Impossibile ridimensionare l’episodio violento e catalogarlo come mero frutto di un eccesso di agonismo sportivo. Logico, invece, parlare di vera e propria aggressione, slegata dalla competizione calcistica in campo.
Condanna penale per il calciatore che durante una partita colpisce con una testata un avversario. Irrilevante il fatto che in campo l'arbitro, che non si è avveduto del fattaccio, non abbia preso alcun provvedimento disciplinare. Scenario dell'assurdo episodio è un campo da calcio nelle Marche. Durante una partita un calciatore – Tizio –, mentre si attende il recupero della palla che è fuori dal rettangolo di gioco, colpisce con una testata un avversario – Caio –. L'arbitro non vede l'azione violenta compiuta da Tizio, che quindi evita ogni possibile sanzione disciplinare. Concluso il match, però, vi è uno strascico giudiziario extra sportivo . Così Tizio si ritrova sotto processo in ambito penale per il gesto violento compiuto in campo. Per il Giudice di pace non ci sono dubbi Tizio va condannato per il reato di lesione personale , reato concretizzatosi nell'«aver colpito, con una violenta testata, un giocatore nel corso di un incontro calcistico». A Tizio viene anche addebitato di «aver violato volontariamente le regole del calcio» e di «essere venuto meno ai doveri di lealtà verso l'avversario». In Cassazione, però, Tizio prova a fornire una differente chiave di lettura della vicenda, sostenendo sia possibile «il riconoscimento della causa di giustificazione dell'esercizio dell'attività sportiva ». A questo proposito, Tizio spiega che «la vicenda si è svolta durante lo svolgimento della partita e non nella fase di gioco fermo, come erroneamente ritenuto dal Giudice di pace» e, quindi, « non può trattarsi di antagonismo sportivo», anche perché «non vi è stato, come riferito dalla stessa persona offesa, alcuno scontro verbale o litigio nel corso del gioco». In ultima battuta, poi, Tizio sostiene che la condotta oggetto del processo debba ritenersi «penalmente irrilevante», in quanto « non contraria alle regole sportive , stante anche la valutazione dell'arbitro che non ha comminato alcuna sanzione» a seguito dell'episodio. Per i giudici di Cassazione, invece, sono proprio i dettagli dell'azione violenta compiuta ad inchiodare Tizio alle proprie responsabilità. In sostanza, si è appurato che «Tizio ha colpito il suo avversario durante una fase di gioco fermo, stante il recupero del pallone fuoriuscito dal rettangolo di gioco», e difatti «i compagni di squadra di Caio invitavano l'arbitro a sanzionare l'accaduto, ma quest'ultimo non prendeva alcun provvedimento poiché non aveva visto direttamente l'aggressione». Logico, quindi, ritenere palese «la volontarietà delle lesioni , in ragione della fase di gioco fermo». Impossibile, invece, sostenere che il colpo incriminato sia stato «frutto del solo agonismo sportivo», chiariscono i magistrati. Escluso , quindi, il riconoscimento della scriminante sportiva , poiché, a fronte delle lesioni personali cagionate da Tizio a Caio durante la partita, «vi è palese assenza di collegamento funzionale tra la testata e la competizione sportiva la violenza esercitata da Tizio risulta sproporzionata in relazione alle concrete caratteristiche, alla natura e alla rilevanza del gioco la finalità lesiva pare costituire prevalente spinta all'azione». Applicabile, quindi, all'azione violenta compiuta in campo da Tizio, il principio secondo cui « in tema di competizioni sportive , non è applicabile la cosiddetta scriminante del rischio consentito qualora , nel corso di un incontro di calcio, un calciatore colpisca un avversario con un pugno al di fuori di un'azione ordinaria di gioco, trattandosi di dolosa aggressione fisica per ragioni avulse dalla peculiare dinamica sportiva», soprattutto considerando che «nella disciplina calcistica l'azione di gioco è quella focalizzata dalla presenza del pallone ovvero da movimenti, anche senza palla, funzionali alle più efficaci strategie tattiche blocco degli avversari, marcamenti, tagli in area ecc. e non può ricomprendere indiscriminatamente tutto ciò che avvenga in campo, sia pure nei tempi di durata regolamentare dell'incontro».
Presidente Zaza – Relatore Miccoli Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 14 febbraio 2020, il Giudice di Pace di Omissis ha condannato O.G. per il reato di lesione personale per aver colpito, con una violenta testata, il giocatore P.D. nel corso di un incontro calcistico. Il fatto è stato contestato all'imputato per aver violato volontariamente le regole del calcio e per essere venuto meno ai doveri di lealtà verso l'avversario. 2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso l'imputato, con atto articolato in un unico motivo e sottoscritto dal difensore di fiducia. Il ricorrente denunzia erronea applicazione della legge penale e correlati vizi di motivazione in riferimento al mancato riconoscimento della causa di giustificazione dell'esercizio dell'attività sportiva. Si duole, in particolare, della ricostruzione del fatto effettuata dal giudice alla luce delle emergenze probatorie, che diversamente descrivono il fatto contestato la querela e le dichiarazioni del teste V. evidenziano come la vicenda si sia svolta durante lo svolgimento della partita e non nella fase di gioco fermo , come erroneamente ritenuto dal giudice di pace, sicché non può trattarsi di antagonismo sportivo in quanto, come riferito dalla stessa persona offesa, non vi è stato alcuno scontro verbale o litigio con l'imputato nel corso del gioco. Inoltre, è sottolineato che la condotta debba ritenersi penalmente irrilevante, in quanto non contraria alle regole sportive, stante anche la valutazione dell'arbitro che non ha comminato alcuna sanzione all'imputato. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Le doglianze del ricorrente sono versate in fatto e finalizzate ad ottenere da questa Corte una rivalutazione delle prove. Il giudice di pace ha chiarito, con motivazione congrua ed esente da vizi logici, che l'imputato ha colpito il suo avversario durante una fase di gioco fermo stante il recupero del pallone fuoriuscito dal rettangolo di gioco , tanto che gli altri compagni di squadra della parte offesa invitavano l'arbitro a sanzionare l'accaduto, ma quest'ultimo non prendeva alcun provvedimento poiché non aveva visto direttamente l'aggressione . E' stata ritenuta la volontarietà delle lesioni in ragione della fase di gioco fermo , con esclusione che il colpo sia stato frutto del solo agonismo sportivo . Per la ricostruzione dei fatti in tali termini il giudice di pace ha utilizzato, previo consenso delle parti, il referto del pronto soccorso, la querela della persona offesa e le dichiarazioni rese da due soggetti in sede di sommarie informazioni testimoniali. Dalla motivazione della sentenza non sono evincibili vizi di travisamento delle prove analizzate, peraltro non denunziati dal ricorrente. 3. La decisione del giudice di pace è conforme ai principi affermati da questa Corte in materia di lesioni personali cagionate durante una competizione sportiva. Invero, non sussistono i presupposti di applicabilità della scriminante sportiva a quando si constati assenza di collegamento funzionale tra l'evento lesivo e la competizione sportiva b quando la violenza esercitata risulti sproporzionata in relazione alle concrete caratteristiche del gioco e alla natura e rilevanza dello stesso c quando la finalità lesiva costituisce prevalente spinta all'azione, anche ove non consti, in tal caso, alcuna violazione delle regole dell'attività Sez. 5, numero 21120 del 29/01/2018 -dep. 11/05/2018- Rv. 273203 . E, ancora, si è affermato che, in tema di competizioni sportive, non è applicabile la cosiddetta scriminante del rischio consentito, qualora nel corso di un incontro di calcio, l'imputato colpisca l'avversario con un pugno al di fuori di un'azione ordinaria di gioco, trattandosi di dolosa aggressione fisica per ragioni avulse dalla peculiare dinamica sportiva, considerato che nella disciplina calcistica l'azione di gioco è quella focalizzata dalla presenza del pallone ovvero da movimenti, anche senza palla, funzionali alle più efficaci strategie tattiche blocco degli avversari, marcamenti, tagli in area ecc. e non può ricomprendere indiscriminatamente tutto ciò che avvenga in campo, sia pure nei tempi di durata regolamentare dell'incontro Sez. 5, Sentenza numero 42114 del 04/07/2011 -dep. 16/11/2011-Rv. 251703 . 4. Ai sensi dell' articolo 616 c.p.p. , si impone la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché - ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, in quanto riconducibile alla sua volontà- al versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di Euro 3.000,00, così equitativamente stabilita in ragione dei motivi dedotti. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.