Con ordinanza n. 7380 del 14 marzo 2023 la Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione affronta il tema dei riverberi processuali derivanti dalla cessazione della gestione commissariale, escludendo che l’evento comporti la perdita della capacità della società di stare in giudizio e dunque sia idoneo a determinare l’interruzione del processo.
La questione dibattuta. Una società cooperativa sottoposta a gestione commissariale agiva in responsabilità nei confronti dei cessati membri del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale, contestando una serie di irregolarità nella gestione delle operazioni contabili, fra cui illeciti prelevamenti di somme. Di qui la richiesta di condanna in solido dei convenuti al risarcimento dei danni. Svolta la consulenza tecnica d'ufficio, il Tribunale di Nocera Inferiore accertava il danno cagionato alla società, accogliendo la domanda risarcitoria. Anche il gravame avverso la pronuncia di primo grado veniva rigettato dalla Corte di Appello di Salerno. Seguiva l'impugnazione per cassazione. Gestione commissariale, potere di rappresentanza e interruzione del processo. Sostengono i ricorrenti che a seguito della dichiarazione, da parte del procuratore costituito, dell'intervenuta cessazione della carica del commissario governativo, il primo Giudice avrebbe dovuto necessariamente interrompere il processo. La Corte Suprema respinge questo motivo di ricorso puntualizzando, nel solco di costante orientamento di legittimità cfr. Cass., n. 761/1999 Cass., n. 15666/2001 Cass., n. 13434/2002 Cass., n. 2636/2005 Cass., n. 2656/2005 Cass., n. 8281/2006 Cass., n. 11847/2007 Cass., n. n. 17216/2017 Cass., n. 32880/2019 , che i l venir meno della gestione commissariale e la conseguente cessazione dall'incarico del commissario governativo non sono circostanze idonee a determinare l'interruzione del processo . Infatti, la procura alle liti rilasciata dall'organo rappresentativo di una persona giuridica conserva la propria efficacia anche quando, nel corso del giudizio, l'organo che aveva rilasciato la procura sia stato soppresso e sostituito da un altro. Precisa, altresì, la Prima Sezione che la procura, se proveniente da una società e, per essa, da un organo abilitato a conferirla, resta imputabile all'ente medesimo finché non venga revocata, indipendentemente dalla sorte che nel frattempo abbia potuto subire l'organo che l'ha rilasciata ciò in considerazione del fatto che l'atto negoziale della persona giuridica, posto in essere per il tramite del competente organo di rappresentanza esterna, è atto del rappresentato e non del rappresentante e, come tale, resta in vita fino a quando non intervenga una diversa manifestazione di volontà del primo, a prescindere dal mutamento del secondo Cass., n. 13434/2002 . Nella specie, viene osservato che la cessazione dell'incarico commissariale non precludeva la pronuncia nel merito. Non si era verificata la perdita della capacità della società cooperativa di stare in giudizio art. 299 c.p.c. al punto che la stessa aveva avuto premura di confermare l'incarico al difensore che aveva introdotto il giudizio nel suo interesse. La notifica dell'atto di riassunzione al contumace quando è necessaria? La Prima Sezione ricorda inoltre come, nelle ipotesi di riassunzione senza mutamenti sostanziali negli elementi costitutivi del processo, l'atto di riassunzione del giudizio non debba essere notificato alla parte contumace. All'opposto, quando l'atto riassuntivo comporti un radicale mutamento della preesistente situazione processuale sotto il profilo oggettivo o soggettivo, il contumace deve essere edotto mediante la relativa notificazione. Ciò, tenuto conto che la duplice circostanza ch'egli abbia accettato la precedente situazione processuale e deciso di non partecipare al giudizio non consente di presumere che intenda mantenere la medesima condotta anche nella nuova situazione, della quale deve avere notizia rimanendone altrimenti leso il diritto di difesa v. Cass., n. 5341/2004 Cass., n. 13981/2011 Cass., n. 13015/2018 . Nell'ipotesi di decesso di un convenuto , ad avviso della Corte Suprema, non è necessaria la notifica dell'atto di riassunzione al contumace . Viene al riguardo ricordato il precedente di legittimità n. 26800/2012 secondo cui non deve essere notificata al contumace la riassunzione del giudizio ad opera degli eredi dell'attore deceduto in corso di causa. L'azione di responsabilità deve essere esperita verso tutti gli amministratori ed i sindaci? La risposta, ad avviso della Prima Sezione, è negativa nel senso che tale azione può essere intrapresa contro uno solo od alcuni di essi, senza che insorga l'esigenza di integrare il contraddittorio nei confronti degli altri , in ragione dell'autonomia e scindibilità dei rapporti con ciascuno dei coobbligati in solido Cass. n. 25178/2015 . Qualche precedente giurisprudenziale. In tema di commissariamento giudiziale , non richiamata nell'ordinanza in esame, cfr. Cass civile sez. trib., 22 gennaio 2020, n. 1289 , secondo cui L'affidamento della gestione dell'impresa al commissario giudiziale non costituisce una causa di interruzione del giudizio in sede di legittimità posto che in quest'ultimo, che è dominato dall'impulso d'ufficio, non trovano applicazione le comuni cause di interruzione del processo previste in via generale dalla legge . Sulla non sussistenza di litisconsorzio necessario tra gli amministratori di società convenuti, v., richiamata in sentenza, Cass. 14 dicembre 2015, n. 25178 , secondo cui La responsabilità dei sindaci di una società, prevista dall' art. 2407, comma 2, c.c. , per omessa vigilanza sull'operato degli amministratori, ha carattere solidale tanto nei rapporti con questi ultimi, quanto in quelli fra i primi, sicché l'azione rivolta a farla valere non va proposta necessariamente contro tutti i sindaci e gli amministratori, ma può essere intrapresa contro uno solo od alcuni di essi, senza che insorga l'esigenza di integrare il contraddittorio nei confronti degli altri, in considerazione dell'autonomia e scindibilità dei rapporti con ciascuno dei coobbligati in solido più recentemente e nello stesso senso cfr. Cass. 6 ottobre 2020, n. 21497 , ove confermato che In tema di responsabilità degli amministratori di società, ove la relativa azione venga proposta nei confronti di una pluralità di soggetti, in ragione della comune partecipazione degli stessi, anche in via di mero fatto, alla gestione amministrativa e contabile, tra i convenuti non si determina una situazione di litisconsorzio necessario, attesa la natura solidale della obbligazione dedotta in giudizio che, dando luogo ad una pluralità di rapporti distinti, anche se collegati tra loro, esclude l'inscindibilità delle posizioni processuali, consentendo quindi di agire separatamente nei confronti di ciascuno degli amministratori .
Presidente De Chiara - Relatore Falabella Fatti di causa 1. - La società cooperativa San Michele ha evocato in giudizio M.M. e F.L., consiglieri del disciolto consiglio di amministrazione della società, F.S. e F.I., eredi di F.A., già presidente del detto consiglio di amministrazione, e S.E. e S.M., sindaci, perché, previa verifica dell'irregolarità nella gestione delle operazioni di cassa e delle operazioni contabili, oltre che degli illeciti prelevamenti di somme e di altri fatti contrari ai doveri imposti agli organi sociali, i nominati convenuti fossero condannati in solido al risarcimento dei danni. Espletata consulenza tecnica d'ufficio, il Tribunale di Nocera Inferiore ha accertato il danno cagionato alla società, corrispondente all'ammanco di cassa di Euro 185.544,57 e ha condannato M.C., M.M. ed M.E., eredi di M.M., F.S. e F.I., F.L., D.V.N., S.M. ed S.E. al risarcimento del danno liquidato nel suddetto importo, maggiorato degli interessi. 2. - Il gravame avverso la pronuncia di primo grado è stato respinto dalla Corte di appello di Salerno con sentenza del 3 ottobre 2017. 3. - Vi è impugnazione per cassazione della sentenza di appello da parte dei ricorrenti in epigrafe indicati i motivi di ricorso sono cinque. La società cooperativa non ha svolto difese. Ragioni della decisione 1. - Il primo motivo oppone la nullità del giudizio ex art. 291 c.p.c. . E' censurata l'affermazione della Corte di appello secondo cui l'omessa notificazione dell'atto di riassunzione del processo al contumace S.E. avrebbe dato vita a una nullità della sentenza, sanata con la costituzione in appello del detto soggetto. Si oppone che la Corte di merito avrebbe dovuto disporre il rinnovo della consulenza tecnica effettuata in assenza di contraddittorio con la parte contumace. Il motivo è infondato. Parte ricorrente riferisce di due interruzioni, la prima delle quali per essere venuta meno la rappresentanza della parte attrice a seguito della cessazione dell'incarico del Commissario governativo , la seconda per la morte di altro convenuto. La prima interruzione è legata alla vicenda che segue. Dichiarata in giudizio, all'udienza del 17 aprile 2002, la cessazione del commissariamento della cooperativa, il Giudice istruttore di primo grado aveva ritenuto di non dichiarare l'interruzione e aveva quindi disposto consulenza tecnica d'ufficio, regolarmente espletata in un secondo momento l'interruzione era stata invece dichiarata. In realtà, se - come spiegato nel prosieguo della presente motivazione, trattando il secondo motivo - la fattispecie della cessazione della gestione commissariale non assurge a causa di interruzione del giudizio, la censura perde di consistenza poiché il processo doveva regolarmente proseguire, la parte non può dolersi dell'omesso adempimento di un incombente che la legge associa al caso in cui il giudizio debba riprendere il suo corso dopo essere stato legittimamente interrotto. E' comunque da osservare che, in base alla giurisprudenza di questa S.C., dal combinato disposto degli artt. 292 c.p.c. e 125 disp. att. c.p.c. si deve desumere che, mentre nelle ipotesi di riassunzione senza mutamenti sostanziali negli elementi costitutivi del processo - tra le quali principalmente, e, nella pratica, prevalentemente quella relativa alla cancellazione della causa dal ruolo - l'atto di riassunzione del giudizio non debba essere notificato alla parte contumace, per converso, ove l'atto riassuntivo comporti un radicale mutamento della preesistente situazione processuale sotto il profilo oggettivo o soggettivo, il contumace debba di esso essere edotto mediante la relativa notificazione, giacché la duplice circostanza ch'egli abbia accettato la precedente situazione processuale e deciso di non partecipare al giudizio non consente minimamente di presumere che intenda mantenere la medesima condotta anche nella nuova situazione, della quale deve avere notizia rimanendone altrimenti leso il diritto di difesa Cass. 16 marzo 2004, n. 5341 in senso conforme Cass. 24 giugno 2011, n. 13981 Cass. 24 maggio 2018, n. 13015 . E' agevole osservare, allora, come nella fattispecie in esame il contumace non avesse titolo a ricevere la notificazione dell'atto di riassunzione, visto che il mutamento che ha indotto il Giudice di prima istanza a dichiarare l'interruzione del giudizio era, per lui, del tutto irrilevante. La seconda interruzione è individuata facendo riferimento al decesso di altro convenuto. Occorre allora considerare che la Corte di merito ha richiamato la giurisprudenza sopra richiamata, osservando che non ricorreva la condizione da questa valorizzata il sopravvenire di una situazione che non consentisse di presumere che la parte intendesse continuare ad essere contumace e che tale ratio decidendi la quale ben può ritenersi corretta ove si faccia questione di una successione nel processo che non concerne la controparte del contumace non è stata nemmeno impugnata. Merita aggiungere che secondo Cass. 12 settembre 2022, n. 26800 non deve essere notificata al convenuto contumace la riassunzione del giudizio ad opera degli eredi dell'attore deceduto in corso di causa a maggior ragione, dunque, la notifica si rivela non necessaria nel caso di decesso di un altro convenuto. 2. - Col secondo motivo si lamenta la nullità degli atti processuali posti in essere a seguito della dichiarazione, da parte de procuratore costituito, dell'intervenuta cessazione dalla carica da parte del Commissario governativo e la violazione dell' art. 2393 c.c. . Si assume che il Tribunale, avendo preso conoscenza, un data 17 aprile 2002, della perdita della capacità processuale della parte attrice - perdita di capacità determinata dalla cessazione dalla carica del Commissario governativo - avrebbe avuto l'obbligo di disporre l'interruzione del giudizio il giudizio era stato invece interrotto solo successivamente, con ordinanza collegiale del 19 aprile 2005. Il motivo è infondato. Il venir meno della gestione commissariale e la conseguente cessazione dall'incarico del commissario governativo non erano idonee a determinare l'interruzione del processo e non precludevano la pronuncia nel merito, giacché esse non hanno determinato la perdita della capacità della società di stare in giudizio di cui all' art. 299 c.p.c. . Infatti, la procura alle liti rilasciata dall'organo rappresentativo di una persona giuridica conserva la propria efficacia anche quando, nel corso del giudizio, l'organo che aveva rilasciato la procura sia stato soppresso e sostituito da un altro e differente organo rappresentativo Cass. 12 novembre 1999, n. 761 , in fattispecie relativa ad appello proposto per l'INPS da difensore munito di procura alle liti già rilasciata da un commissario straordinario non più in carica in senso conforme Cass. 12 dicembre 2001, n. 15666 Cass. 13 settembre 2002, n. 13434 Cass. 9 febbraio 2005, n. 2636 Cass. 9 febbraio 2005, n. 2656 Cass. 7 aprile 2006, n. 8281 Cass. 22 maggio 2007, n. 11847 Cass. 12 luglio 2017, n. 17216 Cass. 13 dicembre 2019, n. 32880 la detta procura, se proveniente da una società e, per essa, da un organo abilitato a conferirla, resta imputabile all'ente medesimo anche in futuro e finché non venga revocata, indipendentemente dalla sorte che nel frattempo abbia potuto subire l'organo che l'ha rilasciata, atteso che l'atto negoziale della persona giuridica, posto in essere per il tramite del competente organo di rappresentanza esterna è atto del rappresentato e non del rappresentante e, come tale, resta in vita fino a quando non intervenga una diversa manifestazione di volontà del primo, a prescindere dal mutamento del secondo Cass. 13 settembre 2002, n. 13434 , cit., e successive conformi . Tale successiva manifestazione di volontà non è dedotto sia intervenuta anzi, come ricorda la sentenza impugnata pag. 9 , l'avvocato Marilena Martuscelli, che aveva introdotto in giudizio per la società cooperativa, era stata confermata , a seguito della cessazione della gestione commissariale, con procura rilasciata con atto depositato l'8 novembre 2005. 3. - Il terzo mezzo denuncia la nullità della sentenza per difetto di motivazione e la violazione dell' art. 2260 c.c. . Lamentano i ricorrenti che il Giudice di primo grado abbia omesso di accertare il ruolo e i compiti dei singoli convenuti nell'amministrazione della società e, in particolare, a quale periodo della gestione andava imputato l'eventuale comportamento omissivo o commissivo di ciascuno di essi. Il motivo non ha fondamento. Il vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c. , n. 4 può farsi oggi valere, in sede di legittimità, con riferimento alle sole fattispecie di mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico , di motivazione apparente , di contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e di motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile , essendo esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053 Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054 . Ora, a fronte dell'ammanco di cassa di lire 291.682,119, la Corte di merito ha evidenziato che rettamente il Tribunale aveva conferito rilievo alla violazione, da parte degli organi societari, degli specifici obblighi di diligenza nell'amministrazione degli affari societari di cui all' art. 2392 c.c. per gli amministratori e di vigilanza e di controllo attivo sulle attività poste in essere ex art. 2403 c.c. per i sindaci ha ritenuto la Corte distrettuale che la conferma della sentenza di primo grado trovasse ragione nell' oggettivo e rilevante svuotamento della cassa contanti della società evenienza che fonda va la responsabilità solidale degli amministratori e dei sindaci nell'atteggiamento neutrale assunto da entrambi gli organi difronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, così da non assolvere l'incarico con diligenza, correttezza e buona fede, eventualmente non solo segnalando all'assemblea le irregolarità di gestione riscontrate, ma anche omettendo scilicet formalizzando le denunce previste ex art. 2409, ultimo comma, c.c. sentenza, pag. 12 . Come si vede, secondo la sentenza impugnata la responsabilità degli amministratori e dei sindaci trova fondamento non già nell'individuazione di specifiche condotte appropriative o distrattive dell'uno o dell'altro convenuto condotte che avrebbero dovuto essere riferite ai soggetti che ne fossero stati autori , ma nell'omesso controllo, cui gli amministratori e i sindaci tutti erano tenuti, quanto ad atti che avevano comportato la perdita delle risorse patrimoniali della società. E tale passaggio argomentativo non evidenzia vizi motivazionali suscettibili di essere ricondotti a una delle richiamate figure. Né appare concludente l'evocazione dell' art. 2260 c.c. , dettato per la società semplice, giacché alle società cooperative si applicano, in quanto compatibili, le norme delle società per azioni art. 2519, comma 1. c.c. . Ebbene, per queste ultime l' art. 2392 c.c. prevede, al comma 2 del testo vigente ratione temporis, la responsabilità solidale degli amministratori che non hanno vigilato sul generale andamento della gestione in tema, per tutte Cass. 11 novembre 2010, n. 22911 , mentre l' art. 2407, comma 2, c.c. dispone che i sindaci siano responsabili solidalmente con gli amministratori per i fatti e le omissioni di questi, ove il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica. La detta responsabilità solidale di amministratori e sindaci contemplate dalle norme appena richiamate appare allora pienamente coerente con l'accertamento di fatto compiuto dai Giudici di merito. 4. - Col quarto motivo i ricorrenti si dolgono dell'inutilizzabilità della consulenza tecnica e dell'omesso esame di fatto decisivo. Si deduce che il c.t.u. abbia travisato il mandato conferitogli, ampliandone illegittimamente il contenuto. Il motivo è inammissibile perché carente di specificità. Manca, infatti, nel ricorso, una trascrizione dei quesiti formulati al consulente tecnico convocato per la prestazione del giuramento è da rimarcare, in proposito, che nella sentenza impugnata la censura ribadita in questa sede è stata disattesa avendo riguardo ai quesiti ulteriori indicati a verbale dalle parti di cui era menzione nel conferimento dell'incarico pagg. 10 s. evenienza, questa, che lascia comprendere l'importanza che assumeva in questa sede l'indicazione di cui, invece, il mezzo di censura risulta essere carente. 5. - Il quinto e ultimo mezzo oppone il difetto e la contraddittorietà della motivazione, nonché la violazione degli artt. 102 e 103 c.p.c. in riferimento all' art. 2393 c.c. . Viene rilevato che la società aveva volutamente omesso di convenire in giudizio F.S., che aveva ricoperto la carica di consigliere di amministrazione negli anni in cui si sarebbe prodotto l'ammanco di cassa. Ad avviso dei ricorrenti, avrebbe dovuto disporsi l'integrazione del contraddittorio nei confronti del nominato soggetto. Il motivo è palesemente infondato. Va qui riaffermato il principio, enunciato dalla Corte di appello, per cui l'azione di responsabilità contro amministratori e sindaci non va proposta necessariamente contro tutti i sindaci e gli amministratori, ma può essere intrapresa contro uno solo od alcuni di essi, senza che insorga l'esigenza di integrare il contraddittorio nei confronti degli altri, in considerazione dell'autonomia e scindibilità dei rapporti con ciascuno dei coobbligati in solido Cass. 14 dicembre 2015, n. 25178 . 6. - In conclusione, il ricorso è respinto. 7. - Nulla deve statuirsi in punto di spese processuali. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 , comma 1 quater, inserito dalla l. n. 228 del 2012, art. 1 , comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.