L’accertamento di un comportamento antigiuridico non provoca automaticamente il risarcimento del danno, perché il nocumento patrimoniale non può essere mai identificato in re ipsa ed il pregiudizio risarcibile è sempre danno conseguenza, da provare anche per presunzioni. In tal caso, l’onere probatorio non può essere assolto dimostrando semplicemente che l'illecito ha soppresso una cosa determinata, se non si provi, altresì, che essa fosse suscettibile di sfruttamento economico.
La vicenda. La società conduttrice conveniva in giudizio il Condominio al fine di ottenerne la condanna al risarcimento dei danni subiti in conseguenza dell'allagamento del piano cantinato, collocato all'interno del convenuto, da essa condotto in locazione. L'attrice, dunque, aveva chiesto il risarcimento danni consistenti nell'anticipazione delle spese per le riparazioni urgenti, nel danneggiamento di pregiati articoli da regalo e nei costi sostenuti per lo smaltimento del materiale fangoso e della merce andata distrutta. Costituendosi in giudizio, il Condominio negava di avere alcuna responsabilità in merito all'occorso, perché le tubazioni da cui si era verificata la perdita appartenevano anche ai Condominii limitrofi. Il giudice di primo grado accoglieva la domanda attorea la Corte territoriale, invece, accoglieva parzialmente il gravame dell'appellante Condominio. Invero, i giudici del gravame, pur riconoscendo alcune voci di danno richiesti dalla conduttrice, tuttavia, avevano reputato che il danno alla merce non era stato dimostrato le fotografie prodotte non davano contezza della qualità e quantità del materiale andato distrutto. Avverso il provvedimento in esame, la società proponeva ricorso in Cassazione eccependo che l'amministratore del Condominio non era stato autorizzato dall'assemblea condominiale, ai sensi dell' art. 1131, comma 3, c.c. alla proposizione dell'atto di appello. Infine, secondo la ricorrente, accertata la responsabilità del condominio in entrambi i gradi di giudizio, il danno non poteva che emergere de plano dall'irriconoscibilità e dal deterioramento dei beni provocati dalla miscela di acqua, fango e reflui degli scarichi condominiali. Il difetto di capacità processuale può essere sanato senza necessità del giudice. La società appellata, costituendosi, aveva eccepito la carenza di legittimazione processuale del Condominio per difetto di autorizzazione preventiva dell'assemblea ad impugnare la sentenza di prime cure sfavorevole. All'udienza di prima comparizione e di trattazione, il Condominio aveva prodotto in copia cortesia, tra gli altri, il verbale dell'assemblea condominiale che, a suo avviso, conteneva l'autorizzazione a proporre appello avverso la decisione del Tribunale. Detta produzione documentale veniva contestata dall'odierna ricorrente in quanto irrituale e non autorizzata. Premesso ciò, secondo la S.C. il difetto di capacità processuale delle parti risultava sanabile e non solo per intervento del giudice. Difatti, le invalidità derivanti dal difetto di capacità processuale possono essere sanate anche di propria iniziativa dalle parti segnatamente con la regolarizzazione della costituzione in giudizio della parte cui l'invalidità si riferisce. Mentre l'intervento del giudice inteso a promuovere la sanatoria è obbligatorio, va esercitato in qualsiasi fase o grado del giudizio, e ha efficacia ex tunc , senza il limite delle preclusioni derivanti da decadenze processuali. Pertanto, il Condominio, a fronte dell'eccezione di controparte, era legittimato a produrre la documentazione atta a dimostrare la propria capacità processuale, senza bisogno di autorizzazione del giudice. Del resto, l'assemblea aveva deciso, a fronte della soccombenza in primo grado, di procedere con l'impugnazione della decisione sfavorevole. I requisiti per ottenere la valutazione equitativa del danno. La Corte territoriale aveva escluso il risarcimento degli articoli all'interno dei locali danneggiati dall'allagamento a causa della documentazione fotografica, genericità delle prove testimoniali, assenza di inventario della merce, mancanza di un accertamento tecnico preventivo, non deteriorabilità di alcuni oggetti. A parere della Suprema Corte di Cassazione, l'accertamento di un comportamento antigiuridico non provoca automaticamente il risarcimento del danno, perché il nocumento patrimoniale non può essere mai identificato in re ipsa ed il pregiudizio risarcibile è sempre danno conseguenza, da provare anche per presunzioni. Difatti, in tal senso, l'accoglimento delle censure del ricorrente implicherebbe un inammissibile nuovo e diverso accertamento dei fatti di causa sia quanto alla ricorrenza dei danni sia quanto alla difficoltà di provarne l'ammontare. Per le considerazioni esposte, i giudici di legittimità hanno ritenuto di non discostarsi dal principio di diritto pronunciato in una fattispecie similare La liquidazione in via equitativa del danno postula, in primo luogo, il concreto accertamento dell'ontologica esistenza di un pregiudizio risarcibile, il cui onere probatorio ricade sul danneggiato e non può essere assolto dimostrando semplicemente che l'illecito ha soppresso una cosa determinata, se non si provi, altresì, che essa fosse suscettibile di sfruttamento economico e, in secondo luogo, il preventivo accertamento che l'impossibilità o l'estrema difficoltà di una stima esatta del danno stesso dipenda da fattori oggettivi e non dalla negligenza della parte danneggiata nell'allegarne e dimostrarne gli elementi dai quali desumerne l'entità . In conclusione, il ricorso è stato rigettato.
Presidente Spirito Relatore Gorgoni Fatti di causa V. S.r.L. conveniva, dinanzi al Tribunale di Palermo, il Condominio di Omissis , al fine di ottenerne la condanna al risarcimento dei danni subiti in conseguenza dell'allagamento del piano cantinato, collocato all'interno del condominio convenuto, da essa condotto in locazione danni consistenti nell'anticipazione delle spese per le riparazioni urgenti, nel danneggiamento di pregiati articoli da regalo e nei costi sostenuti per lo smaltimento del materiale fangoso e della merce andata distrutta. Il condominio, costituitosi, eccepiva il difetto di prova circa il verificarsi dell'allagamento, negava di avere alcuna responsabilità in merito all'occorso, perché le tubazioni da cui si era verificata la perdita appartenevano anche ai Condomini di Omissis e di Omissis che chiedeva di chiamare in causa in via subordinata, contestava la rilevanza della documentazione prodotta dalla società attrice per dimostrare l'an e il quantum del danno subito. Il Tribunale, con la sentenza n. 4198/2014, dichiarava il condominio convenuto decaduto dalla facoltà di chiamare terzi in giudizio, non avendo perfezionato correttamente il procedimento di notificazione dell'istanza di chiamata di terzo, ne accertava la responsabilità per i fatti verificatisi ai danni della società V. e lo condannava a corrisponderle l'importo di Euro 2.196,66, a titolo di rimborso delle spese sostenute per la riparazione delle tubature, per la rimozione e per lo smaltimento dei materiali danneggiati, e quello di Euro 32.000,00, liquidato equitativamente, per il danneggiamento della merce, oltre agli interessi ed alla rivalutazione. Il Condominio di Omissis impugnava la suddetta decisione dinanzi alla Corte d'Appello di Omissis che, con la sentenza n. 2175/2019, ha accolto parzialmente il gravame e ha ridotto ad Euro 2.196,66 l'importo dovuto alla società V In particolare, la Corte di merito ha ritenuto provate le spese di riparazione della colonna di scarico del materiale fangoso accumulatosi nei locali allagati, sulla base della documentazione in atti ed alla luce delle dichiarazioni testimoniali, ma ha reputato che il danno alla merce, costituita da articoli da regalo presenti nei locali allagati, non fosse stato dimostrato le fotografie prodotte non davano contezza della qualità e quantità del materiale andato distrutto, perché riproducevano solo contenitori in cartone ed imballi di cui non era percepibile il contenuto mancava un inventario della merce di cui si lamentava la perdita di valore commerciale non era stato promosso alcun accertamento tecnico preventivo dei danni lamentati molti oggetti erano in metallo o altro materiale non deteriorabile le dichiarazioni dei testi escussi si erano rivelate generiche. Ha concluso, quindi, che la società V. S.r.L. non avesse soddisfatto l'onere di provare il danno ed ha ritenuto errato il ricorso, da parte del Tribunale, alla valutazione equitativa dello stesso, perché non si era raggiunta in giudizio la prova che il danno si fosse verificato e che fosse impossibile o notevolmente difficile quantificarlo. Per la cassazione di detta decisione ricorre la società V. che formula due motivi. Resiste con controricorso il Condominio di Omissis Omissis . Il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore, C.M., ha chiesto il rigetto del ricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria. Ragioni della decisione 1 Con il primo motivo la società ricorrente imputa alla Corte d'Appello di essere incorsa nella Violazione o falsa applicazione degli artt. 1130 e 1131 c.c. , nonché degli artt. 75 e 182 c.p.c. , in riferimento all'art. 360, comma 1, n. 3 cod.proc.c.iv , perché non ha rilevato che l'amministratore del condominio non era stato autorizzato dall'assemblea condominiale, ai sensi dell' art. 1131, comma 3, c.c. , alla proposizione dell'atto di appello. L'eccezione di inammissibilità dell'impugnazione per carenza di capacità processuale dell'amministratore del condominio - sostiene la ricorrente - era stata sollevata nella comparsa di costituzione e risposta in appello e ribadita nella comparsa conclusionale, ma la Corte d'Appello non si sarebbe pronunciata sulla stessa trattandosi, tuttavia, di una eccezione processuale, la ricorrente, consapevole di non poter lamentare l'omessa pronuncia, la quale riguarda solo le questioni di merito, ripropone in questa sede l'eccezione e, al fine di argomentarne la fondatezza, invoca la decisione a sezioni Unite n. 18331/2010 con cui questa Corte, riguardo al se l'amministratore di condominio debba essere autorizzato o meno dall'assemblea per resistere ad una domanda proposta nei confronti del condominio, ha distinto le materie risultanti dal combinato disposto art. 1131, comma 1, e art. 1130 c.c. con riferimento alle quali l'amministratore è autonomamente legittimato per effetto della legge da quelle in cui, non avendo una legittimazione ex lege, ha bisogno di essere previamente autorizzato dall'assemblea. La ricorrente rileva che i la gestione del contenzioso per cui è causa non rientra tra le attribuzioni stabilite dall' art. 1130 c.c. nel testo ratione temporis vigente ii questa Corte, nella pronuncia n. 18331/2010, aveva escluso che l'azione risarcitoria derivante da infiltrazioni d'acqua rientrasse tra quelle di cui al combinato disposto degli artt. 1130 e 1131 c.c. ed aveva affermato che l'amministratore di condominio avrebbe anche potuto costituirsi in giudizio senza autorizzazione dell'assemblea, ma avrebbe dovuto ottenere la ratifica del suo operato da parte dell'assemblea per evitare la pronuncia di inammissibilità dell'atto di costituzione o di impugnazione iii l'amministratore del condominio non solo non aveva l'autorizzazione preventiva dell'assemblea, ma non aveva ottenuto la ratifica dell'attività svolta neppure a seguito dell'eccezione di cui all'art. 75 c.p.c., dovendosi negare rilievo al documento n. 5 della nota di deposito, indicizzato verbale assemblea del 13 ottobre 2014, concernente la volontà del condominio di proporre appello avverso la sentenza n. 4198/2014 del Tribunale di Omissis , perché esso non conterrebbe alcuna delibera assembleare di autorizzazione e/o di ratifica relativa alla costituzione nel giudizio di primo grado e all'impugnazione della sentenza sfavorevole da parte dell'amministratore, tant'e' che nel verbale si dava comunicazione che le spese vive per l'appello ammontavano ad Euro 1.335,50 da suddividersi in 20 quote, ciascuna di Euro 66,78 da versare entro la data del 20 ottobre 2014 a pena di non potere più fare ricorso in appello. Chi non verserà la quota sarà responsabile di una eventuale non presentazione dell'appello iv stante la mancanza di una delibera assembleare di autorizzazione preventiva, secondo quanto stabilito dalla pronuncia a sezioni unite richiamata, allo scopo di paralizzare l'eccezione di inammissibilità della costituzione in giudizio o dell'impugnazione, tenuto conto che la ratifica non era stata prodotta, neppure a seguito dell'eccezione ex art. 75 c.p.c., il giudice avrebbe potuto assegnare un termine ex art. 182 c.p.c. all'amministratore del condominio per ottenere la ratifica tanto non era avvenuto, sicché, in applicazione della decisione n. 12525/2018, il vizio di capacità processuale del condominio dovrebbe dichiararsi non più sanabile, con conseguente richiesta a questa Corte di rilevare l'inammissibilità dell'atto di appello proposto dal condomino, per carenza di legittimazione processuale attiva, con cassazione della sentenza d'appello, in quanto il difetto di autorizzazione preventiva o di ratifica può essere sanato ex art. 182 c.p.c. in sede di legittimità, ma solo nel caso in cui il difetto sia stato rilevato d'ufficio. Il motivo non può accogliersi. Giova, al riguardo, premettere a che la pronuncia del giudice di appello la quale non esamini e non decida l'eccezione di cui all'art. 75 c.p.c. reca un difetto di attività del giudice di secondo grado, il quale deve essere fatto valere dal ricorrente in sede di legittimità non con la denuncia di un vizio di violazione di legge, in quanto simile censura presuppone che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l'abbia risolta in modo giuridicamente non corretto parte ricorrente è incorsa in errore deducendo la violazione dell' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3, anziché imputando alla Corte territoriale un error in procedendo b che, peraltro, il mancato esame da parte del giudice di appello di una questione puramente processuale non può dar luogo al vizio di omessa pronuncia, il quale è configurabile con riguardo alle sole domande di merito, come opportunamente afferma anche la società V., e non può, quindi, assurgere a causa autonoma di nullità della sentenza, potendo profilarsi, al riguardo, una nullità propria o derivata della decisione, per la violazione di norme diverse dall' art. 112 c.p.c. , se, ed in quanto, risulti errata la soluzione implicitamente data dal Giudice alla questione sollevata dalla parte medesima cfr., ex multis, Cass. 19/06/1997, n. 5482 Cass. 21/11/2001, n. 14670 Cass. 25/06/ 2003, n. 10073 Cass. 6/12/ 2004, n. 22860 Cass. 24/06/ 2005, n. 13649 . Ora, il Collegio ritiene di poter superare l'errore di cui alla lett. a , in considerazione dello specifico contenuto delle argomentazioni a supporto della censura, e, riqualificando d'ufficio il vizio ascritto alla sentenza impugnata come error in procedendo, che sia suo compito, in questa sede, stabilire, anche attraverso l'esame diretto degli atti, attesa la ricorrenza di un vizio processuale, se ricorra o meno la carenza di legittimazione processuale del condominio, implicitamente negata dal giudice a quo, e se ne consegua la nullità derivata della sentenza. Per ben cogliere la sostanza della censura è bene ripercorrere la vicenda processuale. La società V., appellata, costituendosi, aveva eccepito la carenza di legittimazione processuale del Condominio - per quanto ancora rileva in questa sede - per difetto di autorizzazione preventiva dell'assemblea ad impugnare la sentenza di prime cure sfavorevole. All'udienza di prima comparizione e di trattazione, il 17 luglio 2005, il Condominio aveva prodotto in copia cortesia, tra gli altri, il verbale dell'assemblea condominiale del 13 ottobre 2014 già inviato telematicamente che, a suo avviso, conteneva l'autorizzazione a proporre appello avverso la decisione del Tribunale. Detta produzione documentale veniva contestata dall'odierna ricorrente sia il 17 luglio 2005 sia nel corso della successiva udienza del 13 ottobre 2017 in quanto irrituale e non autorizzata. All'udienza di precisazione delle conclusioni il Condominio concludeva come in atto di appello e comparsa di risposta. Con la comparsa conclusionale la società V. insisteva sull'inammissibilità della produzione documentale del Condominio, perché non autorizzata, rilevava che dai verbali di assemblea prodotti non emergeva né un'autorizzazione assembleare preventiva a proporre appello né una ratifica all'atto di appello già proposto e insisteva affinché la Corte d'Appello dichiarasse l'amministratore privo di legittimazione attiva. Il condominio, nella sua comparsa conclusionale, deduceva che la produzione documentale atta a dimostrare la legittimazione processuale dell'amministratore era stata contestata - tardivamente - non nel merito, ma solo in relazione alla sua ammissibilità e chiedeva che il giudice, in forza del combinato disposto degli artt. 182 comma 2 e 339 c.p.c. , ammettesse la documentazione in discussione con la memoria di replica sosteneva che i documenti depositati erano idonei a dimostrare la sussistenza dell'autorizzazione assembleare a proporre appello. Alla luce di quanto riferito, deve osservarsi che il difetto di capacità processuale delle parti risulta sanabile e non solo per intervento del giudice. Si deve pertanto concludere nel senso che le invalidità derivanti dal difetto di capacità processuale possono essere sanate anche di propria iniziativa dalle parti segnatamente con la regolarizzazione della costituzione in giudizio della parte cui l'invalidità si riferisce. Mentre l'intervento del giudice inteso a promuovere la sanatoria è obbligatorio, va esercitato in qualsiasi fase o grado del giudizio, e ha efficacia ex tunc, senza il limite delle preclusioni derivanti da decadenze processuali Cass. 26/06/2019, n. 17062 pertanto, il condominio, a fortiori a fronte dell'eccezione di controparte, era legittimato a produrre la documentazione atta a dimostrare la propria capacità processuale, senza bisogno di autorizzazione del giudice. Resta, dunque, da verificare se il verbale di assemblea, su cui, non a caso, si appuntano le critiche della società V. contenesse oppure no un'autorizzazione ad impugnare la decisione di primo grado. La verifica, secondo il Collegio, ha esito positivo a il punto 1 all'ordine del giorno era così indicato notifica sentenza n. 4198/2014 R.G. Trib. Palermo relativa al procedimento n. 3168/10 R.H. Trib. Palermo - provvedimenti urgenti e conseguenziali b si dava atto che un gruppo di condomini aveva avuto un colloquio con l'avv. Scarantino, legale del condominio c veniva allegata la nota dell'avv. Scarantino che comunicava il costo delle spese di appello d si indicava l'ammontare della quota individuale ed il termine entro cui avrebbe dovuto essere versata e si specificava chi non verserà la quota sarà responsabile di una eventuale non presentazione dell'appello . Tali elementi inducono a ritenere che i condomini avessero deciso di procedere con l'atto di appello e che a tale conclusione induca soprattutto l'avvertimento che il mancato versamento della quota individuale avrebbe potuto provocare la non presentazione dell'appello segno che, contrariamente, a quanto ritenuto dalla società V. l'assemblea aveva deciso, a fronte della soccombenza in primo grado, di procedere con l'impugnazione della decisione sfavorevole. Il motivo, pertanto, va rigettato. 2 Con il secondo motivo la ricorrente lamenta Violazione o falsa applicazione degli artt. 1226 e 1227 c.c. , nonché 115 c.p.c., in riferimento all' art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. . La società V. sostiene che, accertata la responsabilità del condominio in entrambi i gradi di giudizio, la logica avrebbe imposto di ritenere che i beni - articoli da regalo e lampadari - depositati all'interno dei locali danneggiati dall'allagamento fossero andati almeno in parte perduti e che la difficoltà di quantificare il danno non potesse che emergere de plano dall'irriconoscibilità e dal deterioramento dei beni provocati dalla miscela di acqua, fango e reflui degli scarichi condominiali. La censura non può accogliersi, perché la Corte territoriale ha dato conto delle ragioni che l'hanno indotta ad escludere che vi fossero i presupposti per liquidare equitativamente il danno documentazione fotografica, genericità delle prove testimoniali, assenza di inventario della merce, mancanza di un accertamento tecnico preventivo, non deteriorabilità di alcuni oggetti. Anche senza considerare che l'accertamento di un comportamento antigiuridico non provoca, diversamente da quanto adombra la difesa del ricorrente, automaticamente il risarcimento del danno, perché il nocumento patrimoniale non può essere mai identificato in re ipsa ed il pregiudizio risarcibile è sempre danno - conseguenza, da provare anche per presunzioni, l'accoglimento delle censure del ricorrente implicherebbe un inammissibile nuovo e diverso l'asserita irriconoscibilità e il deterioramento della merce si scontrano con le risultanze delle fotografie agli atti che ritraevano, secondo il giudice a quo, solo contenitori in cartone e imballi accertamento dei fatti di causa sia quanto alla ricorrenza dei danni sia quanto alla difficoltà di provarne l'ammontare. Non sussistono ragioni, dunque, per discostarsi dal seguente principio di diritto, pronunciato in una fattispecie che presenta innegabili similitudini con quella per cui è causa, atteso che si controverteva della richiesta risarcitoria derivante dall'allagamento di un appartamento La liquidazione in via equitativa del danno postula, in primo luogo, il concreto accertamento dell'ontologica esistenza di un pregiudizio risarcibile, il cui onere probatorio ricade sul danneggiato e non può essere assolto dimostrando semplicemente che l'illecito ha soppresso una cosa determinata, se non si provi, altresì, che essa fosse suscettibile di sfruttamento economico, e, in secondo luogo, il preventivo accertamento che l'impossibilità o l'estrema difficoltà di una stima esatta del danno stesso dipenda da fattori oggettivi e non dalla negligenza della parte danneggiata nell'allegarne e dimostrarne gli elementi dai quali desumerne l'entità Cass. 22/02/2017, n. 4534 . 3 Ne consegue il rigetto del ricorso. 4 Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. PQM La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento, in favore del Condominio controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 , comma 1 quater, inserito dall 'art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 201 2, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale/ricorso incidentale, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13.