L’impiego in lavori socialmente utili non equivale a un rapporto di lavoro subordinato a termine

Respinta, nello specifico, l’istanza avanzata da un ex ‘l.s.u.’ della Regione Campania e mirata a vedere riconosciute ulteriori retribuzioni per il lavoro straordinario svolto una volta raggiunta la soglia delle venti ore settimanali.

Priva di fondamento l'equazione che assimila l'occupazione di un soggetto in lavori socialmente utili ad un rapporto di lavoro subordinato a termine. Proprio per questo, viene respinta dai giudici l'istanza con cui un uomo, impiegato per nove anni dalla Regione Campania come lavoratore socialmente utile, ha sostenuto di avere diritto ad una retribuzione ulteriore per il lavoro ‘straordinario' svolto una volta raggiunta la soglia delle venti ore settimanali. A dare torto all'ex ‘l.s.u.' avevano già provveduto i giudici di merito. In particolare, in Appello, era stato chiarito che, normativa alla mano, «il trattamento integrativo dell'assegno erogato dall'INPS per l'impegno eccedente le venti ore settimanali è pari alla retribuzione del livello iniziale del personale dipendente che svolge attività analoghe presso il soggetto utilizzatore, calcolata al netto delle ritenute previdenziali ed assistenziali», senza alcuno spiraglio, quindi, per ipotizzare, come sostenuto dal lavoratore, il calcolo di ulteriori differenze retributive.Questa visione viene contestata dall'avvocato che rappresenta l'ex ‘l.s.u.'. In particolare, il legale sostiene «l'equiparazione del trattamento economico del ‘lavoratore socialmente utile' a quello del dipendente comparabile del soggetto utilizzatore» e che ritiene erronea, perciò, l'assimilazione, compiuta in Appello, del «lavoro svolto in regime di plusorario» al «rapporto giuridico previdenziale intercorrente tra la pubblica amministrazione ed i ‘lavoratori socialmente utili'». Sempre ragionando in questa ottica, poi, il legale sostiene che la assegnazione a lavori socialmente utili rientri nella «categoria dei rapporti di lavoro conclusi nell'ambito di un progetto specifico di formazione, inserimento e riqualificazione professionale pubblico, formazione con durata temporalmente definita» e aggiunge che «per i ‘lavori socialmente utili' la norma prevede la durata del progetto, che determina la durata della formazione professionale» e «il rinnovo può avere durata massima di otto mesi», mentre, invece, nel caso specifico, «si sono avute proroghe successive, fino alla stabilizzazione, senza tenere conto della compiuta formazione professionale». Chiaro l'obiettivo dell'avvocato che rappresenta l'ex ‘l.s.u.' «pur se inserito in un progetto di ‘lavoro socialmente utile'», il suo cliente «deve essere considerato come dipendente a termine». Di opposto parere sono però i Giudici di Cassazione, i quali ribadiscono che «l'occupazione temporanea in ‘lavori socialmente utili' non integra un rapporto di lavoro subordinato, in quanto l'utilizzazione di tali lavoratori non determina l'instaurazione di un rapporto di lavoro ma realizza un rapporto speciale che coinvolge più soggetti – oltre al lavoratore, l'amministrazione pubblica beneficiaria della prestazione e l'ente previdenziale erogatore dell'assegno o di altro trattamento previdenziale – di matrice assistenziale e con una finalità formativa diretta alla riqualificazione del personale per una possibile ricollocazione». Difatti, «tale disciplina regola l'ipotesi, riconducibile al particolare istituto contemplato dal legislatore per sopperire allo stato di disoccupazione del lavoratore, di conformità della prestazione di lavoro al progetto», mentre «soltanto nel caso in cui la prestazione resa presenti di fatto una radicale difformità dal progetto» – cosa esclusa nel caso preso in esame – «il rapporto intercorso come subordinato resta regolato» da quanto previsto dal Codice Civile per «la prestazione di fatto in violazione di legge». Tirando le somme, poiché «la prestazione si è svolta in conformità al progetto», correttamente è stata applicata la disciplina secondo cui «l'importo integrativo corrisponde ad una retribuzione oraria determinata applicando il divisore previsto dal contratto collettivo del soggetto utilizzatore alla retribuzione di base del livello di inquadramento del dipendente comparabile». Respinte definitivamente, quindi, le richieste dell'ex ‘l.s.u.' della Regione Campania, richieste poggiate sull'erroneo presupposto della compatibilità della determinazione del trattamento retributivo degli ‘l.s.u.' con quello del lavoro subordinato a termine, compatibilità esclusa per legge, anche tenendo presente che è stata esclusa «la radicale difformità della prestazione rispetto al progetto».

Presidente Tria – Relatore Marotta Rilevato che 1. con sentenza numero 4320/2016 la Corte d'Appello di Napoli confermava la decisione del locale Tribunale che aveva respinto la domanda proposta da M.V., lavoratore socialmente utile l.s.u. utilizzato presso la Regione Campania negli anni dal 2001 al 2009 per un orario eccedente le 20 ore settimanali, per il pagamento della somma di Euro 5.835,98 a titolo di differenze maturate rispetto a quanto previsto per il livello di inquadramento corrispondente per i dipendenti di categoria A1 riportato nel c.c.numero l. enti locali, spettante ai sensi del D.Lgs. numero 468 del 1997, articolo 8, comma 3 2. la Corte territoriale preliminarmente, aderendo al principio enunciato da Cass. 3 maggio 2012 numero 6670, individuava la disciplina di riferimento nel D.Lgs. numero 468 del 1997, articolo 8, norma non abrogata - né espressamente né per incompatibilità - dal D.Lgs. numero 81 del 2000 il trattamento integrativo dell'assegno erogato dall'INPS per le ore di impegno eccedenti le 20 ore settimanali era dunque pari alla retribuzione del livello iniziale del personale dipendente che svolgeva attività analoghe presso il soggetto utilizzatore, calcolata al netto delle ritenute previdenziali ed assistenziali 3. riteneva che la Regione avesse correttamente applicato il criterio retributivo di cui al D.Lgs. numero 468 del 1997, articolo 8 richiamava l'articolo 52, comma 3, c.c.numero l. di categoria, il quale precisava che la retribuzione oraria si otteneva applicando il divisore 156 alla retribuzione mensile sosteneva che il criterio posto a base del computo delle differenze rivendicate dall'appellante non fosse conforme al dettato normativo e contrattuale esso considerava la retribuzione globale di fatto mensile articolo 10, comma 2, lett. d CCNL 9 maggio 2006 invece della retribuzione mensile articolo 10, lett. a del medesimo CCNL inoltre utilizzava un divisore più basso di quello previsto dal CCNL articolo 70, invece di 156 , corrispondente al numero medio mensile delle ore eccedenti per completezza aggiungeva che in appello il lavoratore aveva dedotto che, in ogni caso, la tariffa oraria era superiore a quella liquidata dalla Regione Euro 7,74 anziché Euro 7,24 riteneva trattarsi di questione nuova e mai dedotta in primo grado evidenziava che dalla documentazione prodotta e dai conteggi allegati al ricorso si evinceva che le differenze derivavano dal computo della tariffa oraria secondo i suddetti criteri non corretti mentre non risultava che il ricorrente avesse lamentato il mancato adeguamento della tariffa oraria agli incrementi delle retribuzioni tabellari intervenuti nella successione dei contratti collettivi richiamava pronunce di legittimità e sosteneva che l'appellante aveva l'onere processuale di specificare i pretesi errori di calcolo degli importi liquidati e di fornire la base documentale di verifica degli stessi mentre non erano stati versati in atti i documenti necessari a tale verifica da ultimo escludeva l'applicabilità agli l.s.u. dell'istituto della tredicesima mensilità 3. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza Vincenzo M. articolato in due motivi, cui la Regione Campania ha resistito con controricorso. Considerato che   1. con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione di norme di legge e dei contratti ed accordi collettivi nazionali di lavoro articolo 2697 c.c. articolo 3,38 Cost. e articolo 117 Cost., comma 1 articolo 4, comma 1, direttiva 1999/70/CE articolo 12 preleggi articolo 112,113,115 c.p.c., articolo 132 c.p.c., numero 4, D.L. 28 maggio 1981, numero 244, articolo 1 bis, convertito con modificazioni nella L. numero 390 del 1981, nel testo sostituito dalla L. 28 febbraio 1986, numero 41, articolo 8 D.Lgs. 1 dicembre 1997, numero 468, articolo 8 articolo 1362 c.c. e segg. cc.nnumero ll. Regioni Enti Locali 14.9.2000 articolo 52, commi 2 e 3 5.10.2001 articolo 1 22.1.2004 articolo 29 9.5.2006 articolo 2 20.4.2008 articolo 6 31 luglio 2009 articolo 2 omesso esame circa un punto decisivo della controversia esposti i fatti ed indicate le norme rilevanti - di legge D.L. 28 maggio 1981, numero 244, articolo 1 bis e D.Lgs. numero 468 del 1997, articolo 8 e di contratto collettivo articolo 10 c.c.numero l. 9.5.2006 - assume che dalle stesse si ricaverebbe il principio di equiparazione del trattamento economico del lavoratore socialmente utile a quello del dipendente comparabile del soggetto utilizzatore e che erroneamente la Corte territoriale aveva assimilato il lavoro svolto in regime di plusorario al rapporto giuridico previdenziale intercorrente tra la pubblica amministrazione ed i lavoratori socialmente utili deduce altresì che la assegnazione a lavori socialmente utili rientrerebbe nella categoria dei rapporti di lavoro conclusi nell'ambito di un progetto specifico di formazione, inserimento e riqualificazione professionale pubblico, formazione con durata temporalmente definita secondo la legge quadro in materia di formazione professionale - L. 21 dicembre 1978, numero 845, articolo 7 - non più di quattro cicli, ciascuno di durata non superiore a 600 ore in particolare, per i lavori socialmente utili il D.Lgs. numero 468 del 1997, articolo 1, e, successivamente, il D.Lgs. numero 81 del 2000, articolo 4, prevedevano la durata del progetto, che determinava la durata della formazione professionale il rinnovo avrebbe potuto avere durata massima di otto mesi L. numero 388 del 2000, articolo 78, comma 2 nei fatti si erano invece avute proroghe successive, fino alla stabilizzazione leggi numero 296/2006 e numero 244/2007 , senza tenere conto della compiuta formazione professionale in definitiva, pur se inserito in un progetto di lavoro socialmente utile, egli doveva essere considerato come dipendente a termine da ciò la applicazione del principio di non discriminazione di cui alla clausola 4 dell'accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE inoltre, l'articolo 52 c.c.numero l. 14.9.2000 poi articolo 10, comma 3, c.c.numero l. 9.5.2006 dopo avere previsto che la retribuzione oraria si ottiene dividendo la retribuzione mensile per 156, stabiliva che nel caso di orario di lavoro ridotto si procedeva al conseguentemente riproporzionamento del divisore, operazione da cui derivava il divisore 70 utilizzato nel conteggio 2. con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione di norme di legge articolo 112,113,115 c.p.c., articolo 132 c.p.c., numero 4 D.Lgs. 1 dicembre 1997, numero 468, articolo 8 omesso esame circa un punto decisivo della controversia espone che con il secondo motivo di appello aveva dedotto che l'importo integrativo liquidato dalla Regione era inadeguato pur a voler considerare il solo livello retributivo iniziale ed utilizzare il divisore 156 censura la sentenza impugnata per avere ritenuto sussistente, in subiecta materia, l'onere processuale di specificazione degli errori di calcolo in quanto la quantificazione del trattamento economico l.s.u. è stabilita direttamente dalla legge così che non può trovare applicazione il principio di specificazione su pretesi errori di calcolo 3. il ricorso è inammissibile 4. si osserva innanzitutto che il giudice d'appello ha deciso la controversia in conformità all'orientamento consolidato di questa Corte Cass. 7 novembre 2018, numero 28481 Cass. 25 febbraio 2020, numero 5045 Cass. 3 marzo 2020, numero 5896, Cass. 13 aprile 2022, nnumero 12048 e 12050 ai cui principi si intende assicurare in questa sede continuità non prospettando il ricorso argomenti che possano indurre a rimeditare gli stessi 5. secondo la costante giurisprudenza di legittimità l'occupazione temporanea in lavori socialmente utili non integra un rapporto di lavoro subordinato, in quanto, ai sensi del D.Lgs. numero 468 del 1997, articolo 8 - poi riprodotto dal D.Lgs. 28 febbraio 2000, numero 81, articolo 4 - l'utilizzazione di tali lavoratori non determina l'instaurazione di un rapporto di lavoro ma realizza un rapporto speciale che coinvolge più soggetti oltre al lavoratore, l'amministrazione pubblica beneficiaria della prestazione e l'ente previdenziale erogatore dell'assegno o di altro trattamento previdenziale di matrice assistenziale e con una finalità formativa diretta alla riqualificazione del personale per una possibile ricollocazione Cass. numero 2887 del 2008, numero 2605 del 2013, numero 22287 del 2014, numero 6155/2018 tale disciplina regola l'ipotesi, riconducibile al particolare istituto contemplato dal legislatore per sopperire allo stato di disoccupazione del lavoratore, di conformità della prestazione di lavoro al progetto soltanto nel caso in cui la prestazione resa presenti di fatto una radicale difformità dal progetto il rapporto intercorso come subordinato resta regolato dall'articolo 2126 c.c. cfr. Cass. numero 6914 del 2015, nnumero 22287 e 21311 del 2014, numero 11248 del 2012 e numero 10759 del 2009 Cass. numero 15071 del 2015 e da Cass. nnumero 13472 e 13596 del 2016 più recentemente, Cass. nnumero 17101, 17012 e 17014 del 2017, Cass. numero 20986 del 2017 poiché nella fattispecie di causa non è in discussione che la prestazione si sia svolta in conformità al progetto, correttamente la Corte territoriale ha applicato la disciplina di cui al D.Lgs. numero 468 del 1997, articolo 8, commi 2 e 3, alla cui stregua l'importo integrativo corrisponde ad una retribuzione oraria determinata applicando il divisore previsto dal contratto collettivo del soggetto utilizzatore - nella specie 156 - alla retribuzione - base del livello di inquadramento del dipendente comparabile le censure muovono dall'erroneo presupposto della compatibilità della determinazione del trattamento retributivo degli l.s.u. con quello del lavoro subordinato a termine , mentre tale compatibilità e', come detto, esclusa per legge e non sussiste, nello specifico, la radicale difformità della prestazione rispetto al progetto 6. inammissibile e', poi, la denuncia dell'omesso esame circa un punto decisivo della controversia in quanto non corrisponde al paradigma di cui al novellato articolo 360 c.p.c., numero 5, ratione temporis applicabile, come interpretato da Cass., Sez. Unumero , numero 8053/2014 non costituiscono fatti , il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex articolo 360 c.p.c., numero 5 le argomentazioni o deduzioni difensive Cass. 14 giugno 2017, numero 14802 Cass. 8 ottobre 2014, numero 21152 , gli elementi istruttori, una moltitudine di fatti e circostanze, o il vario insieme dei materiali di causa Cass., 21 ottobre 2015, numero 21439 7. del pari inammissibile è il rilievo di cui al secondo motivo poiché il ricorrente neppure in questa sede dà conto, con la specificità richiesta dall'articolo 366 c.p.c., numero 6, di avere posto con il ricorso introduttivo la questione di fatto del mancato adeguamento dell'importo integrativo per le ore eccedenti le 20 settimanali non risultando non solo trascritti i conteggi asseritamente prodotti in uno con il ricorso introduttivo ma neppure riportate le allegazioni concernenti sia l'esubero orario sia le giornate di effettiva presenza. 8. non risulta, poi, adeguatamente censurato l'accertamento della novità della relativa domanda 9. la regolamentazione delle spese segue la soccombenza 10. occorre dare atto, ai fini e per gli effetti indicati da Cass., S.U., numero 4315/2020, della sussistenza delle condizioni processuali richieste dal D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater. P.Q.M. La Corte dichiara il ricorso inammissibile condanna il ricorrente al pagamento, in favore della Regione Campania, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 2.000,00 per compensi professionali oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%. Ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. articolo 13, comma 1 bis, se dovuto.