Accertamento dell'effettiva residenza: gli impegni lavorativi del cittadino non giustificano la sua assenza durante i controlli

Inutili le obiezioni sollevate da un avvocato che si è visto cancellato dai registri dell’anagrafe del Comune. Decisiva la sua assenza in occasione dei controlli effettuati dagli agenti della Polizia municipale. Irrilevante, invece, il fatto che il legale abbia indicato come studio un locale collocato nel territorio comunale e che risulti essere proprietario dell’immobile collocato anch’esso nel territorio e indicato come sede della sua residenza.

Legittimi i controlli a sorpresa effettuati dai vigili urbani per verificare l’effettività della residenza nel territorio del Comune. Impossibile accogliere la tesi, proposta da un avvocato, secondo cui, a fronte di impegni lavorativi gravosi, sia necessario un accordo tra Comune e potenziale residente su giorno e ora della verifica a domicilio da parte degli agenti della Polizia municipale Scenario della vicenda, con annesso strascico giudiziario, è un Comune abruzzese. Lì un avvocato chiede di registrare la propria residenza e mette sul tavolo diversi elementi a sostegno della propria istanza, precisando, in particolare, di essere iscritto presso il Consiglio dell’Ordine di un Comune limitrofo e distante, in linea d’aria, appena quindici chilometri, e con indicazione dello studio in un locale presente sul territorio del Comune a cui ha chiesto di registrare la propria residenza. Il legale sottolinea poi che anche in occasione dell’apertura della partita IVA ha indicato quale luogo di residenza quello del Comune a cui ha presentato la relativa istanza. Tutti questi elementi si rivelano però non sufficienti, poiché il responsabile dei Servizi demografici del Comune dispone, quale ufficiale dello stato civile, la cancellazione del nominativo del legale dai registri dell’ anagrafe del Comune . E questo provvedimento è ritenuto legittimo dai giudici di merito, i quali sottolineano l’accertata assenza dell’avvocato nell’abitazione di residenza in occasione dei ripetuti sopralluoghi effettuati dai vigili urbani nonché l’inidoneità degli elementi di prova offerti dal legale a sostegno della effettiva, stabile e permanente residenza nel Comune. In sostanza, secondo i giudici di merito, il legale non ha fornito la necessaria dimostrazione del presupposto fattuale necessario per l’iscrizione nel registro dell’anagrafe del Comune . Nel contesto della Cassazione il legale ribadisce la propria tesi è illegittima la decisione del responsabile dei Servizi demografici del Comune. Soprattutto perché, da un lato, i sopralluoghi sono stati eseguiti tutti tra le ore 10 e le ore 12 di giorni feriali e, dunque, in concomitanza con lo svolgimento dell’attività lavorativa , e, dall’altro, il Comune è stato indicato come quello di residenza del legale per alcune vicende importanti, come l’indicazione dello studio in occasione dell’iscrizione all’Ordine professionale, come l’apertura della partita IVA. Sempre per contestare la decisione del responsabile dei Servizi demografici del Comune, poi, il legale sostiene che l’ effettività della residenza non viene meno laddove la persona si assenta, per periodi limitati, per motivi di lavoro , a maggior ragione quando, come in questo caso, essa è proprietaria dell’immobile indicato quale sede della sua residenza ed è finanche amministratore del condominio ove si trova tale immobile . Questi elementi non sono però sufficienti, secondo i Giudici di Cassazione, i quali ribattono che il legale non ha fornito adeguata prova del requisito indispensabile all’accoglimento della sua domanda, ossia dell’effettiva residenza nel Comune , poiché egli avrebbe potuto dimostrare la sua effettiva costante frequentazione dell’abitazione sita nel territorio comunale in termini compatibili con lo svolgimento dell’attività lavorativa, anche mediante la documentazione di coerenti consumi delle utenze domestiche . Di conseguenza, non è neanche ipotizzabile un diritto del legale all’iscrizione del suo nominativo dei registri dell’anagrafe del Comune, proprio in ragione della mancata prova dei relativi fatti costitutivi , sanciscono i Magistrati. Per fare chiarezza, comunque, dalla Cassazione precisano che la residenza di una persona, stando al Codice Civile, è determinata dall’abituale e volontaria dimora in un determinato luogo, che si caratterizza per l’ elemento oggettivo della permanenza e per l’ elemento soggettivo dell’intenzione di abitarvi stabilmente , rivelata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle normali relazioni sociali . E tali considerazioni assumono una valenza ancor più pregnante nell’epoca attuale, caratterizzata da una pluralità di centri di interesse personali, da una più agevole e rapida possibilità di spostamento da una località all’altra e da nuove e alternative modalità di svolgimento della prestazione lavorativa . Tuttavia, la verifica dell’effettività della residenza dichiarata – ossia l’accertamento che un soggetto abbia realmente stabilito la propria dimora abituale in una determinata località e che non vi si rechi solo nei periodi dell’anno in cui il soggiorno si caratterizzi come più conveniente, ma vi torni abitualmente, in modo sistematico, una volta assolti gli impegni lavorativi o di studio – impone il ricorso a controlli che, se da un lato, devono essere svolti in modo non incompatibile con l’esigenza di ogni cittadino di poter attendere quotidianamente alle proprie occupazioni che non necessariamente devono avere un radicamento nel luogo in cui si è deciso di stabilire la propria residenza , dall’altro, non necessariamente richiedono che siano previamente concordati col cittadino, in quanto, diversamente, si vanificherebbe la ratio della norma , spiegano i Giudici. E, ragionando in questa ottica, affinché siano contemperate, da un lato, l’esigenza del Comune di poter svolgere i propri controlli nel modo più idoneo, e anche a prevenire ogni possibile abuso , e, dall’altro, quella del cittadino di poter attendere serenamente alle proprie occupazioni, vi deve essere una leale collaborazione tra i due soggetti, caratterizzata dall’onere del richiedente la residenza di indicare, fornendone adeguata motivazione, i momenti in cui sarà certa la sua assenza dalla propria abitazione, in modo tale da consentire al Comune di programmare i propri controlli a sorpresa nei momenti residui . Tirando le somme, non è plausibile la tesi secondo cui l’unica modalità con cui il Comune può esercitare il proprio potere di controllo del requisito della residenza sia quella del previo accordo con il cittadino in ordine al momento di esecuzione dell’accesso . Di conseguenza, tornando alla vicenda oggetto del processo, poiché l’avvocato non ha dedotto di aver indicato all’ente locale i momenti di assenza dalla propria abitazione merita conferma la decisione presa dal responsabile dei Servizi demografici del Comune.

Presidente Genovese – Relatore Catallozzi Rilevato che - M.F. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di L'Aquila, depositata il 13 gennaio 2021, di reiezione del suo appello per la riforma della sentenza di primo grado che aveva respinto le sue domande di accertamento della illegittimità del provvedimento con il quale il Responsabile dei Servizi Demografici del comune di omissis , quale ufficiale dello Stato civile, aveva disposto la cancellazione del suo nominativo dai registri dell'anagrafe del comune e di condanna dello stesso alla reiscrizione del medesimo nominativo nei registri comunali e al risarcimento dei danni - la Corte di appello ha dato atto che il locale Tribunale aveva disatteso le domande evidenziando l'assenza dell'attrice nell'abitazione di residenza in occasione dei ripetuti sopralluoghi effettuati, nonché l'inidoneità degli elementi di prova offerti dall'attrice a sostegno dell'allegazione della effettiva, stabile e permanente residenza nel comune di omissis - ha, quindi, respinto il gravame condividendo la valutazione del Tribunale in ordine alla mancata dimostrazione da parte dell'attrice del presupposto fattuale necessario per l'iscrizione nel registro dell'anagrafe del comune di omissis - il ricorso è affidato a quattro motivi - nessuno degli intimati spiega difesa. Considerato che - va preliminarmente disattesa la richiesta di interruzione del giudizio avanzata dall'avv. L. in ragione del sopravvenuto decesso della propria assistita, odierna ricorrente, atteso che nel giudizio di cassazione, dominato dall'impulso d'ufficio, non trova infatti applicazione l'istituto della interruzione del processo per uno degli eventi previsti dagli artt. 299 c.p.c. ss., sicché, una volta instauratosi il giudizio, il decesso, come nella specie, di uno dei ricorrenti, comunicato dal suo difensore, non produce l'interruzione del giudizio cfr. Cass. 28 dicembre 2022, n. 37898 Cass. Cass. 21 febbraio 2021, n. 3630 Cass. 3 dicembre 2015, n. 24635 - ciò posto, con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione della l. 7 agosto 1990, n. 241, artt. 7, e D.P.R. 30 maggio 1989, n. 223, art. 11, per aver la sentenza impugnata ritenuto che la mancata dimostrazione da parte dell'attore dei fatti costitutivi del diritto soggettivo asseritamente leso ostasse all'accoglimento delle domande senza rilevare il mancato rispetto del procedimento amministrativo, puntualmente censurato, che aveva condotto all'adozione del provvedimento contestato - evidenzia, in particolare, che il provvedimento era stato adottato senza previa convocazione dell'interessata - con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione della l. 15 maggio 1954, n. 1228, artt. 4, e del D.P.R. n. 223 del 1989, art. 10, 11 e 15, per aver la Corte d'appello ritenuto non dimostrato il presupposto dell'effettiva residenza dell'attrice nel comune di omissis senza considerare che i sopralluoghi effettuati, valorizzati nella decisione impugnata, erano stati eseguiti tutti tra le 10,00 e le 12,00 di giorni feriali e, dunque, in concomitanza con lo svolgimento dell'attività lavorativa era iscritta presso il consiglio dell'ordine di […] con indicazione dello studio proposta del luogo in cui risiedeva, individuato in omissis , omissis anche in occasione dell'apertura della partita Iva era indicato omissis quale luogo di residenza l'ufficiale dell'anagrafe non le aveva notificato l'avvio del procedimento per la cancellazione dai registri dell'anagrafe civile quindi era all'oscuro dell'intenzione dell'ente locale l'effettività della residenza non veniva meno laddove la persona si assentava, per periodi limitati, per motivi di lavoro era proprietaria dell'immobile indicato quale sede della sua residenza ed era amministratore del condominio ove si trovava tale immobile - con il terzo motivo si duole della violazione e falsa applicazione della Cost, artt. 111 e 132, comma 2, n. 4, c.p.c. , allegando la apparenza della motivazione sul punto della insussistenza della prova del danno lamentato, individuato nella mancata possibilità di esercizio del diritto di voto alle elezioni dell'anno 2008 - con l'ultimo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione della Cost, artt. 111 e 132, comma 2, n. 4, c.p.c. , per apparenza e contraddittorietà della motivazione in ordine alla mancata dimostrazione dell'effettività della sua residenza nel comune di omissis - quest'ultimo motivo, esaminabile prioritariamente per motivi di ordine logico-giuridico, è infondato - la Corte di appello ha affermato che l'appellante non avesse fornito adeguata prova del requisito indispensabile all'accoglimento della sua domanda, ossia dell'effettiva residenza nel comune di omissis , non evincibile, a fronte delle chiare risultanze dei ripetuti accertamenti effettuati, né dalla documentazione offerta certificato di apertura di partita i.v.a., riferito all'anno 2002 né dalla prova orale articolata, correttamente valutata come inammissibile - ha, quindi, illustrato le ragioni di tale inammissibilità ed evidenziato che la parte avrebbe potuto dimostrare la sua effettiva costante frequentazione dell'abitazione sita in omissis in termini compatibili con lo svolgimento dell'attività lavorativa, anche mediante la documentazione di coerenti consumi delle utenze domestiche - una siffatta motivazione consente di individuare l'iter argomentativo seguito dal giudice, privo di contraddizioni che inficiano il rispetto dell'obbligo costituzionale della motivazione delle sentenze, e per tale motivo si sottrae alla censura prospettata - il primo motivo è inammissibile - la parte si duole del mancato rispetto delle regole che presiedono al procedimento di cancellazione dai registri anagrafici, in particolare, la violazione dell'obbligo di comunicazione dell'avvio del procedimento - omette, tuttavia, di considerare che, in ragione della natura vincolata dell'attività dell'ufficiale dello stato civile e del fatto che la stessa è dettata nell'interesse diretto della popolazione residente, la relativa disciplina non contiene norme sull'azione amministrativa, ma è composta da norme di relazione che disciplinano rapporti intersoggettivi e che, dunque, coinvolgono situazioni di diritto soggettivo cfr. Cass., Sez. Un., 1 aprile 2020, n. 7637 Cass., Sez. Un., 19 giugno 2000, n. 449 - pertanto, correttamente la sentenza di appello ha escluso la sussistenza del diritto della ricorrente all'iscrizione del suo nominativo dei registri dell'anagrafe del comune di omissis in ragione della mancata prova dei relativi fatti costitutivi - sotto altro aspetto, si osserva che se è vero che la preventiva comunicazione di avvio del procedimento va assicurata anche al destinatario di un provvedimento vincolato, dalla relativa inosservanza non consegue l'illegittimità del provvedimento laddove - come nel caso in esame - non sia offerta prova che una siffatta comunicazione avrebbe consentito al privato di dedurre le proprie argomentazioni idonee a determinare l'emanazione di un provvedimento con contenuto diverso cfr. Cons. St., sez. III, 14 settembre 2021, n. 6288 - anche il secondo motivo è inammissibile - la parte lamenta che gli accessi effettuati dai Vigili Urbani, valorizzati nella decisione impugnata, erano stati eseguiti tutti tra le 10,00 e le 12,00 di giorni feriali e lontano dai periodi notoriamente festivi , e, dunque, in concomitanza con lo svolgimento dell'attività lavorativa e che per tale ragione non era stata rinvenuta nella residenza dichiarata - si duole, altresì, del fatto che i giudici di merito non hanno tenuto conto del fatto che un soggetto può svolgere l'attività lavorativa in comuni doversi da quello di residenza e di assentarsi dal luogo di residenza anche per periodi lunghi, sempre che nel Comune di residenza mantenga la propria abitazione, vi abiti quanto possibile e mantenga il centro delle proprie relazioni familiari e sociali - ciò posto, deve osservarsi che, come recentemente affermato da questa Corte, la residenza di una persona, stando all' art. 43 c.c. , è determinata dall'abituale e volontaria dimora in un determinato luogo, che si caratterizza per l'elemento oggettivo della permanenza e per l'elemento soggettivo dell'intenzione di abitarvi stabilmente, rivelata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle normali relazioni sociali cfr. Cass. 15 febbraio 2021, n. 3841 Cass. 1 dicembre 2011, n. 25726 - è stato evidenziato che tali considerazioni assumono una valenza ancor più pregnante nell'epoca attuale che è caratterizzata da una pluralità di centri di interesse personali, da una più agevole e rapida possibilità di spostamento da una località all'altra e da nuove e alternative modalità di svolgimento della prestazione lavorativa - tuttavia, la verifica dell'effettività della residenza dichiarata - ossia l'accertamento che un soggetto abbia realmente stabilito la propria dimora abituale in una determinata località e che non vi si rechi solo nei periodi dell'anno in cui il soggiorno si caratterizzi come più conveniente, ma vi torni abitualmente, in modo sistematico, una volta assolti gli impegni lavorativi o di studio - impone il ricorso a controlli che, se da un lato, devono essere svolti in modo non incompatibile con l'esigenza di ogni cittadino di poter attendere quotidianamente alle proprie occupazioni che, come accennato, non necessariamente devono avere un radicamento nel luogo in cui si è deciso di stabilire la propria residenza , dall'altro, non necessariamente richiedono che siano previamente concordati con l'interessato, in quanto, diversamente, si vanificherebbe la ratio della norma - come evidenziato nella richiamata decisione n. 3841 del 15 febbraio 2021 , affinché siano contemperate, da un lato, l'esigenza del Comune di poter svolgere i propri controlli nel modo più idoneo, e anche a prevenire ogni possibile abuso, e, dall'altro, quella del cittadino di poter attendere serenamente alle proprie occupazioni nei termini sopra illustrati, vi deve essere una leale collaborazione tra i due soggetti, caratterizzata dall'onere del richiedente la residenza di indicare, fornendone adeguata motivazione, i momenti in cui sarà certa la sua assenza dalla propria abitazione, in modo tale da consentire al Comune di programmare i propri controlli a sorpresa in quelli residui - da ciò consegue che non è plausibile la tesi secondo cui l'unica modalità con cui il Comune può esercitare il proprio potere di controllo del requisito della residenza sia quella del previo accordo con il richiedente in ordine al momento di esecuzione dell'accesso - pertanto, poiché la ricorrente non ha dedotto di aver indicato all'ente locale i momenti di sua assenza dalla propria abitazione, la doglianza di presenta priva della necessaria concludenza - del pari inammissibile è il terzo motivo, in quanto, indipendentemente da ogni considerazione in ordine alla sussistenza di una motivazione rispettosa del minimo costituzionale richiesto dalla Cost., art. 111, comma 6 , la questione sottesa, attenendo alla conseguenziale domanda risarcitoria, presuppone necessaria l'accertamento di una condotta illecita che la Corte di appello ha escluso - per le suindicate considerazioni, pertanto, il ricorso non può essere accolto - nulla va disposto in tema di spese processuali in assenza di valida attività difensionale delle parti vittoriose. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 , comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.