Valorizzati, nel caso preso in esame dai giudici, ulteriori dettagli, come la capacità lavorativa e l’indipendenza economica della donna. Significativa, poi, anche la prolungata relazione avuta dalla donna con un nuovo compagno, catalogabile come famiglia di fatto.
L’impegno della donna nella gestione della famiglia e nella cura del figlio durante gli anni di matrimonio non basta per legittimarne, una volta ufficializzata la rottura con l'oramai ex marito, la richiesta di assegno divorzile. A fronte della definitiva crisi coniugale, culminata nel divorzio, i giudici di merito negano a Tizia il diritto ad ottenere dall’ex marito Caio l’assegno divorzile. Ciò per due dettagli fondamentali, viene chiarito in appello primo, la condizione di autosufficienza economica di Tizia e la sua dimostrata capacità di lavoro secondo, la stabile relazione avuta per quindici anni da Tizia con un nuovo compagno, relazione che, secondo i giudici, integrava una famiglia di fatto ostativa al riconoscimento dell’assegno divorzile, nonostante l’assenza di coabitazione . Inutile il ricorso in Cassazione proposto da Tizia. Anche i Giudici di terzo grado, difatti, le negano la possibilità di ottenere dall’ex marito l’assegno divorzile. I magistrati precisano, però, che a essere risultata decisiva non è stata solo la relazione pluriennale e more uxorio avuta dalla donna con un nuovo compagno, poiché altri dettagli rilevanti sono stati presi in considerazione, come l’esperienza lavorativa della donna. In particolare, vengono poste in rilievo la condizione di indipendenza economica di Tizia, la capacità e l’esperienza lavorative da lei da tempo acquisite anche coadiuvando il partner nell’attività commerciale , la durata del matrimonio dodici anni . Ciò permette di trarre la conclusione che la donna non ha dimostrato in concreto di trovarsi in condizione di non potersi procurare mezzi adeguati per ragioni oggettive . A fronte di tale quadro, però, Tizia si è limitata a riferire di avere fornito il proprio contributo casalingo nella gestione della famiglia e di essersi presa cura del figlio, ormai maggiorenne, ma tale contributo, reso dal coniuge in costanza di matrimonio, non è sufficiente a far sorgere il diritto all’assegno divorzile , una volta che il matrimonio sia sciolto , precisano i Giudici. Ciò perché il riconoscimento dell’assegno divorzile in funzione perequativo-compensativa non si fonda sul fatto, in sé, che uno dei coniugi si sia dedicato prevalentemente alle cure della casa e dei figli, né sull’esistenza in sé di uno squilibrio reddituale tra gli ex coniugi, poiché la scelta di dedicarsi prevalentemente all’attività familiare assume rilievo nei limiti in cui sia stata condivisa con l’altro coniuge e abbia comportato la rinuncia a realistiche occasioni professionali-reddituali che il coniuge che richiede l’assegno ha l’onere di dimostrare nel giudizio . In questo quadro si inserisce poi la convivenza di fatto instaurata da Tizia con un altro partner , convivenza che, precisano i Giudici, va intesa quale legame affettivo stabile e duraturo, seppure in mancanza di coabitazione e che, quindi, è ulteriore elemento idoneo a legittimare la decisione di negare l’assegno divorzile alla donna.
Presidente Bisogni Relatore Lamorgese Fatti di causa La sig.ra M.C. ha proposto appello avverso la sentenza del Tribunale di La Spezia che aveva rigettato la sua domanda di imporre all'ex coniuge G.L. un assegno divorzile in suo favore. L'adita Corte d'appello di Genova, con sentenza del 26 luglio 2021, lo ha rigettato, ritenendo insussistenti i presupposti per il riconoscimento dell'assegno di divorzio a favore della M., in considerazione della sua condizione di autosufficienza economica e della dimostrata capacità di lavoro dell'appellante, nonché della stabile relazione intercorsa dalla stessa con il sig. L.L. dal 2003 al 2017, che integrava una famiglia di fatto ostativa al riconoscimento dell'assegno divorzile, nonostante l'assenza di coabitazione. Avverso tale pronuncia la sig.ra. M. ha proposto ricorso per cassazione, resistito dal G. Le parti hanno depositato memorie. Ragioni della decisione Con il primo motivo l'odierna ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 10, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto ostativa al riconoscimento dell'assegno divorzile a suo favore la relazione sentimentale esteriorizzata e di lunga durata, instaurata con il sig. L., erroneamente equiparandola ad una convivenza di fatto, sebbene non vi fosse stata coabitazione nè un progetto di vita comune. Con il secondo motivo la ricorrente imputa alla sentenza gravata la violazione ed erronea applicazione del succitato parametro normativo, per avere ritenuto che la relazione affettiva instaurata determinasse automaticamente la perdita dell'assegno divorzile, senza avere verificato la situazione di squilibrio patrimoniale e reddituale tra le parti e la sua riconducibilità alle scelte della coppia in costanza di rapporto matrimoniale. Entrambi i motivi, congiuntamente esaminati, sono infondati travisano la ratio decidendi con la quale la Corte territoriale non ha fatto discendere automaticamente il rigetto della domanda della M. dalla sua relazione pluriennale e more uxorio con il L., ma l'ha valutata unitamente ad altri elementi esaminati nell'ambito del giudizio sull'attribuzione dell'assegno divorzile, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6. Ed infatti, la Corte ha accertato la condizione di indipendenza economica della richiedente, la sua capacità ed esperienza lavorativa da tempo acquisita anche coadiuvando il partner nell'attività commerciale e la durata del matrimonio dodici anni , giungendo alla conclusione che la M. non ha dimostrato in concreto di trovarsi in condizione di non potersi procurare mezzi adeguati per ragioni oggettive. Tali accertamenti non sono stati specificamente censurati, essendosi la ricorrente limitata, peraltro solo nella memoria, a riferire di avere fornito il proprio contributo casalingo nella gestione e conduzione della famiglia e di essersi presa cura del figlio, ormai maggiorenne, senza tuttavia attingere alcuna specifica ratio decidendi contenuta nella sentenza impugnata. La predetta deduzione parrebbe implicare per implicito l'erroneo convincimento che tale forma di contributo reso dal coniuge in costanza di matrimonio sia sufficiente a far sorgere il diritto all'assegno una volta che il matrimonio sia sciolto. Tuttavia, il riconoscimento dell'assegno divorzile in funzione perequativo-compensativa non si fonda sul fatto, in sé, che uno dei coniugi si sia dedicato prevalentemente alle cure della casa e/o dei figli, nè sull'esistenza in sé di uno squilibrio reddituale tra gli ex coniugi, poiché la scelta di dedicarsi prevalentemente all'attività familiare assume rilievo nei limiti in cui sia stata condivisa con l'altro coniuge e abbia comportato la rinuncia a realistiche occasioni professionali reddituali che il coniuge richiedente l'assegno ha l'onere di dimostrare nel giudizio cfr. Cass. 14256 e 29920/2022 , 38362/2021 , secondo evidentemente la incensurabile valutazione del giudice di merito. In tale contesto la convivenza di fatto instaurata dalla ricorrente con altro partner, intesa quale legame affettivo stabile e duraturo, seppure in mancanza di coabitazione cfr. Cass. 14151/2022 , 9178/2018 , correttamente è stata valorizzata nella sentenza impugnata quale fatto idoneo a concorrere con altri alla formazione del convincimento del giudice nel senso di non riconoscere la fondatezza del diritto azionato, in mancanza di prova della sussistenza in concreto dei presupposti giustificativi della componente compensativa dell'assegno in coerenza con Cass. SU 32198-2021 . In conclusione, il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, liquidate in Euro 3600,00. Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 , comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1 , comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13. Oscuramento dei dati personali.