La Cassazione sui compensi minimi e medi per l’avvocato

Con due sentenze depositate ieri, la Corte di Cassazione ha cristallizzato alcuni principi in tema di compenso per l'avvocato nel caso in cui le parti non abbiamo stipulato apposita convenzione.

Compensi minimi inderogabili Con la sentenza n. 10466/2023 depositata il 19 aprile 2023, la II sez. civile della Cassazione ha analizzato il ricorso presentato da un avvocato avverso la pronuncia con cui il giudice d'appello aveva confermato la liquidazione delle spese processuali in euro 300 per l'attività resa nell'ambito di un'impugnazione di cartella esattoriale in considerazione della ripetitività e semplicità della causa e della possibilità della parte di difendersi personalmente . Il Collegio ha accolto il ricorso sottolineando come la cifra liquidata fosse inferiore ai minimi tabellari fissati dall' art. 4 d.m. n. 55/2014 , come modificato dal d.m. n. 37/2018 . Sulla base dell'attuale contesto normativo, viene precisato che in assenza di diversa convenzione tra le parti, ove la liquidazione dei compensi professionali e delle spese di lite avvenga in base ai parametri di cui al d.m. n. 55/2014, a seguito delle modifiche apportate allo stesso dal d.m. n. 37/2018 , non è dato al giudice scendere al di sotto dei valori minimi , in quanto aventi carattere inderogabile . La pronuncia precisa anche che la previsione di minimi tabellari in tema di compensi professionali non si pone in contrasto con la disciplina euro-unitaria in tema di tutela della concorrenza, accesso al mercato, restrizioni alla libera prestazione dei servizi art. 101, par. 1, TFUE l'ammissibilità della previsione di tariffe professionali inderogabili era stata già affermata dalla Corte di Giustizia sentenza 19.2.2000, cause C-35/1999 ed è stata ripetutamente confermata anche per altri settori sempre che le tariffe siano fissate da un organismo pubblico nel rispetto dei criteri di interesse pubblico definiti dalla legge . Compensi medi La medesima sez. II della Cassazione, con la sentenza n. 10438/2023 depositata il 19 aprile, si è pronunciata anche in tema di compensi tariffari medi . Nel caso di specie un avvocato lamentava la mancanza di congruità del compenso liquidato per l'attività prestata in un procedimento di volontaria giurisdizione, per una cifra di circa 100 euro . Il Tribunale rigettava l'opposizione in considerazione della modestia delle questioni trattate dissenso del genitore al rilascio del passaporto in favore della figlia minore e della limitata durata del procedimento definito con decreto resi fuori udienza , giustificando così la riduzione del 62,5% del compenso. In primo luogo, quanto alla determinazione del valore della controversia e, di conseguenza, dello scaglione applicabile, la Corte afferma che l' art. 5, comma 6, d.m. 55/2014 non impedisce al giudice di scendere al di sotto dei limiti indicati dalle disposizioni, allorquando il valore effettivo della controversia non rifletta i parametri di regola predisposti dal legislatore, impregiudicato il dovere di dare adeguatamente conto in motivazione delle ragioni delle decisione , dovere correttamente assolto nel caso in esame. Il ricorso risulta fondato nella parte in cui lamenta la riduzione del compenso operata dal giudice di merito, viene invece precisato che ai fini della liquidazione in sede giudiziale del compenso spettante all'avvocato nel rapporto col proprio cliente, in caso di mancata determinazione consensuale, come ai fini della liquidazione delle spese processuali a carico della parte soccombente, ovvero in caso di liquidazione del compenso del difensore della parte ammessa al beneficio patrocinio a spese dello Stato nella vigenza dell' art. 4, comma 1, e 12, comma 1, d.m. n. 55/2014 , come modificati dal d.m. n. 37/2018 , il giudice non può in nessun caso diminuire oltre il 50 per cento i valori medi di cui alle tabelle allegate .

Presidente D'Ascola Relatore Fortunato Fatti di causa 1. Con sentenza n. 18299/2019 il Tribunale di Roma, respingendo l'appello proposto da R.R.D.A., ha confermato la sentenza con cui il giudice di pace, dopo aver annullato una cartella di pagamento volta alla riscossione di sanzioni stradali per l'importo di Euro 1770,83, aveva liquidato a titolo di spese Euro 300,00, ponendone l'onere ad esclusivo carico dell'Agenzia delle entrate, con compensazione di quelle relative ai rapporti con la Prefettura di Roma e con Roma Capitale. Il Giudice di appello ha ritenuto congrua la liquidazione effettuata dal Giudice di pace, in considerazione della ripetitività e semplicità della causa e della possibilità della parte di difendersi personalmente, e ha compensato le spese di secondo grado. La cassazione della sentenza è chiesta da R.R.D.A. con ricorso in tre motivi. Resiste con controricorso Roma Capitale. La Prefettura di Roma e l'Agenzia delle entrate riscossione non hanno svolto difese. La causa, inizialmente avviata alla trattazione camerale è stata rimessa in pubblica udienza con ordinanza n. 7199/2021 ed è stata decisa nelle forme di cui al D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176 . Ragioni della decisione 1. Il primo motivo di ricorso deduce la violazione del D.M. n. 55 del 2014, art. 4, aggiornato dal D.M. n. 37 del 2018, delle tabelle 1 e 3 dell'allegato al suddetto decreto, dell'art. 91 c.p.c., art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, art. 118 disp att. c.p.c. , in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, sostenendo che, essendo il valore della lite pari ad Euro 1770,83, la sentenza abbia ritenuto congrua la liquidazione di Euro 300,00 a titolo di spese di primo grado, benché inferiore ai minimi tabellari e senza che il primo giudice avesse proceduto ad una quantificazione per fasi. Il secondo motivo denuncia la violazione dell' art. 132 c.p.c. , comma 2, n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c. , comma 2 lamentando che il Tribunale abbia confermato la compensazione delle spese di primo grado nei rapporti tra il ricorrente con Roma Capitale e la Prefettura di Roma, senza addurre alcuna motivazione. Il terzo motivo denuncia la violazione degli artt. 91 e 92 disp. att. c.p.c. , art. 118 disp. att. c.p.c. , comma 2 sostenendo che non sussistevano le gravi ed eccezionali ragioni per compensare le spese di primo grado nei confronti della Prefettura e di Roma Capitale. 2. Il primo motivo è fondato. Il ricorso pone il problema della derogabilità dei valori tabellari minimi fissati per ciascuna fase processuale dal nuovo testo del D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 1, come modificato dal D.M. n. 37 del 2018, che ora dispone che, ai fini della liquidazione del compenso, il giudice tiene conto dei valori medi di cui alle tabelle allegate, che, in applicazione dei parametri generali possono essere aumentati di regola sino all'80 per cento, ovvero possono essere diminuiti in ogni caso non oltre il 50 per cento. Per la fase istruttoria l'aumento è di regola fino al 100 per cento e la diminuzione in ogni caso non oltre il 70 per cento. La L. n. 247 del 2012, art. 13, comma 6, rimette, com'e' noto, ad un apposito decreto del Ministero della Giustizia, l'aggiornamento con cadenza biennale dei parametri medi, provvedimento da adottare d'intesa con in Consiglio nazionale forense, ai sensi dell'art. 1, comma 3, precisando che i nuovi parametri si applicano quando all'atto dell'incarico o successivamente il compenso non sia stato determinato in forma scritta, in ogni caso di mancata determinazione consensuale, in caso di liquidazione giudiziale dei compensi e nei casi in cui la prestazione professionale è resa nell'interesse di terzi o per prestazioni officiose previste dalla legge . La novellata previsione dell'art. 4, comma 1, è difforme dal punto di vista letterale dalle precedenti disposizioni regolamentari, che non contemplavano un vincolo espresso in ordine alla massima riduzione applicabile, limitandosi a disporre che detta riduzione non poteva di regola essere superiore al 50%. Sulla scorta di tale ultimo elemento testuale e alla luce del ritenuto carattere non vincolante dei parametri di liquidazione, questa Corte era giunta a sostenere che la quantificazione del compenso e delle spese processuali fosse espressione di un potere discrezionale riservato al giudice, e che la liquidazione, se contenuta entro i valori tabellari minimi e massimi, non richiedeva un'apposita motivazione e non era sottoposta al controllo di legittimità, dovendosi invece giustificare la scelta del giudice di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi da riconoscere, fatto salvo l'obbligo di non attribuire somme simboliche, lesive del decorso professionale Cass. 28325/2022 Cass. 14198/2022 Cass. 19989/2021 Cass. 89/2021 Cass. 10343/2020 . A tale approdo interpretativo, tuttora valido per le spese processuali e i compensi professionali regolati dal D.M. n. 55 del 2014, non può darsi continuità anche per quelli sottoposti al regime introdotto dal D.M. n. 37 del 2018 non è più consentita la liquidazione di importi risultanti da una riduzione superiore alla percentuale massima del 50% dei parametri medi e ciò per effetto di una scelta normativa intenzionale, volta a circoscrivere il potere del giudice di quantificare il compenso o le spese processuali e a garantire, attraverso una limitata flessibilità del parametri tabellari, l'uniformità e la prevedibilità delle liquidazioni a tutela del decoro della professione e del livello della prestazione professionale. La suddetta ratio legis è esplicitamente evidenziata nel parere del Consiglio di Stato, Sezione Consultiva, n. 2703/2017 del 27 dicembre 2017 , che aveva giudicato inadeguato, rispetto al dichiarato scopo di limitare il perimetro di discrezionalità riconosciuto al giudice, individuando delle soglie minime percentuali di riduzione del compenso rispetto al valore parametrico di base al di sotto delle quali non è possibile andare, l'utilizzo di una formula normativa suscettibile di avallare approdi interpretativi in merito all'applicazione della locuzione di regola anche alle riduzioni percentuali dei valori parametrici di base, mentre tale possibilità doveva più incisivamente essere limitati agli incrementi dei parametri e non alla riduzione . L'attuale previsione è quindi volta proprio a specificare con maggiore chiarezza l'inderogabilità delle soglie minime percentuali di riduzione del compenso rispetto al valore parametrico di base da parte degli organi giudicanti, e ciò anche in considerazione del fatto che l' art. 13, comma 7 della legge n. 247 del 2012 prevede fra i criteri cui si deve attenere l'Amministrazione quello della trasparenza nella determinazione dei compensi dovuti per le prestazioni professionali . Tale intento normativo traspare dalla dichiarata rispondenza per esplicita valutazione normativa dei parametri tabellari introdotti ex novo ai requisiti cui devono rispondere le liquidazioni ricadenti nell'ambito applicativo della L. n. 247 del 2012, art. 13 bis introdotto dal D.L. 16 ottobre 2017, convertito nella L. 4 dicembre 2017, e poi modificata dalla L. 27 dicembre 2017, n. 205 . La disposizione precisa che il compenso, nei rapporti regolati da convenzioni aventi ad oggetto lo svolgimento delle attività professionali in favore di imprese bancarie e assicurative, nonché di imprese non rientranti nelle categorie delle microimprese o delle piccole o medie imprese, si considera equo quando risulta proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto e alle caratteristiche della prestazione legale, e conforme ai parametri previsti dal regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia adottato ai sensi dell'art. 13, comma 6 . Ai medesimi parametri deve far riferimento il giudice per porre rimedio alla vessatorietà delle clausole a norma dell'art. 13, commi 4, 5 e 6 ipotesi in cui una volta accertata, la non equità del compenso, la successiva quantificazione va effettuata proprio mediante l'impiego dei parametri tabellari per superare l'originario squilibrio dell'accordo art. 13, comma 10 . La previsione di minimi tabellari in tema di compensi professionali non si pone in contrasto con la disciplina Euro-unitaria in tema di tutela della concorrenza, accesso al mercato, restrizioni alla libera prestazione dei servizi articolo 101, paragrafo 1, TFUE l'ammissibilità della previsione di tariffe professionali inderogabili era stata già affermata dalla Corte di Giustizia sentenza 19.2.2000, cause C-35/1999 ed è stata ripetutamente confermata anche per altri settori sempre che le tariffe siano fissate da un organismo pubblico nel rispetto dei criteri di interesse pubblico definiti dalla legge ma la disciplina può comunque rivestire natura statale quando i membri dell'organizzazione di categoria siano esperti indipendenti dagli operatori economici interessati e siano tenuti dalla legge a fissare le tariffe prendendo in considerazione non solo gli interessi delle imprese o delle associazioni di imprese nel settore che li ha designati, ma anche l'interesse generale e gli interessi delle imprese degli altri settori o degli utenti dei servizi di cui trattasi Corte di giustizia 427/2017 Corte di Giustizia UE 5.12.2006 C 94/2004 e C 202/2004 in tema di tariffe in settore dei trasporti Corte di giustizia 9.9.2004 C-184/02 e C 223/2002 . Sono giudicate ammissibili eventuali restrizioni della concorrenza se circoscritte a quanto necessario al conseguimento di obiettivi legittimi Corte di giustizia 427/2017 , come pure una normativa nazionale volta a fissare una minore percentuale di riduzione pari al 12% rispetto a quella pari al 50% prevista dall'art. 4 12% , anche se i giudici nazionali si limitino a verificare la rigorosa applicazione, senza essere in grado, in circostanze eccezionali, di derogare ai limiti fissati da tale tariffa, ciò in relazione all' art. l'art. 101 TFUE , in combinato disposto con l' articolo 4, paragrafo 3, TUE Corte di giustizia 8.12.2016, C 532/2015 e 538/2015 . Ha da ultimo precisato la Corte di Giustizia cfr. sentenza 427/2017 che l' articolo 101, paragrafo 1, TFUE , in combinato disposto con l' articolo 4, paragrafo 3, TUE , dev'essere interpretato nel senso che una normativa nazionale che, da un lato, non consenta all'avvocato e al proprio cliente di pattuire un onorario d'importo inferiore al minimo stabilito da un regolamento adottato da un'organizzazione di categoria dell'ordine forense, a pena di procedimento disciplinare a carico dell'avvocato medesimo, e, dall'altro, non autorizzi il giudice a disporre la rifusione degli onorari d'importo inferiore a quello minimo, è idonea a restringere il gioco della concorrenza nel mercato interno ai sensi dell' art. 101, paragrafo 1, TFUE , ma che spetta comunque al giudice del rinvio verificare se tale normativa, alla luce delle sue concrete modalità applicative, risponda effettivamente ad obiettivi legittimi e se le restrizioni così stabilite siano limitate a quanto necessario per garantire l'attuazione di tali legittimi obiettivi . Va evidenziato, al riguardo, che i nuovi parametri risultano predisposti dal CNF ma adottati dal Ministero della giustizia, previo parere del Consiglio di Stato e pertanto da un organo statale per scopi di interesse generale correlati all'esigenza di garantire la trasparenza e l'unitarietà nella determinazione dei compensi professionali. Tali parametri non appaiono discriminatori, avendo portata generale ex art. 15, comma 2, lettera g Direttiva 2006/123/CE Corte di giustizia 4.7.2019 C 377/2017 ed inoltre l'intervento normativo lascia impregiudicata la possibilità che le parti stabiliscano un compenso inferiore a quello risultante dalla massima riduzione prevista, per cui l'introduzione dei minimi finisce per incidere in misura non sproporzionata sulle dinamiche concorrenziali tra professionisti. I nuovi criteri rispondono inoltre all'interesse generale di introdurre una remunerazione minima in modo da non svilire la professione ed esigere anzi un livello della prestazione adeguato nell'interesse del cliente, secondo un principio ed esigenze comuni ad altri settori professionali cfr. Corte di giustizia UE 4.7.2019 C-377/17 , in tema di tariffe per gli architetti e gli ingegneri , assicurando standard di diligenza appropriati alla natura e al decoro delle attività svolte. La censura è quindi fondata, avendo il Tribunale ritenuto congrue, a titolo di spese processuali di primo grado in relazione alla valore della causa pari all'importo della sanzione irrogata somme inferiori a quelle risultanti dalla massima riduzione percentuale consentita dal D.M. n. 55 del 2014, citato art. 4, comma 1, nel testo novellato dal D.M. 37/2018, e con l'attribuzione di un importo onnicomprensivo senza distinzione per fasi Cass. 6518/2022 Cass. 23873/2021 Cass. 19482/2018 Cass. 6306/2016 . 2. Anche il secondo motivo è fondato, poiché nel confermare integralmente la decisione di primo grado il Tribunale ha del tutto omesso di giustificare la disposta compensazione delle spese di primo grado nei rapporti dell'opponente con la Prefettura di Roma e l'Agenzia delle entrate riscossione. Il terzo motivo è invece assorbito, essendo espressamente condizionato al rigetto della seconda censura. Segue accoglimento dei primi due motivi di ricorso, con assorbimento del terzo, proposto in via condizionata. La sentenza è cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio della causa al Tribunale di Roma, in persona di altro Magistrato, anche per la pronuncia sulle spese di legittimità. Deve infine essere affermato il seguente principio di diritto In assenza di diversa convenzione tra le parti, ove la liquidazione dei compensi professionali e delle spese di lite avvenga in base ai parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, a seguito delle modifiche apportate allo stesso dal D.M. n. 37 del 2018, non è dato al giudice scendere al di sotto dei valori minimi, in quanto aventi carattere inderogabile . P.Q.M. accoglie i primi due motivi di ricorso, dichiara assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa al Tribunale di Roma, in persona di altro Magistrato, anche per la pronuncia sulle spese di legittimità.

Presidente D'Ascola - Relatore Criscuolo Ragioni in fatto ed in diritto della decisione Il Tribunale di Grosseto, decidendo sull'opposizione proposta dall'avv. M.L., D.P.R. numero 115 del 2002, ex art. 170 avverso il decreto di liquidazione dei compensi emesso in data 18/2/2020 in favore dell'opponente, ed in relazione ai compensi maturati per la difesa prestata in un procedimento di volontaria giurisdizione dissenso del genitore al rilascio del passaporto in favore della figlia minore svoltosi dinanzi allo stesso Tribunale, in favore di G.M., rigettava l'opposizione, che verteva solo sulla congruità della liquidazione. Il Tribunale reputava che il compenso era stato liquidato in misura pari ad Euro 101,25, per un importo che appariva congruo sottolineando la vincolatività dei parametri di cui al D.M. numero 55 del 2014, sia nei valori massimi che in quelli minimi, pur a seguito della novella di cui al D.M. numero 37 del 2018. Pertanto tenuto conto dei valori di cui alla tabella 7 del citato D.M., per l'importo di Euro 405,00, avuto riguardo alla modestia delle questioni trattate ed alla durata del procedimento definito con decreto resi fuori udienza , era giustificata una riduzione del 62,5%, essendo quindi corretta la liquidazione impugnata, dovendosi infatti procedere ad una ulteriore decurtazione di un terzo, trattandosi di compensi liquidati in favore del difensore di parte ammessa al beneficio del patrocinio a spese dello Stato. Per la cassazione di tale decreto rectius ordinanza , trattandosi di decisione emessa all'esito di opposizione D.P.R. numero 115 del 2002, ex art. 170 propone ricorso M.L. sulla base di quattro motivi. Il Ministero intimato non ha svolto difese in questa fase. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e/o falsa applicazione del D.M. numero 55 del 2014, art. 5, quanto alla determinazione del valore della controversia, in relazione all' art. 360 c.p.c. , comma 1, numero 3. Si sostiene che il decreto in questione non avrebbe minimamente tenuto conto delle ragioni dell'opposizione, omettendo ogni necessaria valutazione circa il valore della controversia. Infatti, il giudice di merito avrebbe dovuto far riferimento alle cause di valore indeterminabile, tenuto conto delle questioni dibattute nel giudizio presupposto opposizione di un genitore alla richiesta dell'altro genitore di rilascio del passaporto in favore della figlia minore , così che in base al D.M. numero 55 del 2014, art. 5, comma 6, le cause di valore indeterminabile si considerano di regola e a questi fini di valore non inferiore a Euro 26.000,00 e non superiore a Euro 260.000,00, tenuto conto dell'oggetto e della complessità della controversia . Dall'importo prescelto per la liquidazione, tratto dalla Tabella 7 del D.M., si ricava che il Tribunale abbia inteso fare riferimento e applicare alla controversia lo scaglione più basso quello da 0 a 5.200 Euro destinato, invero, alle sole questioni di valore economico determinabile, violando la norma in questione e, in particolare, dell'art. 5, il comma 6 che è da considerarsi un vero e proprio parametro normativo vincolante di fonte legale e, come tale, non derogabile dal giudice. Peraltro, la stessa giurisprudenza di legittimità nell'interpretare le norme in esame ha affermato che la frase di valore non inferiore a 26.000 Euro non sta a significare che i 26.000 Euro rappresentano il valore massimo, ma, contrario, il valore da cui partire per individuare lo scaglione applicabile così Cass. Civ., Sez. VI, Ord. 25/VI/2018, numero 16671 . Ne consegue che i compensi professionali relativi a causa di volontaria giurisdizione di valore indeterminabile devono essere sempre calcolati secondo lo scaglione tariffario che va dai 26 mila ai 260 mila Euro, con la conseguente erronea individuazione della base di partenza per le determinazione del compenso dovuto. Il secondo motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione del D.M. numero 55 del 2014, art. 4 come modif. dal D.M. numero 37 del 2018 quanto all'arbitraria e immotivata esclusione di taluni parametri discrezionali. Infatti, il provvedimento impugnato ha preso in esame solo quei parametri discrezionali negativi per il difensore, e cioè quelli comportanti una diminuzione del compenso, senza che tale scelta sia stata adeguatamente supportata dal punto di vista logico e motivazionale. Sono stati trascurati la complessità delle questioni di fatto, l'urgenza dell'affare, il positivo risultato conseguito dal cliente ed il valore intrinseco dell'affare. Il terzo motivo denuncia l'omesso esame di un fatto decisivo con riferimento alla questione di fatto dedotta quale parametro di oggettiva complessità della controversia. Infatti, anche a voler convenire che la questione sub iudice non abbia comportato la disamina di complesse questioni di diritto, non altrettanto può dirsi in relazione alla questione di fatto che essa implicava, essendosi posta la necessità di impedire che la richiedente il passaporto per la figlia potesse in tal modo procedere al definitivo trasferimento della minore all'estero, ed in un paese di cui occorreva verificare l'effettiva adesione a trattati internazionali sulla protezione dalla sottrazione illegittima di minori. I motivi, che possono essere congiuntamente espianti per la loro connessione, sono infondati. Quanto alla determinazione del valore della controversia, non ignora il Collegio come nella giurisprudenza di questa Corte sia stato affermato il principio secondo cui Cass. numero 16671/2018 l'espressione Di valore non inferiore a 26.000 Euro non sta a significare che i 26.000 Euro rappresenterebbero il valore massimo ma, al contrario, il valore da cui partire per individuare lo scaglione applicabile conf. Cass. numero 24076/2019 Cass. numero 22330/2020 , tuttavia deve tenersi conto proprio della formulazione letterale della norma de qua D.M. numero 55 del 2014, art. 5, comma 6 nella formulazione applicabile ratione temporis, prima delle modifiche di cui al D.M. numero 147 del 2022 , secondo cui Le cause di valore indeterminabile si considerano di regola e a questi fini di valore non inferiore a Euro 26.000,00 e non superiore a Euro 260.000,00, tenuto conto dell'oggetto e della complessità della controversia. Qualora la causa di valore indeterminabile risulti di particolare importanza per lo specifico oggetto, il numero e la complessità delle questioni giuridiche trattate, e la rilevanza degli effetti ovvero dei risultati utili, anche di carattere non patrimoniale, il suo valore si considera di regola e a questi fini entro lo scaglione fino a Euro 520.000,00. La dizione letterale ha quindi legittimato l'affermazione del principio di diritto, al quale la Corte intende assicurare continuità, secondo cui il D.M. numero 55 del 2014, art. 5, comma 6, - secondo cui le cause di valore indeterminabile si considerano normalmente di valore non inferiore ad Euro 26.000 e non superiore ad Euro 260.000 - non impedisce al giudice di scendere al di sotto dei detti limiti, e pertanto allo scaglione immediatamente inferiore, quando il valore effettivo della controversia non rifletta i parametri di regola predisposti dal legislatore, ossia quando sussistano particolarità della singola lite che rendano giustificato il ricorso ad uno scaglione più basso, in rapporto all'oggetto e alla complessità della controversia Cass. numero 968/2022 Cass. numero 38466/2021 , secondo cui alla lettera della norma va assegnato il significato di individuare uno scaglione cui il giudice deve in genere attenersi, ad eccezione dei casi in cui sussistano particolarità della singola lite che rendano giustificato il ricorso ad uno scaglione più basso, in rapporto all'oggetto e alla complessità della controversia , di tal che lo scaglione tariffario per le cause di valore indeterminabile di bassa complessità può essere quello compreso tra Euro 5201,0026000,00 conf. Cass. 29821/2019 Cass. 11887/2019 . Il D.M. numero 55 del 2014, art. 5, comma 6, non impedisce - dunque - al giudice di scendere al di sotto dei limiti indicati dalle disposizioni, allorquando il valore effettivo della controversia non rifletta i parametri di regola predisposti dal legislatore, impregiudicato il dovere di dare adeguatamente conto in motivazione delle ragioni della decisione Cass. 11887/2019 , dovere che nello specifico il tribunale ha compiutamente assolto, evidenziando la particolare modestia delle questioni trattate e la sollecita definizione del procedimento. Una volta quindi ritenuto soddisfatto l'iter argomentativo per giustificare l'applicazione dello scaglione sulla cui scorta il Tribunale ha individuato il compenso base, ne consegue altresì che si palesino prive di fondamento le ulteriori due censure del ricorrente che investono evidentemente apprezzamenti di merito, quali la mancata valutazione di concorrenti circostanze che avrebbero dovuto indurre ad una valutazione diversa circa la complessità e la delicatezza della controversia, questioni che risultano evidentemente sottratte al sindacato del giudice di legittimità. Il quarto motivo di ricorso denuncia la violazione e/o falsa applicazione del D.M. numero 55 del 2014, art. 4, comma 1 come modif. dal D.M. numero 37 del 2018 nonché della L. numero 794 del 1942, art. 24 quanto all'applicazione di una duplice diminuzione e, comunque, all'errata percentuale di diminuzione. Si lamenta che il provvedimento impugnato ha operato una duplice diminuzione, non consentita dall'art. 4 citato, in quanto sull'importo determinato in misura corrispondente ai minimi parametrici, il Tribunale ha operato un'ulteriore riduzione di oltre la metà in termini percentuali, che però non è consentita a seguito delle modifiche apportat6e al D.M. numero 55 del 2014 dal D.M. numero 37 del 2018. In subordine si deduce che il provvedimento impugnato ha operato una diminuzione del 62,5%, percentuale priva di conforto normativo e che si discosta dalla percentuale massima di riduzione che le norma fissa nel 50%, stante anche l'assenza di una suddivisione dell'attività per fasi quanto ai procedimenti di volontaria giurisdizione. Il motivo è fondato. Il motivo pone quindi all'attenzione della Corte la questione circa la possibilità per il giudice, nel caso di assenza di accordo tra le parti circa la determinazione del compenso, ovvero in caso di liquidazione delle spese di lite a carico del soccombente, ovvero in caso di liquidazione del difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, di poter derogare, sia pure in maniera motivata, ai minimi dettati dai parametri dettati in base alla previsione di cui alla L. numero 247 del 2012, art. 13 per effetto della novella del D.M. numero 55 del 2014, operata dal D.M. numero 37 del 2018, e confermata dalle previsioni di cui al D.M. numero 147 del 2022 . Occorre a tal fine ricordare che il codice del 1942 affida la determinazione del compenso dei professionisti intellettuali ai criteri individuati dall' art. 2233 c.c. , ordinati secondo una specifica gerarchia entro la quale figurano anche le tariffe. La peculiarità di queste ultime, nell'ambito della professione forense, in passato, emergeva dalla L. 13 giugno 1942, numero 794, art. 24, il quale, a pena di nullità, imponeva l'inderogabilità degli onorari minimi, divieto che, fra l'altro, veniva interpretato in maniera rigorosa dalla giurisprudenza, che riteneva che in tal modo fosse assicurato il rispetto del criterio di adeguatezza al decoro della professione posto dall' art. 2233 c.c. , comma 2, per garantire una libera concorrenza sul mercato e per proteggere i clienti dall'imposizione di compensi eccessivamente elevati. La c.d. riforma Bersani D.L. 4 luglio 2006, numero 223 , convertito in L. numero 248 del 2006 , ha comportato l'abrogazione di tutte le disposizioni legislative e regolamentari che prevedevano, con riferimento alle prestazioni professionali, l'obbligatorietà di tariffe fisse o minime , sul presupposto che tale scelta fosse imposta dalla normativa di rango comunitario, che non tollerava più un'imposizione vincolante delle tariffe professionali, essendo incompatibile con i principi comunitari di libera concorrenza e libera circolazione delle persone e dei servizi e ciò sebbene, come si dirà oltre, tale incompatibilità della precedente disciplina con gli obblighi derivanti non avesse avuto seguito nella giurisprudenza della Corte di Giustizia . Il D.L. 24 gennaio 2012, numero 1, art. 9, convertito in L. 24 marzo 2012, numero 27 , ha provveduto all'abrogazione delle tariffe comma 1 , sostituendole con i parametri comma 2 , ed a tale intervento normativo fece seguito l'emanazione della L. 31 dicembre 2012, numero 247 , recante la nuova disciplina dell'ordinamento forense e dunque concernente, a differenza del D.L. numero 1 del 2012 , soltanto gli avvocati e non anche le altre figure di professionisti, ma l'art. 13, commi 6 e 7, di tale legge riprende i parametri già introdotti per tutte le professioni intellettuali dal D.L. numero 1 del 2012 . Nelle more dell'emanazione della L. numero 247 del 2012 , stante l'avvenuta abrogazione delle tariffe, era stato però emanato il D.M. numero 140 del 2012 , volto a fissare i nuovi criteri di determinazione dei compensi dei professionisti forensi. Per quanto rileva ai fini della questione in esame il decreto numero 140 contiene l'esplicita affermazione del carattere sussidiario della liquidazione giudiziale del compenso rispetto all'accordo delle parti e della possibilità di ricorrere all'analogia per risolvere i casi non espressamente menzionati nel regolamento entrambi esplicitati nell'art. 1, comma 1 , nonché l'affermazione della non vincolatività delle soglie indicate per la determinazione del compenso, nelle tabelle allegate al regolamento, anche a mezzo di percentuale sia nei minimi che nei massimi. La L. numero 247 del 2012, art. 13 per ciò che attiene alla determinazione dei compensi, al comma 6, dispone che I parametri indicati nel decreto emanato dal Ministro della giustizia, su proposta del CNF, ogni due anni, ai sensi dell'art. 1, comma 3, si applicano quando all'atto dell'incarico o successivamente il compenso non sia stato determinato in forma scritta, in ogni caso di mancata determinazione consensuale, in caso di liquidazione giudiziale dei compensi e nei casi in cui la prestazione professionale è resa nell'interesse di terzi o per prestazioni officiose previste dalla legge , ed al successivo comma 7 precisa che I parametri sono formulati in modo da favorire la trasparenza nella determinazione dei compensi dovuti per le prestazioni professionali e l'unitarietà e la semplicità nella determinazione dei compensi . In attuazione di tale norma è stato poi emesso il D.M. 10 marzo 2014, numero 55 , che sostituito integralmente, per gli esercenti la professione forense, sia la parte generale che quella che era loro specificamente dedicata artt. 2 - 14 del D.M. 20 luglio 2012, numero 140 . La novella, pur avendo lasciato immutato il criterio di liquidazione, per le quattro fasi processuali distinte già individuate, secondo una ripartizione valida per tutti gli organi giurisdizionali davanti ai quali venga svolta l'attività, e onnicomprensive, ha però nella sostanza confermato la possibilità di deroga ai valori minimi e massimi, quali scaturenti dalle percentuali di aumento e diminuzione massimi che il giudice può apportare ai valori medi, essendo stato valorizzato l'utilizzo dell'inciso di regola per indicare l'entità dell'aumento o della diminuzione, in quanto volto a sottendere come tali indicazioni non sono vincolanti per il giudice che può quindi anche discostarsi da esse nella misura che ritenga adeguata al caso specifico, purché ne dia conto in motivazione. A conforto di tale conclusione si pone anche la relazione illustrativa al D.M. numero 55 del 2014 che chiarisce tale aspetto laddove, nella parte dedicata ad illustrare la proposta del CNF, par. b , affermando che il predetto inciso, così come l'avverbio orientativamente , erano stati introdotti al fine di sottolineare la non vincolatività dei parametri, in linea di continuità con quanto disposto dal D.M. numero 140 del 2012, art. 1, comma 7. La successiva giurisprudenza di legittimità ha avallato tale lettura della norma, essendo pervenuta reiteratamente ad affermare che, nella vigenza delle previsioni di cui al D.M. numero 55 del 2014, l'esercizio del potere discrezionale del giudice, contenuto tra il minimo e il massimo dei parametri previsti, non è soggetto al controllo di legittimità, attenendo pur sempre a parametri indicati tabellarmente, mentre la motivazione è doverosa allorquando il giudice decida di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi da riconoscere, essendo in tal caso necessario che siano controllabili le ragioni che giustificano lo scostamento e la misura di esso Cass. numero 14198 del 05/05/2022 Cass. numero 19989 del 13/07/2021 Cass. numero 89 del 07/01/2021 , Cass. numero 2386 del 31/01/2017 Cass. numero 11601 del 14/05/2018 . Resta però in ogni caso precluso al giudice di poter liquidare, al netto degli esborsi, somme praticamente simboliche, non consone al decoro della professione cfr. ex plurimis Cass. civ., 31 gennaio 2017, numero 2386 Cass. civ., 31 luglio 2018, numero 20183 contra, Cass. civ., 17 gennaio 2018, numero 1018 e Cass. civ., 5 novembre 2018, numero 28267 . Il quadro normativo ha poi subito un'ulteriore variazione a seguito dell'emanazione del D.M. numero 37 del 2018, entrato in vigore il 27 aprile 2018, che ha modificato solo alcune delle previsioni del D.M. numero 55 del 2014. Ai fini che rilevano la modifica ha integrato i parametri per la determinazione dei compensi, sia per l'attività giudiziale che per quella stragiudiziale rispettivamente artt. 4 e 19 precisando che la riduzione, rispetto al valore medio di liquidazione non può essere superiore alla misura del 50% per la sola fase istruttoria fino al 70% mentre l'aumento può essere anche superiore alla percentuale fissata di regola nell'80%, eliminando per il potere di riduzione l'espressione di regola che aveva appunto giustificato l'interpretazione volta a consentire, sia pure con motivazione, la liquidazione anche al di sotto dei minimi tariffari. La significatività della modifica del testo delle norme richiamate si ricava anche dalle argomentazioni spese dal Consiglio di Stato nel parere reso sullo schema del decreto del 2018 parere numero 02703/2017 del 27/12/2017 , nel quale si sottolinea come tra gli obiettivi del Ministero vi fosse anche quello di superare l'incertezza applicativa ingenerata dalla possibilità, nell'attuale sistema parametrale, che il giudice provveda alla liquidazione del compenso dell'avvocato senza avere come riferimento alcuna soglia numerica minima, rendendo inadeguata la remunerazione della prestazione professionale , limitando quindi . il perimetro di discrezionalità riconosciuto al giudice, individuando delle soglie minime percentuali di riduzione del compenso rispetto al valore parametrico di base al di sotto delle quali non è possibile andare . Nel parere, inoltre, si rimarcava come la modifica proposta non si palesasse in contrasto neanche con la normativa Europea in materia anche alla luce delle argomentazioni contenute nella sentenza numero 427 del 23 novembre 2017 della Corte di Giustizia dell'Unione Europea . Nella specie, si segnalava che, rispetto alla vicenda vagliata dal giudice Eurounitario, il provvedimento che fissa i parametri, oltre che essere adottato non da un'organizzazione di rappresentanza della categoria forense ma dal Ministro della giustizia, rispondeva anche all'esigenza di perseguire precisi criteri d'interesse pubblico stabiliti dalla legge quali la trasparenza e l'unitarietà nella determinazione dei compensi professionali. La necessità di interpretare le novellate previsioni per effetto del D.M. numero 37 del 2018 come intese a ribadire l'inderogabilità da parte del giudice, chiamato a liquidare i compensi a carico del soccombente ovvero in assenza di preventivo accordo tra le parti, dei minimi fissati dal D.M. numero 55 del 2014, rinviene poi un argomento di carattere sistematico nella pressoché coeva introduzione della disciplina in tema di equo compenso per le attività professionali svolte in favore di imprese bancarie e assicurative, nonché di imprese non rientranti nelle categorie delle microimprese o delle piccole o medie imprese, previsto dall'art. 13-bis, comma 1, della legge forense, come inserito dal D.L. 16 ottobre 2017, numero 148, art. 19-quaterdecies , comma 1, recante Disposizioni urgenti in materia finanziaria e per esigenze indifferibili , convertito con modificazioni dalla L. 4 dicembre 2017, numero 172 . In particolare, il secondo comma dispone che si considera equo il compenso determinato nelle convenzioni di cui al comma 1 quando risulta proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto e alle caratteristiche della prestazione legale, e conforme ai parametri previsti dal regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia adottato ai sensi dell'articolo 13, comma 6 , aggiungendo al comma 4 che si considerano vessatorie le clausole contenute nelle convenzioni di cui al comma 1 che determinano, anche in ragione della non equità del compenso pattuito, un significativo squilibrio contrattuale a carico dell'avvocato . Infine, il comma 10 dispone che Il giudice, accertate la non equità del compenso e la vessatorietà di una clausola a norma dei commi 4, 5 e 6 del presente articolo, dichiara la nullità della clausola e determina il compenso dell'avvocato tenendo conto dei parametri previsti dal regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia adottato ai sensi dell'art. 13, comma 6 . Emerge quindi la evidente volontà del legislatore di assimilare i parametri minimi fissati dall'apposito decreto alla misura dell'equo compenso, trattandosi di esigenza che trova un suo fondamento costituzionale nell'art. 35, e che si giustifica al fine di impedire la conclusione di accordi volti a mortificare la professionalità dell'esercente la professione forense, con la fissazione di compensi meramente simbolici e non consoni al decoro della professione. La misura risulta poi approntata in vista non solo della tutela delle esigenze del professionista, ma anche, di riflesso, delle esigenze dell'utente delle prestazioni stesse, in quanto solo la previsione di un compenso non irrisorio o mortificante risulta in grado di assicurare il mantenimento di standard di professionalità e diligenza essenziali in vista della tutela anche del diritto di difesa, ove, come nella maggioranza dei casi, il ricorso alle prestazioni del professionista sia funzionale alla difesa in giudizio. Non viene quindi in rilievo solo l'interesse privato del professionista a percepire un compenso equo, ma anche un interesse generale pubblico di tutela dell'indipendenza e dell'autonomia del professionista, atto a garantire la qualità e il livello della prestazione offerta nonché la buona e corretta amministrazione della giustizia, a loro volta indispensabili per assicurare il pieno esplicarsi del diritto di difesa, tanto più meritevole di tutela in quanto sancito a livello costituzionale art. 24 Cost. . L'assimilazione tra i minimi tariffari e l'equo compenso, perlomeno nei casi rientranti nella previsione di cui al citato art. 13 bis, trova poi supporto nel rilievo per cui la versione originaria dell'art. 13-bis, comma 2, imponesse, fra gli altri criteri, affinché il compenso risultasse equo, di tenere conto dei parametri previsti dal decreto ministeriale, così che è stato sottolineato come l'attuale formulazione, risultante dalla modifica apportata dalla L. numero 205 del 2017 , secondo cui il compenso deve essere conforme ai parametri, corrisponde ad un ampliamento della tutela degli avvocati, in quanto determina una più stringente corrispondenza fra le convenzioni contrattuali ed i parametri legali. La conclusione per l'inderogabilità dei minimi tariffari in sede di liquidazione giudiziale, ed in assenza di diversa convenzione non appare in alcun modo attinta dalle modifiche apportate al D.M. numero 55 del 2014 del recente D.M. numero 147 del 2022 , che, come si evince anche dal parere reso dal Consiglio di Stato sul relativo schema affare numero 00183/2022, reso all'esito dell'adunanza del 17 febbraio 2022 , ha previsto la soppressione, in tutti i commi in cui ricorrono, delle parole di regola , e ciò nel dichiarato intento cfr. relazione illustrativa del Ministero della Giustizia di ridurre il margine di discrezionalità dell'autorità giudiziaria nella liquidazione dei compensi, rendere più omogena l'applicazione dei parametri e garantire maggiore coesione interna alla categoria degli esercenti la professione forense. Deve poi recisamente negarsi ogni dubbio circa la compatibilità della soluzione in punto di inderogabilità dei minimi tariffari con la normativa comunitaria. Giova in tal senso ricordare come l'analogo dubbio postosi in relazione alla disciplina previgente la riforma del 2006 è stato ritenuto insussistente dalla giurisprudenza della CGUE, che con la sentenza del 19 febbraio 2002 C-35/99 cd. caso Arduino , adito dal pretore di Pinerolo in merito alla paventata violazione dell'art. 85 trattato CE da parte della normativa italiana in materia di tariffe forensi, in quanto adottate da un ente qualificabile come associazione di imprese il Consiglio nazionale forense , ha escluso la ricorrenza di intese restrittive della libertà di concorrenza. La risposta dei giudici di Lussemburgo è però stata nel senso della piena compatibilità dei sistemi tariffari con il diritto comunitario della concorrenza, e ciò in quanto gli artt. 5 e 85 del Trattato CE divenuti artt. 10 CE e 81 CE non ostano all'adozione da parte di uno Stato membro di una misura legislativa o regolamentare che approvi, sulla base di un progetto stabilito da un ordine professionale forense, una tariffa che fissa dei minimi e dei massimi per gli onorari dei membri dell'ordine, qualora tale misura statale sia adottata. Pur essendosi posto in rilevo che l'adozione di tariffe a livello nazionale può incidere sulla concorrenza e che, sebbene l'allora art. 85 del Trattato CE ora art. 101 TFUE riguardasse solo la condotta delle imprese e non le disposizioni legislative o regolamentari, ciò non toglieva che tale disposizione, in combinato disposto con l'art. 5 del Trattato ora art. 5 TUE , obbligasse gli Stati membri a non adottare o mantenere in vigore provvedimenti, anche di natura legislativa o regolamentare, idonei ad eliminare l'effetto utile delle regole di concorrenza applicabili alle imprese, tuttavia la Corte ha specificato che l'elaborazione di un progetto di tariffa per le prestazioni professionali non priva automaticamente la tariffa del suo carattere di normativa statale se, come nel caso italiano, lo Stato membro non rinunci ad esercitare il suo potere di decisione in ultima istanza o a controllare l'applicazione della tariffa stessa punto 40 , posto che al CNF era riservato soltanto il ruolo di proporre un progetto di tariffe, le quali venivano poi emanate dal ministero della Giustizia, sentito il parere del CIP e previa consultazione obbligatoria del Consiglio di Stato secondo quindi un procedimento di formazione del tutto analogo a quello attuale . Sebbene nella sentenza si qualifichi il CNF come associazione di imprese, la Corte ha poi evidenziato che, in forza della lettura combinata dell' art. 101 TFUE con il principio di leale cooperazione di cui all'art. 4, par. 3, TFUE , gli Stati membri devono astenersi dall'imporre o dall'agevolare la conclusione di accordi in contrasto con l'art. 101, astenersi dal rafforzare gli effetti di siffatti accordi, ed astenersi dal privare la normativa nazionale rilevante del suo carattere pubblico, delegando ad operatori privati la responsabilità di adottare decisioni d'intervento in materia economica. Nella vicenda è stato però ritenuto che lo Stato italiano non avesse rinunciato ad esercitare un controllo decisionale sull'approvazione ed applicazione della tariffa, il escludeva che vi fosse una violazione del diritto UE rilevante. L'arresto del giudice di Lussemburgo è stato poi favorevolmente recepito dalla giurisprudenza nazionale, in quanto a far data da Cass. numero 7094 del 28 marzo 2006 è stato ribadito che, in tema di tariffe professionali degli avvocati, è valida la disposizione statale che fissa il principio della normale inderogabilità dei minimi degli onorari conf. Cass. numero 15666/2007 Cass. numero 27090 del 15/12/2011 Cass. numero 15666 del 13/07/2007 , che ha esteso la soluzione anche alla inderogabilità dei minimi delle tariffe professionali dei dottori commercialisti Cass. numero 15963/2011 , quanto alle tariffe notarili . La soluzione del 2002 ha poi ricevuto continuità con la sentenza della Corte di Giustizia del 5 dicembre 2006 cd. caso Cipolla e altri nelle cause riunite C-94/04 e C-202/04, che ha escluso anche la sussistenza di un profilo di incompatibilità dell'ordinamento della professione, avvalendosi delle medesime argomentazioni formulate nel suo precedente. Il tema della compatibilità delle tariffe professionali legali connotate da inderogabilità con i principi della legislazione comunitaria è stato successivamente oggetto della sentenza della Corte di Giustizia del 29 marzo 2011 nella causa C565/08, avente ad oggetto il ricorso per inadempimento, che ha però escluso che vi fosse la prova che la previsione di tariffe massime per gli avvocati, anche dopo la legge Bersani, violasse gli artt. 43 e 49 del Trattato. Un altro intervento del giudice di Lussemburgo è stato quello dell'8 dicembre 2016 nelle cause riunite C-532/15 e C538/15, nel quale, pronunciando su rinvio pregiudiziale della Corte distrettuale di Saragoza, ha stabilito la conformità al diritto UE della determinazione di tariffe fissate per legge per i servizi prestati da procuratori legali senza possibilità di negoziazione tra le parti, stabilendo infine che le tariffe fisse non vanno ad inficiare la libera concorrenza. In particolare, il giudice remittente aveva posto i seguenti quesiti 1 Se l'esistenza di una normativa dettata dallo Stato, che prevede il controllo di quest'ultimo nella fissazione dei diritti dei procuratori legali, precisandone per via regolamentare l'importo esatto e obbligatorio e attribuendo agli organi giurisdizionali, specialmente in caso di condanna alle spese, la competenza a controllare in ogni singolo caso la fissazione di tali diritti, benché siffatto controllo sia limitato a verificare la rigorosa applicazione della tariffa, senza che sia possibile, in casi eccezionali e con decisione motivata, derogare ai limiti stabiliti dalla normativa tariffaria, sia conforme agli articoli 4, paragrafo 3, TUE e 101 TFUE . 2 Se la delimitazione delle nozioni di motivi imperativi d'interesse generale , proporzionalità e necessità di cui agli articoli 4 e 15 della direttiva 2006/123, operata dalla Corte di giustizia dell'Unione Europea, consenta ai giudici nazionali - nei casi in cui la fissazione della tariffa dei servizi sia prevista da una normativa dello Stato e in cui sussista una dichiarazione tacita per assenza di disposizioni nella normativa di trasposizione sull'esistenza di motivi imperativi di interesse generale, benché un confronto con la giurisprudenza comunitaria non consenta di affermarlo - di ritenere che in un caso particolare sussista una limitazione non giustificata dall'interesse generale e, pertanto, di disapplicare o adeguare la normativa che disciplina i compensi dei procuratori legali. 3 Se l'applicazione di una normativa avente tali caratteristiche possa contrastare con il diritto a un equo processo come interpretato dalla Corte di giustizia . Anche in tale caso la risposta data al primo quesito essendosi la Corte ritenuta incompetente sugli altri due è stata però nel senso della compatibilità della normativa nazionale con il diritto dell'Unione, e ciò proprio facendo leva sull'intervento dello Stato nell'adozione della tariffa, come appunto ribadito nei propri precedenti. Un altro rilevante tassello del mosaico giurisprudenziale si rinviene nella sentenza della Corte giustizia UE sez. I, 23/11/2017, numero 427 , che ha affermato che l' articolo 101, paragrafo 1, TFUE , in combinato disposto con l' articolo 4, paragrafo 3, TUE , dev'essere interpretato nel senso che una normativa nazionale che, da un lato, non consenta all'avvocato e al proprio cliente di pattuire un onorario d'importo inferiore al minimo stabilito da un regolamento adottato da un'organizzazione di categoria dell'ordine forense, a pena di procedimento disciplinare a carico dell'avvocato medesimo, e, dall'altro, non autorizzi il giudice a disporre la rifusione degli onorari d'importo inferiore a quello minimo, è idonea a restringere il gioco della concorrenza nel mercato interno ai sensi dell' articolo 101, paragrafo 1, TFUE , ma che spetta comunque al giudice del rinvio verificare se tale normativa, alla luce delle sue concrete modalità applicative, risponda effettivamente ad obiettivi legittimi e se le restrizioni così stabilite siano limitate a quanto necessario per garantire l'attuazione di tali legittimi obiettivi. Inoltre, è stato altresì affermato che è contrario alle regole Ue in materia di libera concorrenza un sistema nazionale che attribuisce a un'organizzazione di categoria di professionisti, senza alcun intervento dell'autorità pubblica, il potere di stabilire le tariffe minime inderogabili, ma che spetta ai giudici nazionali verificare se un simile sistema possa essere giustificato dal perseguimento di un obiettivo legittimo. La rimessione alla Corte di Giustizia era stata occasionata dalla normativa bulgara, nella quale le tariffe, senza un intervento ovvero un controllo dell'autorità statale se non quello di conformità dei regolamenti adottati dal Consiglio degli avvocati con la Costituzione e la legge bulgare , erano direttamente fissate da parte del Consiglio superiore dell'ordine forense, con la previsione degli importi minimi delle parcelle degli avvocati. La sentenza dopo aver precisato che il Consiglio superiore dell'ordine forense doveva essere qualificato come associazione di imprese, e dopo aver ribadito la necessità di dover attivare il controllo sul rispetto del divieto di cui all' art. 101, par. 1, TFUE , pur reputando che la determinazione degli importi minimi degli onorari d'avvocato, resi obbligatori da una normativa nazionale, come quella oggetto di esame, equivaleva alla determinazione orizzontale di tariffe minime imposte, risultando pertanto, idonea a produrre una compressione della concorrenza nel mercato interno, ha però rimesso al giudice nazionale la verifica della effettiva compatibilità della disciplina interna con il diritto dell'UE. A tal fine è stato evidenziato come l'idoneità potenziale non è sufficiente per supporre una violazione conclamata del diritto della concorrenza, occorrendo tenere conto anche del principio di ragionevolezza, tenuto conto del contesto globale nel quale la decisione della associazione di imprese è stata adottata o è chiamata a produrre i suoi effetti, oltre che gli obiettivi che essa persegue. Inoltre, è stato sottolineato come, tra le verifiche demandate al giudice del rinvio, vi fosse anche quella, in ossequio al principio di proporzionalità, circa il fatto che gli effetti prodotti sul gioco della concorrenza non eccedano quanto necessario per il perseguimento degli obiettivi meritori di tutela. Traendo spunto dalle considerazioni da ultimo richiamate, deve perciò escludersi che la normativa italiana, quale derivante dalle modifiche apportate dal D.M. numero 37 del 2018 al D.M. numero 55 del 2014, sia suscettibile di porsi in contrasto con la normativa unionale. In primo luogo, in quanto le tariffe, seppure approntate da parte del CNF, sono poi sottoposte al vaglio ed al controllo dell'autorità statale, essendo la loro approvazione oggetto di una trasposizione in decreti ministeriali, e con la formulazione di un preventivo parere da parte del Consiglio di Stato. In secondo luogo, in quanto resta impregiudicata la possibilità per le parti di poter porre in essere degli accordi anche in deroga alle previsioni tariffarie, essendo l'inderogabilità dettata per il caso di assenza di pattuizioni ovvero di liquidazione giudiziale in danno della parte soccombente. In terzo luogo, perché, come sopra evidenziato, avuto riguardo alla assimilazione sul piano quantitativo dei minimi dettati per i parametri forensi con la disciplina dettata per l'equo compenso, la previsione in punto di inderogabilità trascende il mero interesse privato della categoria professionale, ma assolve alla tutela di interesse di carattere pubblico. Infatti, la previsione di una soglia minima per i compensi al di sotto della quale non è dato scendere assicura una garanzia di tipo economico che si traduce nella tutela dell'indipendenza e dell'autonomia del professionista, e che, oltre ad assicurare la qualità ed il livello della prestazione offerta, si riflette anche nella adeguata assicurazione del diritto di difesa, impedendo che possano essere superati gli standard minimi di diligenza e cura degli interessi del cliente, che viceversa tariffe eccessivamente mortificanti potrebbero compromettere in tale direzione si veda anche CGUE 4 luglio 2019 causa C-377/17 , relativa alla normativa della Germania che prevede tariffe minime obbligatorie per gli architetti e gli ingegneri, ritenute in astratto compatibili con l'art. 15 della direttiva 2006/123, in quanto necessarie e proporzionate alla realizzazione di un motivo imperativo di interesse generale, quale può essere quello di assicurare la qualità delle prestazioni di progettazione, a tutela dei consumatori, della sicurezza delle costruzioni, della salvaguardia della cultura architettonica e della costruzione ecologica, ma che nella specie sono state in concreto reputate incompatibili con il diritto unionale in quanto le prestazioni interessate dalle tariffe e precisamente quelle di progettazione, non erano riservate a determinate professioni soggette alla vigilanza obbligatoria in forza della legislazione professionale o da parte degli ordini professionali, circostanza questa che non ricorre per le prestazioni forensi rese in Italia, in quanto riservate in esclusiva agli iscritti agli ordini professionali . Deve pertanto essere affermato il seguente principio di diritto ai fini della liquidazione in sede giudiziale del compenso spettante all'avvocato nel rapporto col proprio cliente, in caso di mancata determinazione consensuale, come ai fini della liquidazione delle spese processuali a carico della parte soccombente, ovvero in caso di liquidazione del compenso del difensore della parte ammessa al beneficio patrocinio a spese dello Stato nella vigenza del D.M. numero 55 del 2014, art. 4, comma 1, e art. 12, comma 1, come modificati dal D.M. numero 37 del 2018, il giudice non può in nessun caso diminuire oltre il 50 per cento i valori medi di cui alle tabelle allegate. Nella specie, il Tribunale, pur avendo individuato il compenso sulla base del valore minimo già quindi interessato da una riduzione del 50% del valore medio e sulla base dello scaglione inferiore, ha poi provveduto ad un'ulteriore decurtazione del 62,5%, come detto non consentita, errando altresì nell'applicare l'ulteriore riduzione dettata per la liquidazione in caso di patrocinio a spese dello Stato, facendo applicazione dell' art. 106 bis del D.P.R. numero 115 del 2002 , norma dettata per il processo penale, e non anche di quella di cui all'art. 130, espressamente prevista per le controversie civili. Il motivo deve quindi essere accolto. Il provvedimento impugnato deve quindi essere cassato in relazione al motivo accolto, con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Grosseto, in persona di diverso magistrato, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. Accoglie il quarto motivo di ricorso, e rigettati i primi tre, cassa il provvedimento impugnato in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio, al Tribunale di Grosseto, in persona di diverso magistrato.