Radicamento e integrazione dello straniero valutabili non solo in ottica lavorativa

Riprende vigore la possibilità di riconoscere protezione in Italia a un cittadino gambiano. I Giudici chiariscono che per valutare la posizione dello straniero in Italia è necessario fare riferimento a dettagli come la conoscenza e l’utilizzo della lingua italiana, le relazioni sociali instaurate, grazie anche al volontariato, i contrati di lavoro a tempo determinato e, infine, l’assenza di legami col Paese di origine.

Per valutare radicamento e integrazione dello straniero extracomunitario presente in Italia non ci si può limitare a prendere in esame il fronte lavorativo. Necessario, invece, chiariscono i Giudici, tenere conto di altri aspetti altrettanto rilevanti, come, ad esempio, la conoscenza e l’utilizzo della lingua italiana, lo svolgimento di attività di volontariato, la prospettiva di un rapporto di lavoro – anche con contratti a tempo determinato destinati a essere rinnovati – e, infine, l’assenza di legami con il Paese di origine. Riflettori puntati sulla storia di un uomo originario del Gambia che, racconta, ha lasciato il suo Paese all’età di 16 anni, ha trascorso diversi anni in alcuni Stati africani ed è approdato, infine, in Italia, chiedendo di vedersi riconosciuta protezione. All’istanza presentata dallo straniero rispondono negativamente prima la Commissione territoriale e poi il Tribunale. In particolare, i giudici ricordano che per riconoscere protezione allo straniero non è sufficiente l’allegazione di un’esistenza migliore in Italia, sotto il profilo dell’integrazione sociale, personale o lavorativa, ma è necessaria una valutazione comparativa tra la vita privata e familiare del soggetto in Italia e quella che egli ha vissuto prima della partenza e alla quale si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio . Proprio ragionando in questa ottica, i giudici del Tribunale osservano che non sono allegate circostanze idonee a dimostrare una specifica vulnerabilità dello straniero né una sua integrazione sociale, posto che egli ha depositato documentazione relativa ad un contratto di lavoro subordinato della durata di un mese, esperienza sporadica che contraddice , sottolineano i giudici, il concetto di integrazione lavorativa . Prima di prendere in esame il caso del cittadino gambiano, i Giudici di Cassazione sottolineano la rilevanza che assume la tutela della vita privata e familiare dello straniero presente in Italia. E in questa ottica la normativa del 2020 chiarisce che bisogna tenere presenti le modalità con cui, ai fini dell’attuazione del divieto di respingimento, deve essere valutato il diritto alla vita privata e familiare. Ciò significa che il Magistrato deve valutare se l’allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare, a meno che esso sia necessario per ragioni di sicurezza nazionale , di ordine e sicurezza pubblica nonché di protezione della salute e a tal fine, come prevede la norma, si deve tener conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dello straniero, del suo effettivo inserimento sociale in Italia, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonché dell’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d’origine . In questa ottica è indiscutibile la rilevanza del parametro della integrazione sociale , che è qualcosa di più ampio ed anche parzialmente diverso dalla integrazione lavorativa . Difatti, merita tutela anche il diritto di allacciare e intrattenere legami con i propri simili e con il mondo esterno, e comprende, a volte, alcuni aspetti dell’identità sociale di un individuo, e si deve accettare che tutti i rapporti sociali tra gli immigrati stabilmente insediati e la comunità in cui vivono faccia parte integrante della nozione di vita privata. Tirando le somme, e ridando una speranza al cittadino gambiano, i Magistrati di Cassazione sottolineano che l’integrazione sociale non è soltanto limitata alla vita lavorativa , ma rileva anche il radicamento sul territorio e le relazioni sociali instaurate – specie quelle solidali, quali l’attività di volontariato – , e quindi ha errato il primo giudice a limitarsi esclusivamente alla valutazione della rilevanza della vita lavorativa . Invece, sono direttamente rilevanti, ai fini della protezione per lo straniero, alcuni parametri non valutati in Tribunale e cioè la conoscenza della lingua italiana, lo svolgimento di attività di volontariato, la ragionevole prospettiva di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato o comunque con contratti a tempo determinato che si rinnovano . Peraltro, nel valutare il diritto alla tutela della vita privata deve anche considerarsi il fattore tempo, in relazione alla storia personale del soggetto – espatriato, in questo caso, quando era ancora minorenne, giunto in Italia in giovane età e soprattutto dopo una lunga lontananza dal suo Paese d’origine – dal momento che l’assenza di legami con il Paese di origine è un altro dei parametri normativi e può costituire indice di un effettivo radicamento sociale e, soprattutto, della circostanza che l’allontanamento violerebbe il diritto dello straniero al rispetto della sua vita privata qualora essa abbia quale unico luogo di riferimento il territorio nazionale .

Presidente Valitutti – Relatore Russo Rilevato in fatto che Il ricorrente è un cittadino gambiano che ha chiesto la protezione internazionale, esponendo di avere lasciato il suo paese all'età di sedici anni e di avere trascorso undici anni fuori dal suo paese, di cui gli ultimi quattro in Italia. Ha impugnato il diniego reso dalla compatente Commissione territoriale, chiedendo al Tribunale di Napoli l'accertamento del diritto alla protezione sussidiaria e della protezione umanitaria. Il Tribunale ha respinto il ricorso, osservando, per quanto qui di interesse in relazione ai motivi proposti, che la domanda di protezione umanitaria va scrutinata facendo applicazione delle disposizioni di cui al D.L. 21 ottobre 2020, n. 130 entrato in vigore il 22.10.2020 ma che come in passato, quindi, anche oggi si deve pervenire alla conclusione per cui non è sufficiente l'allegazione di un'esistenza migliore in Italia, sotto il profilo dell'integrazione sociale, personale o lavorativa, ma è necessaria una valutazione comparativa tra la vita privata e familiare del richiedente in Italia e quella che egli ha vissuto prima della partenza e alla quale si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio ed ancora che il legislatore dell'odierna riforma ha inteso delineare la totale sovrapponibilità tra la precedente protezione umanitaria e la nuova protezione speciale D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 19 modificato dal D.L. n. 130 del 2020 , ispirandosi al principio di diritto internazionale di non-refoulement . Rese queste permesse, il giudice di merito ha rilevato che non sono allegate circostanze idonee a dimostrare una specifica vulnerabilità dell'interessato, né l'integrazione sociale posto che l'interessato ha depositato documentazione relativa ad un contratto di lavoro subordinato della durata di un mese, dal 3.2.2021 al 3.3.2021, esperienza sporadica che contraddice il concetto di integrazione lavorativa. Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso per cassazione il richiedente, affidandosi a due motivi entrambi relativi al diniego della protezione speciale. L'Avvocatura dello Stato si è costituita solo per la discussione orale. La causa è stata tratta alla udienza camerale non partecipata del 23 febbraio 2023. Ritenuto in diritto che 1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta ai sensi dell' art. 360 c.p.c. , n. 5 che non siano state presi in considerazione tutti i documenti da lui depositati che dimostrano una integrazione sociale non limitata alla attività lavorativa ma anche alle relazioni sociali lingua italiana, partecipazioni a eventi solidali e volontariato, laboratorio quanto al contratto di lavoro, osserva che esso era accompagnato da una dichiarazione del titolare, che non solo forniva buone referenze ma anche si dichiarava disponibile a prorogarlo nel caso in cui il soggetto ottenesse il permesso di soggiorno lamenta inoltre che non sia stata considerata la circostanza che egli ha lasciato il suo paese da minorenne, trascorrendo diversi anni in altri in paesi africani e poi giungendo in Italia e che pertanto è sostanzialmente sradicato dal paese di origine. Osserva che il Tribunale, pur dando atto che il ricorrente ha allegato una sua specifica fragilità per avere lasciato il Gambia da minorenne e che ha effettuato un valido percorso di integrazione in Italia, tuttavia non motiva sulla rilevanza di tale aspetto e segnatamente sulle conseguenze che derivano nell'espatriare da minorenne. 2. Con il secondo motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell' art. 360 c.p.c. , n. 3 la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1, 1 .1, come modificato dal D.L. n. 130 del 2020 , nella parte in cui esso vietando il respingimento e l'espulsione qualora esistano fondati motivi di ritenere che l'allontanamento dal territorio nazionale comporti violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare, prevede che si tenga conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell'interessato, del suo effettivo inserimento sociale in Italia, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonché dell'esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d'origine. Il ricorrente deduce che la vita privata familiare ha una rilevanza in sé e che la sua esistenza impedisce il respingimento ma che in ogni caso anche voler considerare -come ha fatto il tribunale di Napoli che la nuova protezione coincida con la vecchia protezione umanitaria il giudizio comparativo avrebbe dovuto essere a lui favorevole poiché l'interruzione del percorso di integrazione raggiunto in Italia recherebbe al ricorrente un pregiudizio dei diritti fondamentali. 3. I motivi sono fondati. Il primo giudice ha errato nel ritenere che dopo le modifiche apportate dal decreto L. 21 ottobre 2020, n. 130 convertito con modifiche dalla L. n. 173 del 2020 , la misura di protezione di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, comunemente denominata protezione speciale o complementare sia totalmente sovrapponibile alla misura già definita umanitaria e che siano identici i criteri di accertamento dei relativi presupposti, legati al c.d. giudizio comparativo, anche in forma attenuata Cass. s.u. n. 24413 del 09/09/2021 . Si tratta di meccanismi di tutela fondati invero sugli stessi principi fondamentali, ma strutturati in modo diverso è vero che gli effetti pratici possono risultare parzialmente sovrapponibili, ma sussistono pur sempre delle differenze. In primo luogo si osserva che la protezione umanitaria di cui all'art. 5 comma 6, nel testo antecedente alla riforma data dal D.L. n. 113 del 2018 c.d. decreto sicurezza e la protezione speciale come oggi disegnata dal D.L. n. 130 del 2020 non sono due forme di protezione concorrenti l'una con l'altra, poiché il D.L. n. 130 del 2020 ha ridisegnato complessivamente sia l'art. 5 comma 6 che l'art. 19 del TUI, ed è la data di presentazione della domanda, nonché la pendenza del giudizio alla data di entrata in vigore della nuova normativa, che opera da discrimen tra l'applicabilità della nuova normativa e quella precedentemente in vigore. Nel caso che ci occupa sono senz'altro applicabili le norme del TUI nella loro attuale formulazione, stante la disciplina transitoria data dall'art. 15 del suddetto decreto legge e la pendenza del giudizio alla data di entrata in vigore della nuova normativa. 3.1 Come è noto, il nostro ordinamento prevedeva, al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 nella sua formulazione vigente fino alla emanazione del D.L. n. 113 del 2018 una misura di protezione atipica in funzione di chiusura del sistema denominata protezione umanitaria il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno possono essere altresì adottati sulla base di convenzioni o accordi internazionali salvo che ricorrano seri motivi in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano , che consentiva di dare piena attuazione al diritto di asilo di cui all' art. 10 Cost. , comma 3, Cass., sez. un., n. 30658/2018 assicurando tutela alle persone in condizioni di vulnerabilità in situazioni connotate dal rischio di compromissione di diritti fondamentali, ma non necessariamente fondate sul fumus persecutionis o sul pericolo di danno grave per la vita o per l'incolumità psicofisica Cass., n. 23604/2017 , Cass., n. 28990/2018 . Sulla norma ha inciso profondamente il D.L. n. 113 del 2018 , riconoscendo la possibilità ottenere il permesso di soggiorno per casi speciali, in ipotesi tipiche e predeterminate, ma abrogando totalmente il riferimento ai seri motivi correlati alle ragioni umanitarie e di rispetto degli obblighi costituzionali e internazionali. Il D.L. n. 130 del 2020 ha nuovamente modificato il quadro normativo, in primo luogo riscrivendo il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, ripristinando la clausola di salvaguardia del richiamo agli obblighi costituzionali o internazionali dello Stato, ma non il riferimento ai seri motivi di carattere umanitario . Al contempo il legislatore ha inciso sull'art. 19 del TUI, estendendo il divieto di respingimento del comma 1.1 all'ipotesi in cui lo straniero rischi di essere sottoposto a trattamenti inumani o degradanti equiparati alla tortura, ex art. 3 CEDU e a quelle in cui vi siano fondati motivi di ritenere che l'allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della propria vita privata e familiare art. 8 CEDU . Così operando il legislatore, pur non ripristinando il permesso di soggiorno per motivi umanitari ha però ribadito che, anche in questa materia, lo Stato non può esimersi dal proteggere tutti i diritti inviolabili dell'Uomo di cui tratta l' art. 2 Cost. , tenendo conto anche di come essi sono articolati e riconosciuti nelle Convenzioni internazionali e segnatamente nella Convenzione EDU e nella lettura che ne offre la Corte Europea dei diritti dell'Uomo. 3.2 I seri motivi umanitari previsti nella norma, nella sua formulazione antecedente ai cosiddetti decreti sicurezza del 2018, venivano individuati con riferimento ai diritti fondamentali la protezione umanitaria non è stata ricostruita dalla giurisprudenza nazionale come una mera misura caritevole, rimessa alla discrezionalità dello Stato, ma come una misura di tutela di diritti fondamentali protetti a livello costituzionale e internazionale Cass., sez. un., n. 19393/2009 , Cass. civ. n. 4139/2011 Cass. n. 15466/2014 Cass. n. 15466/2014 . Il fondamento della protezione umanitaria è quindi stato individuato sul disposto degli artt. 2 e 3 Cost. , laddove quest'ultima tutela la persona nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e predica la pari dignità sociale di ogni persona anche straniera, Cass. su. 29459/2019 e Cass. 24413/2021 . Il meccanismo di accertamento del diritto alla protezione umanitaria è stato legato dalla giurisprudenza di questa Corte alla valutazione comparativa tra la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine e la situazione d'integrazione raggiunta in Italia, attribuendo alla condizione del richiedente nel paese di provenienza un peso tanto minore quanto maggiore risulti il grado di integrazione che il richiedente dimostri di aver raggiunto nella società italiana, fermo restando che situazioni di deprivazione dei diritti umani di particolare gravità nel paese originario possono fondare il diritto alla protezione umanitaria anche in assenza di un apprezzabile livello di integrazione in Italia qualora poi si accerti che tale livello è stato raggiunto e che il ritorno nel paese d'origine renda probabile un significativo scadimento delle condizioni di vita privata e/o familiare tali da recare un vulnus al diritto riconosciuto dall' art. 8 della Convenzione EDU , sussiste un serio motivo di carattere umanitario, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per riconoscere il permesso di soggiorno Cass. s.u. n. 24413/2021 . Questi diritti continuano oggi ad essere tutelati tramite la protezione speciale e il divieto di respingimento, per mezzo di norme che consentono di realizzare pienamente il diritto di asilo, posto che esse non limitano la protezione ai casi tipici predeterminati dal legislatore che pure sono previsti ma consentono una protezione a compasso largo Cass. s.u., 13/11/2019, n. 29459 con riferimento a tutti i diritti previsti dal catalogo aperto dell' art. 2 Cost. ma con un meccanismo di accertamento parzialmente diverso. Con la reintroduzione, nell'art. 5 T.U.I della clausola di salvaguardia del rispetto degli obblighi costituzionali o internazionali dello Stato il D.L. n. 130 del 2020 ha rinforzato l'attuazione del diritto costituzionale di asilo di cui all' art. 10 Cost. , comma 3 posto che gli obblighi costituzionali o internazionali gravanti sullo Stato sono ovviamente cogenti a prescindere dal loro richiamo nel decreto legge de quo, a tale richiamo non può attribuirsi altro senso, se non lo si voglia degradare a mero orpello retorico, che quello di segnalare la possibilità di situazioni nelle quali detti obblighi non risultino compiutamente soddisfatti dalle previsioni normative relative alle protezioni maggiori ed alle protezioni speciali introdotte dal D.L. n. 113 del 2018 e incrementate dallo stesso D.L. n. 130 del 2020 vale a dire che il sistema non può ritenersi completo se sfornito di una misura in funzione di chiusura, che consenta di estendere la protezione anche ad ipotesi non legislativamente tipizzate, pur se saldamente ancorate ai precetti costituzionali e delle convenzioni internazionali. Il legislatore ha inoltre voluto specificare, riformando l'art. 19 del TUI, l'autonoma e diretta rilevanza che assume la tutela della la vita privata e familiare in attuazione dell'art. 8 CEDU e le modalità di valutazione della ricorrenza di questo parametro. Con l'inserimento, nell'art. 19, del comma 1.1. il legislatore ha infatti ancorato il divieto di respingimento od espulsione non più soltanto all'art. 3, ma anche all'art. 8 CEDU , declinando la disposizione di detto art. 8 in termini di tutela del radicamento del migrante nel territorio nazionale e qualificando tale radicamento come limite del potere statale di allontanamento dal territorio nazionale, superabile esclusivamente per ragioni, di sicurezza nazionale, di ordine e sicurezza pubblica nonché di protezione della salute Cass. s.u. 24413/2021 . Questa complessiva compagine di norme disegna oggi una misura di protezione atipica legata al rispetto dei diritti umani e delle convenzioni internazionali e segnatamente della CEDU , che ha contorni parzialmente diversi dalla precedente protezione umanitaria, in particolare per quanto attiene alla tutela della vita privata e familiare cui è stata attribuita rilevanza diretta e che quindi esula dal c.d. giudizio di comparazione, anche attenuato, che continua invece a caratterizzare qualora le relative norme siano ratione temporis applicabili la protezione umanitaria Cass. n. 18455 del 08/06/2022 Cass. n. 37275 del 20/12/2022 . La riforma non inserisce nella compagine dei diritti fondamentali diritti nuovi la cui tutela fosse prima fosse preclusa, ma indica le modalità con cui -ai fini dell'attuazione del divieto di respingimento-il dritto alla vita privata e familiare deve essere valutato da chi è chiamato ad applicare la norma e con quali altri diritti ed interessi può essere bilanciato, e ciò fermo restando la rilevanza degli altri diritti compresi nel catalogo aperto di cui all' art. 2 Cost. quali, a titolo esemplificativo, il diritto alla salute, alla libertà personale, alla autodeterminazione, a non subire trattamenti inumani e degradanti. 3.3. Il giudicante deve quindi valutare se l'allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare, a meno che esso sia necessario per ragioni di sicurezza nazionale, di ordine e sicurezza pubblica nonché di protezione della salute e a tal fine, come prevede la norma, si deve tener conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell'interessato, del suo effettivo inserimento sociale in Italia, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonché dell'esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d'origine. Si tratta quindi di modalità di valutazione con parametri vincolati, a rilevanza diretta, in cui acquistano particolare pregnanza alcune specificazioni segnatamente la specificazione che si valuta non solo la natura ed effettività dei vincoli familiari, ma anche l'inserimento sociale, e che assume rilievo anche l'esistenza di legami familiari culturali o sociali con il paese d'origine. La norma è tanto più significativa in quanto la rilevanza del parametro della integrazione sociale, che è qualcosa di più ampio ed anche parzialmente diverso dalla integrazione lavorativa, deve essere letto alla luce delle specificazione rese dalla Corte di Strasburgo. Solo la Corte EDU infatti è autorizzata a riempire di contenuti le norme della Convenzione e alle sue indicazioni le autorità nazionali si devono attenere. Acquista quindi particolare rilievo quanto affermato dalla Corte di Strasburgo nella sentenza 14 febbraio 2019 Ricorso n. 57433/15 Causa Narjis contro Italia e cioè che l'art. 8 CEDU tutela anche il diritto di allacciare e intrattenere legami con i propri simili e con il mondo esterno, e comprende a volte alcuni aspetti dell'identità sociale di un individuo, e si deve accettare che tutti i rapporti sociali tra gli immigrati stabilmente insediati e la comunità nella quale vivono faccia parte integrante della nozione di vita privata ai sensi dell'art. 8. Correttamente pertanto il ricorrente richiama la sentenza CEDU sopra citata e deduce che l'integrazione sociale non è soltanto limitata alla vita lavorativa, ma rileva anche il radicamento sul territorio e le relazioni sociali instaurate specie quelle soldali, quali l'attività di volontariato e che ha errato quindi il primo giudice a limitarsi esclusivamente alla valutazione della rilevanza della vita lavorativa. 3.4 Sono invece direttamente rilevanti, ai fini della protezione qui invocata, una serie di paramenti non valutati dal giudice di merito e cioè la conoscenza della lingua italiana, lo svolgimento di attività volontariato, la ragionevole prospettiva di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato o comunque con contratti a tempo determinato che si rinnovano non è necessariamente richiesta la sussistenza di una condizione di vulnerabilità né il giudizio comparativo. Inoltre nel valutare il diritto alla tutela della vita privata deve anche considerarsi il fattore tempo, in relazione alla storia personale del soggetto espatriato quando era ancora minorenne, giunto in Italia in giovane età e soprattutto dopo una lunga lontananza dal suo paese d'origine dal momento che l'assenza di legami con il paese di origine è un altro dei parametri normativi e può costituire indice di un effettivo radicamento sociale e, soprattutto, della circostanza che l'allontanamento violerebbe il diritto al rispetto della vita privata qualora essa abbia quale unico luogo di riferimento il territorio nazionale. Ne consegue, in accoglimento del ricorso, la cassazione del decreto impugnato e il rinvio al Tribunale di Napoli, in diversa composizione per un nuovo esame, attenendosi ai principi sopra enunciati. Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. accoglie il ricorso cassa il decreto impugnato e rinvia per un nuovo al Tribunale di Napoli in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.