La Supr. Corte affronta una questione di sistema processuale in tema di incapacità a testimoniare sancita dall’articolo 246 c.p.c. Un teste può essere fondamentale per il possibile successo di una controversia, ma essere ritenuto incapace a testimoniare e, pur assunta la prova, ritenuta inutilizzabile. Le Sez. Un. mettono in risalto la rilevanza della questione lungo tutto il processo dal sollevare l’eccezione di incapacità, per poi passare all’eccezione di nullità della testimonianza comunque assunta fino alla precisazione delle conclusioni, il tutto legato da un unico filo conduttore indissolubile processuale.
Il caso trae origine da una causa di risarcimento danni in conseguenza di un sinistro stradale, causato da un veicolo rimasto sconosciuto. Dei due testi della parte danneggiata l'uno era stato ritenuto inattendibile, l'altro incapace di testimoniare. I Giudici di merito avevano respinte le domande risarcitorie per mancanza di prova, giudicando inattendibili le dichiarazioni rese dal teste Primo, ed inutilizzabili quelle della teste Seconda, terza trasportata, la cui testimonianza era stata assunta nonostante l'eccezione di incapacità formulata dalla società convenuta, poiché incapace a testimoniare ai sensi dell'articolo 246 c.p.c. La questione può essere così articolata l'erroneità della affermata incapacità della teste Seconda, pone la questione della sorte dell'eccezione di incapacità a testimoniare, ai sensi dell'articolo 246 c.p.c., quando la parte, che l'abbia tempestivamente sollevata, ometta poi, di formulare l'eccezione di nullità della testimonianza una volta che essa sia stata ammessa ed assunta, ai sensi dell'articolo 157, comma 2, c.p.c. la nullità della testimonianza resa da persona incapace, in quanto titolare di un interesse idoneo a legittimare la sua partecipazione al giudizio, deve essere eccepita subito dopo l'espletamento della prova, ai sensi dell'articolo 157, comma 2, c.p.c., o al più nell'udienza successiva quando il difensore della parte interessata non sia stato presente all'assunzione del mezzo istruttorio, con conseguente sanatoria mancanza dell'eccezione principio affermato da Cass. 4 agosto 1990, numero 7869, ed implicitamente da Cass. 10 febbraio 1987, numero 1425, per poi consolidarsi nella giurisprudenza successiva , sulla base di due argomenti la decadenza dall'eccezione di nullità della testimonianza assunta in mancanza della proposizione del reclamo ex articolo 178 c.p.c., comma 2, avverso l'ordinanza del giudice istruttore che, ammettendo il teste, aveva implicitamente rigettato l'eccezione di incapacità questa argomentazione è stata normativamente superata dall'altro lato, sulla considerazione che l'eccezione preventiva di incapacità a testimoniare ex articolo 246 c.p.c. non era idonea a fungere anche da eccezione di nullità della testimonianza ammessa ed assunta, attesa la diversa natura e funzione delle due eccezioni. la testimonianza resa da incapace viene considerata come affetta da nullità relativa dalla giurisprudenza e dottrina maggioritaria, pur essendoci una tesi dottrinale minoritaria secondo cui le deposizioni assunte in violazione del divieto di cui all'articolo 246 c.p.c. non sono nulle ma inefficaci, così da non poter essere utilizzate dal giudice ai fini della decisione «l'incapacità del testimone … è disciplinata da una norma specifica in materia di prova testimoniale … che, come tale, è una norma sul procedimento civile e, dunque, disciplinatrice della forma del relativo atto processuale ai sensi dell'articolo 156 c.p.c. L'affidamento all'eccezione di parte della prospettazione dell'incapacità e, dunque, della deduzione della violazione della norma del procedimento, si risolve nella qualificazione di essa come eccezione di nullità ai sensi del citato articolo 157 c.p.c., comma 1» Cass. civ., sez. III, 6.5.2020, numero 8528 alcune sentenze che si sarebbero discostate dall'indirizzo maggioritario, così da presupporre una qualificazione del vizio in termini diversi dalla nullità, non facendosi cenno a preclusioni derivanti dal mancato rispetto dell'articolo 157 c.p.c., comma 2 nell'ordinanza interlocutoria si richiamano Cass. 25 febbraio 1989, numero 1042 Cass. 15 giugno 1999, numero 5925 Cass. 7 febbraio 2000, numero 1840 Cass. 24 novembre 2004, numero 22146 . Da qui la questione di verificare l'attualità e l'effettiva portata del principio secondo cui l'incapacità a testimoniare, prevista dall'articolo 246 c.p.c., determina la nullità della deposizione e non può essere rilevata d'ufficio, ma deve essere eccepita dalla parte interessata a farla valere al momento dell'espletamento della prova o nella prima difesa successiva, restando altrimenti sanata ai sensi dell'articolo 157 c.p.c., comma 2, senza che la preventiva eccezione di incapacità a testimoniare possa ritenersi comprensiva dell'eccezione di nullità della testimonianza comunque ammessa ed assunta nonostante l'opposizione. Le Sez. Unumero osservano, in estrema sintesi, che l'articolo 246 c.p.c., secondo cui non possono essere assunte come testimoni le persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio, viene tradizionalmente considerato espressione del principio nemo testis in causa propria, principio di origine romanistica esso afferma l'incompatibilità della posizione processuale di parte con quella di testimone, in forza di una valutazione compiuta a priori, poiché la confusione tra i due ruoli inficia la credibilità del teste, perché privo della condizione di terzietà che ne caratterizza, o meglio ne caratterizzerebbe, la figura. In generale, l'incapacità a deporre prevista dall'art 246 si verifica solo quando il teste è titolare di un interesse personale, attuale e concreto, che lo coinvolga nel rapporto controverso, alla stregua dell'interesse ad agire di cui all'articolo 100, tale da legittimarlo a partecipare al giudizio in cui è richiesta la sua testimonianza, con riferimento alla materia in discussione, non avendo, invece, rilevanza l'interesse di fatto a un determinato esito del processo - salva la considerazione che di ciò il giudice è tenuto a fare nella valutazione dell'attendibilità del teste - né un interesse, riferito ad azioni ipotetiche, diverse da quelle oggetto della causa in atto, proponibili dal teste medesimo o contro di lui, a meno che il loro collegamento con la materia del contendere non determini già concretamente un titolo di legittimazione alla partecipazione al giudizio Cass. civ., sez. II, 05/01/2018, numero 167 . Così, nei giudizi sulla responsabilità civile derivante da circolazione stradale, il terzo trasportato è incapace a deporre, ai sensi dell'art 246, quando abbia riportato danni in conseguenza del sinistro Cass. civ., sez. VI, 17/07/2019, numero 1912 . è anche vero, però, che il nostro sistema processuale conosce casi nei quali le dichiarazioni della parte possono assumere rilievo istruttorio l'interrogatorio formale, l'interrogatorio libero, la confessione del litisconsorte necessario ex articolo 2733, comma 3°, c.c. . così la Supr. Corte ha difficoltà a giustificare la scelta normativa dell'articolo 246 c.p.c sull'incapacità a testimoniare per le persone che hanno un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al processo, laddove le dichiarazioni delle parti stesse possono, sia pure nelle limitate ipotesi viste, trovare ingresso nel processo. Da qui la comparazione storica col codice previgente e con altri sistemi giuridici europei che non conoscono una norma come l'articolo 246 c.p.c. la norma «limita sostanzialmente, fino talvolta ad eliminarla, la possibilità di dimostrare i fatti addotti a sostegno della domanda o delle eccezioni e quindi di agire in giudizio per la tutela del proprio diritto», con profondi dubbi di legittimità costituzionale. Tali dubbi, però, sono già stati fugati dalla Corte Costituzionale. Infatti, è manifestamente inammissibile, in riferimento agli articolo 3,24,111 e 117 cost., la q.l.c. dell'articolo 246 c.p.c., nella parte in cui non consente di assumere come testimoni persone già presenti nel processo come parti pur essendo consentito alla parte di essere fonte di convinzione del giudice attraverso determinati strumenti - ad esempio l'interrogatorio libero - nel sistema del processo civile è ineludibile l'antitesi fra la posizione del teste e quella della parte processuale soltanto in capo al primo è previsto sia l'obbligo, sotto comminatoria della sanzione penale, di dire la verità, che quello stesso, presidiato a sua volta da sanzione pecuniaria ai sensi dell'articolo 255 c.p.c., di rendere testimonianza Corte Cost., 08/05/2009, numero 1439 . pertanto, dato questo quadro, la giurisprudenza ha assunto un'interpretazione ampia ed omnicomprensiva della norma, riferibile a tutte le categorie di intervento, senza distinguere tra intervento volontario e intervento su istanza di parte. sulla rilevabilità dell'eccezione di incapacità a testimoniare ad istanza di parte o anche d'ufficio, l'orientamento giurisprudenziale è granitico nel ritenere che l'eccezione ex articolo 246 c.p.c. può essere sollevata solo ad istanza di parte. Le Sez. Unumero precisano che l'indubbia rilevabilità della nullità su eccezione di parte e non di ufficio, deve seguire una precisa sequenza. Prima di esaminare questa sequenza processuale, la Supr. Corte osserva che i limiti soggettivi e oggettivi all'ammissibilità della prova testimoniale sono, di regola, posti nell'interesse delle parti e non di un interesse di ordine pubblico generale processuale, che legittimerebbe la rilevabilità d'ufficio. Sul punto le Sez. Unumero espressamente escludo l'ingenua contrapposizione tra testimonianza del c.d. terzo estraneo volto ad apportare al processo un oggettivo e schietto reportage della pura verità materiale e il teste portatore di un interesse che ne legittimerebbe l'intervento in causa. Diversamente dal rito del lavoro, connotato a poteri officio istruttori articolo 421 c.p.c. , di regola nel rito ordinario vige il principio dispositivo. Un'eccezione, ad esempio, è data dall'inammissibilità della testimonianza diretta a dimostrare la conclusione di un contratto per il quale la legge richieda la forma scritta ad substantiam è rilevabile d'ufficio, ma perchè solo in tale ipotesi la norma risponde ad un interesse di rilievo pubblicistico. I limiti oggettivi di ammissibilità della prova testimoniale, dunque, sono dettati da norme di carattere dispositivo e, proprio perché posti nell'interesse delle parti, sono altresì da queste derogabili, anche alla stregua di un accordo implicito desumibile dalla mancata opposizione la violazione delle formalità stabilite per l'ammissione della prova testimoniale, poichè ritenuta lesiva soltanto di interessi individuali delle parti, rimane affidata al meccanismo dell'articolo 157, comma 2, c.p.c. In continuità con questo indirizzo, la stessa regola affermata per i limiti oggettivi di ammissibilità della prova testimoniale vale altrettanto per quelli soggettivi fissati dall'articolo 246 c.p.c. Interessante è, poi, esaminare le tre cadenze processuali evidenziate dalle Sez. Unumero Parte I l'eccezione di incapacità a testimoniare. Così si giunge alle modalità di formulazione dell'eccezione di incapacità a testimoniare essa va formulata in vista dell'assunzione, il che non esime l'interessato dal proporre l'eccezione di nullità della testimonianza, ove assunta nonostante l'eccezione di incapacità, successivamente al suo espletamento, nonché in sede di precisazione delle conclusioni. Già in passato le Sezioni Unite Cass., Sez. Unumero , 23 settembre 2013, numero 21670 avevano chiarito che la nullità di una testimonianza resa da persona incapace ai sensi dell'articolo 246 c.p.c., essendo posta a tutela dell'interesse delle parti, è configurabile come una nullità relativa e, in quanto tale, deve essere eccepita subito dopo l'espletamento della prova, rimanendo altrimenti sanata ai sensi dell'articolo 157, comma 2, c.p.c. qualora detta eccezione venga respinta, la parte interessata ha l'onere di riproporla in sede di precisazione delle conclusioni e nei successivi atti di impugnazione, dovendosi la medesima, in caso contrario, ritenere rinunciata, con conseguente sanatoria della nullità stessa per acquiescenza, rilevabile d'ufficio dal giudice in ogni stato e grado del processo. L'eccezione di incapacità a testimoniare va formulata prima dell'ammissione della prova testimoniale, per l'ovvia ragione che non può essere rilevata d'ufficio, come visto. Né, l'eccezione di nullità potrebbe essere sollevata soltanto ex post, dopo l'assunzione, ma non preceduta dalla preventiva eccezione di incapacità tale condotta si scontra con il precetto dell'ultimo comma dell'articolo 157 c.p.c., secondo cui la nullità non può essere opposta dalla parte che vi ha dato causa, né da quella che vi ha rinunciato anche tacitamente. Dunque è necessaria la preventiva eccezione di incapacità anche perché, banalmente, si consentirebbe alla parte di valutare la convenienza della deposizione e decidere se sollevare l'eccezione di nullità se sfavorevole . Parte II la prova assunta e l'eccezione di nullità. E però, il giudice potrebbe ammettere egualmente la prova pur in presenza dell'eccezione di incapacità a testimoniare. La prova così assunta è nulla. Invero, sulla natura del vizio non vi è univocità di opinioni, ma la Sez. Unumero “tirano dritto”. L'incapacità a testimoniare è disciplinata da una norma specifica in materia di prova testimoniale articolo 246 c.p.c. che, come tale, è una norma sul procedimento civile e, dunque, disciplinatrice della forma del relativo atto processuale ai sensi dell'articolo 156 c.p.c. L'affidamento all'eccezione di parte della prospettazione dell'incapacità e, dunque, della deduzione della violazione della norma del procedimento, si risolve nella qualificazione di essa come eccezione di nullità ai sensi del citato articolo 157, comma 1, c.p.c. Quale ipotesi di nullità a carattere relativo, questa va fatta valere nel rispetto della previsione dell'articolo 157, secondo comma, c.p.c., e cioè «nella prima istanza o difesa successiva all'atto o alla notizia di esso», o, più precisamente, subito dopo l'escussione del teste ovvero, in caso di assenza del difensore della parte alla relativa udienza, nella prima udienza successi, altrimenti la nullità va ritenuta sanata. In questa fase, l'eccezione di nullità, a differenza dell'eccezione di incapacità sopra vista, risponde ad un'esigenza di ordine pubblico processuale celerità del processo . Parte III la coltivazione dell'eccezione di nullità. L'eccezione di nullità va attentamente coltivata in sede di precisazione delle conclusioni. È principio pacifico che in questa sede la parte ha l'onere di reiterare in modo specifico le istanze istruttorie già rigettate, senza limitarsi ad un richiamo generico agli atti difensivi, pena l'implicito abbandono e l'impossibilità di riproporle, anche nei successivi gradi di giudizio. Le Sez. Unumero valorizzano l'udienza di precisazione delle conclusioni, quale momento centrale e fondamentale del processo, proprio per definire le ultime domande ed eccezioni davanti al giudice e alla controparte l'uno deve individuare le questioni su cui dovrà pronunziarsi, l'altra le questioni sulle quali dovrà difendersi. Dunque, l'eccezione di nullità per incapacità a testimoniare va espressamente riproposta in sede di precisazione delle conclusioni, altrimenti ritenendosi rinunziata. Un'ultima nota sul ruolo dell'avvocato. Le Sez. Unumero , nel richiamare l'attenzione sull'importanza dell'udienza di p.c., quale momento processuale di alto valore formale, ma anche di implicazioni di sostanza esigenze di chiarezza, di puntualità, di certezza ,”scivola” nella considerazione che nella realtà questa udienza richiede “l'intervento di un difensore che conosca la causa, e non, come sovente accade nella pratica, di un ignaro sostituto che voglia adempiere al proprio compito di sostituzione con il riportarsi sciattamente a tutto quanto dianzi dedotto e prodotto …”. Per quanto l'osservazione sulla necessità dell'intervento di un difensore che conosca gli atti di causa sia del tutto condivisibile ed effettivamente svolga la funzione di porre l'accento sulla rilevata centralità e importanza dell'udienza di p.c., ciò non di meno si tratta di affermazione ingenerosa. Soprattutto, non costituisce una motivazione giuridicamente apprezzabile e necessaria l'impianto argomentativo si regge perfettamente senza la necessità di tale osservazione . Al contrario, rischia di aprire facili e sterili discussioni, in generale, sui comportamenti di tutti gli attori del processo, non solo degli avvocati. Ad ogni modo, oltre alle questioni giuridiche, sarà interessante verificare se l'Avvocatura accetterà supinamente che la Supr. Corte si sia espressa in questi termini. Concludendo, riprendendo le tre cadenze processuali, nell'interesse della legge, ai sensi dell'articolo 363 c.p.c., le Sezioni Unite hanno affermato i seguenti principi di diritto «L'incapacità a testimoniare disciplinata dall'articolo 246 c.p.c. non è rilevabile d'ufficio, sicché, ove la parte non formuli l'eccezione di incapacità a testimoniare prima dell'ammissione del mezzo, detta eccezione rimane definitivamente preclusa, senza che possa poi proporsi, ove il mezzo sia ammesso ed assunto, eccezione di nullità della prova». «Ove la parte abbia formulato l'eccezione di incapacità a testimoniare, e ciò nondimeno il giudice abbia ammesso il mezzo ed abbia dato corso alla sua assunzione, la testimonianza così assunta è affetta da nullità, che, ai sensi dell'articolo 157 c.p.c., l'interessato ha l'onere di eccepire subito dopo l'escussione del teste ovvero, in caso di assenza del difensore della parte alla relativa udienza, nella prima udienza successiva, determinandosi altrimenti la sanatoria della nullità». «La parte che ha tempestivamente formulato l'eccezione di nullità della testimonianza resa da un teste che si assume essere incapace a testimoniare, deve poi dolersene in modo preciso e puntuale anche in sede di precisazione delle conclusioni, dovendosi altrimenti ritenere l'eccezione rinunciata, così da non potere essere riproposta in sede d'impugnazione».
Presidente Spirito – Relatore Di Marzio Fatti di causa 1. - G.G., G.M.G., GR.GI., G.V. e B.M., in proprio e quali eredi di G.A., hanno convenuto in giudizio, dinanzi al Tribunale di Catania, Omissis S.p.A., oggi Unipol-Sai Assicurazioni S.p.A., quale impresa designata per il Fondo di garanzia per le vittime della strada, chiedendone condanna al risarcimento del danno subito in conseguenza di un sinistro stradale in cui aveva perso la vita il loro congiunto. 2. - Secondo la prospettazione degli attori, il ciclomotore condotto da G.A., e con a bordo quale trasportata S.L., era stato tamponato da un'autovettura rimasta sconosciuta, sicché il primo era deceduto e la trasportata aveva riportato gravi lesioni. 3. - Sono intervenuti in giudizio S.O., madre del defunto, anche in qualità di genitore esercente la responsabilità sul figlio minore G.S., nonché D.B.M.C., reclamando il risarcimento dei danni subiti in conseguenza del decesso del G.A 4. - L'assicuratore ha resistito alle domande. 5. - Il Tribunale adito le ha respinte per mancanza di prova, giudicando inattendibili le dichiarazioni rese dal teste S.G., ed inutilizzabili quelle della teste S.L., terza trasportata, la cui testimonianza era stata assunta nonostante l'eccezione di incapacità formulata dalla società convenuta, poiché incapace a testimoniare ai sensi dell'articolo 246 c.p.c 6. - La Corte d'appello di Catania ha confermato la decisione con sentenza del 19 marzo 2019, osservando - il teste S. non era attendibile, ed in ogni caso le sue dichiarazioni rendevano inverosimile la dinamica del sinistro riferita dagli attori - S.L., terza trasportata, era incapace a testimoniare, seppure integralmente risarcita dall'istituto assicuratore. 7. - Per la cassazione della sentenza S.O., in proprio e nella qualità, ha proposto ricorso per tre mezzi. 8. - Unipol-Sai Assicurazioni S.p.A. ha resistito con controricorso 9. - Non hanno spiegato difese gli altri intimati. 10. - Con ordinanza del 9 giugno 2022, numero 18601, la terza sezione ha disposto la trasmissione degli atti al Primo Presidente per l'assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite, ed il Primo Presidente ha provveduto in conformità. 11. - Sono state depositate memorie. 12. - Il Procuratore Generale ha concluso per l'accoglimento del primo motivo di ricorso. 13. - G.S. si è costituito in proprio, essendo medio tempore divenuto maggiorenne. Ragioni della decisione 14. - Il ricorso contiene tre motivi. 14.1. - Il primo mezzo, che si protrae da pagina 6 a pagina 19 del ricorso, denuncia violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli articolo 112, 115, 116,157 e 246 c.p.c., ex articolo 360, numero 3, c.p.c., perché il giudice di secondo grado ha errato nel condividere la statuizione del primo giudice in ordine alla non attendibilità della disposizione resa dal teste S., valutando come non verosimile il fatto che egli non ricordasse dove era diretto quella mattina, e nel condividere la statuizione del primo giudice in ordine all'incapacità a testimoniare della terza trasportata sig.ra S.L., sebbene ritualmente ammessa in fase di istruttoria, ritenendola inutilizzabile ai fini della decisione . 14.2. - Il secondo mezzo, da pagina 19 a pagina 22 del ricorso, denuncia violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all'articolo 2697 c.c., ex articolo 360, numero 3, c.p.c., per non aver concesso la possibilità di dimostrare la dinamica del sinistro tramite CTU tecnica, che pure era stata richiesta tempestivamente nell'atto di intervento nel giudizio di primo grado e ribadita nel corso di entrambi i giudizi di primo grado e di appello . 14.3. - Il terzo mezzo denuncia nullità della sentenza o del procedimento in relazione agli articolo 112 e 132 c.p.c., ex articolo 360, numero 4, c.p.c., per avere omesso la Corte territoriale di pronunciarsi in ordine alla richiesta di CTU tecnica, essendo tenuta a motivare sia in ordine all'ammissione della consulenza che al diniego della stessa. 15. - L'ordinanza interlocutoria con cui il ricorso è stato trasmesso al primo presidente, per l'assegnazione alle sezioni unite, ha ritenuto - che il primo mezzo, nella parte volta a denunciare l'erroneità della affermata incapacità della teste S.L., ponesse la questione della sorte dell'eccezione di incapacità a testimoniare, ai sensi dell'articolo 246 c.p.c., quando la parte, che l'abbia tempestivamente sollevata, ometta poi, di formulare l'eccezione di nullità della testimonianza una volta che essa sia stata ammessa ed assunta, ai sensi dell'articolo 157, comma 2, c.p.c. - che il principio invocato dalla ricorrente, secondo cui la nullità della testimonianza resa da persona incapace, in quanto titolare di un interesse idoneo a legittimare la sua partecipazione al giudizio, deve essere eccepita subito dopo l'espletamento della prova, ai sensi dell'articolo 157, comma 2, c.p.c., o al più nell'udienza successiva quando il difensore della parte interessata non sia stato presente all'assunzione del mezzo istruttorio, con conseguente sanatoria mancanza dell'eccezione, sarebbe stato affermato per la prima volta da Cass. 4 agosto 1990, numero 7869, ed implicitamente da Cass. 10 febbraio 1987, numero 1425, per poi consolidarsi nella giurisprudenza successiva - che la citata Cass. 4 agosto 1990, numero 7869, avrebbe fatto leva su due argomenti, da un lato la decadenza dall'eccezione di nullità della testimonianza assunta in mancanza della proposizione del reclamo ex articolo 178 c.p.c., comma 2, avverso l'ordinanza del giudice istruttore che, ammettendo il teste, aveva implicitamente rigettato l'eccezione di incapacità dall'altro lato, sulla considerazione che l'eccezione preventiva di incapacità a testimoniare ex articolo 246 c.p.c. non era idonea a fungere anche da eccezione di nullità della testimonianza ammessa ed assunta, attesa la diversa natura e funzione delle due eccezioni - che la prima di dette argomentazioni era normativamente superata, oltreché in sé incoerente, e che, pur essendo la testimonianza resa da incapace considerata come affetta da nullità relativa dalla giurisprudenza e dottrina maggioritaria, vi sarebbe una tesi dottrinale minoritaria secondo cui le deposizioni assunte in violazione del divieto di cui all'articolo 246 c.p.c. non sono nulle ma inefficaci, così da non poter essere utilizzate dal giudice ai fini della decisione - che tra le numerose pronunce che affermano la nullità relativa della testimonianza dell'incapace a testimoniare, la questione sarebbe stata affrontata ex professo solo da Cass. 6 maggio 2020, numero 8528, secondo cui l'incapacità del testimone . è disciplinata da una norma specifica in materia di prova testimoniale . che, come tale, è una norma sul procedimento civile e, dunque, disciplinatrice della forma del relativo atto processuale ai sensi dell'articolo 156 c.p.c L'affidamento all'eccezione di parte della prospettazione dell'incapacità e, dunque, della deduzione della violazione della norma del procedimento, si risolve nella qualificazione di essa come eccezione di nullità ai sensi del citato articolo 157 c.p.c., comma 1 - che alcune sentenze che si sarebbero discostate dall'indirizzo maggioritario, così da presupporre una qualificazione del vizio in termini diversi dalla nullità, non facendosi cenno a preclusioni derivanti dal mancato rispetto dell'articolo 157 c.p.c., comma 2 nell'ordinanza interlocutoria si richiamano Cass. 25 febbraio 1989, numero 1042 Cass. 15 giugno 1999, numero 5925 Cass. 7 febbraio 2000, numero 1840 Cass. 24 novembre 2004, numero 22146 - che, in conclusione, la rilevata difformità tra i precedenti menzionati e l'indirizzo interpretativo maggioritario, richiederebbe di valutare l'attualità e l'effettiva portata del principio secondo cui l'incapacità a testimoniare, prevista dall'articolo 246 c.p.c., determina la nullità della deposizione e non può essere rilevata d'ufficio, ma deve essere eccepita dalla parte interessata a farla valere al momento dell'espletamento della prova o nella prima difesa successiva, restando altrimenti sanata ai sensi dell'articolo 157 c.p.c., comma 2, senza che la preventiva eccezione di incapacità a testimoniare possa ritenersi comprensiva dell'eccezione di nullità della testimonianza comunque ammessa ed assunta nonostante l'opposizione. 16. - Sul tema occorre osservare quanto segue. 16.1. - L'articolo 246 c.p.c., secondo cui non possono essere assunte come testimoni le persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio, viene tradizionalmente considerato espressione del principio nemo testis in causa propria, principio di origine romanistica, sebbene di non facile attribuzione, che nella variante nullus idoneus testis in re sua intelligitur si rinviene in D.22.V.10 esso sta ad affermare l'incompatibilità della posizione processuale di parte con quella di testimone, in forza di una valutazione compiuta a priori, la quale si risolve in ciò, che una confusione tra i due ruoli inficia, o meglio inficerebbe, almeno secondo il criterio dell'id quod plerumque accidit, la credibilità del teste, perché privo della condizione di terzietà che ne caratterizza, o meglio ne caratterizzerebbe, la figura. 16.2. - Il condizionale è difatti d'obbligo, ove si consideri che la conoscenza che la parte ha dei fatti di causa ben può assumere rilievo a fini probatori, e dunque concorrere alla formazione del materiale istruttorio che il giudice utilizzerà per la decisione, non solo attraverso l'assunzione di mezzi poi sottratti al principio del libero convincimento, quale l'interrogatorio formale che conduce alla confessione tale da fare piena prova , secondo la previsione dell'articolo 2733, comma 2, c.p.c., ma anche di mezzi sottoposti, allo stesso modo delle testimonianze vere e proprie, al prudente apprezzamento, come nel caso dell'interrogatorio libero, di cui all'articolo 117 c.p.c., o della confessione resa dal litisconsorte necessario, ai sensi dell'articolo 2733, comma 3, c.p.c E ciò rende arduo intendere perché possa fare ingresso nel processo il sapere dei testi intorno ai fatti di causa attraverso la testimonianza, vi possa fare ingresso il sapere delle parti attraverso gli interrogatori, ed il sapere delle persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio sia di default bandito dall'ambito del materiale probatorio acquisibile al giudizio e confinato in una sorta di terra di nessuno in cui la conoscenza che pure taluno ha dei fatti non può assurgere a fonte del convincimento del giudice. 16.3. - D'altronde, che una norma quale l'articolo 246 c.p.c. non fosse necessitata, né coessenziale all'impianto che regge il processo civile, è reso manifesto da un duplice rilievo - da un lato che una analoga disposizione non era contenuta nel codice del 1865, il quale, mentre vietava l'assunzione della veste di testimone a parenti ed affini in linea retta, oltre che al coniuge della parte, attribuiva ad essa articolo 236 il diritto di proporre i motivi che possono rendere sospetta la deposizione dei testimoni articolo 237 , senza cioè escludere ex ante i potenziali interessati dal numero dei testi possibili - dall'altro che previsioni analoghe a quella dettata dall'articolo 246 c.p.c. non sono note ai principali ordinamenti continentali non a quelli tedesco ed austriaco, che ammettono la testimonianza della parte p.p. 445-484 della ZPO tedesca, Beweis durch Parteivernehmung , p.p. 371-383 della ZPO austriaca, Beweis durch Vernehmung der Parteien non a quello francese che contempla la comparution personnelle des parties, la quale consente al giudice di trarre ogni conseguenza giuridica dalle dichiarazioni delle parti, dall'assenza o dal rifiuto di rispondere di una, attribuendo a ciò il valore di principio di prova scritta non a quello spagnolo che consente alle parti - diremmo - di allegare a sospetto il teste che abbia un intere's directo o indirecto en el asunto de que se trate articolo 377 della LEC è poi superfluo rammentare che la testimonianza della parte è ammessa nel common law. 16.4. - Ben si comprende, allora, come larga parte della dottrina abbia manifestato forti riserve sull'opportunità della scelta normativa rappresentata dall'articolo 246 c.p.c. riserve sintetizzabili come si accennava in ciò, che - per dirla con le parole contenute nell'ordinanza di rimessione che condusse a Corte Cost. 23 luglio 1974, numero 248, la quale espunse l'articolo 247 e salvò l'articolo 246 c.p.c. - la norma limita sostanzialmente, fino talvolta ad eliminarla, la possibilità di dimostrare i fatti addotti a sostegno della domanda o delle eccezioni e quindi di agire in giudizio per la tutela del proprio diritto . 16.5. - L'attacco alla disposizione ha seguito percorsi diversi. Alcuni hanno fatto leva sui profili di incostituzionalità della norma, laddove comprime il diritto di difendersi provando , ma l'orientamento si è tradotto in questioni di legittimità costituzionale che il giudice delle leggi ha man mano reiteratamente disatteso, da ultimo con Corte Cost. 8 maggio 2009, numero 143. Buona parte della dottrina ha provato a circoscrivere l'ambito di applicazione della norma sostenendo che l'incapacità a testimoniare colpirebbe soltanto coloro i quali sono legittimati a determinate forme di intervento in causa e non ad altre. Ma il tentativo, in fin dei conti, non ha avuto alcun successo. Movendo dalla distinzione tra parte in senso sostanziale ed in senso processuale, vi è stato chi ha sostenuto che potrebbe testimoniare l'interveniente adesivo dipendente, essendo egli estraneo al diritto in contesa. Ma altri dalla stessa premessa hanno tratto l'affermazione opposta, e cioè che sarebbe incapace proprio l'interveniente adesivo dipendente, in quanto privo di una autonoma azione e parte in senso sostanziale del rapporto controverso. Altri ancora hanno osservato che colui il quale sia in astratto legittimato a esercitare l'intervento adesivo dipendente, ma non lo abbia esercitato, manifesta in tal modo il proprio disinteresse per la vicenda, e così la propria non inattendibilità, tale perciò da far venir meno l'incapacità. A fronte dell'affermazione dell'incapacità a testimoniare dei soli legittimati all'intervento principale e litisconsortile, ancora, si è replicato che la soluzione non avrebbe una concreta base normativa, dal momento che gli articolo 246 e 105 c.p.c. utilizzano entrambi il termine interesse . Sicché si è infine ammesso che l'articolo 246 c.p.c., che non pone distinzioni, renda incapaci tutti coloro che siano legittimati ad intervenire nel giudizio in corso, ai sensi di entrambi i commi dell'articolo 105 c.p.c 16.6. - Si può dire, dinanzi all'ampio raggio di incertezze manifestate dalla dottrina, che alla giurisprudenza non rimanesse altra strada se non quella di un'interpretazione ampia ed onnicomprensiva del significato della norma, riferibile a tutte le categorie di intervento Cass. 23 ottobre 2002, numero 14963 Cass. 5 gennaio 1994, numero 32 Cass. 18 marzo 1989, numero 1369 Cass. 6 gennaio 1981, numero 47 Cass. 20 maggio 1977, numero 2083 , senza che possa distinguersi tra intervento volontario e intervento ad istanza di parte Cass. 23 ottobre 2002, numero 14963 Cass. 3 aprile 1998, numero 3432 . 16.7. - Sulla rilevabilità dell'eccezione di incapacità a testimoniare ad istanza di parte o anche d'ufficio, può dirsi invece che la dottrina manifesti un'opinione pressoché unanime secondo cui l'incapacità sarebbe suscettibile di rilievo officioso, opinione peraltro non agevolmente comprensibile laddove sostenuta anche da coloro i quali criticano nel fondo la norma, ed addirittura ne predicano la contrarietà a Costituzione, il che parrebbe consigliare semmai l'interpretazione opposta. 16.8. - Con riguardo alla giurisprudenza, è agevole richiamare l'orientamento granitico secondo cui l'eccezione ex articolo 246 c.p.c. può essere sollevata solo ad istanza di parte Cass. 31 gennaio 1956, numero 275 Cass. 14 luglio 1956, numero 2649 Cass. 14 marzo 1957, numero 866 Cass. 2 ottobre 1957, numero 3564 Cass. 17 ottobre 1957, numero 3905 Cass. 26 ottobre 1957, numero 4140 Cass. 9 dicembre 1957, numero 4621 Cass. 22 febbraio 1958, numero 587 Cass. 5 maggio 1958, numero 1472 Cass. 9 settembre 1958, numero 2989 Cass. 16 novembre 1960, numero 3061 Cass. 8 luglio 1961, numero 1638 Cass. 19 giugno 1961, numero 1441 Cass. 15 maggio 1962, numero 1034 Cass. 18 dicembre 1964, numero 2904 Cass. 5 febbraio 1968, numero 398 Cass. 5 settembre 1969, numero 3059 Cass. 24 marzo 1971, numero 817 Cass. 15 ottobre 1971, numero 2906 Cass. 10 ottobre 1972, numero 2976 Cass. 10 gennaio 1973, numero 61 Cass. 24 luglio 1974, numero 2222 Cass. 2 dicembre 1974, numero 3927 Cass. 14 dicembre 1976, numero 4637 Cass. 18 febbraio 1977, numero 738 Cass. 3 febbraio 1978, numero 494 Cass. 18 gennaio 1979, numero 375 Cass. 8 agosto 1979, numero 4625 Cass. 3 ottobre 1979, numero 5068 Cass. 6 dicembre 1980, numero 6349 Cass. 18 dicembre 1987, numero 9427 Cass. 4 agosto 1990, numero 7869 Cass. 17 dicembre 1996, numero 11253 Cass. 20 giugno 1997, numero 5534 Cass. 4 novembre 1997, numero 10781 Cass. 12 agosto 1998, numero 7938 Cass. 21 aprile 1999, numero 3962 Cass. 2 febbraio 2000, numero 1137 Cass. 18 gennaio 2002, numero 543 Cass. 1 luglio 2002, numero 9553 Cass. 27 ottobre 2003, numero 16116 Cass. 7 ottobre 2004, numero 15308 Cass. 12 gennaio 2006, numero 403 Cass. 3 aprile 2007, numero 8358 Cass. 25 settembre 2009, numero 20652 Cass., Sez. Unumero , 23 settembre 2013, numero 21670 Cass. 10 ottobre 2014, numero 21395 . Citazioni, quelle che precedono, effettuate senza pretesa di completezza. Questa Corte, cioè, non ha mai dubitato che l'incapacità a testimoniare debba essere eccepita dalla parte interessata, secondo la sequenza che più avanti si vedrà. 16.9. - La ragione su cui tale indirizzo poggia e', se si guarda alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, del tutto chiara. I limiti soggettivi ed oggettivi all'ammissibilità della prova testimoniale sono per lo più posti nell'interesse delle parti, non di un interesse che le trascende, del quale il giudice debba ergersi a solerte gendarme, ed il dato normativo non offre univoci elementi tali da dimostrare che il legislatore abbia affidato al giudice un simile compito di controllo, volto all'ottemperanza di un supposto ordine pubblico processuale che innervi nel suo complesso la materia della prova testimoniale semmai, anzi, il dato testuale è di segno contrario, ove si consideri che alla recisa prescrizione dettata dal poi dichiarato incostituzionale articolo 247 c.p.c., costruita in termini di fermo divieto, si contrappone la previsione dell'articolo 246 c.p.c., che mira piuttosto garantire un ben più blando requisito di plausibile attendibilità del teste. In una pragmatica considerazione di insieme, d'altronde, non sembra affatto che le posizioni del teste e del portatore di un interesse tale da legittimare la sua partecipazione al giudizio si collochino agli antipodi l'una dell'altra a meno di non credere ad una ingenua contrapposizione tra la testimonianza del c.d. terzo estraneo, dotata così di attitudine ad apportare al processo uno schietto ed oggettivo reportage della pura verità materiale dei fatti oggetto di causa, ed il teste portatore di un interesse che legittimerebbe la sua partecipazione al giudizio, per definizione inattendibile. Se è vero che il giudice non può non credere che possa davvero darsi una ricostruzione giudiziale della verità materiale dei fatti di causa, in una visione per così dire corrispondentista , quella, per usare la formula onusta di storia, dell'adequatio rei et intellectus e se è vero che, in un sistema costituzionale, come il nostro, ispirato ai principi delle democrazie occidentali, la ricerca della verità nell'ambito del processo civile è da tenere come valore imprescindibile, che deve informare di sé le regole del procedimento probatorio non è men vero che certo non è la prova testimoniale lo strumento principe pensato, presso di noi, per la ricostruzione di una simile verità oggettiva, nel qual caso non avrebbe alcun senso, per far solo un'osservazione elementare, la previsione del codice di rito della preventiva deduzione della prova testimoniale per articoli separati, articoli sui quale l'esperienza insegna che sovente i testi, pur terzi estranei, rispondono a domande sulle quali risultano alle volte anche fin troppo preparati. Sicché non è poi così bizzarro che le parti possano voler consentire a che sia escusso un teste altrimenti incapace. In definitiva, proprio perché l'impianto del processo civile non è improntato ad un assetto autoritario, è alle parti che spetta di scegliere, nei limiti in cui l'ordinamento lo prevede, i percorsi istruttori da seguire al fine della dimostrazione dei propri assunti, senza che possano ammettersi poteri officiosi del giudice, quanto al rilievo dell'incapacità a testimoniare, che non discendano dalla legge, sia pure per via di interpretazione sistematica, dal momento che la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato appunto dalla legge, e che l'esercizio di eventuali poteri officiosi deve rimanere collocato entro l'ambito del precetto costituzionale volto ad assicurare il contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. Il giudice - salvo che la legge non disponga diversamente, come ad esempio accade nel rito del lavoro, ove l'articolo 421 c.p.c. stabilisce che possa disporre d'ufficio in qualsiasi momento l'ammissione di ogni mezzo di prova, anche fuori dei limiti stabiliti dal codice civile, ma altrettanto potrebbe dirsi con riguardo al nuovo rito unitario di famiglia, che, se non altro in presenza di minori, riconosce poteri officiosi particolarmente dilatati, tali da far saltare lo stesso principio di corrispondenza tra chiesto e pronunziato - decide dunque, almeno di regola, sulla base del materiale probatorio che le parti gli hanno messo a disposizione. Il che vuol dire che esse ben possono scegliere di consentire alla assunzione di un teste incapace, dal momento che ciò non trova ostacolo in un'esigenza di ordine pubblico processuale altrimenti desumibile. 16.10. - In questa linea, nel campo dei limiti oggettivi alla prova testimoniale, è stato già affermato che solo l'inammissibilità della testimonianza diretta a dimostrare la conclusione di un contratto per il quale la legge richieda la forma scritta ad substantiam è rilevabile d'ufficio, giacché solo in tale ipotesi la norma risponde ad un interesse di rilievo pubblicistico - interesse noto, secondo l'opinione corrente richiamare l'attenzione dei contraenti sugli effetti dell'atto che stanno compiendo - che, mettendo fuori gioco la volontà delle parti, esiga un controllo officioso sull'ingresso di una prova tesa a confliggere con la previsione cogente dettata dall'ordinamento Cass., Sez. Unumero , 5 agosto 2020, numero 16723, ed in precedenza tra le altre Cass. 24 novembre 2015, numero 23934 Cass. 3 giugno 2015, numero 11479 Cass. 8 gennaio 2002, numero 144 Cass. 10 aprile 1990, numero 2988 Cass. 25 marzo 1987, numero 2902 . Al di fuori di tale ipotesi - hanno affermato le Sezioni Unite - i limiti oggettivi di ammissibilità della prova testimoniale sono dettati da norme di carattere dispositivo e, proprio perché posti nell'interesse delle parti, sono altresì da queste derogabili, anche alla stregua di un accordo implicito desumibile dalla mancata opposizione sicché la violazione delle formalità stabilite per l'ammissione della prova testimoniale, giacché ritenuta lesiva soltanto di interessi individuali delle parti, rimane affidata al meccanismo dell'articolo 157, comma 2, c.p.c In continuità con l'indirizzo così stabilito, occorre oggi aggiungere che la stessa regola affermata per i limiti oggettivi di ammissibilità della prova testimoniale vale altrettanto per quelli soggettivi fissati dall'articolo 246 c.p.c 17. - Quanto alle modalità di formulazione dell'eccezione di incapacità a testimoniare, questa Corte ha costantemente ribadito che essa va formulata in vista dell'assunzione, il che non esime l'interessato dal proporre l'eccezione di nullità della testimonianza, ove assunta nonostante l'eccezione di incapacità, successivamente al suo espletamento, nonché in sede di precisazione delle conclusioni. Queste Sezioni Unite Cass., Sez. Unumero , 23 settembre 2013, numero 21670 hanno difatti già chiarito - sia pur sinteticamente, trattandosi di affermazione ripetitiva su questione della quale non erano investite né come contrasto, né come questione di massima di particolare importanza - che la nullità di una testimonianza resa da persona incapace ai sensi dell'articolo 246 c.p.c., essendo posta a tutela dell'interesse delle parti, è configurabile come una nullità relativa e, in quanto tale, deve essere eccepita subito dopo l'espletamento della prova, rimanendo altrimenti sanata ai sensi dell'articolo 157, comma 2, c.p.c. qualora detta eccezione venga respinta, la parte interessata ha l'onere di riproporla in sede di precisazione delle conclusioni e nei successivi atti di impugnazione, dovendosi la medesima, in caso contrario, ritenere rinunciata, con conseguente sanatoria della nullità stessa per acquiescenza, rilevabile d'ufficio dal giudice in ogni stato e grado del processo. In dottrina si è replicato che si tratterebbe di un sistema inutilmente ridondante, si è detto barocco, ma non è così, ed ognuno dei menzionati passaggi ha la sua indispensabile ragion d'essere, in un processo fatto di forme, delle quali, come è stato detto, non v'e' ragione di lagnarsi più di quello che . avrebbe ragione il colombo di lagnarsi dell'aria che rallenta il suo volo, senza accorgersi che appunto quell'aria gli permette di volare . 17.1. - L'eccezione di incapacità a testimoniare va formulata prima dell'ammissione della prova testimoniale, per l'ovvia ragione che, in mancanza di essa, il giudice, che non può rilevare d'ufficio l'incapacità, non ha il potere di applicare la regola di esclusione prevista dall'articolo 246 c.p.c., sicché è tenuto ad ammettere il mezzo, in concorso, ovviamente, coi normali requisiti dell'ammissibilità e rilevanza, sottoposti al suo controllo. Ne', d'altro canto potrebbe pensarsi ad un'eccezione di nullità - tale essendo il vizio riscontrabile, come si vedrà subito dopo - sollevata soltanto ex post, a seguito dell'assunzione, ma non preceduta dalla preventiva eccezione di incapacità, e ciò perché una simile condotta si scontra con il precetto dell'ultimo comma dell'articolo 157 c.p.c., secondo cui la nullità non può essere opposta dalla parte che vi ha dato causa, né da quella che vi ha rinunciato anche tacitamente, omettendo, in questo caso, di formulare a suo tempo l'eccezione Cass. 16 gennaio 1996, numero 303, ove si precisa che non rileva in contrario che il teste sia divenuto successivamente parte nello stesso processo, per essere stato emesso nei suoi confronti ordine di integrazione del contraddittorio, giacché la qualità di teste e la conseguente possibilità di eccepirne l'incapacità ex articolo 246 presuppongono proprio che la persona chiamata a testimoniare non abbia ancora assunto la qualità di parte . L'applicazione del meccanismo conservativo previsto dalla menzionata disposizione fa insomma sì che la prova del teste ipoteticamente incapace, che sia stata assunta in assenza dell'eccezione, è ormai definitivamente purgata della nullità, dal momento che in tanto opera la regola di esclusione in quanto la parte interessata ne abbia invocato, con l'eccezione, l'applicazione. Sicché una nullità eccepita solo ex post non avrebbe senso, poiché quella nullità senza la precedente eccezione ormai più non sussiste. Il che esime dall'aggiungere che, se si ammettesse un'eccezione di nullità spiegata solo ex post, e non preceduta ex ante dall'eccezione di incapacità, si consentirebbe all'interessato di rimanere in silenzio sino all'assunzione della prova, per poi valutare la convenienza della deposizione e decidere se vanificare l'assunzione con l'eccezione di nullità ovvero giovarsi degli elementi ottenuti, la qual cosa interferirebbe, se non altro, con elementari esigenze di economia processuale. 17.2. - Dopodiché, ove il giudice ammetta la prova, nonostante l'eccezione di incapacità, in violazione dell'articolo 246 c.p.c., la prova assunta è nulla. Daremo per scontato che la prova testimoniale è un atto processuale, sebbene finanche su una tale affermazione non vi sia consenso in dottrina. Accolta la premessa, ne discende che, quale atto processuale, anche la testimonianza deve misurarsi con la disciplina della nullità degli atti processuali, disciplina della cui applicabilità non sembra vi sia ragione di dubitare almeno per quanto attinente ai vizi riguardanti la deduzione ed assunzione della prova, sottoposta ad apposite regole formali scandite dal codice di rito. Ma, anche a ricondurre l'incapacità a testimoniare al campo delle nullità c.d. extraformali, attinenti a capacità, legittimazione e volontà, ed a respingere, come fa parte della dottrina, una nozione di forma dell'atto processuale che abbracci non solo la sua veste esteriore, ma tutti i requisiti previsti dal modello legale, in vista del dipanarsi della sequenza processuale, sta di fatto che è diffusa l'opinione secondo cui la disciplina della nullità degli atti possa trovare applicazione anche per i vizi non formali, salvo verifica di incompatibilità da effettuare caso per caso e così, ad esempio, ben si intende come l'incapacità del teste non possa essere sanata attraverso il congegno del raggiungimento dello scopo. Sicché, in definitiva, come già questa Corte ha affermato, l'incapacità del testimone e' disciplinata da una norma specifica in materia di prova testimoniale articolo 246 c.p.c. che, come tale, è una norma sul procedimento civile e, dunque, disciplinatrice della forma del relativo atto processuale ai sensi dell'articolo 156 c.p.c L'affidamento all'eccezione di parte della prospettazione dell'incapacità e, dunque, della deduzione della violazione della norma del procedimento, si risolve nella qualificazione di essa come eccezione di nullità ai sensi del citato articolo 157, comma 1, c.p.c. Cass. 6 maggio 2020, numero 8528 . 17.3. - Una volta stabilito che, in caso di ammissione ed assunzione della prova testimoniale in violazione dell'articolo 246 c.p.c., si versa in ipotesi di nullità, ed in particolare di nullità a carattere relativo, la nullità va fatta valere nel rispetto della previsione dell'articolo 157, comma 2, c.p.c., e cioè nella prima istanza o difesa successiva all'atto o alla notizia di esso . Questa Corte ha così più volte ripetuto che l'incapacità a testimoniare conseguente alla simultanea titolarità, in capo al teste, della qualità di parte, anche virtuale, può essere eccepita dalla parte interessata al momento dell'espletamento del mezzo di prova o nella prima difesa successiva, altrimenti la nullità dell'assunzione deve ritenersi definitivamente sanata per acquiescenza Cass. 18 gennaio 2002, numero 543 Cass. 1 dicembre 2021, numero 37814 Cass. 12 gennaio 2006, numero 403 Cass. 25 settembre 2009, numero 20652 Cass., Sez. Unumero , 23 settembre 2013, numero 21670 Cass. 10 ottobre 2014, numero 21395 Cass. 23 novembre 2016, numero 23896 o, più precisamente, subito dopo l'escussione del teste ovvero, in caso di assenza del difensore della parte alla relativa udienza, nella prima udienza successiva Cass. 19 agosto 2014, numero 18036 Cass. 3 aprile 2007, numero 8358 Cass. 24 giugno 2003, numero 10006 Cass. 1 luglio 2002, numero 9553 Cass. 15 novembre 1999, numero 12634 Cass. 21 aprile 1999, numero 3962 . Ed è qui che l'eccezione di nullità, con la sua collocazione a ridosso dell'assunzione del mezzo, e, in alternativa, con il verificarsi della sanatoria, risponde ad un'esigenza - questa sì - di ordine pubblico processuale l'esigenza di celerità del processo, i cui atti non devono essere passibili di caducazione per un tempo indefinito p. es. Cass. 1 luglio 2002, numero 9553 . Resta però salva l'eventualità, anch'essa inscritta nella previsione dell'articolo 157, comma 2, c.p.c., che, a tal momento, l'interessato sia incolpevolmente inconsapevole delle ragioni di incapacità del teste, nel qual caso l'eccezione va svolta nella prima difesa successiva all'acquisita conoscenza della nullità della testimonianza Cass. 12 maggio 2004, numero 9061 . L'imposizione di un duplice onere di eccezione, prima dell'ammissione e dopo l'assunzione del mezzo cionondimeno ammesso - che taluno, come si accennava, ha a torto ritenuto irragionevolmente formalistica - si spiega non soltanto in ragione dell'impossibilità logica di configurare un'eccezione di nullità di un atto di là da venire, sicché una eccezione d'incapacità a testimoniare . non include l'eccezione di nullità della testimonianza comunque ammessa ed assunta nonostante la previa opposizione Cass. 19 agosto 2014, numero 18036 , ma, soprattutto, a tutela dell'interesse della stessa parte che abbia formulato l'eccezione di incapacità a testimoniare, la quale, pure oppostasi inizialmente all'ammissione della testimonianza, deve essere posta in condizione di valutare l'esito dell'assunzione, che ben potrebbe rivelarsi ad essa favorevole Cass. 15 febbraio 2018, numero 3763 Cass. 19 settembre 2013, numero 21443 Cass. 23 maggio 2013, numero 12784 , situazione, quest'ultima, del tutto distinta da quella prima ricordata della parte che abbia tenuto in serbo l'eccezione di incapacità per giocare in extremis la carta della nullità secundum eventum. Ciò detto - bisogna aggiungere - è cosa ovvia che l'eccezione di nullità da proporsi ex post non richiede formule sacramentali, sicché non vi sarebbe modo di intendere altrimenti la dichiarazione della parte che, dopo l'assunzione, ribadisse l'iniziale eccezione di incapacità, o altro di simile. 17.4. - L'eccezione di nullità della testimonianza resa da teste incapace ai sensi dell'articolo 246 c.p.c. va infine coltivata con la precisazione delle conclusioni, di cui all'articolo 189 c.p.c., intendendosi con ciò l'elencazione, effettuata in modo preciso e puntuale, sulla base di quanto emerso durante il corso della trattazione e dell'istruzione probatoria, delle domande ed eccezioni rivolte al giudice, ivi comprese le eventuali richieste istruttorie precisazione delle conclusioni volta a fissare definitivamente l'ambito entro cui il giudice dovrà provvedere, fatto salvo quanto rilevabile d'ufficio, ma ancor prima, come bene evidenziato in dottrina, a soddisfare il dispiegamento del contraddittorio, nella sua espressione più ampia, ed in particolare l'esigenza di ciascuna parte di conoscere la formulazione definitiva delle domande dell'altra, contando sulla definitività di tale formulazione, quando ne compirà l'esame critico nello svolgimento degli scritti difensivi. L'esigenza di reiterazione si ricollega alla previsione del comma 3 dell'articolo 157 c.p.c., secondo cui la nullità non può essere opposta dalla parte che vi ha rinunciato anche tacitamente , e si inquadra nella prospettiva di ordine generale - rafforzata dalla previsione di rinuncia tacita di cui si è appena detto - concernente il trattamento che riceve, in sede di precisazione delle conclusioni, la mancata riproposizione delle richieste istruttorie. Costituisce difatti principio rimasto pacifico fino a tempi recentissimi quello secondo cui la parte che si sia vista rigettare dal giudice di primo grado le proprie richieste istruttorie ha l'onere di reiterarle in modo specifico, quando precisa le conclusioni, senza limitarsi al richiamo generico dei precedenti atti difensivi, poiché, diversamente, le stesse devono ritenersi abbandonate e non possono essere riproposte in sede di impugnazione p. es. Cass. 25 gennaio 2022, numero 2129 Cass. 10 novembre 2021, numero 33103 Cass. 20 novembre 2020, numero 26523 Cass. 31 maggio 2019, numero 15029 Cass. 7 marzo 2019, numero 6590 Cass. 27 febbraio 2019, numero 5741 Cass. 3 agosto 2017, numero 19352 Cass. 10 agosto 2016, numero 16886 Cass. 4 agosto 2016, numero 16290 Cass. 27 aprile 2011, numero 9410 Cass. 14 ottobre 2008, numero 25157 . Questa Corte ha, cioè, escluso che la reiterazione delle richieste istruttorie possa consistere nel richiamo generico al contenuto dei precedenti atti difensivi, atteso che la precisazione delle conclusioni deve avvenire in modo specifico, coerentemente con la funzione sua propria di delineare con precisione il thema sottoposto al giudice e, come si diceva, di porre la controparte nella condizione di prendere posizione in ordine alle sole richieste istruttorie riproposte Cass. 27 giugno 2012, numero 10748 . L'indirizzo, si può dire, risale all'entrata in vigore del codice di rito ed è stato sempre mantenuto fermo, quantunque si rinvengano delle oscillazioni delle quali non occorre dar conto, dal momento che esulano dai quesiti sollevati dall'ordinanza di rimessione, a seconda che il giudice avesse ammesso i mezzi richiesti, ne avesse negato l'ammissione ovvero avesse semplicemente taciuto. Tale orientamento ha da sempre il suo punto d'appoggio nell'articolo 178, comma 1, c.p.c., e cioè nella regola che attribuisce al collegio le più ampie facoltà di controllo sulle ordinanze emesse dall'istruttore quando la causa gli è rimessa per la decisione. Quando la novella del 1950 introdusse il reclamo immediato al collegio, sorse la questione se, ove previsto il reclamo, la sua mancata proposizione comportasse o meno la decadenza dalla riproposizione delle richieste istruttorie in sede di rimessione della causa al collegio, decadenza che la giurisprudenza di questa Corte ha escluso, sempre tenendo però per fermo il principio che ricollega la decadenza alla mancata riproposizione in sede di precisazione delle conclusioni. Quando, poi, la novella del 1990 ha eliminato il reclamo al collegio, l'indirizzo pregresso è stato ribadito. E' da richiamare, in particolare, Cass. 24 novembre 2004, numero 22146, concernente proprio eccezione di nullità della testimonianza resa da teste incapace, la quale, riproponendo l'orientamento formatosi nell'epoca in cui era previsto il reclamo al collegio, ha ribadito - seguendo, è stato detto in dottrina, una interpretazione coerente e razionale delle norme e dei principi ratione temporis invocabili in subiecta materia - che la parte che si oppone ad una prova testimoniale, oltre a dovere tempestivamente sollevare detta sua eccezione, deve poi dolersene anche in sede di precisazione delle conclusioni, chiedendo la revoca dell'ordinanza ammissiva o non ammissiva della prova ai sensi dell'articolo 178, comma 1, c.p.c., perché il giudice cui compete la decisione di tutta la causa provveda a detta revoca dell'ordinanza, restando in caso contrario preclusa la possibilità di decidere in ordine all'ammissibilità o inammissibilità della prova e così provvedere all'eventuale revoca dell'ordinanza, con l'ulteriore conseguenza che la cennata questione non può neanche essere proposta in sede d'impugnazione Cass. numero 12280 del 2000 Cass. 24 agosto 1991, numero 9083 Cass. 30 marzo 1995, numero 3773 . E' il caso di accennare che l'articolo 178 c.p.c. non è toccato dalla riforma di cui al decreto legislativo 10 ottobre 2022, numero 149, ed il congegno della precisazione delle conclusioni si è per altro verso rafforzato, essendo prevista dall'articolo 189 c.p.c. un apposita memoria scritta, il che dovrebbe neutralizzare il vero problema - al quale talune recenti soluzioni largheggianti parrebbero infine rispondere negando la stessa esigenza che le conclusioni siano precisate in modo preciso e puntuale - dell'udienza di precisazione delle conclusioni, che è momento centrale e fondamentale del processo e, proprio in funzione dell'esigenza di precisione e puntualità, richiede l'intervento di un difensore che conosca la causa, e non, come sovente accade nella pratica, di un ignaro sostituto che voglia adempiere al proprio compito di sostituzione con il riportarsi sciattamente a tutto quanto dianzi dedotto e prodotto, così da determinare probabilissime successive difficoltà di delimitazione di ciò a cui il concludente si sia in effetti riportato, sia per le controparti, sia per il giudice. Quanto al procedimento semplificato di cognizione, l'articolo 281 terdecies c.p.c. rinvia all'articolo 281 sexies c.p.c., secondo cui il giudice, fatte precisare le conclusioni , adotta il modulo decisorio ivi previsto. Del resto, già con riguardo al procedimento c.d. sommario di cognizione questa Corte ha osservato che la deformalizzazione procedimentale non esime il giudice dal calendarizzare un'apposita udienza di precisazione delle conclusioni prima di pronunciare il provvedimento conclusivo, onde consentire la definitiva fissazione del thema decidendum Cass. 14 maggio 2018, numero 11701 . In definitiva, considerata la previsione di rinuncia tacita di cui all'articolo 157 c.p.c., considerato che le parti sono chiamate a precisare le conclusioni in modo preciso e puntuale in vista del dispiegamento del contraddittorio, e che l'articolo 178, comma 1, c.p.c. stabilisce che esse possono proporre al collegio, quando la causa è rimessa a questo a norma dell'articolo 189, tutte le questioni risolute da giudice istruttore con ordinanza revocabile, è del tutto ovvio che debbano, se ritengano di farlo, investire il giudice dell'eccezione di nullità della testimonianza ammessa ed assunta in violazione dell'articolo 246 c.p.c., dovendosi altrimenti l'eccezione medesima reputare rinunciata. In proposito, non può mancarsi di rammentare che l'interpretazione secondo cui l'istanza istruttoria non accolta nel corso del giudizio, che non venga riproposta in sede di precisazione delle conclusioni, deve reputarsi tacitamente rinunciata, non contrasta con gli articolo 47 e 52 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, né con gli articolo 2 e 6 dal trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007, né con la Cost., articolo 24 e 111, non determinando alcuna compromissione dei diritti fondamentali di difesa e del diritto ad un giusto processo, poiché dette norme processuali, per come interpretate, senza escludere né rendere disagevole il diritto di difendersi provando , subordinano, piuttosto, lo stesso ad una domanda della parte che, se disattesa dal giudice dell'istruttoria, va rivolta al giudice che decide la causa Cass. 27 giugno 2012, numero 10748 Cass. 5 febbraio 2019, numero 3229 , secondo la prospettiva, appunto, fissata dall'articolo 178 c.p.c Di recente, il principio di cui si è detto è stato ad altro riguardo apparentemente ribadito, ma con la precisazione che la mancata riproposizione delle richieste istruttorie porrebbe una mera presunzione di rinuncia, che potrebbe essere superata dal giudice di merito, qualora dalla non ulteriormente delimitata valutazione complessiva della condotta processuale della parte o dalla connessione della richiesta non riproposta con le conclusioni rassegnate e con la linea difensiva adottata nel processo, emerga una volontà inequivoca di insistere sulla richiesta pretermessa, attraverso l'esame degli scritti difensivi Cass. 10 novembre 2021, numero 33103 ora, se dovesse farsi riferimento alle conclusioni rassegnate , ed agli ulteriori larghi parametri menzionati, dovrebbero ritenersi riproposte, o comunque potrebbe non infondatamente predicarsi la riproposizione, di tutte le richieste istruttorie che posseggano un qualche pur approssimativo e lasco collegamento di strumentalità con le conclusioni, il che, come si accennava, comporterebbe una radicale nullificazione dell'esigenza di chiarezza e puntualità che da sempre sovrintende alla precisazione delle conclusioni definitive, ponendo anzitutto la controparte in condizione di doversi difendere da richieste in realtà solo ipotetiche, ed il giudice nella difficoltà di individuare ciò su cui deve provvedere, con evidenti conseguenze diseconomiche, tali da ripercuotersi poi pesantemente sul giudizio di appello. A fondamento della soluzione sono richiamati precedenti concernenti il caso in cui la causa venga trattenuta in decisione senza che il giudice istruttore si sia pronunciato espressamente sulle istanze istruttorie Cass. 19 febbraio 2021, numero 4487 , eventualmente perché la causa sia stata trattenuta in decisione su una questione pregiudiziale di rito o preliminare di merito Cass. 29 maggio 2012, numero 8576 , nonché precedenti in tema di omessa riproposizione di domande ed eccezioni. E però, l'affermazione concernente l'omessa pronuncia da parte dell'istruttore sulle istanze istruttorie nulla dimostra per l'ipotesi fisiologica che il giudice abbia invece provveduto, in un modo o nell'altro. Quanto ai precedenti in materia di precisazione delle domande ed eccezioni, precedenti che costituiscono il grosso della tesi sostenuta, resta tutt'affatto da dimostrare che essi siano applicabili all'omessa riproposizione delle richieste istruttorie, governata dall'articolo 178 c.p.c., equiparazione che anzi questa Corte ha espressamente escluso in particolare Cass. 27 aprile 2011, numero 9410, poi ripresa da Cass. 27 giugno 2012, numero 10748 . Tuttavia, l'approfondimento del tema, nelle sue complessive dimensioni, esula dall'ambito di questa decisione, per la quale è sufficiente ribadire, in conformità alla giurisprudenza richiamata, che l'eccezione di incapacità, formulata prima dell'assunzione e ribadita dopo di essa, va necessariamente reiterata in sede di precisazione delle conclusioni dovendosi altrimenti reputare rinunciata come si è detto, difatti, l'articolo 157, comma 3, c.p.c., stabilisce essere rinunciabile anche implicitamente l'eccezione di nullità della testimonianza, per il che, secondo quanto osservato, opera il combinato disposto di detta norma con il comma 1 dell'articolo 178 ed il comma 1 dell'articolo 189 c.p.c Sicché, si ripete, non v'e' ragione, almeno a tal riguardo, di discostarsi dall'insegnamento, fermo quanto all'eccezione di nullità per incapacità a testimoniare, secondo cui essa va espressamente riproposta - il che, ovviamente, non vuol dire che non possa essere riproposta anche per relationem, se la relatio è univoca - in sede di precisazione delle conclusioni, essendo altrimenti rinunciata. 18. - Passando all'esame del ricorso, occorre constatarne l'inammissibilità. 18.1. - Ovvia conseguenza della configurazione della nullità nei termini indicati è che essa non possa formare oggetto di ricorso per cassazione se prima non sia stata fatta valere in grado d'appello Cass. 23 novembre 2016, numero 23896 Cass. 19 marzo 2004, numero 5550 Cass. 20 aprile 1996, numero 3787 . Nel caso di specie risulta dalla sentenza appellata che con l'appello si fosse sostenuta la tesi della non incapacità a testimoniare della S., sia perché integralmente risarcita, sia perché il suo diritto al risarcimento si era comunque prescritto, né dal ricorso risulta che, dopo la formulazione da parte dell'assicuratore dell'eccezione di incapacità della teste, la questione della proposizione dell'eccezione di nullità dopo la sua assunzione fosse stata in alcun modo sollevata. Quanto alla censura concernente l'attendibilità del teste S., essa investe in pieno il merito della valutazione riservata al giudice, appunto, del merito Cass. 6 maggio 1978, numero 2177 Cass. 26 febbraio 1983, numero 1496 Cass. 1 luglio 1986, numero 4346 . 18.2. - Il secondo e terzo mezzo sono inammissibili. Disporre consulenza tecnica d'ufficio, almeno nel caso della consulenza c.d. deducente, quale quella nella specie richiesta, è potere discrezionale affidato al prudente apprezzamento del giudice di merito, potendo la motivazione dell'eventuale diniego di ammissione del mezzo essere anche implicitamente desumibile dal contesto generale delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitariamente considerato tra le moltissime Cass. 13 gennaio 2020, numero 326 nel caso considerato, a fronte della tesi di parte attrice-appellante, secondo cui il sinistro sarebbe stato cagionato da un veicolo rimasto sconosciuto, che aveva urtato il ciclomotore condotto dal G.A., risulta dalla sentenza impugnata che la parte posteriore del ciclomotore ed in particolare la targa non mostrava segni d'urto, constatazione più che sufficiente ad escludere l'opportunità di dar corso all'accertamento tecnico in discorso. 19. - Nell'interesse della legge, ai sensi dell'articolo 363 c.p.c., vanno affermati i seguenti principi di diritto L'incapacità a testimoniare disciplinata dall'articolo 246 c.p.c. non è rilevabile d'ufficio, sicché, ove la parte non formuli l'eccezione di incapacità a testimoniare prima dell'ammissione del mezzo, detta eccezione rimane definitivamente preclusa, senza che possa poi proporsi, ove il mezzo sia ammesso ed assunto, eccezione di nullità della prova . Ove la parte abbia formulato l'eccezione di incapacità a testimoniare, e ciò nondimeno il giudice abbia ammesso il mezzo ed abbia dato corso alla sua assunzione, la testimonianza così assunta è affetta da nullità, che, ai sensi dell'articolo 157 c.p.c., l'interessato ha l'onere di eccepire subito dopo l'escussione del teste ovvero, in caso di assenza del difensore della parte alla relativa udienza, nella prima udienza successiva, determinandosi altrimenti la sanatoria della nullità . La parte che ha tempestivamente formulato l'eccezione di nullità della testimonianza resa da un teste che si assume essere incapace a testimoniare, deve poi dolersene in modo preciso e puntuale anche in sede di precisazione delle conclusioni, dovendosi altrimenti ritenere l'eccezione rinunciata, così da non potere essere riproposta in sede d'impugnazione . 20. - Le spese meritano di essere compensate, tenuto conto delle peculiarità sostanziali e processuali della controversia. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto. PQM dichiara inammissibile il ricorso ed enuncia nell'interesse della legge i principi indicati in motivazione, disponendo l'integrale compensazione delle spese di questo giudizio di legittimità e dichiarando, ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.