Impossibile, secondo i Giudici, ridimensionare la gravità della condotta tenuta per lungo tempo dall’uomo sotto processo. Irrilevante il riferimento difensivo alle difficoltà economiche e alla disoccupazione dell’uomo e, infine, alla sindrome depressiva che lo ha colpito e lo ha costretto a chiedere aiuto a un centro di salute mentale.
Sacrosanta la condanna per il padre che non versa il mantenimento per la figlia nonostante sia emerso che egli riesce a consumare pasti in modo regolare grazie ai servizi sociali ed è assistito da un centro di salute mentale. Ricostruita la delicata vicenda, i giudici di merito ritengono indiscutibile, sia in primo che in secondo grado, la condanna dell’uomo sotto processo, colpevole di avere omesso il versamento dell’assegno di mantenimento in favore della figlia minorenne e disabile e della moglie. Per ridimensionare le accuse, però, il legale che difende l’uomo richiama il provvedimento con cui è stato sancito il divorzio tra il suo cliente e l’oramai ex consorte. Da questo documento emerge, secondo il legale, «lo stato di indigenza dell’uomo risultato privo di redditi e sostenuto dai servizi sociali e seguito, peraltro, da un centro di salute mentale» poiché colpito da «una sindrome depressiva con attacchi di panico». In prima battuta, i Magistrati di Cassazione riconoscono che «la documentazione sanitaria» certifica come l’uomo sia stato colpito da «una sindrome depressiva con attacchi di panico» che, però, aggiungono i Giudici, «non può dirsi idonea, di per sé, ad incidere sulla capacità di intendere e di volere» dell’uomo, il quale, difatti, «non è stato mai dichiarato incapace, anche parziale, nei diversi processi a cui è stato sottoposto, nonostante sia affetto da anni dalla medesima patologia». Per maggiore chiarezza, poi, i Giudici richiamano il principio secondo cui «ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, l’infermità non solo deve essere di consistenza, gravità e intensità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere e di volere» del soggetto «ma deve avere diretta incidenza eziologica sulla condotta». In questo quadro si inserisce l’inequivocabile condotta tenuta dall’uomo, il quale «non ha mai contribuito in alcun modo al mantenimento della figlia – disabile al 45 per cento – e della moglie assistita dai servizi sociali» e, per giunta, «ha mostrato totale disinteresse per la bambina, per anni, anche sotto il profilo morale ed affettivo». A completare il cerchio, infine, la constatazione che «l’uomo non ha mai corrisposto, neanche parzialmente, l’assegno di mantenimento disposto dal giudice civile sia con la sentenza di separazione del Tribunale sentenza che prevedeva il contributo di 200 euro mensili per il mantenimento della figlia e 100 euro mensili per il mantenimento della moglie , sia con quella di divorzio che prevede il solo contributo di 100 euro mensili per il mantenimento della figlia, a fronte della rinuncia della moglie», e ciò nonostante «la bambina fosse invalida al 46 per cento e la madre svolgesse l’attività di collaboratrice domestica con un reddito tanto modesto da rendere necessario l’ausilio dei servizi sociali. Il legale ha messo sul tavolo la presunta «condizione di totale indigenza» dell’uomo, con richiamo alla sentenza di divorzio da cui risulta che egli «consuma i pasti grazie all’aiuto dei servizi sociali ed è seguito da un centro di salute mentale». Ma, nonostante ciò, l’uomo «non ha fornito la prova di versare in una situazione di impossibilità oggettiva, perdurante, assoluta e incolpevole di far fronte al proprio obbligo genitoriale a favore della figlia minorenne». Vero che l’uomo ha comprovato di «mangiare con il sostegno dei servizi sociali» e di «essere seguito da un centro di salute mentale per una sindrome depressiva con attacchi di panico» ma risulta anche che «ella sia proprietaria della casa in cui vive in Sicilia, abbia lavorato come operaio edile, abbia volontariamente lasciato il lavoro che aveva e comunque, anche quando aveva capacità economica, non ha mai versato alcunché per il mantenimento della bambina disabile, poi maggiorenne, rimasta sempre a totale carico della madre». Tirando le somme, «il complesso delle condotte inadempienti dell’uomo, protrattesi nel tempo, senza soluzione di continuità, peraltro in aggiunta al fatto di essersi sottratto ai doveri di assistenza e di aver lasciato volontariamente il lavoro vale ad escludere la configurabilità di un omissione incolpevole», sanciscono i Giudici, i quali aggiungono che l’uomo si è reso colpevole di «una protratta deliberazione, di per sé non interferente con la patologia depressiva e neppure con uno stato formale di disoccupazione»» e che, quindi, «non è ravvisabile una assoluta incapacità economica dell’uomo» poiché era per lui comunque «prospettabile una scelta di vita». In conclusione, «è proprio la situazione oggettiva e soggettiva dell’uomo, come risultante sia in sede civile, in cui l’assegno a suo carico è stato confermato e di cui non è stata poi disposta l’ulteriore riduzione o esclusione, che in sede penale, a corroborare il giudizio in ordine alla mancata prova di una condizione di impossibilità incolpevole, suffragata dalla dimostrazione di aver fatto tutto il possibile per fruire di fonti di reddito». Su questo fronte, in ultima battuta, i Giudici sottolineano che dalla sentenza di divorzio emerge che «l’uomo ha comprovato di mangiare con il sostegno dei servizi sociali e di essere seguito dal centro di salute mentale per una sindrome depressiva con attacchi di panico» ma, allo stesso tempo, «risulta anche che egli sia proprietario della casa in cui vive, abbia lavorato come operaio edile e abbia volontariamente lasciato il lavoro». Allo stesso tempo, si è appurato che «l’uomo non ha mai versato, anche quando aveva capacità economica, alcunché per il mantenimento della figlia disabile rimasta sempre a totale carico della madre».
Presidente Ricciarelli – Relatore Di Nicola Travaglini Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Trento ha confermato la condanna nei confronti di R.C. del Tribunale di Rovereto per il reato di omesso versamento dell'assegno di mantenimento, a favore della figlia minorenne e della moglie, dall'agosto 2015, con recidiva specifica infra-quinquennale, in continuazione on la pena inflitta con sentenza del 14 luglio 2015, irrevocabile il 17 ottobre 2017, e revoca della sospensione condizionale della pena. 2. Avverso detta pronuncia ha presentato ricorso l'imputato, con atto sottoscritto dal suo difensore, deducendo i seguenti motivi. 2.1. Con il primo rileva inosservanza della legge processuale, in relazione all'articolo 178 lett. c c.p.p., in ordine al rigetto dell'istanza di rinvio per legittimo impedimento dell'imputato da parte del giudice di primo grado, previa declaratoria di nullità dell'ordinanza del 18 marzo 2021, che ha confuso l'impedimento dell'imputato con quello del difensore. Inoltre, la sentenza impugnata ha rigettato il motivo basandosi erroneamente sulla documentazione relativa alla richiesta di accertamento della capacità di intendere e di volere dell'imputato estranea alla richiesta di rinvio per impedimento a comparire. 2.2. Con il secondo motivo censura violazione di legge in relazione agli articolo 178 lett. c , 70, 129, 529 c.p.p. e 85, 88 e 89 c.p. e motivazione abnorme per l'erroneo rigetto della richiesta di accertamento della capacità di intendere e di volere dell'imputato e di partecipazione cosciente al processo per la risalenza della documentazione sanitaria a quattro anni precedenti ai fatti. Sebbene vi fosse un ragionevole dubbio, vista la sindrome depressiva con attacchi di panico da cui è affetto R. che avrebbe imposto l'espletamento di perizia, come ritenuto dalla stessa Corte di cassazione con la sentenza numero 42051 del 2014. 2.3. Con il terzo motivo censura violazione di legge, in relazione all'articolo 192 c.p.p. e vizio di motivazione in quanto nonostante il ricorrente avesse provato documentalmente il proprio stato di indigenza, come peraltro risultante dalla sentenza di divorzio, la Corte di appello pur dando atto che l'imputato fosse seguito da un centro di salute mentale, fosse privo di redditi e sostenuto dei servizi sociali, lo aveva comunque ritenuto colpevole del delitto contestato senza sottoporlo a perizia. 2.4. Con il quarto motivo censura violazione di legge, in relazione agli articolo 81 e 165 c.p., in quanto la sentenza impugnata aveva applicato sia la recidiva che la continuazione rispetto a precedenti condanne sebbene tra i due istituti esista antitesi cosicché per il principio del favor rei andava esclusa la recidiva in applicazione dell'articolo 2 c.p. con l'effetto di concedere la sospensione condizionale della pena. 3. Il procedimento è stato trattato nell'odierna udienza in camera di consiglio con le forme e con le modalità di cui all'articolo 23, commi 8 e 9, del D.L. 28 ottobre 2020, numero 137, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, numero 176. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. 2. Il primo e il secondo motivo, da trattare congiuntamente perché strettamente connessi, sono reiterativi e manifestamente infondati. Dalla lettura degli atti, il cui accesso è consentito alla Corte di cassazione in ragione del vizio denunciato, risulta che all'udienza del 18 marzo 2021 il giudice di primo grado avesse respinto l'istanza di rinvio per legittimo impedimento dell'imputato e di espletamento di una perizia sulla sua capacità di intendere e di volere, dando atto che la documentazione sanitaria prodotta, per sindrome depressiva con attacchi di panico, risalisse agli anni 2009-2011 e fosse, dunque, inidonea sia a comprovare un impedimento effettivo e attuale di comparire all'udienza, sia una potenziale incapacità di intendere e di volere. La decisione, come correttamente valutato anche dalla Corte di appello di Trento a cui la questione è stata posta nei medesimi termini, risulta priva di vizi ed è pienamente conforme alla costante giurisprudenza di questa Corte. 2.1. Con riferimento all'istanza di rinvio è legittimo il provvedimento con cui il giudice, esaminata la certificazione medica prodotta dal difensore, valuti, anche facendo ricorso a nozioni di comune esperienza debitamente esposte nella motivazione, l'insussistenza di una condizione tale da comportare l'impossibilità per l'imputato di comparire in giudizio e che detto impedimento sia effettivo, di carattere assoluto ed attuale Sez. 5, numero 12056, del 20/01/2021, Profeta, Rv. 281022 . 2.2. Anche il rigetto della perizia volta ad accertare la capacità di intendere e di volere di R., oltre che la sua capacità di partecipare al processo, è stato congruamente motivato dai giudici di merito con argomenti con i quali il ricorso non si confronta affatto, a partire dal rilievo che la sindrome depressiva con attacchi di panico non può dirsi idonea di per sé ad incidere sulla capacità di intendere e di volere e dal fatto che il ricorrente non è stato mai dichiarato incapace, anche parziale, nei diversi processi a cui è stato sottoposto, nonostante affetto da anni dalla medesima patologia. Nel caso di specie l'allegazione difensiva, estremamente generica, non si conforma all'orientamento delle Sezioni unite che ha sancito un principio di diritto a tutt'oggi rimasto insuperato ovverosia che ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente l'infermità non solo deve essere di consistenza, gravità e intensità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere e di volere ma deve avere diretta incidenza eziologica sulla condotta, in rigorosa relazione con la fattispecie di reato. Ne consegue che nessun rilievo, ai fini dell'imputabilità, deve essere dato ad alterazioni che non presentino detti caratteri Sez. U, numero 9163 del 25/01/2005, Raso, Rv. 230317 Sez. 1, numero 35842 del 16/04/2019, Mazzeo, Rv. 276616 Sez. 2, numero 50196 del 26/10/2018, Montuori, Rv. 274684 . Detto rigoroso perimetro, correttamente seguito dai giudici di merito, preclude il riferimento strumentale a patologie non rilevanti ai fini della valutazione di reati che si correlano ad una deliberata volontà di sottrarsi agli obblighi di legge. Nella specie, infatti, risulta che il ricorrente, con una figlia disabile al 45 % e una moglie assistita dai servizi sociali, non solo non ha mai contribuito in alcun modo al loro mantenimento, disposto dal Tribunale civile, ma ha mostrato totale disinteresse, abbandonando la bambina, per anni, anche sotto il profilo morale ed affettivo. A fronte di tutto questo la decisione dei giudici di merito di non procedere a verifiche peritali risulta immune da vizi e non vulnerata dalle generiche censure, non essendo dato univocamente significativo il fatto che il ricorrente sia seguito da un centro di salute mentale. Peraltro la sentenza di questa Corte, citata a pag. 2 del ricorso, diversamente da quanto argomentato dal difensore aveva rigettato il motivo e ritenuta corretta la decisione impugnata in quanto gli attacchi di panico e la sindrome ansioso depressiva debbano ritenersi bel lontani da una vera e propria patologia psichiatrica di gravità tale da essere considerata infermità mentale rilevante sotto il profilo della responsabilità penale e dell'esclusione dell'imputabilità Sez. 1, numero 42051 del 01/07/2014, Viglianisi . 3. Il terzo motivo è infondato. Le censure, oltre a replicare quelle già rimesse all'esame della Corte di appello, che le ha analizzate e disattese con corretti e puntuali argomenti, sono destituite di fondamento. Il ricorrente, infatti, come già rilevato, non ha mai corrisposto, neanche parzialmente, l'assegno di mantenimento disposto dal giudice civile sia con la sentenza di separazione del Tribunale di Rovereto del 26/01/2012 che prevedeva il contributo di Euro 200 mensili per il mantenimento della figlia ed Euro 100 mensili per il mantenimento della moglie , sia con quella di divorzio del 14/07/2017 che prevede il solo contributo di Euro 100 mensili per il mantenimento della figlia a fronte della rinuncia della moglie , nonostante risultasse che la bambina fosse invalida al 46% e la madre svolgesse l'attività di collaboratrice domestica con un reddito tanto modesto da rendere necessario l'ausilio dei servizi sociali pag. 3 della sentenza impugnata . In questa sede il ricorso rappresenta la condizione di totale indigenza dell'imputato con richiamo proprio alla sentenza di divorzio, da cui risulta che consuma i pasti grazie all'aiuto dei servizi sociali ed è seguito da un centro di salute mentale. La sentenza impugnata ha esaminato in modo completo le circostanze indicate sostenendo, con argomenti logici e aderenti alla giurisprudenza di questa Corte, che R. non avesse fornito la prova di versare in una situazione di impossibilità oggettiva, perdurante, assoluta e incolpevole di far fronte al proprio obbligo genitoriale a favore della figlia minorenne. Infatti, dalla sentenza di divorzio citata è vero che risulta che il ricorrente avesse comprovato di mangiare con il sostegno dei servizi sociali e fosse seguito dal centro di salute mentale per una sindrome depressiva con attacchi di panico, ma risulta anche che sia proprietario della casa in cui vive in […], abbia lavorato come operaio edile, ha volontariamente lasciato il lavoro che aveva in […] pag. 4 della sentenza cdi divorzio e comunque, anche quando aveva capacità economica, non ha mai versato alcunché per il mantenimento della bambina disabile, poi maggiorenne, rimasta sempre a totale carico della madre. Tanto che lo stesso Tribunale civile rappresenta che, alla luce degli atti a sua disposizione, che sono gli stessi esaminati dai giudici penali, egli è comunque tenuto a corrispondere la cifra di Euro 100 a favore della figlia, oltre al 50% delle spese straordinarie, con rigetto della sua domanda di ottenere dalla moglie un assegno di mantenimento. È, dunque, il complesso delle condotte inadempienti di R., protrattesi nel tempo, senza soluzione di continuità, peraltro in aggiunta al fatto di essersi sottratto ai doveri di assistenza e di aver lasciato volontariamente il lavoro, in assenza della simbolica contribuzione oggi prevista dalla sentenza di divorzio, vale ad escludere la configurabilità di un' omissione incolpevole. Si tratta, infatti, di una protratta deliberazione di per sé non interferente con la patologia depressiva e neppure con lo stato formale di disoccupazione, dovendosi al riguardo richiamare il consolidato orientamento di questa Corte secondo cui non è ravvisabile un'assoluta incapacità economica dell'obbligato, quando sia prospettabile una scelta di vita Sez. 6, numero 49979 del 09/10/2019, G., Rv. 277626 Sez. 6, numero 41697 del 15/09/2016, B., Rv. 268301 . È proprio la situazione oggettiva e soggettiva di R., per come risultante sia in sede civile, in cui l'assegno a suo carico è stato confermato e di cui non è stata poi disposta l'ulteriore riduzione o esclusione, che in sede penale, a corroborare il giudizio in ordine alla mancata prova di una condizione di impossibilità incolpevole, suffragata dalla dimostrazione di aver fatto tutto il possibile per fruire di fonti di reddito si rinvia a Sez. 6, numero 13144 del 01/03/2022, R., Rv. 283055 . 4. Il quarto motivo è manifestamente infondato. Il ricorrente a fronte di un inadempimento totale degli obblighi su di sé gravanti, perdurante nel tempo pone la questione dell'antitesi tra continuazione e recidiva. È opportuno richiamare l'orientamento maggioritario di questa Corte secondo il quale al di là dell'insussistenza di fattori strutturali che possano costituire ostacolo alla compatibilità tra i due istituti, non esiste un'antinomia funzionale tra gli stessi. Infatti, l'aggravante di cui all'articolo 99 cod. penumero tende a sanzionare in maniera più incisiva chi, già pregiudicato per un delitto, ne commette un altro, così dimostrando un rafforzamento della volontà criminosa, di conseguenza, la propria maggiore pericolosità mentre la continuazione riguarda solo l'unitarietà del trattamento sanzionatorio che, in deroga al principio generale del cumulo materiale, consente di mitigare l'entità della pena, unitariamente computata per tutti i singoli reati ricompresi nell'originario disegno criminoso Sez. U, numero 9148 del 17/04/1996, Zucca, Rv. 205543 Sez. 2, numero 35730 del 02/07/2020, Minnuci, Rv. 280310 Sez. 3, numero 54182 del 12/09/2018, Pettenon, Rv. 275296 . La sospensione condizionale della pena, infine, correttamente non è stata applicata in ragione dell'essere stato il ricorrente già condannato due volte con riconoscimento di detto beneficio. 5. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.