L’ex entra in casa? È violazione di domicilio

Rischia una condanna per violazione di domicilio il coniuge che, dopo la separazione, entra nella casa assegnata all’ex, anche se di sua proprietà.

La vicenda da cui origina la questione sottoposta all'esame della Corte di Cassazione riguarda il ricorso presentato dall'imputato avverso la condanna di violazione di domicilio emessa nei suoi confronti in particolare, l'uomo, dopo essersi separato e accordato sul diritto di abitazione nel senso che l'appartamento fosse utilizzato solo dalla moglie e dai figli minori, si era intrufolato nella ex casa familiare. L'occasione offre il destro alla Corte per pronunciarsi sulla violazione dello ius excludendi alias . Secondo i Giudici, è corretto valorizzare la situazione di fatto creatasi dopo la fine di una relazione e l'allontanamento di uno dei due componenti della coppia dall'abitazione per reputare sussistente, in capo all'altro, il diritto esclusivo di decidere chi potesse avere accesso al luogo che era stato la comune dimora infatti, l'oggetto giuridico del reato di violazione di domicilio consiste nella libertà della persona colta nella sua proiezione spaziale rappresentata dal domicilio, di cui viene garantita, attraverso la predisposizione del meccanismo sanzionatorio, l'inviolabilità, in conformità al dettato costituzionale dell' art. 14, comma 1, Cost. Cass. pen., n. 47500/2012 . Ebbene, occorre privilegiare l'effettivo rapporto tra il soggetto e il luogo nel quale si esplica la sua personalità, dando rilievo ad una circostanza di fatto che sancisce la fine del diritto dell'imputato di accedere a proprio piacimento a quella che non è più la sua abitazione . Insomma nell'ipotesi in cui, all'esito di una separazione di fatto, uno dei coniugi abbia abbandonato l'abitazione familiare trasferendosi altrove, l'unico titolare del diritto di esclusione di terzi va individuato nel coniuge rimasto nella abitazione familiare , anche se quello trasferito sia proprietario o comproprietario dell'immobile. Respinto, dunque, il ricorso dell'uomo.

Presidente Zaza – Relatore Borrelli Ritenuto in fatto 1. La sentenza impugnata è stata pronunziata il 3 dicembre 2021 dalla Corte di appello di Messina, che ha confermato la decisione del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto che aveva condannato, anche agli effetti civili, i fratelli MI.AN. e M.A. per i reati di cui agli artt. 610, 614, 612, comma 2 c.p. e, il solo MI.AN. , anche per i reati di cui all' art. 581 c.p. e 570, comma 2, n. 2 , c.p. ai danni di S.G. , moglie di S.A. , in fase di separazione. 2. Contro la decisione della Corte di appello hanno proposto ricorso per cassazione entrambi gli imputati, a mezzo del comune difensore di fiducia, che ha però redatto due atti distinti. 3. Il ricorso proposto nell'interesse di MI.AN. si compone di tre motivi. 3.1. Il primo motivo di ricorso lamenta violazione dell' art. 158 c.c. Il 18 agosto 2015 i due imputati avevano avuto accesso, insieme ad altri familiari, nella casa di loro proprietà, in quel periodo abitata dai coniugi MI.AN. e S.G. . La Corte di appello era partita dal falso presupposto che, a quella data, già fosse stato raggiunto un accordo di separazione consensuale tra i due coniugi, circostanza non corrispondente al vero, dal momento che quello del 9 giugno era solo un primitivo accordo mai omologato. Infatti nel 2015 non si era riusciti a giungere ad una separazione consensuale, tanto che era stato incardinato un procedimento per separazione giudiziale. Ne consegue - si legge nel ricorso - che imputato e persona offesa, alla data del 17 agosto 2015, non erano ancora autorizzati a vivere separatamente, per cui nessuna violazione di domicilio può essere ascritta al ricorrente. La Corte di merito, dunque, aveva violato il disposto di cui all' art. 158 c.c. , che prevede che la separazione non ha effetto per il solo consenso dei coniugi, senza l'omologazione del giudice. Lo stesso ragionamento può essere fatto quanto alle altre fattispecie, anch'esse fondate sull'erroneo assunto secondo cui già esistesse a quel tempo un provvedimento di separazione del Giudice civile. Le percosse, la violenza e la minaccia si inseriscono, infatti, nel turbamento patito dall'imputato per avere subito la sostituzione della serratura della propria casa da parte della moglie. L'azione sarebbe scriminata dall'esercizio di un diritto. Probabilmente le altre condotte andavano inquadrate nel reato di cui all' art. 393 c.p. ma, più correttamente, esse dovevano ritenersi scriminate ex art. 51 c.p. 3.2. Il secondo motivo di ricorso denunzia violazione dell' art. 570, comma 2, n. 2 , c.p. All'epoca dei fatti, si legge nel ricorso - entrambi i coniugi contribuivano al mantenimento dei figli comunque la condotta illecita ascritta al ricorrente non sarebbe mai stata provata in giudizio, anzi risulta pacifico che era stata la Scolaro a voler allontanare il ricorrente. 3.3. Il terzo motivo di ricorso lamenta il vizio di cui all'art. 606, comma 1, lett. a c.p.p. perché il Giudice di merito si era arrogato una potestà riservata al legislatore laddove aveva applicato estensivamente una sentenza di questa Corte in materia di violazione di domicilio commessa da parte di un coniuge in presenza di un procedimento del Giudice non dotato di esecutività. 4. Il ricorso presentato nell'interesse di M.A. consta di due motivi che riproducono il primo ed il terzo del ricorso del coimputato, alla cui illustrazione si rinvia. Nel primo motivo di ricorso si precisa che M.A. aveva agito a tutela del proprio diritto di proprietà nonché in difesa nel diritto di abitazione del fratello e che le violenze e le minacce erano tese a difendere il proprio diritto dall'azione della Scolaro, che stava sostituendo la serratura. Considerato in diritto I ricorsi sono, nel loro complesso, infondati e vanno pertanto respinti. 1. Il primo motivo di ricorso di MI.AN. è infondato. 1.1. Tale conclusione trova la sua ragion d'essere, in primo luogo, nella circostanza che il ricorrente attribuisce una rilevanza dirimente - per escludere che vi sia stata violazione di domicilio - alla valenza autorizzatoria a vivere separati dell'accordo intervenuto tra i coniugi il 9 giugno 2015, mentre non è questa la prospettiva attraverso la quale la questione va riguardata. Piuttosto -ritiene il Collegio - occorre attribuire rilievo al dato oggettivo, debitamente riportato in sentenza, che le parti - da circa due mesi - si erano comunque accordate nel senso di vivere separate e nel senso che l'appartamento fosse utilizzato solo dalla Scolaro e dai figli minori e che, addirittura, la donna potesse sostituire la serratura ciò aveva creato una situazione di fatto che, a prescindere dall'omologazione da parte del Tribunale civile dell'accorso intercorso, vedeva la persona offesa titolare esclusiva del diritto di abitare quell'appartamento, con lo ius excludendi alios che si connette alle prerogative di chi vanti un rapporto di utilizzo qualificato con un'abitazione. Conforta detta conclusione la giurisprudenza di questa Corte che, sia pure in fattispecie non perfettamente sovrapponibili a quella in esame, ha valorizzato la situazione di fatto creatasi dopo la fine di una relazione e l'allontanamento di uno dei due componenti della coppia dall'abitazione per reputare sussistente, in capo all'altro, il diritto esclusivo di decidere chi potesse avere accesso al luogo che era stato la comune dimora. Addirittura lo ius excludendi alios è stato riconosciuto in un caso Sez. 5, n. 3998 del 19/12/2018, dep. 2019, Santini, Rv. 275374 in cui vi era stata interruzione della convivenza more uxorio solo da poche ore. Il precedente in discorso ha ricordato l'esatta definizione giurisprudenziale dell'oggetto giuridico del reato di violazione di domicilio citando Sez. 5 n. 47500 del 21/09/2012, Catania, rv. 254518 conf. Sez. 5 n. 42806 del 26/05/2014, rv. 260769 , cioè la libertà della persona colta nella sua proiezione spaziale rappresentata dal domicilio, di cui viene garantita, attraverso la predisposizione del meccanismo sanzionatorio, l'inviolabilità, in conformità al dettato costituzionale dell' art. 14 comma 1 Cost. Ebbene - ha sostenuto la Corte - occorre privilegiare l'effettivo rapporto tra il soggetto e il luogo nel quale si esplica la sua personalità, dando rilievo ad una circostanza di fatto, nella specie la cessazione della convivenza more uxorio, che aveva sancito la fine del diritto dell'imputato di accedere a proprio piacimento a quella che non era più la sua abitazione. L'arresto appena evocato si ispira dichiaratamente agli insegnamenti di Sez. 5, Catania, cit. secondo cui, nell'ipotesi in cui, all'esito di una separazione di fatto, uno dei coniugi abbia abbandonato l'abitazione familiare trasferendosi altrove, l'unico titolare del diritto di esclusione di terzi va individuato nel coniuge rimasto nella abitazione familiare, anche se quello trasferito sia proprietario o comproprietario dell'immobile. La Corte, nell'occasione - laddove si discuteva del diritto della moglie, separata di fatto, di escludere da quella che era stata l'abitazione coniugale la ex suocera - ha ragionato nel senso che l'intervenuta separazione tra i due coniugi, con abbandono dell'abitazione familiare da parte del marito, ancora prima dell'adozione da parte del giudice civile del provvedimento con cui la casa familiare veniva assegnata alla moglie, ha fatto venire meno il rapporto di convivenza e, con esso, la titolarità dello ius prohibendi e del correlativo ius admittendi in capo al figlio dell'imputata, non più in grado, dunque, proprio perché l'abitazione in questione, dal momento in cui egli ha deciso di vivere altrove, non può più considerarsi un luogo dove esplica liberamente la sua personalità, di proibirne o di consentirne l'accesso o la permanenza a terzi estranei e ciò a prescindere dalla circostanza che, conformemente alla sua qualità civilistica di comproprietario, l'immobile continui a far parte, pro quota , del suo patrimonio . Tale ragionamento, calato nel caso sub iudice, evidenzia come, a prescindere dall'adozione di provvedimenti giudiziari, ciò che rileva è che vi sia stato l'allontanamento dalla casa coniugale di MI.AN. , con la stabilizzazione di una situazione di fatto in cui la Scolaro, già abitante in quel luogo, aveva instaurato una relazione esclusiva con quest'ultimo, facendone il proprio domicilio da separata, rispetto al quale l'intrusione dell'ex coabitante e di soggetti da quest'ultimo autorizzati costituisce una violazione del domicilio. Che questa fosse la situazione di fatto creatasi non è in contestazione, dal momento che la Corte di merito ha rimarcato - senza che sia stato denunziato un travisamento della prova sul punto - che l'imputato si era allontanato dall'abitazione ove aveva abitato con la Scolaro e si era trasferito in una diversa casa, dove viveva con un'altra donna. 1.2. Quanto alla parte finale del motivo in esame, il ricorrente evoca, peraltro in maniera perplessa, una derubricazione nel reato di cui all' art. 393 c.p. ovvero l'applicazione della scriminante dell'esercizio di un diritto art. 51 c.p. . Mentre, quanto a quest'ultimo aspetto, vi è poco da dire, considerato che, se pure l'imputato avesse avuto il diritto di stare nell'abitazione senza il consenso della moglie, la mortificazione di tale diritto non lo avrebbe autorizzato ad usare impunemente la forza ed a minacciare la donna, qualche osservazione in più si impone quanto alla derubricazione nella fattispecie ex art. 393 c.p. A questo riguardo, il Collegio è consapevole che le Sezioni Unite di questa Corte Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027 - 02 , quando hanno analizzato il distinguo tra esercizio arbitrario delle proprie ragioni ed estorsione, hanno valorizzato il profilo soggettivo piuttosto che le modalità della condotta, superando quell'orientamento esegetico che vedeva nel quantum di violenza il dato discriminante tra le due fattispecie. Tuttavia, deve nel contempo rilevarsi che, sempre secondo la sentenza Filardo, il grado di coartazione della vittima da parte del soggetto agente non è indifferente nell'operazione interpretativa suddetta, dal momento che alla speciale veemenza del comportamento violento o minaccioso potrà, pertanto, riconoscersi valenza di elemento sintomatico del dolo di estorsione . Calati questi principi - suscettibili di utilizzazione anche rispetto a reati diversi dall'estorsione - nel caso di specie, deve dirsi che le modalità particolarmente invasive e veementi adoperate - si pensi allo scardinamento della porta della casa o alla manifestazione d aggressività anche nei confronti della figlia minore laddove quest'ultima cercava di difendere la madre - sono sintomatiche dell'assenza della ragionevole convinzione di poter ottenere giudizialmente lo stesso risultato, a fortiori laddove riguardate in uno alla situazione di fatto in cui la condotta si è realizzata - che vedeva l'imputato ormai non più dimorante in quella casa e ciò sulla base di un accordo da lui stesso sottoscritto poco più di due mesi prima. 2. Il secondo motivo di ricorso di MI.AN. - che denunzia violazione dell' art. 570, comma 2, n. 2 , c.p. - è aspecifico e manifestamente infondato in quanto affronta l'argomentazione della Corte distrettuale - secondo cui l'imputato era venuto meno al sostentamento del nucleo familiare pur avendone la possibilità - agitando la generica affermazione secondo cui entrambi i coniugi contribuivano al sostentamento della famiglia e che era stata la Scolaro ad allontanare l'imputato dall'abitazione, come se questa circostanza - anche laddove accertata - lo esentasse dall'obbligo di garantire i mezzi di sussistenza ai figli minori. 3. Il terzo motivo del ricorso di MI.AN. - che lamenta il vizio di cui all'art. 606, comma 1, lett. a c.p.p. - è manifestamente infondato in quanto il vizio è impropriamente evocato quella che il ricorrente lamenta, infatti, è una legittima attività di interpretazione del dato normativo e della giurisprudenza di questa Corte, la cui funzione nomofilattica trae alimento proprio dal ragionamento che i Giudici di merito compiono - anche eventualmente ponendosi in termini evolutivi - dei principi sanciti nella sede di legittimità. 4. Il ricorso proposto nell'interesse di M.A. - fratello di MI.AN. - è del pari infondato per le stesse ragioni già evidenziate in risposta al primo e al terzo motivo di ricorso del coimputato cfr. supra §§ 1 e 3 , su cui le doglianze in discorso sono modellate. 5. Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. All'esito odierno del giudizio non consegue, invece, la condanna delle parti ricorrenti alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, giacché il difensore di quest'ultima non ha svolto alcuna utile attività difensiva, limitandosi a chiedere il rigetto dei ricorsi e domandando impropriamente a questa Corte la condanna degli imputati al risarcimento del danno. A questo riguardo, il Collegio intende dare seguito agli insegnamenti di Sez. U, n. 877 del 14/07/2022, dep. 2023, Sacchettino, Rv. 283886 non massimata sul punto , secondo cui, con riferimento al giudizio di legittimità celebrato con rito camerale non partecipato, anche laddove previsto dalla normativa introdotta per contrastare l'emergenza epidemiologica da Covid-19, la parte civile, pur in difetto di richiesta di trattazione orale, ha diritto di ottenere la liquidazione delle spese processuali purché abbia effettivamente esplicato, anche solo attraverso memorie scritte, un'attività diretta a contrastare l'avversa pretesa a tutela dei propri interessi di natura civile risarcitoria, fornendo un utile contributo alla decisione. 6. La natura dei rapporti oggetto della vicenda impone, in caso di diffusione della presente sentenza, l'omissione delle generalità e degli altri dati identificativi. P.Q.M. rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Nulla per le spese della parte civile. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003 art. 5 2 in quanto imposto dalla legge.