela di cui alla legge numero 300 del 1970, articolo 18 co. 4. 6. Avverso la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione la omissis srl affidato a due motivi cui ha resistito con controricorso P.A. 7. Il Procuratore Generale ha rassegnato conclusioni scritte, ai sensi dell'articolo 23 comma 8 bis del d.l numero 137 del 2000 coordinato con la legge di conversione numero 176 del 2020, chiedendo il rigetto del ricorso. 8. Le parti hanno depositato memorie. Ragioni della decisione 1. I motivi possono essere così sintetizzati. 2. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione della legge numero 300 del 1970, articolo 18 co. 5 e la falsa applicazione del comma 4, anche con riferimento all'articolo 38 del CCNL per il personale dipendente delle RSA e delle altre Strutture Residenziali e Socio-Assistenziali AIOP, per avere erroneamente ritenuto la Corte territoriale che il fatto non fosse connotato da particolare gravità e, conseguentemente, che non fosse prevista per tale fattispecie la possibilità di potere licenziare la dipendente. 3. Con il secondo motivo si eccepisce l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio rappresentato dalla valutazione sulla personalità della P., molto poco incline alla collaborazione, immotivatamente polemica e sempre attenta in via esclusiva ai suoi interessi personali e ciò anche al fine di accertare in modo corretto la particolare gravità della condotta dalla stessa tenuta nell'episodio contestato. 4. Il primo motivo presenta profili di infondatezza e di inammissibilità. 5. È infondato perché la Corte territoriale ha svolto la propria analisi in modo conforme ai principi di diritto affermati, da ultimo, in sede di legittimità Cass. numero 11665-2022 , secondo cui in tema di licenziamento disciplinare, al fine di selezionare la tutela applicabile tra quelle previste dalla l. numero 300 del 1970, articolo 18, commi 4 e 5, come novellato dalla l. numero 92 del 2012, il giudice può sussumere la condotta addebitata al lavoratore, e in concreto accertata giudizialmente, nella previsione contrattuale che, con clausola generale ed elastica, punisca l'illecito con sanzione conservativa, nè detta operazione di interpretazione e sussunzione trasmoda nel giudizio di proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato, restando nei limiti dell'attuazione del principio di proporzionalità, come eseguito dalle parti sociali attraverso la previsione del contratto collettivo. 6. È inammissibile, invece, quanto alle doglianze circa la ritenuta non gravità della condotta la cui valutazione costituisce espressione di un accertamento di fatto, nel caso in esame argomentato con motivazione esente dai vizi di cui all'articolo 360 co. 1 numero 5 cpc nuova formulazione e, in quanto tale, insindacabile in cassazione. 7. Infatti, nella fattispecie, la Corte territoriale ha tenuto conto di ogni aspetto concreto della vicenda, evidenziando che si era trattato di un comportamento rimasto a livello verbale nell'ambito di uno scambio di vedute contrapposte tra un operatore ed il suo coordinatore è stato, poi, sottolineato che la condotta, oltre appunto a non essere connotata da violenza, nè fisica nè verbale, non aveva determinato ripercussioni specifiche e significative a livello aziendale nè era emerso alcun pericolo o danno per utenti e/o colleghi e/o per il patrimonio aziendale. 8. La suddetta valutazione dei giudici di appello non presenta vizi logici o contraddittori e non è quindi censurabile nè in punto di diritto nè di fatto. 9. Il secondo motivo è anche esso non meritevole di accoglimento. 10. La asserita personalità riottosa della lavoratrice non costituiva oggetto della contestazione disciplinare che riguardava unicamente l'episodio dell' omissis che, nei suoi aspetti oggettivi e soggettivi, è stato attentamente valutato e ponderato dalla Corte territoriale di talché non può parlarsi di vizio di omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti nella accezione prevista dall'articolo 360 co. 1 numero 5 cpc nuova formulazione . 11. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato. 12. Al rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo. 13. Ai sensi dell'articolo 13, comma 1 quater, del DPR numero 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 numero 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge. Ai sensi del DPR numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.