Lavoro subordinato quello della collaboratrice che è coinvolta in attività esterne e che rispetta l’orario del negozio

Vittoria definitiva per l’ex collaboratrice di una rivendita di fiori. Irrilevanti le mancanze di prove in merito al potere gerarchico e disciplinare esercitato dalla titolare del negozio.

Riconosciuto il rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato della collaboratrice del fioraio anche se non è emerso il potere gerarchico e disciplinare del titolare del negozio. Fondamentale il riferimento al coinvolgimento in attività esterne, all'utilizzo di tutti gli strumenti forniti dal datore di lavoro e al rispetto di un orario determinato, coincidente con l'apertura del negozio al pubblico. Scenario della vicenda è la provincia pugliese. Riflettori puntati su una rivendita di fiori. A finire nel mirino è la titolare, che si ritrova sul groppone la richiesta con cui una vecchia collaboratrice punta a vedere riconosciuto un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato per il periodo in cui ha operato in quel negozio. A ritenere legittima l'istanza presentata dalla ex collaboratrice della fioraia sono i giudici d'Appello, i quali dichiarano che tra la titolare della rivendita e la collaboratrice è intercorso un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dal dicembre 2006 al febbraio 2008 e condannano la fioraia a pagare alla lavoratrice differenze retributive e T.F.R. versandole una somma pari a circa 15mila e 500 euro. Secondo i giudici d'Appello le prove raccolte, cioè dichiarazioni rilasciate a margine degli interrogatori formali e deposizioni di numerosi testimoni, hanno dimostrato il carattere subordinato del rapporto di lavoro tra fioraia e collaboratrice e soprattutto hanno certificato la continuità dell'attività di fiorista della collaboratrice del negozio, come testimoniato anche dall' orario coincidente con l'apertura dell'esercizio commerciale . Inutile il ricorso in Cassazione proposto dalla titolare della rivendita di fiori. Anche i Giudici di terzo grado, difatti, danno ragione alla ex collaboratrice del negozio. In premessa, i magistrati ribadiscono che costituisce elemento essenziale, come tale indefettibile, del rapporto di lavoro subordinato, e criterio discretivo, nel contempo, rispetto al rapporto di lavoro autonomo, la soggezione personale del prestatore al potere direttivo , disciplinare e di controllo del datore di lavoro , che inerisce alle intrinseche modalità di svolgimento della prestazione lavorativa e non già soltanto al suo risultato . Tuttavia, tale assoggettamento non costituisce un dato di fatto elementare quanto piuttosto una modalità di essere del rapporto potenzialmente desumibile da un complesso di circostanze, sicché , precisano i Giudici, ove esso non sia agevolmente apprezzabile, è possibile fare riferimento ad altri elementi, come, ad esempio, la continuità della prestazione , il rispetto di un orario predeterminato, la percezione a cadenze fisse di un compenso prestabilito, l'assenza in capo al lavoratore di rischio e di una seppur minima struttura imprenditoriale . E tali elementi, lungi dall'assumere valore decisivo ai fini della qualificazione giuridica del rapporto, costituiscono indizi idonei ad integrare una prova presuntiva della subordinazione, a condizione che essi siano fatti oggetto di una valutazione complessiva e globale , aggiungono ancora i giudici. Passando poi dal quadro generale al dettaglio della vicenda oggetto del processo, i magistrati ritengono corretta la valutazione compiuta in appello, poiché sono stati individuati ed analizzati i parametri normativi del lavoro subordinato ed autonomo e gli elementi indiziari, dotati di efficacia probatoria sussidiaria ai fini della qualificazione giuridica del rapporto di lavoro, e, pur rilevando delle carenze con riferimento agli aspetti concernenti l'esercizio di un potere gerarchico e disciplinare della fioraia rispetto alla collaboratrice, sono stati comunque ritenuti sussistenti tutti gli indici sintomatici della subordinazione . Per essere precisi, è emerso che la collaboratrice era sistematicamente inserita nell'organizzazione aziendale e metteva a disposizione le proprie energie lavorative, sia all'interno del locale commerciale sia nelle attività esterne di consegna a domicilio e degli allestimenti presso le chiese per i matrimoni e, infine, si è appurato che utilizzava tutti gli strumenti forniti dal datore di lavoro e doveva osservare un orario determinato, coincidente con l'apertura del negozio al pubblico .

Presidente Tria Relatore Boghetich Rilevato in fatto che 1. Con sentenza n. 1075 pubblicata il 23.11.2018, la Corte d'appello di Lecce, in riforma della sentenza del Tribunale di Brindisi, ha dichiarato che tra R.I. e T.M. è intercorso un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dal dicembre 2006 al febbraio 2008 ed ha condannato la T. al pagamento delle differenze retributive e del T.F.R. pari a complessivi Euro 15.504,86, oltre accessori di legge. 2. La Corte territoriale ha ritenuto che le prove raccolte le dichiarazioni rilasciate a margine degli interrogatori formali, deposizioni dei numerosi testimoni dimostrassero il carattere subordinato del rapporto di lavoro svolto tra le parti, continuità dell'attività di fiorista, con orario coincidente con l'apertura dell'esercizio commerciale ed ha incaricato un consulente tecnico per l'elaborazione delle differenze retributive corrispondenti al IV livello di cui al c.c.n.l. Confcommercio. 3. Avverso tale sentenza la T. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a un motivo. La lavoratrice ha resistito con controricorso, illustrato da memoria. Considerato in diritto che 1. Con l'unico motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 115,116 e 132 c.p.c. e artt. 2094 e 2697 c.c. avendo, la Corte territoriale, erroneamente ritenuto provata la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti tramite valorizzazione di elementi probatori assolutamente inconsistenti e manifestamente inidonei a concretare gli indici della subordinazione, non avendo, di contro, la lavoratrice assolto al suo onere probatorio circa la ricorrenza di una eterodirezione, della continuità dell'attività e dell'orario di lavoro osservato, avendo - i testimoni - reso dichiarazioni senza avere la conoscenza diretta dei fatti di causa. 2. Il ricorso non è fondato. 3. La violazione dell' art. 2697 c.c. è censurabile per cassazione ai sensi dell' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3, soltanto nell'ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l'onere della prova ad una parte diversa da quella che ne fosse onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti Cass. n. 15107 del 2013 Cass. n. 13395 del 2018 Cass. n. 18092 del 2020 , mentre nella sentenza impugnata non è in alcun modo ravvisabile un sovvertimento dell'onere probatorio, interamente gravante su chi intendeva far accertare la sussistenza della natura subordinata di un rapporto di lavoro Cass. n. 1427 del 1997 . 4. In ordine alla dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. , questa Corte ha da tempo affermato che detta censura non può avere ad oggetto l'erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo il fatto che questi abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti o disposte d'ufficio al di fuori dei limiti legali, ovvero abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, o abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione cfr., Cass. S.U. n. 20867 del 2020 nello stesso senso, fra le più recenti, Cass. n. 6774 del 2022 , Cass. nn. 1229 del 2019 , 4699 e 26769 del 2018 , 27000 del 2016 , restando conseguentemente escluso che il vizio possa concretarsi nella censura di apprezzamenti di fatto difformi da quelli propugnati da una delle parti Cass. n. 18665 del 2017 o, più in generale, nella denuncia di un cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali, non essendo tale vizio inquadrabile né nel paradigma dell' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 5, né in quello del precedente n. 4, che, per il tramite dell' art. 132 c.p.c. , n. 4, attribuisce rilievo unicamente all'anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante Cass. n. 11892 del 2016 . La nullità della sentenza per mancanza della motivazione, ai sensi dell' art. 132 c.p.c. , e', poi, prospettabile quando la motivazione manchi addirittura graficamente, ovvero sia così oscura da non lasciarsi intendere da un normale intelletto. Nessuna di tali evenienze è riscontrabile nella specie. 5. Quanto allo schema normativo di cui all' art. 2094 c.c. , si è precisato che costituisce elemento essenziale, come tale indefettibile, del rapporto di lavoro subordinato, e criterio discretivo, nel contempo, rispetto a quello di lavoro autonomo, la soggezione personale del prestatore al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro, che inerisce alle intrinseche modalità di svolgimento della prestazione lavorativa e non già soltanto al suo risultato, cfr. Cass., 27.2.2007 n. 4500 . 5 .1. Tale assoggettamento non costituisce un dato di fatto elementare quanto piuttosto una modalità di essere del rapporto potenzialmente desumibile da un complesso di circostanze sicché ove esso non sia agevolmente apprezzabile, è possibile fare riferimento, ai fini qualificatori, ad altri elementi come, ad esempio, la continuità della prestazione, il rispetto di un orario predeterminato, la percezione a cadenze fisse di un compenso prestabilito, l'assenza in capo al lavoratore di rischio e di una seppur minima struttura imprenditoriale , che hanno carattere sussidiario e funzione meramente indiziaria cfr. Cass. n. 4500 del 2007 Cass. n. 13935 del 2006 Cass. n. 9623 del 2002 Cass. S.U. n. 379 del 1999 . 5.2. Tali elementi, lungi dall'assumere valore decisivo ai fini della qualificazione giuridica del rapporto, costituiscono indizi idonei ad integrare una prova presuntiva della subordinazione, a condizione che essi siano fatti oggetto di una valutazione complessiva e globale, Cass. n. 9108 del 2012 Cass. S.U. n. 584 del 2008 Cass. n. 722 del 2007 Cass. n. 19894 del 2005 Cass. n. 13819 del 2003 Cass., S.U. n. 379 del 1999 . 6. Va, infine, rilevato che questa Corte ha più volte ribadito che le dichiarazioni rilasciate dalle parti durante l'interrogatorio libero, acquisite dal giudice di merito al fine di una chiarificazione delle allegazioni delle parti, non possono avere valore di confessione giudiziale ai sensi dell' art. 229 c.p.c. , ma possono fornire al giudice elementi sussidiari di convincimento utilizzabili sia come unica fonte di prova sia ai fini del riscontro e della valutazione delle prove già acquisite rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la scelta relativa alla concreta utilizzazione di tale strumento processuale, non suscettibile di sindacato in sede di legittimità Cass. n. 20736 del 2014 Cass. n. 17239 del 2010 Cass. n. 8066 del 2009 . 7. Ebbene, la Corte territoriale ha correttamente individuato ed analizzato i parametri normativi del lavoro subordinato ed autonomo e gli elementi indiziari, dotati di efficacia probatoria sussidiaria ai fini della qualificazione giuridica del rapporto di lavoro, e, pur rilevando delle carenze con riferimento agli aspetti concernenti l'esercizio di un potere gerarchico e disciplinare, ha ritenuto sussistenti tutti gli indici sintomatici della subordinazione pag. 8 della sentenza impugnata . Ha, difatti, precisato che la R. era sistematicamente inserita nell'organizzazione aziendale, che metteva a disposizione le proprie energie lavorative sia all'interno del locale commerciale sia nelle attività di consegna a domicilio e degli allestimenti presso Chiese per i matrimoni , che utilizzasse tutti gli strumenti forniti dal datore di lavoro, che dovesse osservare un orario determinato coincidente con l'apertura al pubblico del negozio . 8. La sentenza impugnata si è conformata ai principi di diritto sopra enunciati e si sottrae alle censure che vengono mosse col motivo di ricorso in esame, anche quanto alla violazione dell' art. 2094 c.c. 9. In conclusione, il ricorso va rigettato e il riparto delle spese del presente giudizio di legittimità segue il criterio della soccombenza dettato dall' art. 91 c.p.c. . P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in Euro 4.000,00 per compensi professionali e in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 , comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1 , comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.