Si piazza davanti ad un’auto e impedisce l’uscita dal cortile condominiale: condannato per violenza privata

Condanna definitiva per un uomo che ha bloccato per qualche minuto una donna che, alla guida della propria vettura, stava per uscire dal cortile di un palazzo. I Giudici pongono in evidenza la costrizione esercitata dall’uomo nei confronti della donna, impossibilita a muoversi con l’automobile.

Piazzarsi in piedi davanti a una vettura e impedire così fisicamente alla persona alla guida di proseguire il suo percorso vale una condanna per il reato di violenza privata. Scenario dell’episodio è un condominio in Lombardia. Protagonista negativo è un uomo, che si piazza fisicamente dinanzi a una vettura guidata da una donna, così rendendole impossibile l’uscita dal cortile dello stabile. Ricostruito nei dettagli il fatto, i giudici di merito sanciscono la condanna dell’uomo sotto processo, ritenendolo colpevole di violenza privata e sanzionandolo con dieci mesi di reclusione. In Appello, in particolare, viene sottolineato che l’uomo ha, mediante violenza e minaccia, impedito alla donna di allontanarsi e uscire dal cortile del condominio con la propria autovettura, costringendola a rimanervi all’interno , peraltro dopo averla aggredita verbalmente e strattonata . Inutile il ricorso proposto in Cassazione dal legale che ha difeso l’uomo sotto processo. Anche per i Giudici di terzo grado, difatti, è sacrosanta la condanna per il reato di violenza privata. In premessa, i Magistrati ribadiscono che costituisce violenza qualunque comportamento volto a realizzare la perdita o, comunque, la significativa compressione della libertà di azione o della capacità di autodeterminazione di un soggetto , mentre sono, invece, penalmente irrilevanti quei comportamenti che si rivelino in concreto inidonei a limitare la libertà di movimento o a condizionare i processo di formazione della volontà altrui . Peraltro, posto che il delitto di violenza privata è reato istantaneo e si consuma nel momento in cui si realizza le limitazione coattiva della libertà di determinazione ed azione della vittima, essendo irrilevante che gli effetti della imposizione si protraggano nel tempo e la persona offesa possa successivamente eliminarli e posto che è sufficiente a configurare il delitto un qualsiasi comportamento o atteggiamento, sia verso il soggetto passivo, sia verso altri, idoneo ad incutere timore ed a suscitare la preoccupazione di subire un danno ingiusto, finalizzato ad ottenere che, mediante tale intimidazione, il soggetto passivo sia indotto a fare, tollerare od omettere qualcosa , allora per violenza privata è da intendersi non solo una coercizione fisica che impedisca i liberi movimenti della persona offesa, ma anche qualunque azione minacciosa o valida a porre il soggetto passivo nell’alternativa di non muoversi o muoversi col pericolo di menomare l’integrità altrui , anche dello stesso soggetto che consapevolmente crea l’ostacolo . In questo quadro generale si inserisce pienamente l’episodio verificatosi in un palazzo in Lombardia. I Magistrati ritengono doveroso catalogare come violenza privata la condotta tenuta dall’uomo, a fronte della costrizione esercitata nei confronti della persona offesa . A questo proposito, i Giudici ritengono inequivocabile l’azione compiuta dall’uomo, il quale si è parato davanti al veicolo guidato dalla donna, impedendo a quest’ultima di muoversi . Peraltro, si è appurato che quando la donna cercò aiuto, chiamando al telefono un uomo per fargli presente la situazione e minacciando l’intervento della Polizia l’uomo reagì con violenza, colpendo più volte con i pugni il vetro dell’auto della donna , la quale solo in seguito riuscì ad allontanarsi con la propria vettura. Definitiva, quindi, la condanna dell’uomo, colpevole del reato di violenza privata. Anche perché la sussistenza e la corretta individuazione dell’evento rendono irrilevante la durata dell’avvenuta costrizione, comunque protrattasi, secondo la ricostruzione basata sulla testimonianza della persona offesa, riscontrata dalle dichiarazioni di due testimoni, per un tempo apprezzabile , chiariscono i Magistrati.

Presidente Catena – Relatore Sessa Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata del 31.01.2022 la Corte di Appello di Milano, in parziale riforma della pronuncia emessa il 29.11.2019 dal Tribunale di Como in composizione monocratica nei confronti di P.P., che lo aveva dichiarato colpevole per i reati ascrittigli di molestie e disturbo alle persone capo A e violenza privata capo B di cui, rispettivamente, agli artt. 660 e 610 c.p. , ha dichiarato di non doversi procedere in ordine al reato di cui al capo A per intervenuta prescrizione ha confermato nel resto la decisione del primo giudice, considerando congrua la pena di mesi dieci di reclusione inflitta per il capo B . Il P. è stato ritenuto responsabile per avere, mediante violenza o minaccia, impedito a P.O.F.M. di allontanarsi e uscire dal cortile del condominio con la propria autovettura, costringendola a rimanervi all'interno e dopo averla aggredita verbalmente e strattonata. 2. Ricorre per cassazione l'imputato, tramite il difensore di fiducia, articolando due motivi. 2.1. Il primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione ai sensi dell' art. 606 c.p.p. , comma 1, lett. b ed e in relazione all' art. 610 c.p. e art. 125 c.p.p., comma 3, riguardo all'esclusione della recidiva, per avere, la Corte territoriale, ritenuto di dover affermare la responsabilità sulla base di una conforme integrazione del fatto di reato confermato dalla dichiarazione della p.o., P.O., considerando non rilevanti e prive di pregio le spiegazioni del ricorrente. Si contesta l'assenza, nel caso di specie, di una condotta impeditiva da ritenersi al più solo ingiuriosa della libertà di autodeterminazione della persona offesa a opera del P., anche in relazione al consolidato orientamento giurisprudenziale Cass., Sez. 5, n. 10132/2018 , Rv. 272796 secondo cui non è configurabile il delitto di violenza privata allorquando gli atti di violenza non siano diretti a costringere la vittima a un pati , ma siano essi stessi produttivi dell'effetto lesivo, senza alcuna fase intermedia di coartazione della libertà di determinazione. 2.2. Il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 62-bis , 133 c.p. e art. 125 c.p.p., comma 3, con riferimento al diniego delle attenuanti generiche in ragione delle plurime condanne riportate dall'imputato, contesto in cui, a maggior ragione, la Corte doveva valutare la concessione di tali attenuanti, finalizzate al più congruo adeguamento della pena in concreto e a considerare la globalità degli elementi soggettivi e oggettivi. Posto che l' art. 133 c.p. , comma 2, nn. 3 e 4 invita il giudicante a prendere in considerazione le eventuali potenzialità criminose in relazione al comportamento successivo dell'agente e quelle connesse alle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo e che, ai fini della determinazione della pena occorre tener conto anche dell'elemento ambientale , inteso come condizione di degrado economico, culturale e morale degli imputati, la modesta cultura, la sotto-occupazione e l'assenza di una volontà a delinquere per ragioni diverse da quelle di assicurarsi un reddito di sussistenza, si contesta che le affermazioni rese in sentenza per negare la concessione delle attenuanti generiche appaiono giuridicamente illogiche e prive di pregio. 3. Il ricorso è stato trattato, ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176 , senza l'intervento delle parti che hanno così concluso per iscritto il Sostituto Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso i difensori dell'imputato hanno fatto pervenire entrambi richiesta di rinvio per concomitanti impegni professionali. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. Preliminarmente, va precisato che entrambe le richieste di rinvio, avanzate dai difensori dell'imputato, avv.ti Moschioni e Sperlongano, sono state rigettate in quanto avanzate con riferimento ad udienza per la quale non era stata richiesta la trattazione orale. Ed invero, come ha avuto già modo di affermare questa Corte in tema, di disciplina emergenziale per il contenimento della pandemia da Covid-19, ove il giudizio di cassazione si svolga con contraddittorio cartolare per l'assenza di tempestiva richiesta di trattazione orale, non trova applicazione la previsione art. 420-ter c.p.p. in tema di legittimo impedimento a comparire del difensore dell'imputato, non essendo prevista la sua comparizione personale cfr. tra quelle massimate, Sez. 3, n, 32864 del 15/07/2022, Rv. 283415 - 01 . 1.1. Il primo motivo, che contesta la sussistenza dell'elemento oggettivo del delitto di violenza privata, più qualificabile quale ingiuria, è manifestamente infondato e reiterativo di analoghe censure dedotte in appello, alle quali il giudice territoriale aveva già dato congrue risposte. Secondo quanto chiarito da questa Corte, l'elemento oggettivo del delitto di violenza privata è costituito da una violenza o da una minaccia che abbiano l'effetto di costringere taluno a fare, tollerare od omettere una condotta determinata, poiché in assenza di tale determinatezza, possono integrarsi i singoli reati di minaccia, molestia, ingiuria attualmente illecito con sanzioni civili pecuniarie , percosse, ma non quello di violenza privata Sez. 5, n. 47575 del 07/10/2016, Altoe', Rv. 268405 conf., ex plurimis, Sez. 5, n. 6208 del 14/12/2020, dep. 2021, Rv. 280507 . Pertanto, integra la violenza qualunque comportamento volto a realizzare la perdita o, comunque, la significativa compressione della libertà di azione o della capacità di autodeterminazione del soggetto passivo, essendo, invece, penalmente irrilevanti, in virtù del principio di offensività, i comportamenti che, pur astrattamente condizionanti, si rivelino in concreto inidonei a limitare la libertà di movimento o a condizionare il processo di formazione della volontà altrui Sez. 5, Sentenza n. 40485 del 01107/2019, P., Rv. 277748 - 01 fattispecie in cui la Certe ha escluso la sussistenza del reato nella condotta dell'imputato che, avendo avvicinato il figlio, che si trovava su uno scooter, per esprimergli rimostranze aveva posizionato la propria bicicletta in modo da impedire allo stesso di allontanarsi in considerazione della facile amovibilità del mezzo e per la possibilità della vittima di allontanarsi in una diversa direzione . Posto che il delitto di violenza privata è reato istantaneo e si consuma nel momento in cui si realizza la limitazione coattiva della libertà di determinazione ed azione della vittima, essendo irrilevante che gli effetti della imposizione si protraggano nel tempo e l'offeso possa successivamente eliminarli Sez. 5, n. 1174 del 20/11/2020, dep. il 13/01/2021, Zaffaroni, Rv. 280130 - 01 conf. Sez. 5, n. 10834 del 1988, Rv. 179650 e che è sufficiente a configurare il delitto un qualsiasi comportamento o atteggiamento, sia verso il soggetto passivo, sia verso altri, idoneo ad incutere timore ed a suscitare la preoccupazione di subire un danno ingiusto, finalizzato ad ottenere che, mediante tale intimidazione, il soggetto passivo sia indotto a fare, tollerare od omettere qualcosa Sez. 5. Sentenza n. 29261 del 24/02/2017, P.C., Rv. 270869 - 01 , per violenza privata è da intendersi non solo una coercizione fisica che impedisca movimenti della persona offesa, ma anche qualunque azione minacciosa o valida a porre il soggetto passivo nell'alternativa di non muoversi o muoversi col pericolo di menomare l'integrità altrui, anche dello stesso adente che, consapevolmente crea l'ostacolo v. Sez. 5, n. 9451 del 27/09/1974, Rv. 128725 - 01, fattispecie in cui l'autore del reato si pose a sedere sul cofano della macchina costringendo così il guidatore a fermarsi . Orbene, nel caso in esame, la Corte di appello ha dato conto della sussistenza degli elementi costitutivi del reato di violenza privata teste' indicati e, segnatamente, dell'evento, rappresentato proprio da - un pati, ossia dalla costrizione esercitata nei confronti della persona offesa, P.O.F.M., da parte dell'imputato, il quale si parava davanti al veicolo impedendo alla donna di muoversi e inoltre, quando la p.o. cercava aiuto, chiamando al telefono B.A. per rappresentargli la situazione, e minacciava l'intervento della Polizia, colpiva più volte i veto dell'auto con dei pugni . Solo in seguito la O.P. riusciva ad allontanarsi. Pertanto, la sussistenza e la corretta individuazione dell'evento rendono irrilevante la durata dell'avvenuta costrizione, comunque protrattasi, secondo la ricostruzione svolta dal giudice di merito sulla base della testimonianza della persona offesa, riscontrata dalle dichiarazioni di B.A. e della vicina P.C.M., per un tempo apprezzabile . Quanto alla ritenuta recidiva, la cui censura reiterativa e generica è espressa solo in rubrica, l'eccezione è comunque inidonea a scalfire il rilievo del giudice di appello che ha sottolineato come il reato per cui è processo è espressione di una sempre più crescente pericolosità dell'imputato, gravato da plurimi precedenti. 1.2. Il secondo motivo che lamenta il diniego delle attenuanti generiche e', del pari, inammissibile. Alla luce della puntuale motivazione della sentenza impugnata, che ha posto in evidenza i precedenti penali di cui risulta gravato l'imputato, nonché la gravità delle condotte di reato poste in essere dallo stesso allorquando era ristretto agli arresti domiciliari, che hanno comportato effettivo turbamento nella persona offesa, è solo il caso di ricordare che, nel motivare il diniego dell'applicazione delle attenuanti generiche, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione. Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899 . 2. Dalle ragioni sin qui esposte deriva la declaratoria di inammissibilità del ricorso, cui consegue, per legge, ex art. 606 c.p.p. , la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di procedimento, nonché, trattandosi di causa di inammissibilità determinata da profili di colpa emergenti dal medesimo atto impugnatorio, al versamento, in favore della Cassa delle Ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 3.000,00 in relazione alla entità delle questioni trattate. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.