La rilevabilità d’ufficio della nullità di una delibera assembleare decorso il termine triennale

Con l’ordinanza numero 10233 del 18 aprile 2023, la Corte di Cassazione si è pronunciata sulla possibilità per il giudice di rilevare d’ufficio la nullità di una delibera assembleare decorso il termine decadenziale ex articolo 2379 c.c. nonostante in primo grado fosse stata proposta domanda di annullamento.

In particolare, il socio e presidente del consiglio di amministrazione di una s.p.a. ha convenuto in giudizio la stessa società chiedendo l'annullamento della delibera con la quale l'assemblea dei soci ha costituito una commissione, composta da tre amministratori e tre soci, facenti parte questi ultimi di un patto di sindacato, al fine di ricercare l'accordo per l'ingresso di nuovi azionisti da sottoporre all'approvazione degli organi competenti. Il giudice di prime cure ha accolto l'eccezione della convenuta fondata sul difetto di legittimazione dell'attore considerato che il potere di impugnazione afferisce all'organo amministrativo nella sua collegialità, ex articolo 2377 c.c. Peraltro, la delibera non era idonea a ledere alcun diritto del presidente del consiglio di amministrazione poiché la commissione era chiamata soltanto a svolgere una verificare preliminare circa la possibilità di ingresso nel capitale sociale di un nuovo socio, non potendo assumere alcuna decisione vincolante per la società. Inoltre, l'attore non era legittimato ad alcun potere di impugnativa nemmeno in qualità di socio dal momento che non deteneva una partecipazione qualificata ai sensi dell'articolo 2377 c.c. La parte soccombente ha proposto appello deducendo, inter alia, la nullità della delibera nella convinzione che l'assemblea aveva illecitamente attribuito a sé stessa la competenza a deliberare su materie riservate per legge al consiglio di amministrazione, surrogando quest'ultimo con un organo non previsto né dalla legge, né dallo statuto. Il giudice di secondo grado ha ritenuto che la domanda di nullità della delibera impugnata, proposta dall'attore per la prima volta in appello, doveva considerarsi, a norma dell'articolo 345 c.p.c., come nuova e, come tale, inammissibile. Peraltro, anche laddove fosse stato possibile superare tale ostacolo la delibera non poteva comunque essere messa in discussione per decorso del termine triennale di cui all'articolo 2379, comma 1, c.c. La lite è giunta in Cassazione ove il ricorrente lamentava, tra i vari motivi, la violazione e/o la falsa applicazione degli articolo 1421,2364,2379,2380,2380-bis e 2381 c.c., sostenendo che la Corte d'Appello aveva omesso di considerare che la nullità delle delibere assembleari, ove emerga dagli atti ritualmente acquisiti al processo, poteva essere rilevata d'ufficio e pronunciata dal giudice anche in grado d'appello, anche se la parte aveva proposto la domanda di annullamento. Secondo la tesi del ricorrente il rispetto del termine di decadenza triennale previsto dall'articolo 2379 c.c. doveva essere verificato in relazione al momento in cui la domanda di nullità era proposta con l'allegazione delle circostanze di fatto che la fondavano, a prescindere dalla qualificazione dell'azione operatane dalla parte con la richiesta di annullamento. La Suprema Corte ha rigettato tale ricostruzione affermando il seguente principio di diritto «il giudice, se investito dell'azione di nullità di una delibera assembleare, ha sempre il potere e il dovere , in ragione della natura autodeterminata del diritto cui tale domanda accede, di rilevare e di dichiarare in via ufficiosa, e anche in appello, la nullità della stessa per un vizio diverso da quello denunciato se, invece, la domanda ha per oggetto l'esecuzione o l'annullamento della delibera, la rilevabilità d'ufficio della nullità di quest'ultima da parte del giudice nel corso del processo e fino alla precisazione delle conclusioni dev'essere coordinata con il principio della domanda [ ] nell'uno e nell'altro caso, tuttavia, tale potere e dovere di rilevazione non può essere esercitato dal giudice oltre il termine di decadenza, la cui decorrenza è rilevabile d'ufficio e può essere impedita solo dalla formale rilevazione del vizio di nullità ad opera del giudice o della parte, pari a tre anni dall'iscrizione o dal deposito della delibera stessa nel registro delle imprese ovvero dalla sua trascrizione nel libro delle adunanze dell'assemblea».

Presidente Genovese - Relatore Dongiacomo Fatti di causa 1.1. D.V.A., con atto di citazione notificato il 27.29/2/2012, nella dichiarata qualità di socio e di presidente del consiglio di amministrazione, ha convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di Pistoia, la Omissis - Omissis s.p.a. poi Immobiliare 2014 s.p.a. chiedendo - l'annullamento della delibera con la quale, in data 4/2/2012, l'assemblea dei soci della società convenuta, in violazione degli articolo 2380,2380 bis, 2381 e 2384 c.comma e degli articolo 11,16,21,22 e 28 dello statuto e con l'abuso della maggioranza ai suoi danni, aveva dato mandato ad una commissione, composta da tre amministratori e tre soci, facenti parte questi ultimi di un patto di sindacato, di ricercare l'accordo per l'ingresso di nuovi azionisti da sottoporre all'approvazione degli organi competenti - la condanna della società convenuta al risarcimento del pregiudizio non patrimoniale arrecato all'attore. 1.2. La società convenuta ha resistito alla domanda chiedendone il rigetto. 1.3. Il tribunale, con sentenza del 16/6/2015, ha rigettato le domande proposte dall'attore. 1.4. Il tribunale, in particolare, ha ritenuto che a era fondata l'eccezione, sollevata dalla convenuta, di carenza, in capo all'attore, della legittimazione attiva, rilevando, per un verso, che il singolo amministratore non può impugnare la delibera adottata dall'assemblea della società per azioni poiché il relativo potere spetta, a norma dell'articolo 2377 c.c., all'organo amministrativo nella sua collegialità, e, per altro verso, che la delibera non aveva leso in via diretta ed immediata alcun diritto del presidente del consiglio di amministrazione. La commissione, infatti, ha osservato il tribunale, non era stata delegata ad assumere alcuna decisione vincolante per la società ma solo a svolgere un compito di verifica preliminare circa la possibilità di ingresso nel capitale sociale della stessa di un nuovo socio per cui, se la delibera avesse effettivamente leso le prerogative del consiglio di amministrazione avendo delegato i relativi poteri ad un organo illegittimamente costituito, solo il consiglio stesso e non il singolo componente avrebbe potuto proporre la relativa impugnazione b l'attore, inoltre, pur avendo allegato di essere socio della società convenuta con una partecipazione al capitale sociale consistente in 500 azioni, non aveva, tuttavia, dedotto di avere una partecipazione al capitale sociale superiore a quella richiesta dall'articolo 2377 c.comma e di avere, quindi, titolo, quale socio, alla impugnazione della delibera c era, infine, infondato l'assunto dell'attore di aver subito un danno dall'impugnata delibera per non aver potuto esercitare i poteri di presidente del consiglio di amministrazione e per essere stato di fatto esautorato dalla carica - la delibera, infatti, ha osservato il tribunale, non ha revocato il presidente del consiglio di amministrazione dall'incarico né lo ha di fatto esautorato dall'incarico - l'attore, in effetti, ha continuato ad esercitare i poteri connessi alla carica tant'e' che, pur dopo la delibera impugnata, ha convocato il consiglio di amministrazione - la mancata partecipazione alle sedute del consiglio di amministrazione costituisce, per contro, il frutto di una libera scelta dell'attore non dipendente dalla delibera impugnata e ciò induce a ritenere l'insussistenza sia dell'invocato danno patrimoniale da lucro cessante in relazione ai compensi per le riunioni consiliari e assembleari alle quali avrebbe potuto presenziare fino alla scadenza del mandato , sia del dedotto danno non patrimoniale in relazione alla lesione della reputazione e dell'immagine professionale , posto che, in realtà, l'assemblea non aveva emarginato o privato l'attore dei suoi poteri, avendo semplicemente deciso, per la soluzione della situazione di crisi della Omissis Spa, di perseguire una strada quella indicata nella impugnata delibera diversa da quella sostenuta dall'attore e non accolta dall'assemblea . 1.5. Il tribunale, infine, ha condannato l'attore al pagamento delle spese di lite, in applicazione del D.M. numero 55 del 2014, con incremento del 50% dei valori medi, in ragione della importanza della causa e del pregio dell'attività defensionale svolta , ed al risarcimento del danno previsto dall'articolo 96 c.p.c., sul rilievo che la domanda proposta dall'attore era connotata da colpa grave poiché si basava su una interpretazione palesemente errata della delibera impugnata e trascurava il profilo della carenza di legittimazione del singolo amministratore ad impugnare la delibera , senza, peraltro, prestare attenzione alla motivazione del decreto di rigetto dell'istanza di sospensiva ex articolo 2378 c.comma nella parte in cui il presidente del tribunale aveva sottolineato l'assenza del fumus di un esautoramento del Consiglio di amministrazione o del Presidente di esso e aveva fornito una corretta interpretazione della delibera impugnata . 2.1. D.V.A., con atto di citazione notificato il 15/1/2016, ha proposto appello avverso la sentenza del tribunale deducendo, tra l'altro, che - l'assemblea, con la delibera impugnata, aveva illecitamente attribuito a sé stessa la competenza a deliberare su materie riservate per legge al consiglio di amministrazione, surrogando quest'ultimo con un organo non previsto né dalla legge, né dallo statuto - nel sistema normativo previsto dagli articolo 2380 bis e 2364 numero 5 c.c., l'eventuale pronuncia dell'assemblea su materia estranea alle sue competenze legali, in quanto riservata all'organo gestorio, è sanzionata, a norma dell'articolo 2379 c.c., con la nullità, avendo la stessa un oggetto giuridicamente impossibile o illecito - tale disposizione non pone preclusioni all'impugnazione delle delibere nulla da parte di chiunque vi abbia interesse, a partire da ciascuno degli amministratori singolarmente considerati. 2.2. La Immobiliare 2014 s.p.a. ha resistito al gravame chiedendone il rigetto, deducendo, in particolare - l'inammissibilità dell'appello per difetto delle condizioni dell'azione e dell'impugnazione a norma dell'articolo 2377, comma 3, c.c., sul rilievo che il D.V. era volontariamente receduto dalla società convenuta con missiva dallo stesso inviata in data 22/12/2014 e pervenuta il 29/12/2014 - l'inammissibilità della domanda di nullità della delibera impugnata in quanto nuova. 2.3. La corte d'appello, con la pronuncia in epigrafe, ha rigettato l'appello ed ha, per l'effetto, confermato integralmente la sentenza appellata. 2.4. La corte, in particolare, ha ritenuto che la domanda di nullità della delibera impugnata, proposta dall'attore per la prima volta in appello, doveva essere considerata, a norma dell'articolo 345 c.p.c., come nuova e, come tale, inammissibile, non potendo, per contro, invocarsi la rilevabilità d'ufficio della nullità sul rilievo che tale principio dev'essere coordinato con quello del rispetto dei limiti della domanda previsto dall'articolo 112 c.p.comma e che, di conseguenza, la pronuncia d'ufficio della nullità può essere in concreto giustificata solo nel caso, non ricorrente nella specie, in cui la pretesa dell'attore presupponga la validità e l'efficacia dell'atto che invece il giudice ritiene nullo e può dichiarare d'ufficio come tale anche in appello a norma dell'articolo 345 c.p.comma trattandosi di eccezione in senso lato. 2.5. In ogni caso, ha aggiunto la corte, anche a voler opinare diversamente, non si vede come potrebbe essere superato il limite triennale, pacificamente trascorso al momento della proposizione dell'appello, espressamente dettato, per il rilievo officioso della nullità dall'articolo 2379, comma 2, c.c. tutto ciò a prescindere, poi, dal merito dell'asserita nullità di cui trattasi e dalla ricorrenza dell'effettiva legittimazione dell'attuale appellante a richiedere la pronuncia di tale, asserita nullità . 2.6. La corte, quindi, ha esaminato le censure relative alla ritenuta carenza di legittimazione attiva dell'attore a proporre la domanda di annullamento della delibera impugnata e le ha ritenute infondate, sul rilievo che - i fatti esposti dall'attore potevano sorreggere l'ipotesi di una lesione della posizione e del ruolo del consiglio di amministrazione ma non, direttamente, del presidente di quest'ultimo, la posizione e il ruolo del quale potevano, in astratto, ritenersi lesi solo quale effetto della ipotetica lesione riguardante l'intero organo collegiale per cui la legittimazione all'azione di annullamento sarebbe spettata, in ipotesi, al consiglio di amministrazione, quale organo collegiale, e non all'attore singolarmente - il tribunale aveva correttamente rilevato d'ufficio il difetto di legittimazione dell'attore quale socio non avendo lo stesso dimostrato o dedotto di avere una partecipazione superiore a quella richiesta dall'articolo 2377 c.comma posto che, come risulta dall'articolo 2377, comma 2, c.c., il giudice deve accertare d'ufficio il possesso da parte del socio o dei soci opponenti del numero di azioni previste dall'articolo 2377, comma 3, c.c 2.7. La corte, peraltro, al di là del difetto di legittimazione attiva dell'attore, ha ritenuto ad abundantiam l'infondatezza , nel merito, dell'appello , sul rilievo che - l'argomento relativo a un possibile aumento di capitale sociale riservato a nuovi soci , che era in discussione quando l'assemblea emise la delibera impugnata , non è relativo alla gestione dell'impresa, trattandosi, al contrario, di materia tipica e propria dell'assemblea e non implica una lesione delle prerogative dell'organo amministrativo, nemmeno se riguardato nel suo complesso - l'assemblea, del resto, non aveva creato un nuovo e atipico organo sociale, conferendo allo stesso il potere di concludere accordi con soggetti terzi, emergendo dal testo della delibera impugnata che, al contrario, nessun potere di concludere accordi con terzi era stato conferito alla istituenda commissione, posto che gli accordi previsti dalla delibera avrebbero potuto essere, poi, conclusi solo dagli organi normativamente previsti quali titolari dello jus disponendi - la delibera impugnata non aveva determinato alcuna revoca implicita dell'attore dalla carica di presidente del consiglio di amministrazione , che, di fatto, ha continuato a presiedere, per cui anche la domanda di risarcimento del danno conseguente a tale asserita revoca implicita doveva ritenersi era infondata. 2.8. La corte, infine, ha rilevato che - l'atto d'appello non conteneva alcuna conclusione in ordine ai capi della sentenza impugnata riguardanti le spese di lite e la condanna a norma dell'articolo 96 c.p.c., avendo l'appellante precisato le conclusioni all'udienza del 13/2/2018 con espresso richiamo a quelle dell'appello - in ogni caso, ove le doglianze espresse dovessero essere qualificate in contrasto con quanto emerge dalle conclusioni dell'appellante come veri e propri motivi d'appello diretti a ottenere la correlativa riforma della sentenza impugnata , le stesse sarebbero comunque infondate a fronte sia della manifesta infondatezza della domanda proposta, se non altro per le ragioni subito messe in luce dal presidente del tribunale nell'iniziale provvedimento di rigetto dell'istanza cautelare , sia della complessità della disciplina giuridica applicabile, della quale risultava comunque necessaria una ricostruzione che, in concreto, si presentava assai più impregnativa e faticosa rispetto a quanto comporta, in media, lo studio e la trattazione di cause di uguale valore , per cui del tutto giustificata era la decisione del giudice di prime cure di liquidare le spese a carico del soccombente con l'incremento del 50% rispetto ai valori medi e per la colpa grave o, quanto meno, per il difetto di normale prudenza consistito nella proposizione e nella prosecuzione di una causa che sin dall'inizio appariva priva di fumus boni iuris già, solo, in riferimento alla carenza di legittimazione del singolo amministratore di condannare l'attore al risarcimento dei danni per responsabilità aggravata ai sensi dell'articolo 96 c.p.c 3.1. D.V.A., con ricorso notificato il 17/12/2018, ha chiesto, per sedici motivi, la cassazione della sentenza dichiarando di aver ricevuto la notifica, come da relazione in atti, il 18/10/2018. 3.2. La Immobiliare 2014 s.p.a. ha resistito con controricorso notificato il 26/1/2019 con il quale ha proposto, per due motivi, ricorso incidentale condizionato, cui il ricorrente ha resistito con controricorso. 3.3. Le parti hanno depositato memorie. Ragioni della decisione 4.1. Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e/o la falsa applicazione degli articolo 1421,2364,2379,2380,2380-bis e 2381 c.c., in relazione all'articolo 360 c.p.c., numero 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte distrettuale ha ritenuto che, a fronte di una domanda di annullamento proposta in primo grado, il giudice d'appello può rilevare d'ufficio la nullità della deliberazione assemblea impugnata solo nel caso, non ricorrente nella specie, in cui la pretesa dell'attore presupponga la validità e l'efficacia dell'atto nullo e che, in ogni caso, risultava trascorso, al momento della proposizione dell'appello, il limite triennale previsto dall'articolo 2379, comma 2, c.comma per il rilievo d'ufficio della nullità della delibera impugnata. Così facendo, tuttavia, ha osservato il ricorrente, la corte d'appello ha omesso di considerare che - la nullità delle delibere assembleari, ove emerga dagli atti ritualmente acquisiti al processo, può essere rilevata d'ufficio e pronunciata dal giudice anche in grado d'appello, anche se la parte aveva proposto la domanda di annullamento - il rispetto del termine di decadenza triennale previsto dall'articolo 2379 c.comma dev'essere verificato in relazione al momento in cui la domanda di nullità è proposta con l'allegazione delle circostanze di fatto che la fondano, a prescindere dalla qualificazione dell'azione operatane dalla parte con la richiesta di annullamento della delibera impugnata. 4.2. Con il secondo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione dell'articolo 112 c.p.c., in relazione all'articolo 360 c.p.c., numero 4, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d'appello ha ritenuto che la domanda di nullità proposta dall'appellante era nuova e come tale inammissibile senza, tuttavia, considerare che la rilevabilità d'ufficio della nullità che affliggeva la deliberazione assembleare impugnata legittimava l'appellante a domandarne la declaratoria per la prima volta in appello. 4.3. Con il terzo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione degli articolo 101,112 e 345 c.p.c., in comb.disp. con gli articolo 1421,2364,2379,2380,2380-bis e 2381 c.c., in relazione all'articolo 360 c.p.c., numero 4, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d'appello ha ritenuto che la domanda di nullità della delibera impugnata, proposta dall'attore per la prima volta in appello, doveva essere considerata, a norma dell'articolo 345 c.p.c., come nuova e, come tale, inammissibile, senza, tuttavia, considerare che, ove mai fosse così, la domanda di nullità inammissibile perché tardiva dev'essere convertita a norma dell'articolo 345 c.p.comma in eccezione rilevabile d'ufficio. 4.4. I motivi, da trattare congiuntamente, sono infondati. 4.5. In effetti, come questa Corte ha già avuto modo di affermare, il principio per cui il giudice innanzi al quale sia stata proposta domanda di nullità contrattuale deve rilevare in via ufficiosa, ove emergente dagli atti, l'esistenza di un diverso vizio di nullità, è suscettibile di applicazione estensiva anche nel sottosistema societario, e, precisamente, nell'ambito delle azioni di impugnazione delle deliberazioni assembleari, benché non assimilabili ai contratti, trattandosi, tanto nell'uno, quanto nell'altro caso, di domanda pertinente ad un diritto autodeterminato cfr., sul primo punto, Cass. SU numero 26242 del 2014, in motiv., punti 6.13.3. e ss. e, in particolare, 6.13.6., lì dove di evidenzia che il giudizio di nullità/non nullità del negozio sarà, così, definit iv o e a tutto campo indipendentemente da quali e quanti titoli di nullità siano stati fatti valere dall'attore , e, sul secondo punto, Cass. numero 8795 del 2016 , e cioè individuata a prescindere dallo specifico vizio rectius, titolo dedotto in giudizio come, in effetti, accade per la proprietà e gli altri diritti reali di godimento, individuati, appunto, sulla base della sola indicazione del relativo contenuto, con la conseguenza che, per un verso, la causa petendi delle relative azioni giudiziarie si identifica con i diritti stessi e non con il relativo titolo contratto, successione ereditaria, usucapione, ecc. che ne costituisce la fonte, la cui eventuale deduzione non ha, per l'effetto, alcuna funzione di specificazione della domanda, e, per altro verso, non viola il divieto dello ius novorum in appello la deduzione da parte dell'attore ovvero il rilievo ex officio iudicis di un fatto costitutivo del tutto diverso da quello prospettato in primo grado a sostegno della domanda introduttiva del giudizio Cass. numero 23565 del 2019 . 4.6. Il giudice, pertanto, ove sia stato investito da un'azione di nullità di una delibera assunta dall'assemblea di una società per azioni articolo 2379 c.c. , ha, come previsto dall'articolo 2379, comma 2, c.c., il potere e il dovere di rilevare, in via ufficiosa, la nullità della delibera impugnata, anche in difetto di un'espressa deduzione di parte, per vizi di nullità diversi da quelli denunciati nella domanda introduttiva del giudizio, purché desumibili dagli atti ritualmente acquisiti al processo e come stabilito dagli articolo 183, comma 4, e 101, comma 2, c.p.c. previa provocazione del contraddittorio tra le parti sulla diversa causa di nullità rilevata dal giudice, e di dichiarare anche in appello Cass. numero 20170 del 2022, che ha confermato la decisione impugnata nella parte in cui ha esaminato nel merito la domanda di accertamento della nullità di un contratto quadro di intermediazione mobiliare, contenuta nell'atto di appello e fondata su un motivo di nullità diverso da quello dedotto in primo grado, escludendone l'inammissibilità , in dispositivo, la nullità della delibera stessa. 4.7. Viceversa, nel caso in cui il giudice sia stato investito non da una domanda volta ad ottenere la declaratoria di nullità di un contratto o di una delibera ma da una domanda avente ad oggetto un petitum, come l'esecuzione o l'annullamento del contratto o della delibera che ne presuppone, al contrario, la non-nullità e che può essere, come tale, oggetto di pronuncia da parte del giudice solo se non sussistono ragioni di nullità dell'atto impugnato , la rilevabilità d'ufficio della nullità da parte del giudice articolo 1421 e 2378, comma 2, c.c. nel corso del processo e fino alla precisazione delle conclusioni Cass. SU numero 26242 del 2014, in motiv. dev'essere coordinata con il principio della domanda articolo 99 e 112 c.p.c. , per cui, se da un lato il giudice salvo che sulla validità dell'atto si sia formato il giudicato può sempre rilevare la nullità del contratto o della delibera, anche in appello, trattandosi di eccezione in senso lato articolo 345, comma 2, c.p.c. , in funzione del rigetto della domanda Cass. SU numero 7294 del 2017 , non può, dall'altra parte, dichiarare in dispositivo la nullità del contratto o della delibera in mancanza di una domanda ritualmente proposta, anche nel corso del giudizio a seguito della rilevazione del giudice, dalla parte interessata Cass. SU numero 26242 del 2014, secondo cui il giudice dichiara la nullità del contratto solo il motivazione ovvero anche in dispositivo a seconda, appunto, che la parte interessata, a dispetto del rilievo della nullità da parte del giudice, non abbia proposto domanda di nullità dello stesso, ovvero, a seguito del rilievo officioso del giudice, abbia ritualmente chiesto di dichiarare la nullità del contratto esclusa, in ogni caso, per il divieto previsto dall'articolo 345, comma 1, c.p.c., la proponibilità di tale domanda per la prima volta in appello Cass. SU numero 26243 del 2014 Cass. numero 5249 del 2016 Cass. numero 22678 del 2017, in materia di impugnazione di delibere condominiali Cass. numero 22457 del 2019 Cass. numero 28377 del 2022 . 4.8. Ciò comporta che, se una delibera è stata impugnata con la domanda di annullamento che ne presuppone, evidentemente, la non-nullità , la domanda di nullità della stessa delibera, formulata per la prima volta con l'atto d'appello, non può essere esaminata, potendo solo convertirsi nella corrispondente eccezione, né, in tale ipotesi, il giudice d'appello può dichiarare d'ufficio la nullità della delibera traducendosi tale pronuncia nell'inammissibile accoglimento di una domanda nuova Cass. SU numero 26243 del 2014 in senso conforme, Cass. numero 28377 del 2022, in motiv. Cass. numero 5249 del 2016 . 4.9. Nel caso in esame, a fronte della proposizione in primo grado della sola domanda di annullamento della delibera impugnata, l'attore non poteva, quindi, proporre per la prima volta in appello la domanda di nullità di tale delibera, nello stesso modo in cui il giudice d'appello non poteva dichiarare la nullità di tale delibera in mancanza di una domanda di nullità ritualmente e tempestivamente proposta. 4.10. Resta, d'altra parte, il fatto rilevante con riguardo tanto all'una quanto all'altra ipotesi che - l'articolo 2379, comma 1, c.comma prevede che nei casi di mancata convocazione dell'assemblea, di mancanza del verbale e di impossibilità o illiceità dell'oggetto la deliberazione può essere impugnata da chiunque vi abbia interesse entro tre anni dalla sua iscrizione o deposito nel registro delle imprese, se la deliberazione vi e` soggetta, o dalla trascrizione nel libro delle adunanze dell'assemblea, se la deliberazione non e` soggetta ne´ a iscrizione ne´ a deposito - l'articolo 2379, comma 2, c.comma estende il medesimo termine di decadenza la cui decorrenza e', pertanto, rilevabile, a norma dell'articolo 2969 c.c., d'ufficio, come ha fatto la corte d'appello, e può essere, per la stessa ragione, impedita, a norma dell'articolo 2966 c.c., solo dalla formale rilevazione del vizio di nullità ad opera del giudice o della parte, a nulla, per contro, rilevando la mera deduzione in giudizio dei fatti che potrebbero costituirne il fondamento anche al rilievo ex officio della nullità, statuendo che nei casi e nei termini previsti dal precedente comma l'invalidità può essere rilevata d'ufficio dal giudice - il termine di decadenza triennale e`, pertanto, previsto non solo in relazione all'impugnazione da parte degli aventi diritto ma anche , onde evitare che chi abbia omesso di azionare la nullità nel periodo assegnato dalla legge possa poi riuscire ad aggirare il precetto normativo sollecitando tardivamente il rilievo ufficioso, in altro giudizio , al rilievo officioso dell'invalidità Cass. numero 11224 del 2021, in motiv., che, in applicazione di tale principio, ha ritenuto che il giudice di merito non potesse rilevare d'ufficio la nullità di una delibera adottata dal consiglio di amministrazione di una società cooperativa, essendo decorso il termine triennale di decadenza , nella specie, tuttavia, incontestatamente omesso né più operabile attesa l'intervenuta scadenza del termine tanto dal tribunale, quanto dalla corte d'appello. 4.11. Vanno, dunque, affermati i seguenti principi - il giudice, se investito dell'azione di nullità di una delibera assembleare, ha sempre il potere e il dovere , in ragione della natura autodeterminata del diritto cui tale domanda accede, di rilevare e di dichiarare in via ufficiosa, e anche in appello, la nullità della stessa per un vizio diverso da quello denunciato - se, invece, la domanda ha per oggetto l'esecuzione o l'annullamento della delibera, la rilevabilità d'ufficio della nullità di quest'ultima da parte del giudice nel corso del processo e fino alla precisazione delle conclusioni dev'essere coordinata con il principio della domanda per cui il giudice, da una parte, può sempre rilevare la nullità della delibera, anche in appello, trattandosi di eccezione in senso lato, in funzione del rigetto della domanda ma, dall'altra parte, non può dichiarare la nullità della delibera impugnata ove manchi una domanda in tal senso ritualmente proposta, anche nel corso del giudizio che faccia seguito della rilevazione del giudice, dalla parte interessata - nell'uno e nell'altro caso, tuttavia, tale potere e dovere di rilevazione non può essere esercitato dal giudice oltre il termine di decadenza, la cui decorrenza è rilevabile d'ufficio e può essere impedita solo dalla formale rilevazione del vizio di nullità ad opera del giudice o della parte, pari a tre anni dall'iscrizione o dal deposito della delibera stessa nel registro delle imprese ovvero dalla sua trascrizione nel libro delle adunanze dell'assemblea. 5. Il rigetto dei primi tre motivi comporta l'assorbimento del quarto, del quinto, del sesto, del settimo, dell'ottavo e del nono motivo in quanto tutti dichiaratamente volti, come si evince dal decimo i motivi che precedono assumono carattere prevalente ed assorbente, considera la nullità della deliberazione , a sostenere l'invocata nullità della delibera. 6.1. Con il decimo e l'undicesimo motivo articolati, come il dodicesimo e il tredicesimo, per fondare gli ulteriori profili d'illegittimità che la sentenza presenta nella subordinata ipotesi che la deliberazione invalida fosse ritenuta solo annullabile , il ricorrente, lamentando, rispettivamente, la violazione e/o la falsa applicazione degli articolo 2377 e 2378 c.c., in relazione all'articolo 360 c.p.c., numero 3, e la violazione dell'articolo 112 c.p.c., in relazione all'articolo 360 c.p.c., numero 4, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d'appello ha ritenuto che il tribunale aveva correttamente rilevato d'ufficio il difetto di legittimazione dell'attore quale socio non avendo lo stesso dimostrato o dedotto di avere una partecipazione superiore a quella richiesta dall'articolo 2377 c.c., senza, tuttavia, considerare che tale preclusione, avendo natura sostanziale, non può essere rilevata d'ufficio ma solo su eccezione di parte, che la banca convenuta, tuttavia, non ha sollevato. 6.2. Con il dodicesimo motivo, il ricorrente, lamentando l'omesso esame di un fatto decisione per il giudizio, in relazione all'articolo 360 c.p.c., numero 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d'appello ha ritenuto che il tribunale aveva correttamente rilevato d'ufficio il difetto di legittimazione dell'attore quale socio senza, tuttavia, considerare il fatto che l'attore, avendo prodotto il titolo certificativo del possesso delle azioni, aveva non solo dedotto ma anche dimostrato di avere una partecipazione superiore a quella richiesta dall'articolo 2377 c.c 6.3. Con il tredicesimo motivo, il ricorrente, lamentando la nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell'articolo 75 c.p.c., in relazione all'articolo 360 c.p.c., numero 4, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d'appello ha ritenuto che l'attore fosse privo della legittimazione a proporre la domanda di annullamento della delibera assembleare senza, tuttavia, considerare che l'attore, quale amministratore e come socio della società convenuta, aveva radicato il giudizio per tutelare la propria posizione giuridica soggettiva e che l'effettivo fondamento del diritto fatto valere in giudizio non incide sulla legittimazione ad agire. 6.4. I motivi sono inammissibili. Il ricorrente, in effetti, deducendo di essere stato socio all' epoca dei fatti , non ha negato di aver efficacemente dichiarato nel corso del giudizio come emerge dalla stessa sentenza impugnata e dal docomma 5 a tal fine depositato dalla banca nel giudizio d'appello , e precisamente con atto del 22/12/2014 e ricevuto il 29/12/2014, il suo recesso dalla società convenuta, così perdendo per ragioni diverse dal trasferimento a terzi delle azioni già possedute la titolarità della quota di partecipazione dichiaratamente posseduta al momento dell'introduzione del giudizio e, di conseguenza, a norma dell'articolo 2378, comma 2, c.c., la legittimazione quale socio alla prosecuzione dell'azione di annullamento in precedenza introdotta così come non ha censurato le statuizioni con le quale la sentenza impugnata aveva ritenuto che i fatti esposti dall'attore potevano sorreggere l'ipotesi di una lesione della posizione e del ruolo del consiglio di amministrazione ma non, direttamente, del presidente di quest'ultimo e che, pertanto, la legittimazione all'azione di annullamento sarebbe spettata, in ipotesi, al consiglio di amministrazione, quale organo collegiale, e non all'attore singolarmente , con la conseguenza che la stessa corretta o meno che sia è diventata in parte qua definitiva. 7.1. Con il quattordicesimo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione degli articolo 2043,2056 e 2059 c.c., in relazione all'articolo 360 c.p.c., numero 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d'appello ha ritenuto che l'attore non aveva subito alcun danno dalla delibera impugnata perché non fu revocato dalla carica ma continuò di fatto a presiedere il consiglio di amministrazione senza, tuttavia, considerare che l'attore continuò a presiedere il consiglio perché non fu revocato di diritto ma, in relazione agli accordi con gli investitori interessati dalla ricapitalizzazione della banca, esautorato di fatto dalla carica e che tale deliberazione ha inciso negativamente sulla sua persona, mettendone in cattiva luce l'immagine professionale e la sua capacità e serietà imprenditoriale arrecandogli un danno non patrimoniale suscettibile di risarcimento. 7.2. Il motivo, nella misura in cui lamenta il rigetto della domanda di risarcimento del danno, patrimoniale e non patrimoniale, che lo stesso avrebbe patito in conseguenza della revoca implicita dalla carica di presidente del consiglio di amministrazione che la delibera impugnata avrebbe è determinato, risulta, evidentemente, assorbito. 8.1. Con il quindicesimo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione del D.M. numero 55 del 2014, articolo 4, comma 1, in relazione all'articolo 360 c.p.c., numero 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d'appello ha confermato la statuizione con la quale il tribunale l'aveva condannato al pagamento delle spese legali incrementando i valori medi nella misura del 50%, senza, tuttavia, considerare, innanzitutto, che l'appellante aveva specificamente impugnato il relativo capo della pronuncia di primo grado, concludendo per l'accoglimento delle relative censure, ed, in secondo luogo, che motivazione fornita, e cioè l'impegnativa e difficoltosa attività defensionale svolta dalla banca convenuta, non tiene conto dei parametri previsti dal D.M. numero 55 cit., articolo 4, comma 1, tanto più a fronte dell'affermata manifesta infondatezza dell'iniziativa giudiziale svolta per carenza di legittimazione attiva. 8.2. Il motivo è infondato. Premesso che - in tema di liquidazione delle spese processuali ai sensi del D.M. numero 55 del 2014, l'esercizio del potere discrezionale del giudice, contenuto tra il minimo e il massimo dei parametri previsti, non è soggetto al controllo di legittimità, attenendo pur sempre a parametri indicati tabellarmente - la motivazione e', invece, doverosa allorquando il giudice decida, come ha fatto il tribunale, di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi da riconoscere, essendo in tal caso necessario che siano controllabili le ragioni che giustificano lo scostamento e la misura di esso Cass. numero 14198 del 2022 , rileva la Corte che la sentenza impugnata ha correttamente confermato la decisione del giudice di prime cure di liquidare le spese a carico dell'attore soccombente con l'incremento del 50% rispetto ai valori medi in ragione della ritenuta complessità della disciplina giuridica applicabile e della conseguente necessità di operare, in ordine alla stessa, una ricostruzione che, in concreto, si presentava assai più impregnativa e faticosa rispetto a quanto comporta, in media, lo studio e la trattazione di cause di uguale valore . Il D.M. numero 55 cit., articolo 4, comma 1, in effetti, dispone che, ai fini della liquidazione del compenso, il giudice tiene conto, tra l'altro, della natura, della difficoltà e del valore dell'affare nonché del numero e della complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate . 9.1. Con il sedicesimo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell'articolo 96 c.p.c., in relazione all'articolo 360 c.p.c., numero 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d'appello ha confermato la statuizione con la quale il tribunale l'aveva condannato al risarcimento dei danni per responsabilità aggravata in ragione dell'affermata carenza della normale prudenza con la quale lo stesso avrebbe agito, senza tuttavia, considerare che, al contrario, l'attore aveva analiticamente spigato le plurime ragioni per le quali la delibera impugnata, oltre ad avere un oggetto giuridicamente impossibile, aveva leso un interesse proprio dello stesso quale presidente del consiglio di amministrazione e socio della società convenuta. 9.2. Il motivo è inammissibile. In materia di responsabilità aggravata ex articolo 96 c.p.c., infatti, ai fini della condanna al risarcimento dei danni, l'accertamento dei requisiti costituiti dall'aver agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, ovvero dal difetto della normale prudenza, implica un apprezzamento di fatto che, come tale, è censurabile in sede di legittimità solo per i vizi, nel caso in esame neppure invocati e comunque insussistenti, di mancanza, apparenza o contraddittorietà della motivazione escluso, invece, ogni rilievo alla sua sufficienza ovvero d'omesso esame di un fatto decisivo risultante dalla sentenza impugnata o dagli atti del giudizio cfr. Cass. numero 19298 del 2016 Cass. numero 327 del 2010 . 10. Il ricorso principale, per l'infondatezza o l'inammissibilità di tutti i suoi motivi, dev'essere, dunque, rigettato. 11. I motivi del ricorso incidentale, dichiaratamente proposti solo alla condizione che i motivi articolati dal ricorrente principale fossero ritenuti fondati, sono, di conseguenza, assorbiti. 12. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. 13. La Corte dà atto, ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla l. numero 228/2012, articolo 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto. P.Q.M. La Corte così provvede rigetta il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale condizionato condanna il ricorrente principale a rimborsare alla società controricorrente le spese di lite, che liquida in Euro. 10.200,00, di cui Euro. 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15% dà atto, ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla l. numero 228 del 2012, articolo 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.