Lancia alcuni sassi contro i cani presenti su un terrazzo: obbligato a risarcire il padrone

A inchiodare l’uomo responsabile dell’assurdo gesto sono state le immagini fornite da un impianto di videosorveglianza. Impossibile, proprio alla luce dei filmati disponibili, mettere in dubbio il dolo caratterizzante la condotta dell’uomo, che, osservano i Giudici, aveva palesemente l’obiettivo di colpire gli animali.

Condanna sacrosanta per l’uomo beccato, grazie alle immagini di un sistema di videosorveglianza , a lanciare sassi all’indirizzo di alcuni cani presenti sul terrazzo di una casa. Scenario della vicenda è la provincia bresciana. A finire sotto processo è un uomo, accusato di maltrattamenti ai danni di alcuni cani sistemati dal padrone nel terrazzo di casa. Il quadro probatorio, tracciato grazie soprattutto alle immagini fornite da un impianto di videosorveglianza, è sufficiente, secondo i giudici di merito, per ritenere palese la colpevolezza dell’uomo sotto processo, condannato per maltrattamento di animali – a prescindere dall’avere o meno colpito i cani – e obbligato anche a risarcire il padrone dei quadrupedi presi di mira. Per i Giudici della Cassazione va condivisa in pieno la linea tracciata tra primo e secondo grado ciò significa condanna definitiva per l’uomo sotto processo. In prima battuta, i Magistrati replicano a una precisa obiezione difensiva e precisano che le riprese video allegate alla denuncia-querela non sono soggette alla disciplina delle intercettazioni ma costituiscono invece prove documentali legittimamente acquisibili , aggiungendo, poi, che la tutela della riservatezza , prospettata dalla difesa, non è assoluta ma sub-valente rispetto all’esigenza di acquisizione probatoria propria del processo penale . E proprio grazie ai filmati si sono potuti individuare distintamente i lanci di sassi contro i cani , provenienti da un soggetto che la parte civile, cioè il padrone degli animali, ha riconosciuto senza dubbio e ha prontamente identificato. I Magistrati osservano poi che è stato ricostruito in maniera approfondita il dolo diretto e intenzionale della condotta delittuosa tenuta dall’uomo, il quale si era avvicinato allo spazio sottostante il terrazzo e aveva mirato il lancio in alto, con l’obiettivo inequivoco di colpire i cani lì presenti. Per chiudere il cerchio, infine, viene confermato anche l’obbligo dell’uomo di ristorare economicamente il padrone dei cani. Su questo fronte i Giudici ricordano che ai fini della condanna generica al risarcimento dei danni non è necessaria la prova della concreta esistenza di danni risarcibili, essendo sufficiente l’accertamento della potenziale capacità lesiva del fatto dannoso e dell’esistenza di un nesso di causalità tra questo e il pregiudizio lamentato, desumibile anche presuntivamente .

Presidente Andreazza – Relatore Macrì Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 14 gennaio 2022 la Corte di appello di Brescia, in riforma della sentenza in data 16 settembre 2019 del Tribunale di Brescia, ha ridotto la pena inflitta all'imputato per il reato di cui agli art. 56 e 544-ter c.p. , ai danni dei cani che stavano sul terrazzo dell'abitazione della parte civile. 2. Ricorre per cassazione la difesa dell'imputato sulla base di tre motivi. Con il primo lamenta la violazione di legge e la violazione di norme processuali perché erano state utilizzate nel processo le immagini degli impianti di videosorveglianza privata installati illegittimamente. Aggiunge che i gesti filmati erano di tipo comunicativo per cui non potevano essere utilizzati come fatto. Con il secondo deduce la violazione di legge perché la condanna era stata basata su un quadro probatorio incompleto. Con il terzo denuncia la violazione di legge e il vizio di motivazione perché la parte civile non aveva subito un danno e non aveva diritto alla liquidazione delle spese nella misura di Euro 2.340, ma nella minor somma di Euro 1.620. Considerato in diritto 3. Il ricorso è manifestamente infondato. Quanto al primo motivo, come correttamente rilevato dalla Corte di appello, le riprese video allegate alla denuncia-querela non sono soggette alla disciplina delle intercettazioni e costituiscono invece prove documentali legittimamente acquisibili ai sensi dell' art. 234 c.p. Sez. 5, n. 21027 del 21/02/2020, Nardi, Rv. 279345-01 , mentre la tutela della riservatezza non è assoluta, ma sub-valente rispetto all'esigenza di acquisizione probatoria propria del processo penale Sez. 1, n. 27850 del 02/12/2020, dep. 2021, Caramia, Rv. 281638-01 . Il secondo motivo è assolutamente generico e fattuale e non si confronta con la decisione impugnata dove si legge che dai filmati si potevano individuare distintamente i lanci di sassi contro i cani, provenienti da soggetto che la parte civile aveva riconosciuto senza dubbio essere l'imputato. La Corte territoriale ha poi ricostruito in maniera approfondita il dolo diretto e intenzionale della condotta delittuosa, osservando che l'imputato si era avvicinato allo spazio sottostante il terrazzo e aveva mirato il lancio in alto, con l'obiettivo inequivoco di attingere i cani della parte civile. Il terzo motivo è privo di consistenza, perché, come puntualmente evidenziato dalla Corte di appello, ai fini della condanna generica al risarcimento dei danni, non è necessaria la prova della concreta esistenza di danni risarcibili, essendo sufficiente l'accertamento della potenziale capacità lesiva del fatto dannoso e dell'esistenza di un nesso di causalità tra questo e il pregiudizio lamentato, desumibile anche presuntivamente tra le più recenti, Sez. 4, n. 32899 del 08/01/2021, Castaldo, Rv. 281997-21 . Quanto alle spese di lite liquidate in favore della parte civile, va rilevato che la difesa del ricorrente ha dimenticato di calcolare gli onorari per la fase istruttoria, per cui la liquidazione è corretta e l'omessa risposta della Corte territoriale irrilevante. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell' art. 616 c.p.p. , di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Le spese della parte civile sono liquidate, alla stregua delle risultanze di causa, come da dispositivo. P.Q.M Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi Euro 1.900, oltre accessori di legge.