Oggetto della controversia in esame è la domanda, da parte di un uomo - quale coerede testamentario con il cugino dello zio deceduto nel 2011 - di ottenere, sul presupposto dell’art. 1839 c.c., la condanna di una Banca al risarcimento dei danni in misura pari al valore dell’importo dei beni di sua proprietà , che del tutto illegittimamente erano stati a sua insaputa rimossi dalla cassetta a lui intestata .
Il Tribunale disattendeva la suddetta domanda e desumeva la carenza di ogni responsabilità della Banca, in quanto i beni immessi in cassetta non erano di proprietà dell'attore ma dello zio. Inoltre, non v'era stata alcuna sparizione dei beni stessi, sebbene un progressivo disinvestimento fatto e deciso dal proprietario lo zio oltre tutto con successivo accredito del ricavato in favore, almeno in parte, dello stesso . Il protagonista della vicenda ricorre in Cassazione, sostenendo in particolare, la violazione o falsa applicazione degli artt. 1218 e 1839 c.c. in ordine alla rilevanza dell'omissione delle dovute registrazioni degli accessi alla cassetta di sicurezza cosa da cui sarebbe comunque derivato un danno al titolare per aver dovuto indagare direttamente sulla sparizione del contenuto, così sobbarcandosi un'istruttoria lunga e dispendiosa . La doglianza è inammissibile. La Banca aveva consentito correttamente al legittimato di accedere alla cassetta e di operare sui beni ivi custoditi . Quindi, non essendovi questione di idoneità o custodia dei locali e/o di integrità della cassetta medesima, secondo la formula dell' art. 1839 c.c. , ma di regolare accesso alla cassetta da parte di persona legittimata in base al contratto , non ne consegue alcuna responsabilità per l'istituto di credito. Inoltre, la Corte territoriale ha confermato che tale statuizione non era stata impugnata in giudizio. Non è, quindi, stato opposto nulla dal ricorrente per rimuovere una simile ratio , praticamente imperniata sull'affermazione di un giudicato avente di per sé valenza liberatoria. Il Collegio ricorda, quindi, a riguardo che ove sia configurabile una pronuncia basata su due distinte rationes decidendi , ciascuna di per sé sufficiente a sorreggere la soluzione adottata, è onere del ricorrente di impugnarle tutte, a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione Cass. n. 7931/2013 , Cass. n. 17182/2020 , Cass. n. 10815/2019 . Per tutti questi motivi la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alle spese processuali.
Presidente De Chiara Relatore Terrusi Fatti di causa P.L. convenne dinanzi al Tribunale di Cremona la U. Banca s.p.a. breviter U. quale incorporante della Credito Italiano s.p.a., chiedendone - per la parte che ancora interessa - la condanna a rifondergli il contenuto custodito nella cassetta di sicurezza n. dai lui affittata presso la filiale di omissis ovvero l'equivalente monetario oltre al risarcimento dei danni . Sostenne di essere coerede testamentario col cugino C.R. dello zio C.C. , deceduto a omissis , e di essere titolare della suddetta cassetta di sicurezza fin dal luglio 1988, con delega allo zio medesimo che nella cassetta erano stati custodi lingotti d'oro e sterline, sempre d'oro che nel maggio 2002 nella cassetta erano state rinvenute solo venti sterline, unitamente a un foglietto stilato di pugno di C.C. con l'indicazione, invece, del contenuto originario 6 lingotti da un kg ciascuno e circa 700 sterline che da alcune verifiche era emerso che la cassetta era stata aperta in almeno quattro circostanze non segnate sul ruolino bancario che in particolare, poco prima della morte dello zio, erano state travasate 630 sterline nella cassetta di sicurezza n. , presa in affitto dallo stesso C.C. , e che da informazioni assunte presso un impiegato della banca era ulteriormente emerso che negli anni 2000-2001 C.C. aveva chiesto l'apertura della cassetta n. , dalla quale prelevato e poi venduto i lingotti e prelevato anche le residue sterline. Nella resistenza della banca - e di C.R. che aveva separatamente chiesto lo scioglimento della comunione ereditaria con domanda poi riunita, decisa con capo di sentenza non impugnato - il tribunale ha respinto la pretesa risarcitoria, poiché la proprietà dei beni custoditi nella cassetta di sicurezza non era di P. ma dello zio, il quale ne aveva legittimamente disposto con il prelevamento e la successiva vendita, il cui ricavato era stato peraltro accreditato, in parte, allo stesso P. . La sentenza è stata confermata dalla Corte d'appello di Brescia. Avverso tale statuizione P. ha proposto ricorso per cassazione in sette motivi, ai quali U. ha replicato con controricorso. C.R. , intimato agli asseriti fini della regolarità del contraddittorio, non ha svolto difese. Il ricorrente ha depositato una memoria. Ragioni della decisione I. - I motivi di ricorso sono i seguenti i violazione o falsa applicazione degli artt. 1839, 1218 e 1176 c.c. , poiché l'asserto della corte d'appello sulla proprietà dei beni sarebbe contrario alle norme relative al diritto del titolare alla tutela del contenuto della cassetta di sicurezza ii omesso esame di fatto decisivo, poiché oggetto della domanda era ed è non l'appartenenza dei beni custodi in cassetta, bensì la loro corretta custodia, che invece non v'era stata in quanto la cassetta imponeva alcune formalità, a garanzia del depositante, non attivate iii violazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c. , giacché non era in contestazione il diritto del delegato di aprire la cassetta e prelevare il contenuto, quanto piuttosto la negligenza della banca, che aveva permesso gli accessi senza registrarli cosa della quale il titolare della cassetta era ben legittimato a dolersi a prescindere dal requisito della proprietà dei beni ivi contenuti iv violazione delle norme sul contraddittorio e omesso riscontro del difetto di legittimazione della banca ex art. 81 c.p.c. , per la ragione che quella relativa al difetto della proprietà dei beni, corrispondendo a un'eccezione de iure tertii, non poteva essere sollevata da altri che da C. , e per lui eventualmente dagli eredi, non dalla banca v errata valutazione delle prove presuntive, mancanza di interesse della banca a eccepire il profilo relativo alla proprietà dei beni e violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. , poiché il profilo della proprietà dei beni involgeva il rapporto interno tra P. e C. , sicché la questione della mancanza di proprietà non avrebbe potuto spostare recte, influenzare il punto decisivo concernente il diritto del titolare all'integrità del contenuto della cassetta di sicurezza e in ogni caso la banca, nell'eccepire il difetto di proprietà, non aveva esposto prove o presunzioni univoche al riguardo, anche tenuto conto delle deposizioni testimoniali acquisite, per buona parte di segno contrario vi violazione o falsa applicazione degli artt. 1218 e 1839 c.c. in ordine alla rilevanza dell'omissione delle dovute registrazioni degli accessi alla cassetta di sicurezza cosa da cui sarebbe comunque derivato un danno al titolare per aver dovuto indagare direttamente sulla sparizione del contenuto, così sobbarcandosi un'istruttoria lunga e dispendiosa vii violazione o falsa applicazione degli artt. 770, 1153 e 1147 c.c. , 1839 e 1218 c.c. per avere la corte omesso di considerare che col deposito in cassetta P. era divenuto possessore di buona fede dei beni afferenti, e la circostanza che il ricavato della loro vendita fosse stato a lui accreditato doveva dirsi confermativo del fatto che lo zio, con atto di liberalità, avesse infine ritenuto di attribuire i beni stessi al nipote fin dall'inizio. II. - Deve per prima cosa osservarsi che l'impugnata sentenza, a pag. 14, ha esplicitato il senso della domanda proposta da P. . La domanda era stata formulata dall'attore col fine di ottenere, sul presupposto dell' art. 1839 c.c. , la condanna della banca al risarcimento dei danni in misura pari al valore dell'importo dei beni di sua proprietà , che del tutto illegittimamente erano stati a sua insaputa rimossi dalla cassetta a lui intestata . La sentenza soggiunge che il tribunale aveva disatteso la domanda poiché era da ritenere provato, invece, che i beni immessi in cassetta non erano di proprietà dell'attore ma dello zio, C.C. , e perché era da ritenere altresì provato che non v'era stata alcuna sparizione dei beni stessi, sebbene un progressivo disinvestimento fatto e deciso dal proprietario C.C. , oltre tutto con successivo accredito del ricavato in favore, al meno in parte, dello stesso P. . Da ciò il tribunale aveva desunto la carenza di ogni responsabilità della banca per aver permesso l'accesso alla cassetta di sicurezza a un soggetto il C. che ne era legittimato. III. - La statuizione del tribunale risulta esser stata appellata in base al fondamentale rilievo che a titolare del rapporto di locazione della cassetta di sicurezza era P. , essendo stata conferita allo zio una semplice delega a operare, con conseguente presunzione di titolarità di tutti i beni ivi custoditi e che b in ogni caso quindi la proprietà dei beni custoditi in cassetta si sarebbe dovuta considerare esistente in capo all'attore. Ne segue che è inammissibile - innanzi tutto - il sesto motivo del ricorso per cassazione, che, muovendo dal presupposto di un pregiudizio di natura diversa, nascente dalla non considerata necessità dell'attore di sobbarcarsi oneri di accertamento derivati dall'omissione delle registrazioni degli accessi alla cassetta di sicurezza, pone un profilo di danno eccentrico rispetto alla domanda, e per la prima volta paventato in questa sede, almeno in prospettiva di autosufficienza. La domanda era stata sostenuta, come detto, dal semplice rilievo della perdita commisurata al valore dei beni custoditi in cassetta e non rivenuti beni da considerare di proprietà dell'attore. IV. - Ciò stante il ricorso, i cui residui motivi possono essere per questa parte unitariamente esaminati, è inammissibile. L'impugnata sentenza - difatti - esprime una concorrente ratio decidendi che dai citati ulteriori motivi non è incisa affatto. Una ratio suscettibile di sostenere la decisione a prescindere da essi. V. - È ancora il caso di sottolineare che l'appellante aveva posto a fondamento del gravame un'affermazione incentrata sulla presunzione di titolarità dei beni custoditi in cassetta, e comunque sulla effettiva proprietà di essi. Tale affermazione non è stata condivisa dalla corte d'appello poiché - essa ha detto - non sempre è vero che al deposito di valori da parte del delegato in una cassetta intestata ad altro soggetto consegua uno spossessamento in favore di quest'ultimo, e poiché invece un effetto traslativo della proprietà di beni mobili non può che prodursi in base alla legittimità di un titolo. Invece era risultato incontroverso - in causa - che tanto i lingotti, quanto le sterline fossero stati a loro tempo acquistati da C.C. , sicché ne era pacifica la proprietà al momento in cui questi, in quanto delegato, aveva provveduto a collocarli nella cassetta di sicurezza di cui era titolare P. . Da ciò la corte d'appello ha tratto argomento per confermare l'assunto del tribunale in ordine al difetto di proprietà dei beni in capo all'attore. VI. - Occorre dire che tale assunto, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, era ed è ben pertinente, proprio perché la domanda era stata ancorata al danno occorso all'attore in quanto proprietario dei valori custoditi in cassetta danno scaturito dalla illegittima rimozione, e poi dalla perdita, di essi. In ogni caso quel che più interessa è che a tale affermazione la corte territoriale ha aggiunto una considerazione ulteriore, della quale il ricorso si disinteressa totalmente la considerazione che, comunque, a tutto concedere, anche cioè a volere ipotizzare la fondatezza della tesi di P. circa la proprietà dei beni immessi in cassetta, non da ciò poteva derivare una qualche responsabilità della banca, poiché il giudice di primo grado, con statuizione che non era stata fatta oggetto di specifica censura , aveva rilevato che l'asportazione del contenuto della cassetta era stata fatta per l'appunto da C.C. appositamente autorizzato in forza del contratto e in legittimo possesso della relativa chiave. Non fatta oggetto di specifica censura vuol dire non impugnata. VII. - Questa affermazione integra un'autonoma ratio, incentrata sul giudicato interno a proposito dell'accesso del C. da ritenere legittimo, al punto da liberare la banca da ogni responsabilità. Si tratta di un aspetto autonomamente in grado di sorreggere il rigetto della domanda di danni, poiché direttamente presupponente la legittimità della condotta della banca, senza rilevanza del tema involto dall' art. 1839 c.c. . Se ne desume, cioè, che la banca aveva nei suddetti termini consentito al legittimato di accedere alla cassetta e di operare sui beni ivi custoditi. Donde non poteva esserle attribuita, secondo la statuizione del tribunale, responsabilità alcuna, non essendovi questione di idoneità o custodia dei locali e/o di integrità della cassetta medesima, secondo la formula dell' art. 1839 c.c. , ma di regolare accesso alla cassetta da parte di persona legittimata in base al contratto. La statuizione, essa stessa liberatoria per la banca, dice per l'appunto la corte d'appello che non era stata impugnata. VIII. - È allora risolutivo che niente al riguardo è stato opposto dal ricorrente, neppure in questa sede di legittimità, per rimuovere una simile ratio, praticamente imperniata sull'affermazione di un giudicato avente di per sé valenza liberatoria. Per costante giurisprudenza, ove sia configurabile una pronuncia basata su due distinte rationes decidendi, ciascuna di per sé sufficiente a sorreggere la soluzione adottata, è onere del ricorrente di impugnarle tutte, a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione per tutte Cass. Sez. U n. 7931-13 e poi anche Cass. Sez. 1 n. 17182-20, Cass. Sez. 3 n. 10815-19, Cass. Sez. 3 n. 21890-05 e moltissime altre . Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile. Le spese della parte costituita seguono la soccombenza. p.q.m. La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alle spese processuali, che liquida in 6.200,00 EUR, di cui 200,00 EUR per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella massima percentuale di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 , comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.