Palese, secondo i Giudici, la discriminazione compiuta nei confronti dei cittadini non vedenti ritrovatisi di fronte al divieto, con tanto di cartello, di accesso alle scale mobili del parcheggio di proprietà del Comune e gestito da una società a responsabilità limitata con totale capitale pubblico. Riconosciuto anche il risarcimento in favore dei cittadini non vedenti che hanno contestato il divieto 500 euro per ognuno di loro.
Comune condannato per avere discriminato alcuni cittadini non vedenti vietando loro la possibilità di accedere col rispettivo cane guida alle scale mobili di un parcheggio di sua proprietà, ma gestito da una società a responsabilità limitata con totale capitale pubblico. Scenario della vicenda è la città di Belluno. Luogo incriminato è l’impianto di scale mobili ubicato in un parcheggio del Comune ma gestito da una s.r.l. a totale capitale pubblico. A far esplodere il caso è un cartello affisso nel parcheggio , cartello con cui si sancisce il divieto di accedere alle scale mobili con i cosiddetti cani guida . Pronta la reazione di diversi cittadini non vedenti, i quali chiedono non solo di ottenere la revoca del sostanziale divieto di accesso ma anche di vedere condannato il Comune a risarcire il danno morale da loro patito. A dare soddisfazione ai cittadini non vedenti sono i giudici d’Appello, i quali «certificano la natura discriminatoria degli atti compiuti dal Comune di Belluno e dalla s.r.l. », che si ritrovano condannati a versare come risarcimento 500 euro a ciascun cittadino non vedente a cui è stata negata la possibilità di accedere alle scale mobili del parcheggio comunale, e ordinano la rimozione del cartello incriminato. Nel contesto della Cassazione il legale che rappresenta il Comune di Belluno sostiene non vi sia stato «un pregiudizio effettivo, concreto e personale, patito dai cittadini non vedenti, avendo il giudice d’Appello erroneamente reputato sufficiente, a tal fine, una lesione meramente potenziale per i soggetti disabili, frutto di un divieto – l’accesso alle scale mobili dei cani – rivolto invece alla generalità dei cittadini». In questa ottica, poi, il legale richiama anche il decreto del 18 settembre del 1975 del Ministero dei Trasporti, decreto che impone «il divieto di transito di tutti i cani su scale mobili in servizio pubblico» anche questo elemento è utile, a suo dire, ad «escludere la natura discriminatoria» dell’operato del Comune. Prima di prendere posizione sulla delicata vicenda, i Giudici di Cassazione ricordano che « la nozione di discriminazione è definita dalla legge attraverso due possibili declinazioni la discriminazione diretta , che si verifica ogni qualvolta una persona, per motivi connessi alla disabilità, riceve un trattamento diverso e meno favorevole di quello riservato ad una persona non disabile in situazione analoga la discriminazione indiretta , che si configura quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettano una persona con disabilità in posizione di svantaggio rispetto ad altre persone». E in questa ottica viene aggiunto che «la locuzione disposizione che concreta il concetto di discriminazione indiretta va riferita anche ai regolamenti , i quali, a differenza della legge – che è assoggettabile al giudizio di legittimità costituzionale quando sospettata di creare discriminazioni –, se, nel dettare norme di dettaglio, creano discriminazione, vanno disapplicati dal giudice ordinario». Fissati questi punti fermi, i Giudici di Cassazione ritengono palese «la discriminatorietà della condotta serbata dal proprietario – il Comune – e dal gestore – la s.r.l. – dell’impianto di scale mobili». Ciò perché «il divieto – con apposito cartello – all’accesso con cani guida sulle scale mobili è invero disposizione specificamente riferita alla condizione di handicap dei soggetti non vedenti o ipovedenti , per i quali l’accompagnamento dell’animale costituisce ausilio necessario ed indispensabile per consentire una possibile mobilità », osservano i Magistrati, i quali aggiungono che «inibire il transito sulle scale mobili con cani guida concreta dunque un atto discriminatorio per il non vedente rispetto all’omologa situazione del normodotato, dacché si traduce nella lesione del diritto alla fruizione del mezzo di trasporto pubblico». E poiché siffatto «diritto all’accompagnamento del proprio cane è garantito al non vedente da norma di rango primario, cioè la legge numero 37 del 14 febbraio 1974», allora, è sacrosanta «la disapplicazione delle prescrizioni previste nel decreto del 18 settembre del 1975 del Ministero dei Trasporti», prescrizioni che sì impongono «il divieto di transito di tutti i cani su scale mobili in servizio pubblico» ma, precisano i Magistrati, «hanno natura di regolamento esecutivo, cioè a dire norme secondarie idonee, nella loro concreta applicazione, a determinare trattamenti deteriori per il disabile, integranti veri e propri atti discriminatori». Confermata in via definitiva, quindi, la condanna del Comune e della s.r.l., obbligati a risarcire i cittadini non vedenti che hanno contestato il divieto di accesso con relativo cane guida alle scale mobili del parcheggio comunale.
Presidente Travaglino – Relatore Rossi Fatti di causa 1. Con ricorso del luglio 2016, Z.S., B.A., V.M., G.F., Z.N., L.R., F.I. e Q.M., persone affette da disabilità visiva, domandarono al Tribunale di […] l'accertamento, ai sensi della L. 1 marzo 2006, numero 67, articolo 2, del carattere discriminatorio della condotta nei loro confronti tenuta dal Comune di […] e dalla società […] s.r.l., consistita nell'aver fatto divieto di accedere, benché assistiti da cani-guida, ad un impianto di scale mobili ubicato in un parcheggio del Comune di […] e gestito dalla predetta società chiesero altresì di ordinare ai convenuti la cessazione del descritto comportamento e di condannarli al risarcimento del danno non patrimoniale patito. Nel costituirsi, il Comune di […] formulò, previa autorizzazione alla chiamata in causa, domanda di manleva nei riguardi della società Ariscom - Compagnia di Assicurazione S.p.A. 2. Con ordinanza resa il 16 marzo 2017, il giudice di prime cure dichiarò inammissibili le domande per difetto di interesse ad agire. 3. Pronunciando sull'appello interposto dai ricorrenti, la Corte di Appello di Venezia, con la decisione in epigrafe indicata, ha dichiarato l'incompetenza per territorio sulle domande proposte da B.A., V.M., R.L., F.I., Q.M., siccome non residenti nel circondario del Tribunale di […] in accoglimento dell'impugnazione dalle altre parti proposta, ha dichiarato la natura discriminatoria degli atti compiuti dal Comune di […] e dalla […] s.r.l., ne ha ordinato la cessazione ed ha condannato i convenuti, in solido tra loro, al risarcimento dei danni in favore di Z.S., G.F. e Z.N., quantificati in misura pari ad Euro 500 per ciascuno di essi ha infine disatteso la domanda di manleva spiegata dal Comune di […] nei riguardi della Ariscom S.p.A 4. Ricorre per cassazione il Comune di […], affidandosi a tre motivi, cui, con controricorso, aderisce la […] s.r.l., spiegando altresì ricorso incidentale articolato su un ulteriore motivo al ricorso principale spiegano resistenza, con controricorso, Z.S., G.F. e Z.N. non svolgono difese in grado di legittimità gli altri soggetti intimati, in epigrafe indicati. 5. Le parti costituite hanno depositato memorie illustrative. Ragioni della decisione 1. È logicamente preliminare la disamina dell'unico motivo di ricorso incidentale con cui, in relazione all' articolo 360, comma 1, numero 4, c.p.c. , si censura la sentenza impugnata per omessa pronuncia sulla eccezione di inammissibilità dell'appello, sollevata in forza del combinato disposto della L. numero 67 del 2006, articolo 3, del D.Lgs. 25 luglio 1998, numero 286, articolo 44 e degli articolo 739 e seguenti del codice di rito. 1.1. La lettura della sentenza impugnata dà riscontro all'assunto del ricorrente, mancando invero ogni pronuncia, anche in via di implicito rigetto, sull'eccezione di inappellabilità del provvedimento di prime cure ma da ciò non discende l'accoglimento del motivo formulato e la invocata cassazione della sentenza. Il mancato esame di un motivo di gravame ovvero di un'eccezione preliminare ad opera del giudice di merito giustifica l'annullamento della sentenza impugnata ad opera della Suprema Corte a condizione che le questioni, di fatto o di diritto, non esaminate, siano decisive. Per contro, qualora le questioni non vagliate siano in punto di diritto infondate e non richiedano ulteriori accertamenti di fatto, la Corte di cassazione, in ragione della funzione nomofilattica ad essa affidata dall'ordinamento, ha il potere di correggere la motivazione della decisione ex articolo 384 c.p.c. mediante l'enunciazione delle ragioni che giustificano il provvedimento gravato, apparendo palese l'incongruità di una rimessione della causa nella fase di merito al fine di dichiarare l'infondatezza del rilievo erroneamente non vagliato. Siffatto principio di diritto, già consolidato in un risalente indirizzo della giurisprudenza di legittimità Cass. 18/08/2006, numero 18190 Cass. 12/04/2006, numero 8561 Cass. 18/02/2005, numero 3388 , è stato avvalorato dalla estensione con la modifica operata dal D.Lgs. numero 2 febbraio 2006, numero 40 , articolo 384 c.p.c. delle ipotesi di decisione nel merito della Suprema Corte anche in caso di violazione di norme processuali e dalla costituzionalizzazione nell'articolo 111, comma 2, della Carta fondamentale dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, i quali impongono interpretazioni che limitino i tempi di svolgimento del processo, pur senza sacrificio del diritto di azione e difesa tra le tante, cfr. Cass. 01/02/2010, numero 2313 Cass., Sez. U., 02/02/2017, numero 2731 Cass. 28/06/2017, numero 16171 Cass. 19/04/2018, numero 9693 Cass. 10/06/2021, numero 10475 . 1.2. Al lume di quanto sopra, l'error in procedendo della Corte d'appello non conduce alla cassazione della pronuncia, apparendo l'eccezione non esaminata destituita di fondamento giuridico. A suffragio del motivo, il ricorrente invoca la disposizione dettata dalla L. numero 67 del 2006, articolo 3, comma 1, nel suo originario tenore che così recitava La tutela giurisdizionale avverso gli atti ed i comportamenti di cui all'articolo 2 della presente legge è attuata nelle forme previste dall' articolo 44, commi da 1 a 6 e 8, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero , di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, numero 286 ma detta norma è stata modificata dal D.Lgs. numero 1 settembre 2011, numero 150 , con la previsione dell'assoggettamento dei giudizi civili avverso gli atti e i comportamenti discriminatori alle regole sancite dal medesimo D.Lgs. numero 150 del 2011, articolo 28 . Ed è proprio la norma nella versione novellata ad essere applicabile ratione temporis alla vicenda litigiosa, tenuto conto dell'epoca di proposizione del ricorso luglio 2016 ben correttamente, dunque, la tutela giurisdizionale avverso condotte discriminatorie di persone con disabilità è stata dispiegata nelle forme del rito sommario di cognizione, cioè nei modi previsti dagli articolo 702-bis e seguenti del codice di rito ben correttamente, pertanto, l'ordinanza pronunciata a definizione del giudizio di prime cure è stata impugnata con l'appello. 2. Il primo motivo di ricorso principale prospetta la violazione dell' articolo 100 c.p.c. e della L. numero 67 del 2006, articolo 2 e 3, con riferimento all' articolo 360 c.p.c. , comma 1, numero 3. Ad avviso del ricorrente, l'accoglimento delle domande è avvenuto in difetto di un pregiudizio effettivo, concreto e personale, patito dagli istanti, avendo il giudice territoriale erroneamente reputato sufficiente a tal fine una lesione meramente potenziale ai soggetti disabili, frutto di un divieto l'accesso alle scale mobili dei cani rivolto invece alla generalità degli utenti. 3. Il secondo motivo di ricorso principale, articolato con riferimento all' articolo 360, comma 1, numero 3, c.p.c. , lamenta violazione della L. 2248-1865, articolo 5, all. E. Violazione dei principi in tema di disapplicazione dell'atto amministrativo illegittimo. Violazione del punto 7.2.2.1. della norma UNI EN 115-1, in relazione alla direttiva comunitaria 98/37/CE, attuata con D.Lgs. numero 17-2010 . Si deduce che il giudice territoriale, facendo cattivo uso del potere di disapplicazione degli atti amministrativi asseritamente illegittimi, non abbia considerato, onde escludere la natura discriminatoria della condotta, la norma regolamentare del D.M. numero 18 settembre 1975, articolo 6 del Ministero dei trasporti la quale, per ragioni di sicurezza, fa divieto di transito di tutti i cani su scale mobili in servizio pubblico ed abbia così ad un tempo violato anche la norma tecnica Europea di rango superiore UNI EN 115-1, punto 7.2.2.1. la quale prescrive che sulle scale mobili i cani devono essere portati in braccio . 4. Il terzo motivo di ricorso principale assume violazione della L. numero 67 del 2006, articolo 2 in relazione all'articolo 360, comma 1, numero 3, c.p.c., per aver il giudice di merito ritenuto la sussistenza di una discriminazione per i disabili ancorché il divieto di uso delle scale mobili con il cane avesse carattere generale. 5. I tre motivi - da valutare congiuntamente, in ragione della intima connessione che li avvince - sono infondati. 5.1. È doveroso premettere che la L. numero 67 del 2006 appresta misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità che siano vittime di discriminazioni, al fine di garantire alle stesse, in attuazione di principi costituzionali di eguaglianza e di parità di trattamento articolo 3 e sovranazionali articolo 14 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo , il pieno godimento dei diritti civili, politici, economici e sociali . Onde realizzare lo scopo, la legge sancisce, con norme dalla portata immediatamente precettiva, divieti di discriminazione delle persone disabili nei rapporti non soltanto pubblici ma anche tra privati, ovvero senza alcuna limitazione soggettiva dei destinatari dell'obbligo di non discriminazione sul tema, cfr. Cass. 23/09/2016, numero 18762 Cass. 13 febbraio 2020, numero 3691 . La nozione di discriminazione è positivamente definita dalla L. numero 67 del 2006 attraverso due possibili declinazioni la discriminazione diretta, la quale si verifica articolo 2 ogni qualvolta una persona, per motivi connessi alla disabilità, riceve un trattamento diverso e meno favorevole di quello riservato ad una persona non disabile in situazione analoga la discriminazione indiretta, la quale si configura articolo 3 quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettano una persona con disabilità in posizione di svantaggio rispetto ad altre persone. Come chiarito da questa Corte, la locuzione disposizione che concreta il concetto di discriminazione indiretta va riferita anche ai regolamenti i quali a differenza della legge -che è assoggettabile al giudizio di legittimità costituzionale quando sospettata di creare discriminazioni-, se, nel dettare norme di dettaglio, creano discriminazione, vanno disapplicati dal giudice ordinario così la citata Cass. numero 18762 del 2016 . 5.2. Tanto premesso in generale, diversamente da quanto opinato dall'impugnante, la gravata sentenza ha ravvisato la sussistenza di un interesse concreto ed effettivo a fondamento dell'azione promossa i ricorrenti /1 hanno denunciato una asserita condotta discriminatoria di cui ciascuno di essi assume essere stato vittima /1 essi, pur essendo afflitti dalla medesima disabilità di non vedenti, hanno agito facendo valere non gli interessi della categoria di cui fanno parte, quanto piuttosto l'interesse di ciascuno a non subire atti discriminatori proprio perché non vedente. Va ritenuto sussistente quindi l'interesse degli appellanti, e di ciascuno di essi, alla proposizione dell'azione risarcitoria, che hanno proposto cumulativamente, ma non come azione collettiva . È del pari ineccepibile la ritenuta discriminatorietà della condotta serbata dal proprietario e dal gestore dell'impianto di scale mobili. Il divieto opposto - con apposito cartello - all'accesso con cani-guida sulle scale tale la situazione di fatto accertata dal giudice di merito è invero disposizione specificamente riferita alla condizione di handicap dei soggetti non vedenti o ipovedenti , per i quali l'accompagnamento dell'animale costituisce ausilio necessario ed indispensabile per consentire una possibile mobilità inibire il transito sulle scale mobili con cani guida concreta dunque atto discriminatorio per il non vedente rispetto all'omologa situazione del normodotato, dacché si traduce nella lesione del diritto alla fruizione del mezzo di trasporto pubblico. E poiché siffatto diritto con l'accompagnamento del proprio cane è garantito al non vedente da norma di rango primario la L. 14 febbraio 1974, numero 37 , è pienamente condivisibile la valutazione del giudice di merito circa la disapplicazione, nel caso, delle prescrizioni del D.M. numero 18 settembre 1975 nella formulazione vigente ratione temporis, anteriore alla novella del D.M. numero 22 dicembre 2017 , aventi natura di regolamento esecutivo, cioè a dire norme secondarie idonee, nella loro concreta applicazione, a determinare trattamenti deteriori per il disabile, integranti veri e propri atti discriminatori. Analoghe considerazioni valgono con riguardo alle norme UNI-EN in questa sede invocate dal ricorrente, alle quali, alla stregua del regolamento UE del 25 ottobre 2012, numero 1025 , va ascritta nel nostro ordinamento valenza di mere specifiche tecniche che definiscono le caratteristiche dimensionali, prestazionali, ambientali, di sicurezza, di organizzazione di un prodotto, processo o servizio natura che ne esclude l'assimilabilità agli atti normativi direttive e regolamenti emanati dagli organi dell'Unione Europea. 6. I ricorsi, principale ed incidentale, sono rigettati. 7. Il regolamento delle spese del grado segue la soccombenza, con condanna solidale del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, stante l'interesse comune alla causa, liquidazione dei compensi operata secondo tariffa, con riferimento allo scaglione relativo al valore della controversia Euro 1.500 e distrazione in favore del procuratore di parte controricorrente, Avv. Giampaolo Schiesaro, per dichiarazione di anticipo resa. 8. Atteso l'esito della lite, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali a tanto limitandosi la declaratoria di questa Corte Cass., Sez. U, 20/02/2020, numero 4315 per il versamento - ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, numero 115, articolo 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, numero 228, articolo 1, comma 17 - da parte dei ricorrenti, principali ed incidentali, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto, ove dovuto, rispettivamente per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dell'articolo 1-bis dello stesso articolo 13. P.Q.M. Rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale. Condanna il ricorrente principale ed il ricorrente incidentale, in solido tra loro, al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.800 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori, fiscali e previdenziali, di legge, con distrazione in favore del difensore costituito, Avv. Giampaolo Schiesaro, per dichiarazione di anticipo resa. Ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13 , comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, previsto, rispettivamente, per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.