Detenzione di hashish a fini di spaccio: 50 grammi non bastano ad escludere l’ipotesi della condotta non grave

In Appello possibile riduzione della pena per l’uomo beccato a detenere complessivamente circa 50 grammi di hashish e a cedere una dose ad un uomo. Il dato quantitativo non è sufficiente, secondo i Giudici di Cassazione, per parlare di fatto grave, anche perché non è accertato né il numero di clienti dello spacciatore, né il fatto che quest’ultimo sia inserito in un gruppo organizzato.

Possibile catalogare come fatto non grave la detenzione di 50 grammi di hashish destinata allo spaccio. Ricostruita la vicenda, i giudici di merito ritengono corretta, sia in primo che in secondo grado, la condanna dell’uomo sotto processo, colpevole di detenzione illecita di sostanza stupefacente – hashish, per la precisione – e sanzionato con due anni e otto mesi di reclusione e 8mila euro di multa. Nel contesto della Cassazione il legale che rappresenta l’uomo non mette in discussione i fatti ma prova a ridimensionarne la gravità, sostenendo si possa parlare di fatto lieve alla luce, in particolare, del dato quantitativo , praticamente 50 grammi di hashish con un principio attivo pari a 15 grammi. Secondo il legale le concrete capacità di azione dell’uomo, le sue relazioni con il mercato di riferimento, in ragione dell’entità della droga movimentata in un determinato lasso di tempo, del numero degli assuntori e della rete organizzativa non sono comunque incompatibili con una ridotta offensività della condotta oggetto del processo. E a confermarlo è, sempre secondo il legale, il mancato confezionamento della sostanza in dosi e l’assenza di altri elementi sintomatici del numero di assuntori riforniti dall’uomo in veste di spacciatore. Prima di esaminare in dettaglio il caso, i Giudici di Cassazione ricostruiscono l’episodio che ha dato il la al procedimento penale. Nello specifico, nel novembre del 2020, a seguito di un controllo di Polizia, l’uomo ora sotto processo era stato colto nell’atto di cedere, dietro pagamento di 20 euro, una dose di hashish a un uomo, e, sottoposto a perquisizione, era stato trovato in possesso della somma di 480 euro e di un mezzo panetto di hashish , occultato negli slip e idoneo a confezionare oltre seicento dosi . Questi dettagli sono stati ritenuti sufficienti dai giudici d’Appello per escludere l’ipotesi del fatto di lieve entità, anche perché, hanno spiegato, non si trattava di spaccio occasionale, ma di attività organizzata comprovata dalla detenzione della somma di denaro, dalla circostanza dell’arresto in flagranza per il reato analogo avvenuto circa un mese prima e dalle dichiarazioni dell’acquirente che aveva indicato l’uomo come spacciatore a lui noto nonché dal dato ponderale dello stupefacente . In Appello, quindi, il quantitativo lordo di stupefacente in possesso dell’uomo è stato ritenuto elemento decisivo per escludere l’ipotesi della condotta caratterizzata da minore gravità . Ma tale conclusione non è condivisibile, ribattono i Giudici di Cassazione, poiché si tratta di un quantitativo che rientra pienamente nel valore – 102 grammi lordi o 25,5 grammi di principio attivo – individuato come valore soglia ai fini della tendenziale qualificazione del fatto come lieve , e ciò sulla scorta di un’analisi di numerose sentenze di Cassazione che hanno fatto riferimento proprio al dato quantitativo dello stupefacente detenuto . I Giudici di Cassazione riconoscono la difficoltà di individuare, a fronte della elasticità degli elementi che concorrono a delineare la fattispecie lieve, parametri improntati a criteri oggettivi ma, aggiungono, certamente il dato ponderale è l’unico che può assumere una connotazione oggettiva, suscettibile di descrizione sulla base di criteri prevedibili ex ante e verificabili ex post , in funzione dell’applicazione in concreto del principio di proporzione calibrato sul grado di offensività della condotta . Non a caso, vari uffici di Procura hanno adottato linee guida che, sulla base dell’utilizzo di un proprio moltiplicatore, applicato sui valori della quantità massima detenibile, hanno individuato il valore di sostanza pura integrante l’ipotesi di lieve entità , allo scopo di orientare l’attività di Polizia giudiziaria e il conseguente esercizio dell’azione penale, con risultati tutt’altro che omogenei e in molteplici provvedimenti giudiziari è il dato quantitativo che viene individuato come un indice negativamente assorbente ai fini della qualificazione giuridica, ancorato soprattutto al valore di principio attivo ed al numero delle cosiddette dosi medie singole . Per fare chiarezza, allora, dalla Cassazione sanciscono che il giudice, ai fini della valutazione della sussistenza del fatto lieve, può tenere conto del fatto che il dato ponderale oggetto di giudizio sia stato ritenuto, sulla base di un dato calcolato sui dati rinvenibili nelle sentenze di terzo grado e risultante, dalla ricognizione statistica su un campione significativo di provvedimenti giudiziari, pari, per l’hashish, al valore lordo di 102 grammi e di 25,5 grammi di principio attivo, valori tendenzialmente compatibili col fatto lieve previsto dal Testo unico sulla droga . In questo quadro generale si inserisce anche la vicenda oggetto del processo, visti e considerati il dato quantitativo lordo di hashish, pari a 50 grammi, e il principio attivo pari a 15 grammi. Ampliando l’orizzonte, poi, i Magistrati spiegano che il dato quantitativo, a meno che non si presenti come un valore in assoluto significativo, è uno dei criteri che il giudice deve valutare ai fini della qualificazione giuridica del fatto ma, in presenza di un valore generalmente suscettibile, nelle decisioni giudiziarie, di valutazioni così oscillanti non può assumere, di per sé, valenza determinante soverchiando ogni altra valutazione relativa alle concrete modalità del fatto e della condotta . E ragionando in questa ottica deve escludersi che qualsiasi forma e grado di organizzazione, struttura, professionalità, reiterazione giustifichi per sé l’esclusione dell’ipotesi lieve poiché la normativa deve essere intesa alla luce del principio di proporzione, senza limitare la fattispecie incriminatrice al fatto assolutamente minimale di detenzione e cessione di pochissime dosi, spettando al giudice l’apprezzamento in fatto e in concreto del livello di offensività della condotta complessiva . I Giudici sottolineano poi che l’attività di spaccio costituisce, sul piano empirico, un fenomeno composito poiché, accanto a vere e proprie forme di appalto di manovalanza per lo smercio su strada, spesso utilizzato anche dalla criminalità organizzata, lo spaccio appare riconducibile anche ad attività delinquenziale , individuale o in forma più o meno organizzata, per il procacciamento di risorse illegali o ad un’attività parallela degli utilizzatori di stupefacenti per procurarsi risorse per l’acquisto personale. Dunque, un fenomeno variegato, quello del segmento finale del circuito di commercio di stupefacenti, rispetto al quale appare riduttivo l’approccio che, per escludere la configurabilità dell’ipotesi lieve, ne valorizza la contiguità con il contesto di commercio della droga . Per i giudici questo collegamento è generico e inidoneo a definire la concreta offensività della condotta . Tirando le somme e tornando alla vicenda oggetto del processo, i Magistrati ritengono non ci siano i presupposti per ritenere che l’attività di spaccio – al di là del singolo quantitativo sequestrato – avesse connotati idonei a escludere la tenuità della condotta , non essendo accertato né il numero di assuntori che si rivolgevano allo spacciatore, né un suo inserimento in un gruppo organizzato, trattandosi di una conclamata attività di spaccio svolta in maniera isolata né, tenuto conto del valore economico dello stupefacente, altri elementi di fatto denotanti disponibilità finanziarie idonee a procurarsi quantitativi apprezzabili sostanza stupefacente . Al contrario, prima di riaffidare il caso alle valutazioni della Corte d’appello, i Giudici di Cassazione ritengono doveroso sancire che la detenzione, a fini di cessione, di 102 grammi di hashish con 15 grammi di principio attivo , non è di per sé ostativa alla qualificazione della lieve entità del fatto, configurabile nelle ipotesi di cosiddetto piccolo spaccio, che si caratterizza per una complessiva minore portata dell’attività dello spacciatore, con una ridotta circolazione di merce e di denaro nonché di guadagni limitati e che ricomprende anche la detenzione di una provvista per la vendita .

Presidente Fidelbo – Relatore Giordano Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Salerno, revocata la confisca di un cellulare, ha confermato la condanna di R.S., con la diminuente del rito abbreviato, alla pena di anni due e mesi otto di reclusione ed Euro ottomila di multa, per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 4, reato commesso il omissis . 2.Con i motivi di ricorso, di seguito sintetizzati ai sensi dell' art. 173 disp. att. c.p.p. nei limiti strettamente indispensabili ai fini della motivazione, il ricorrente denuncia 2.1 violazione di legge per la mancata qualificazione ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990 art. 73, comma 5 del fatto. Il dato quantitativo g 49.94 di hashish e gli ulteriori elementi di fatto indicati in sentenza non sono idonei ad escludere la configurabilità di tale fattispecie e a dimostrare che le concrete capacità di azione dell'imputato, le sue relazioni con il mercato di riferimento, in ragione dell'entità della droga movimentata in un determinato lasso di tempo, del numero degli assuntori e della rete organizzativa o altre peculiari modalità di azione siano tali da essere incompatibili con una ridotta offensività della condotta in uno dei suoi elementi. Né la Corte ha valorizzato il mancato confezionamento in dosi o altri elementi sintomatici del numero di assuntori riforniti 2.2 violazione di legge in ordine alla confisca della somma in sequestro, ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990 art. 85-bis e art. 240-bis c.p. e mancata assicurazione, sul punto, del contraddittorio. La Corte, in presenza di mera condotta di detenzione e non spaccio, se non per la somma ricevuta dallo S. ha riqualificato la confisca senza che l'imputato fosse stato messo in condizione di interloquire sulla sproporzione della somma in sequestro, requisito che non era stato posto a base della decisione di primo grado che con il terzo motivo di appello la difesa aveva impugnato evidenziando la insussistenza del vincolo di pertinenza tra la somma in sequestro e il reato per cui si procede. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato e la sentenza impugnata, qualificato il fatto contestato nel reato previsto dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, deve essere annullata senza rinvio sul punto della disposta confisca della somma di denaro e con trasmissione degli atti alla Corte di appello di Napoli per la rideterminazione della pena. 2. La Corte di appello ha confermato la qualificazione giuridica del fatto come reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990 art. 73, comma 4 valorizzando a carico dell'imputato le risultanze del controllo di Polizia e del sequestro. Il omissis l'imputato veniva colto nell'atto di cedere una dose di hashish a S.F., dietro pagamento del corrispettivo di venti Euro, e, sottoposto a perquisizione, veniva trovato in possesso della somma di Euro 480,00 e di un mezzo panetto di hashish, occultato negli slip e idoneo a confezionare oltre 600 dosi. La Corte ha escluso che il fatto fosse sussumibile nel reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990 art. 73, comma 5, evidenziando che non si trattava di spaccio occasionale, ma di attività organizzata comprovata dalla detenzione della somma, dalla circostanza dell'arresto in flagranza per il reato analogo avvenuto circa un mese prima e dalle dichiarazioni dell'acquirente che aveva indicato l'imputato come spacciatore a lui noto nonché dal dato ponderale dello stupefacente. 3. Il motivo di ricorso sulla qualificazione giuridica del fatto è fondato. Va rilevato che lo stupefacente, sottoposto ad accertamento merceologico, è risultato del peso di g 49.94 contenente principio attivo THC pari a g 15,204. In relazione al contenuto del verbale di arresto, nel quale si dà atto che l'imputato era stato colto nell'atto di cessione di una dose allo S. che gli aveva consegnato in pagamento venti Euro, appare del tutto ragionevole concludere, secondo le risultanze illustrate nella sentenza impugnata, che anche la restante droga detenuta fosse destinata alla cessione. Da questi elementi di fatto, la Corte di merito ha tratto la conclusione che il fatto dovesse essere inquadrato nella fattispecie incriminatrice di cui al D.P.R. n. 309 del 1990 art. 73, comma 4, non essendo compatibile la quantità di sostanza detenuta e la condotta di spaccio nella fattispecie attenuata di cui al D.P.R. n. 309 del 1990 art. 73, comma 5. Una conclusione che, ad avviso del Collegio, non fa corretta applicazione dei principi in materia e che appare agganciata alla attribuzione di caratteristiche della condotta non corrispondenti all'elemento materiale del reato di cessione di sostanze stupefacenti, come delineato nella giurisprudenza di questa Corte che ha ritenuto compatibile, con la qualificazione ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990 art. 73, comma 5 il cd. piccolo spaccio , anche organizzato. 3.1 Per consolidata giurisprudenza, il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990 art. 73, comma 5, può essere riconosciuto in ipotesi di minima offensività della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione mezzi, modalità, circostanze dell'azione . La giurisprudenza ha precisato che anche se uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio cfr. Sez. U, n. 35737 del 24/06/2010, Rico, Rv. 247911 . L'accertamento della lieve entità del fatto implica, secondo tale condivisa esegesi, una valutazione complessiva, ma non meramente formale o apparente, di tutti gli elementi della fattispecie concreta, in relazione ai diversi criteri enunciati dalla disposizione. Si è ritenuto che non fosse ostativo alla sussunzione del fatto nell'ipotesi di cui al D.P.R. n. 309 del 1990 art. 73, comma 5, lo svolgimento di attività di spaccio di stupefacenti non occasionale, ma inserita in un'attività criminale organizzata o professionale cfr. Sez. 6, n. 28251 del 09/02/2017, Mascali, Rv. 270397 con la precisazione, riferita al piccolo spaccio , che questo deve presentare un'incidenza sul mercato quantificabile in dosi conteggiate a decine Sez. 6, n. 41090 del 18/07/2013, Airano, Rv. 256609 . - 3.2 Nel caso in esame, alla stregua della motivazione della sentenza impugnata, il quantitativo lordo di stupefacente è stato ritenuto elemento decisivo ai fini della qualificazione giuridica del fatto nella fattispecie di cui al D.P.R. n. 309 del 1990 art. 73, comma 4, in quanto insuscettibile di connotare la condotta in termini di minore gravità. Tale conclusione non è condivisibile trattandosi di un quantitativo che rientra pienamente nel valore - 102 g lordi o 25,5 g di principio attivo - individuato come valore soglia ai fini della tendenziale qualificazione del fatto ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990 art. 73, comma 5, sulla scorta di uno studio compiuto presso la Sezione, studio che ha analizzato numerose sentenze della Corte di Cassazione che facevano riferimento proprio al dato quantitativo dello stupefacente detenuto. Il Collegio è consapevole della difficoltà di individuare, a fronte della elasticità degli elementi che concorrono a delineare la fattispecie incriminatrice di cui al D.P.R. n. 309 del 1990 art. 73, comma 5, parametri improntati a criteri oggettivi certamente, però, il dato ponderale è l'unico che può assumere una connotazione oggettiva, suscettibile di descrizione sulla base di criteri prevedibili ex ante e verificabili ex post, in funzione dell'applicazione in concreto del principio di proporzione calibrato sul grado di offensività della condotta. È noto che vari uffici di Procura, hanno adottato linee guida che, sulla base dell'utilizzo di un proprio moltiplicatore, applicato sui valori della quantità massima detenibile, hanno individuato il valore di sostanza pura integrante l'ipotesi di lieve entità, allo scopo di orientare l'attività di Polizia giudiziaria e il conseguente esercizio dell'azione penale, con risultati tutt'altro che omogenei. Ed è sempre il dato quantitativo che, nella giurisprudenza, viene individuato come un indice negativamente assorbente ai fini della qualificazione giuridica, ancorato, come si accennava, soprattutto al valore di principio attivo ed al numero delle cd. dosi medie singole. Molti casi esaminati nella giurisprudenza di legittimità possono essere collocati in una zona grigia , al confine fra le due fattispecie di reato, ma il giudice non può, in questi casi, espungere dal giudizio di gravità e/o lieve entità del fatto, facendo applicazione del principio di offensività, anche la valutazione del trattamento sanzionatorio comminato, così relegando nella fattispecie di lieve entità solo il fatto addirittura esiguo, con il rischio di dar luogo a sperequazioni punitive in eccesso come dimostra il risultato dell'analisi innanzi richiamata proprio in casi di detenzione, per l'hashish, di sostanza stupefacente di gran lunga inferiore a 100 g di sostanza lorda qualificata ai sensi dell' art. 73, comma 4, D.P.R. n. 309 del 1990 . Nel caso in esame la qualificazione del fatto e la valorizzazione del dato quantitativo hanno condotto all'applicazione della pena di anni quattro di reclusione poi ridotta all'inflitto per il rito che è una pena praticamente eguale alla pena massima comminata per l'ipotesi lieve, una pena edittale destinata a restare sulla, carta in presenza di una lettura della fattispecie incriminatrice che si concentra e appiattisce su valori esigui e minimali. Si ritiene dunque di poter affermare che, ai fini della valutazione della sussistenza del fatto lieve, il giudice può tenere conto del fatto che il dato ponderale oggetto di giudizio sia stato ritenuto, sulla base di un dato calcolato sui dati rinvenibili nelle sentenze della Corte di legittimità e risultante dalla ricognizione statistica su un campione significativo di sentenze, come compatibile con l' art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990 e pari, per l'hashish al valore lordo di g 102 e di principio attivo di g 25,5, valori tendenzialmente compatibili con la fattispecie di cui all'art. 73, comma 5 D.P.R. n. 309 cit. e nei quali rientra sia, nel caso in esame, il dato quantitativo lordo, pari a g 49.94 che il principio attivo THC pari a g 15,204. Il dato quantitativo, a meno che non si presenti come un valore in assoluto significativo, è uno dei criteri che il giudice deve valutare ai fini della qualificazione giuridica del fatto ma, in presenza di un valore generalmente suscettibile, nelle decisioni giudiziarie, di valutazione così oscillanti non può assumere, di per se, valenza determinante soverchiando ogni altra valutazione relativa alle concrete modalità del fatto e della condotta. Nessun altro elemento valorizzato nella sentenza impugnata ai fini della esclusione della qualificazione giuridica del fatto nell'ipotesi di cui all' art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990 possiede valenza dirimente in chiave di apprezzamento della gravità del fatto. Deve escludersi, inoltre, che qualsiasi forma e grado di organizzazione, struttura, professionalità, reiterazione giustifichi per sé l'esclusione dell'ipotesi lieve poiché l' art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990 deve essere inteso alla luce del principio di proporzione, senza limitare la fattispecie incriminatrice al fatto assolutamente minimale di detenzione e cessione di pochissime dosi, spettando al giudice l'apprezzamento in fatto e in concreto del livello di offensività della condotta complessiva. L'attività di spaccio costituisce, sul piano empirico, un fenomeno composito perché, accanto a vere e proprie forme di appalto di manovalanza per lo smercio su strada, spesso utilizzato anche dalla criminalità organizzata, lo spaccio appare riconducibile anche ad attività delinquenziale, individuale o in forma più o meno organizzata, per il procacciamento di risorse illegali o ad un'attività parallela degli utilizzatori di stupefacenti per procurarsi risorse per l'acquisto personale. Un fenomeno variegato, dunque, quello del segmento finale del circuito di commercio di stupefacenti rispetto al quale appare riduttivo l'approccio della giurisprudenza che, per escludere la configurabilità dell'ipotesi di cui all' art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990 , ne valorizza, come la sentenza impugnata, la contiguità con il contesto di commercio della droga una definizione generica e inidonea a definire la concreta offensività della condotta. 4.Conclusivamente ritiene il Collegio che, nel caso in esame, in carenza di elementi sulla cui base ritenere che l'attività di spaccio - al di là del singolo quantitativo sequestrato - avesse connotati idonei a escludere la tenuità della condotta richiesta dall'art. 73, comma 5, D.P.R. n. 9 ottobre 1990, non essendo accertato nè il numero di assuntori che si rivolgevano all'imputato, né un suo inserimento in un gruppo organizzato trattandosi di una conclamata attività di spaccio svolta in maniera isolata né, tenuto conto del valore economico dello stupefacente caduto in sequestro, altri elementi di fatto che denotino disponibilità finanziarie idonee a procurarsi quantitativi apprezzabili sostanza stupefacente. Rispetto agli elementi descrittivi della condotta, innanzi illustrati, va affermato che la detenzione a fini di cessione di g 102 di hashish e g 15,204 di principio attivo, non è di per sé ostativo alla qualificazione della lieve entità del fatto ai sensi dell' art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990 configurabile nelle ipotesi di cosiddetto piccolo spaccio, che si caratterizza per una complessiva minore portata dell'attività dello spacciatore, con una ridotta circolazione di merce e di denaro nonché di guadagni limitati e che ricomprende anche la detenzione di una provvista per la vendita. 4.Va annullata senza rinvio la statuizione della sentenza impugnata in relazione alla disposta confisca della somma di Euro 460,00 eccedente i venti Euro che l'imputato aveva ricevuto quella di venti Euro ricevuta in pagamento della cessione di droga allo S. . Premesso che in primo grado era stata disposta la confisca della somma in quanto provento dell'attività illecita, la Corte di appello ha condiviso la censura dell'appellante, che sottolineava la mancanza di nesso di collegamento tra l'attività illecita, risoltasi nella mera detenzione di stupefacente, e la somma detenuta ma, cionondimeno, ha confermato la disposta confisca del denaro, ai sensi dell' art. 85-bis D.P.R. n. 309 del 1990 e 240-bis c.p.p. In particolare, la Corte ha ritenuto sproporzionata per eccesso rispetto alle condizioni economiche dell'imputato persona senza fissa dimora e occupazione e già tratto in arresto, un mese prima, per il medesimo reato la disponibilità della somma, a fronte di alcuna giustificazione circa la provenienza lecita o diversa. Ritiene il Collegio che, a prescindere dalla denunciata violazione dell' art. 597, comma 3, c.p.p. per la intervenuta modifica del titolo della confisca da confisca quale provento del reato a confisca per sproporzione , è assorbente e risolutivo il rilievo che la qualificazione giuridica del fatto ai sensi dell' art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990 preclude l'applicazione della confisca cd. per sproporzione poiché tale autonomo titolo di reato non è ricompreso e, anzi è escluso dal catalogo dei reati che rendono applicabile la confisca ai sensi dell' art. 85-bis D.P.R. n. 309 del 1990 , misura che non potrebbe essere disposta neppure in sede esecutiva. Ne consegue che la somma indicata deve essere restituita all'avente diritto. P.Q.M. Qualificato il fatto contestato nel reato previsto dall 'art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990 , annulla senza rinvio la sentenza impugnata in relazione alla disposta confisca della somma si Euro 460,00 e trasmette gli atti alla Corte di appello di Napoli per la sola rideterminazione della pena. Dispone la restituzione della somma suindicata all'avente diritto e manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all 'art. 626 c.p.p .