Impossibile ridimensionare la condotta tenuta da un uomo che si era visto accreditare sul conto corrente un bonifico emesso, per errore, in suo favore dalla società di cui era dipendente. Impossibile parlare, a fronte della mancata restituzione della somma oggetto del bonifico, di mero inadempimento civilistico.
Condannato per appropriazione indebita il soggetto che, vistosi accreditato per errore un bonifico sul proprio conto corrente, si astiene dal restituire la somma ricevuta. Ricostruita la vicenda, originata da un bonifico che una società ha per errore effettuato in favore di un dipendente , i giudici di merito ritengono logico catalogare come appropriazione indebita la condotta tenuta dall’erroneo destinatario del bonifico. Consequenziale, quindi, la condanna, sia in primo che in secondo grado, una volta accertato che il dipendente della società ha volutamente omesso la restituzione della somma di denaro ricevuta per errore . Col ricorso in Cassazione il legale che difende l’uomo sotto processo sostiene sia mancata «l’interversione del possesso», cioè «l’elemento tipico e il presupposto indefettibile del reato di appropriazione indebita». Nello specifico, il legale sottolinea che il suo cliente «ha ricevuto la somma tramite un bonifico bancario effettuato per errore sul suo conto corrente» e aggiunge che «in assenza di un rapporto giuridico definibile nei termini della detenzione nell’interesse di terzi, la mancata restituzione non determina una interversione del possesso della somma, comunque pervenuta all’uomo e quindi entrata nel suo patrimonio», così che «la mera ritenzione è da qualificarsi», conclude il legale, «nei termini dell’inadempimento civilistico». Alle obiezioni difensive, però, i Giudici di Cassazione ribattono sottolineando che « l’uomo ha pacificamente trattenuto somme a lui pervenute senza titolo » e ciò consente di ritenere acclarato «sia l’elemento materiale del reato che quello psicologico». Ciò perché, «a fronte del tenore letterale della norma, che fa riferimento alla condotta di chi si appropria del denaro o della cosa mobile altrui di cui abbia a qualsiasi titolo il possesso», per la sussistenza dell’elemento materiale del reato di appropriazione indebita «non è necessario che tra le parti esista un rapporto giuridico ma è sufficiente che il soggetto trattenga il bene o il denaro comunque pervenuto e da lui detenuto». Tirando le somme, va confermata la condanna del dipendente della società. Ciò alla luce del principio secondo cui «per la configurabilità del reato di appropriazione indebita sono sufficienti la coscienza e la volontà di appropriarsi del denaro o della cosa mobile altrui, posseduta a qualsiasi titolo, sapendo di agire senza averne diritto ed allo scopo di trarre per sé o per altri una qualsiasi illegittima utilità». E in questa ottica si colloca «la comunicazione inviata dall’uomo alla società, di cui era dipendente, che gli aveva richiesto la restituzione di quanto erroneamente versatogli a mezzo bonifico», comunicazione con cui veniva data risposta negativa all’istanza della società.
Presidente Beltrani – Relatore Monaco Ritenuto in fatto La CORTE d'APPELLO di PALERMO, con sentenza del 13/4/2021, ha confermato la sentenza pronunciata dal TRIBUNALE di PALERMO il 20/3/2019 nei confronti di D.A. in relazione ai reati al reato di cui all' articolo 646 c.p. 1. Avverso la sentenza ha proposto ricorso l'imputato che, a mezzo del difensore, ha dedotto il seguente motivo. 1.1. Violazione di legge in relazione all' articolo 646 c.p. con riferimento all'insussistenza dell'interversione del possesso, elemento tipico e presupposto indefettibile della fattispecie di reato. 2. In data 28 ottobre sono pervenute in cancelleria le conclusioni con le quali il Procuratore Generale, Sost. Proc. Dott. Pietro Molino, chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile. 3. Con una nota pervenuta in cancelleria in data 8 novembre 2022 il difensore, che aveva avanzato richiesta di trattazione orale, ha comunicato di non poter partecipare all'udienza insistendo per l'accoglimento del ricorso. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile. 1. Nell'unico motivo di ricorso la difesa deduce la violazione di legge in relazione all' articolo 646 c.p. con riferimento all'insussistenza dell'interversione del possesso, elemento tipico e presupposto indefettibile della fattispecie di reato. Nello specifico il ricorrente rileva che bel caso di specie, nel quale l'imputato ha ricevuto la somma tramite un bonifico bancario effettuato per errore sul suo conto corrente, non sussisterebbe l'elemento costitutivo del reato. In assenza di un rapporto giuridico definibile nei termini della detenzione nell'interesse di terzi, infatti, la mancata restituzione non determinerebbe una interversione del possesso della somma stessa, comunque pervenuta all'imputato e quindi entrata nel patrimonio dello stesso, così che la mera ritenzione sarebbe da qualificarsi nei termini dell'inadempimento civilistico. La doglianza è manifestamente infondata. Nel caso di specie, nel quale il ricorrente ha pacificamente trattenuto somme a lui pervenute senza titolo, sussiste sia l'elemento materiale del reato che quello psicologico. A fronte del tenore letterale della norma, che fa riferimento alla condotta di chi si appropria del denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia a qualsiasi titolo il possesso , infatti, diversamente da quanto indicato nel ricorso, per la sussistenza dell'elemento materiale del reato non è necessario che tra le parti esista un rapporto giuridico ma è sufficiente che il soggetto agente trattenga il bene o il denaro comunque pervenuto e dallo stesso detenuto. Sul punto, pertanto, deve ribadirsi il costante insegnamento di questa Corte Suprema secondo il quale per la configurabilità del reato è sufficiente la coscienza e volontà di appropriarsi del denaro o della cosa mobile altrui, posseduta a qualsiasi titolo, sapendo di agire senza averne diritto ed allo scopo di trarre per sé o per altri una qualsiasi illegittima utilità cfr. Sez. 2, numero 27023 del 27/03/2012, Schembri, Rv. 253411 - 01 . Ragione questa per la quale, nel caso di specie, come emerge con evidenza dalle motivazioni delle sentenze di primo e secondo grado con il riferimento alla comunicazione inviata dal ricorrente alla società di cui era dipendente che gli aveva richiesto la restituzione di quanto allo stesso erroneamente versato a mezzo bonifico, il reato è stato correttamente ritenuto sussistente. 2. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell' articolo 616 c.p.p. , valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso Corte Cost. 13 giugno 2000, numero 186 , al versamento della somma, che ritiene equa, di Euro tremila a favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Sentenza a motivazione semplificata.