Lascia i domiciliari ma comunica alla polizia giudiziaria la sua destinazione: è evasione

Condanna definitiva per una storica esponente del movimento No TAV. Respinta la tesi difensiva che mirava a ridimensionare la condotta oggetto del processo, presentandola come inoffensiva e quindi non punibile.  

Se si è agli arresti domiciliari, è impensabile salvarsi dalla condanna del reato di evasione solo perché si è preventivamente comunicato alle autorità preposte alla sorveglianza il luogo in cui ci sarebbe poi recati. Riflettori puntati su una storica fondatrice del movimento No TAV. Alla donna, costretta da tempo agli arresti domiciliari, vengono inflitti diciotto mesi di reclusione per evasione, avendo lasciato la propria abitazione per prendere parte a ulteriori manifestazioni No TAV. Sulla ricostruzione della vicenda e sulla pena concordano i giudici di merito. In particolare, in Appello viene chiarito che, «pacifico che la donna si allontanava dal luogo ove ristretta agli arresti domiciliari», «l’illecito non può ritenersi scriminato per inoffensività della condotta o lievità del fatto, tenuto conto sia della pluralità degli episodi, sia delle ragioni che hanno determinato la condotta» poiché si è appurato che «l’allontanamento dai domiciliari era funzionale alla partecipazione della donna a manifestazioni di protesta analoghe a quelle in cui erano maturati i fatti per i quali le era stata applicata la misura custodiale» e ciò «ha confermando e, anzi, aggravato le esigenze cautelari a fondamento del titolo custodiale».   Nel contesto della Cassazione, però, il legale che rappresenta l’esponente No TAV sostiene la tesi della «inoffensività della condotta» oggetto del processo. Nello specifico, egli sottolinea che la sua cliente «aveva sempre comunicato alle autorità proposte alla sorveglianza i luoghi in cui si sarebbe recata, anticipando anche pubblicamente i propri spostamenti e le attività politiche che l’avrebbero coinvolta». Questi dettagli sono rilevanti, secondo il legale, poiché, a suo dire, «il reato di evasione non si realizza con il mero allontanamento dal luogo prescritto ma implica un quid pluris consistente nella effettiva sottrazione ai controlli dell’autorità», sottrazione non concretizzatasi, sempre a suo dire, in questa vicenda, con conseguente «non punibilità del fatto». A sostegno di questa posizione, poi, il legale aggiunge che «lo stesso ufficio del Pubblico Ministero aveva chiesto, a suo tempo, la revoca della misura per insussistenza delle esigenze cautelari, evidenziando che le condotte non erano finalizzate ad evadere ma a sfidare la giustizia con conseguente assoluta innocuità». Dalla Cassazione arriva però una replica secca, che inchioda l’esponente No TAV alle proprie responsabilità alla luce del modus agendi della donna vanno escluse «l’inoffensività della condotta e mancanza dell’elemento psicologico del reato». I Magistrati chiariscono, innanzitutto, che, a fronte della «composita funzione della misura degli arresti domiciliari», «la inoffensività del fatto» catalogato come evasione «presuppone che si accerti, in concreto, la inidoneità della condotta a realizzare la violazione dell’interesse protetto poiché connotata da modalità esecutive che rivelino un disvalore talmente minimale da non compromettere la tutela del bene giuridico che costituisce la ratio della fattispecie incriminatrice e che è ravvisabile nel rispetto della decisione cautelare emessa dal giudice assicurando tutela, in primo luogo, al rispetto della prescrizione di non allontanarsi dal domicilio coatto». Secondo l’avvocato dell’esponente No TAV, quest’ultima «non ha violato la ratio della misura impostale», ossia gli arresti domiciliari, poiché «ella ha sempre comunicato alla polizia giudiziaria preposta ai controlli l’allontanamento dal domicilio e i luoghi in cui ella si sarebbe recata» e così «non si è sottratta alla possibilità di controllo da parte dell’autorità tenuta alla vigilanza, informata dei suoi spostamenti». Ma, ribattono prontamente i Giudici di Cassazione, «la donna comunicava effettivamente all’autorità proposta ai controlli la sua intenzione di allontanarsi ma per recarsi in luoghi distanti e al di fuori delle possibilità di controllo della polizia – ciò a prescindere se in tali luoghi venissero o meno consumati reati analoghi a quelli che avevano determinato l’applicazione della misura – e violando la prescrizione del giudice che era quella di permanere nell’abitazione». Di conseguenza, «le concrete modalità della condotta» tenuta dalla donna «e la reiterazione dell’allontanamento escludono che la funzione sostanziale della misura cautelare, da ravvisarsi nella esecuzione e nell’adempimento della decisione del giudice emessa al riguardo della limitazione della libertà personale della donna con la prescrizione di non allontanarsi dall’abitazione e rispetto alla quale è funzionale il controllo rimesso alla polizia giudiziaria, sia stata in concreto assolta ovvero che si sia in presenza di una violazione minimale dell’interesse protetto e, quindi, di una sostanziale inoffensività della condotta». Tirando le somme, i giudici di Cassazione confermano la condanna dell’esponente No TAV e precisano che «l’allontanamento dalla propria abitazione da parte del soggetto sottoposto agli arresti domiciliari, ancorché comunicato all’autorità preposta ai controlli, integra il delitto di evasione, non potendosi ravvisare la inoffensività in concreto della condotta che viola la funzione della misura cautelare da ravvisarsi nella esecuzione e nell’adempimento della decisione del giudice emessa al riguardo della limitazione della libertà personale del soggetto con la prescrizione di non allontanarsi dall’abitazione e rispetto alla quale è servente la funzione di controllo rimessa alla polizia giudiziaria».

Presidente Villoni – Relatore Giordano Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Torino, all'esito di rito abbreviato, ha confermato la condanna di D.N. alla pena di un anno e sei mesi di reclusione per reati di evasione articolo 385 c.p. . La Corte di appello, premesso che non è contestata la materialità dei fatti - poiché è pacifico che l'imputata si allontanava dal luogo ove ristretta agli arresti domiciliari - ha escluso che l'illecito potesse ritenersi scriminato per inoffensività della condotta o la lievità del fatto tenuto conto sia della pluralità degli episodi, sia delle ragioni che determinavano la condotta stessa perché l'allontanamento era funzionale alla partecipazione a manifestazioni di protesta, analoghe a quelle nelle quali erano maturati i fatti per i quali era stata applicata la misura custodiale, confermando e, anzi, aggravando le esigenze cautelari a fondamento del titolo custodiale. La Corte ha valorizzato, altresì, che nelle more del giudizio l'imputata non manifestava segni di resipiscenza perché rifiutava di sottoscrivere gli adempimenti relativi alla notifica. 2. Con i motivi di ricorso, di seguito sintetizzati ai sensi dell'articolo 173 disp. att. c.p.p. nei limiti strettamente indispensabili ai fini della motivazione il difensore denuncia violazione di legge e vizio di motivazione sulla ritenuta insussistenza della inoffensività della condotta rileva che l'imputata aveva sempre comunicato alle autorità proposte alla sorveglianza i luoghi nei quali si sarebbe recata, anticipando anche pubblicamente i propri spostamenti e le attività politiche che l'avrebbero coinvolta. La violazione della fattispecie incriminatrice di cui all'articolo 385 c.p. non si realizza con il mero allontanamento dal luogo prescritto ma implica un quid pluris consistente nella effettiva sottrazione ai controlli dell'autorità nel caso insussistente con conseguente applicabilità dell'articolo 49, comma 2 c.p. e non punibilità del fatto. Lo stesso ufficio del Pubblico Ministero aveva chiesto, a suo tempo, la revoca della misura per insussistenza delle esigenze cautelari ed evidenziando che le condotte non era finalizzate ad evadere ma a sfidare la giustizia con conseguente assoluta innocuità o, per certi versi, non tipicità delle condotte. Considerato in diritto 1. Il ricorso è proposto per motivi manifestamente infondati e, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Non sussistono i presupposti - della inoffensività della condotta o della mancanza dell'elemento psicologico del reato - per annullare senza rinvio la sentenza impugnata. Rileva il Collegio che il concetto di offensività della condotta, calibrato anche in relazione al contenuto dell'articolo 49, comma 2, c.p., presuppone che un fatto tipico, cioè inquadrabile nella fattispecie incriminatrice in relazione ai suoi elementi costitutivi condotta materiale, elemento psicologico ed evento , si configuri, in concreto, come del tutto inidoneo a realizzare la offensività del bene protetto dalla fattispecie incriminatrice che, nel caso del reato di evasione di cui all'articolo 385 cod. penumero , viene individuato nell'esigenza di imporre il rispetto delle decisioni emesse al riguardo della limitazione della libertà personale dell'imputato o del condannato dall'autorità giudiziaria. Non va trascurato che la misura cautelare degli arresti domiciliari si inquadra in una vasta gamma di misure attraverso le quali, pur in presenza di esigenze cautelari, tra le quali quella del pericolo di reiterazione delle condotte illecite, la misura della cautelare in carcere costituisce extrema ratio. Al giudice è fatto obbligo, al momento della scelta della misura articolo 275 c.p.p. di optare per l'applicazione della misura più adeguata e, proporzionata a realizzare il rispetto delle esigenze cautelari. Con la misura degli arresti domiciliari articolo 284 c.p.p. , il giudice prescrive all'imputato di non allontanarsi dalla propria abitazione , prescrizione alla quale è funzionale l'esercizio dei poteri controllo da parte dell'autorità di polizia giudiziaria addetta articolo 284, comma 4 c.p.p. e articolo 98 disp. att. c.p.p. . Il codice di rito delinea la misura degli arresti domiciliari, rispetto a quella di massimo rigore e di natura eminentemente coattiva della custodia in carcere, come una misura di natura fiduciaria nel senso che la sua esecuzione è, in massima parte, rimessa alla volontà della persona che vi è sottoposta assegnando meri compiti di controllo dell'osservanza delle prescrizioni alla polizia giudiziaria. Rispetto a tale composita funzione della misura degli arresti domiciliari la inoffensività del fatto, presuppone che si accerti, in concreto, la inidoneità della condotta a realizzare la violazione dell'interesse protetto perché connotata da modalità esecutive che rivelino un disvalore talmente minimale da non compromettere la tutela del bene giuridico che costituisce la descritta ratio della fattispecie incriminatrice e che è ravvisabile nel rispetto della decisione cautelare emessa dal giudice assicurando tutela, in primo luogo, al rispetto della prescrizione di non allontanarsi dal domicilio coatto. Secondo la prospettazione difensiva nel caso in esame, avendo l'imputata comunicato alla polizia giudiziaria preposta ai controlli l'allontanamento dal domicilio e i luoghi nei quali si sarebbe recata, non è violata la ratio della misura impostale poiché l'imputata non si era sottratta alla possibilità di controllo da parte dell'autorità tenuta alla vigilanza, informata dei suoi spostamenti. A questo riguardo la difesa ha richiamato un precedente di questa Corte Sez. 6, numero 44595 del 06/10/2015, Ranieri, Rv. 265451 reso in un caso in cui era stata, appunto, ritenuta l'inoffensività della condotta per un imputato che si era allontanato dall'abitazione ove era ristretto per farsi trovare fuori di essa dai carabinieri, prontamente informati della sua intenzione di volere andare in carcere. La estensione alla fattispecie concreta del principio di questa Corte non può essere accolta perché rivela una visione estremamente parziale della ratio della fattispecie incriminatrice ritagliata su un caso che presentava caratteristiche del tutto diverse dalla vicenda in esame nella quale l'imputata effettivamente comunicava all'autorità proposta ai controlli la sua intenzione di allontanarsi ma per recarsi in luoghi distanti e al di fuori delle possibilità di controllo della polizia a prescindere se in tali luoghi venissero o meno consumati reati analoghi a quelli che avevano determinato l'applicazione della misura , ma violando la prescrizione del giudice che era quella di permanere nell'abitazione. Le concrete modalità della condotta e la reiterazione dell'allontanamento, escludono che la funzione sostanziale della misura cautelare, da ravvisarsi nella esecuzione e adempimento della decisione emessa al riguardo della limitazione della libertà personale dell'imputata con la prescrizione di non allontanarsi dall'abitazione e rispetto alla quale è servente la funzione di controllo rimessa alla polizia giudiziaria, sia stata in concreto assolta ovvero che si sia in presenza di una violazione minimale dell'interesse protetto e, quindi, di una sostanziale inoffensività della condotta. Non senza trascurare che la disciplina della misura degli arresti domiciliari prevede articolo 284, comma 3, cit. un efficace sistema - quello dell'autorizzazione diretta al giudice che ha applicato la misura - per realizzare il giusto contemperamento tra esigenze di prevenzione speciale ed esigenze personali, anche connesse all'esercizio dei diritti fondamentali della persona. Deve dunque affermarsi che l'allontanamento dalla propria abitazione da parte dell'imputato sottoposto agli arresti domiciliari. ancorché comunicato all'autorità preposta ai controlli, integra il delitto di evasione di cui all'articolo 385 c.p. non potendosi ravvisare la inoffensività in concreto, ex articolo 49, comma 2, c.p. della condotta, che viola la funzione della misura cautelare da ravvisarsi nella esecuzione e adempimento della decisione del giudice emessa al riguardo della limitazione della libertà personale dell'imputato con la prescrizione di non allontanarsi dall'abitazione e rispetto alla quale è servente la funzione di controllo rimessa alla polizia giudiziaria. Le concrete modalità della condotta e la reiterazione dell'allontanamento denotano, altresì, la consapevolezza dell'imputata di violare le prescrizioni impostele con riguardo ad un reato a dolo generico, caratterizzato dalla consapevolezza di allontanarsi in assenza della necessaria autorizzazione, a nulla rilevando i motivi che hanno determinato la condotta dell'agente Sez. 6, numero 19218 del 08/05/2012, Rapillo, Rv. 252876 e le conseguenti scelte del Pubblico Ministero, in materia cautelare. 2.Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, indicata in dispositivo, in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.