Reati fiscali, dolo e atipicità dei mezzi probatori

Confermata la condanna del legale rappresentante di una società per alcuni reati fiscali. La Cassazione smonta, motivo dopo motivo, le argomentazioni sollevate dalla difesa che sosteneva l’assenza di elementi probatori circa il dolo specifico in capo al contribuente.

La Corte d'appello di Milano confermava la condanna del legale rappresentante di una s.r.l. per alcuni reati fiscali , uniti dal vincolo della continuazione. La difesa ha, infruttuosamente, proposto ricorso per cassazione. Il Collegio ribadisce il principio dell' atipicità dei mezzi probatori nel giudizio penale per l'accertamento di reati tributari, con la conseguenza che il giudice di merito può pacificamente avvalersi dell'accertamento induttivo compiuto mediante gli studi di settore da parte degli Uffici finanziari, per la determinazione dell'imposta dovuta. Inoltre, in relazione alle presunte irregolarità dell'accertamento tributario, il giudice di merito ha correttamente ricordato che le patologie dell'avviso di accertamento tributario non determinano l'inutilizzabilità nel procedimento penale dell'avviso stesso e degli atti su cui esso si fonda, poiché si esauriscono nell'ambito del rapporto giuridico tributario e non incidono sull'attitudine dell'atto a veicolare nel giudizio penale le informazioni che se ne possono trarre . Il Collegio ricorda poi che la prova del dolo specifico in capo al contribuente può desumersi anche dal comportamento successivo al mancato pagamento delle imposte dovute e non dichiarate , comportamento che dimostri la volontà preordinata di non presentare la dichiarazione. La giurisprudenza ha infatti affermato che la prova dell'esistenza della volontà di non presentare la dichiarazione al fine di evadere le imposte può bene essere desunta anche dal comportamento successivo del contribuente-imputato e, dunque, desumibile dal mancato pagamento delle imposte dovute e non dichiarate , essendo tale condotta successiva dimostrativa della volontà del ricorrente di non presentare la dichiarazione, in quanto preordinata al mancato versamento successivo delle imposte. Laddove la dichiarazione tributaria rappresenta, infatti, un momento essenziale del procedimento di accertamento del tributo, anzi l'obbligo di presentazione della dichiarazione rappresenta il momento di partecipazione del contribuente alla fase di accertamento. In tal modo, il mancato assolvimento dell'obbligo dichiarativo , non manifestando al Fisco la capacità contributiva e non indicando l'ammontare delle imposte dovute in relazione all'anno di imposta, integra quell'offesa al bene giuridico oggetto di tutela penale, che rende punibile il comportamento omissivo del contribuente-imputato a prescindere ed indipendentemente dalla condotta successiva del medesimo, consistente nel mancato pagamento delle imposte dovute ma non dichiarate, il quale può rivestire valenza penale ad altri fini, ma non priva certo di rilevanza penale il mancato assolvimento dell'obbligo dichiarativo Cass. pen. sez. III n. 16469/2020 . Infine, quanto alla doglianza relativa alla presentazione dei modelli F24 negativi , la pronuncia ribadisce che il delitto di indebita compensazione di cui al d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10- quater , si consuma al momento della presentazione dell'ultimo modello F24 relativo all'anno interessato e non in quello della successiva dichiarazione dei redditi, in quanto, con l'utilizzo del modello indicato, si perfeziona la condotta decettiva del contribuente, realizzandosi il mancato versamento per effetto dell'indebita compensazione di crediti in realtà non spettanti in base alla normativa […] L'inesistenza del credito costituisce di per sé, salvo prova contraria, un indice rivelatore della coscienza e volontà del contribuente di bilanciare i propri debiti verso l'Erario con una posta creditoria artificiosamente creata, ingannando il fisco . Per questi motivi, la Corte rigetta il ricorso.

Presidente Marini – Relatore Cerroni Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 20 gennaio 2022 la Corte di Appello di Milano ha confermato la sentenza del 10 settembre 2020 del Tribunale di Lodi resa in esito a giudizio abbreviato, in forza della quale M.F. , nella qualità di legale rappresentante della s.r.l. C.S. Immobiliare, era stato condannato alla pena di anni due di reclusione per i reati, uniti dal vincolo della continuazione, di cui al D.Lgs. n. 74/2000, artt. 5 capo 1 e 1 0-quater, comma 2 capo 2 , relativamente all'anno d'imposta 2015. 2. Avverso la predetta decisione è stato proposto ricorso per cassazione articolato su sei motivi di impugnazione. 2.1. Col primo motivo il ricorrente, deducendo violazione di legge e vizio motivazionale, ha censurato la congruità e la logicità dell'accertamento induttivo operato, altresì contestando la piena utilizzabilità degli avvisi di accertamento dell'Agenzia delle Entrate. 2.1.1. In particolare, non erano state compiutamente spiegate le ragioni per le quali ciò che era emerso dall'avviso di accertamento e dagli atti compiuti in sede amministrativa, di cui il ricorrente aveva avuto cognizione solamente nell'ambito del procedimento penale, era stato ritenuto privilegiato elemento di prova. 2.2. Col secondo motivo, deducendo sempre i medesimi vizi, è stato osservato che non potevano essere ascritti a carico dell'imputato i risultati di accertamenti compiuti senza la partecipazione dell'interessato e quindi con gravi violazioni dei diritti difensivi. In definitiva, non era stata adeguatamente vagliata l'ipotesi accusatoria alla luce degli oneri probatori incombenti sulla pubblica accusa, col travisamento anche del comportamento processuale dell'imputato. 2.3. Col terzo motivo, quanto all'elemento soggettivo del reato in relazione all'ipotesi sub 1, il ricorrente ha lamentato la mancata prova del dolo specifico necessario ai fini dell'integrazione del reato di cui all'art. 5 cit In realtà le ragioni dell'omessa presentazione della dichiarazione dovevano ragionevolmente riposare aliunde, ed invero il Giudice del merito non era stato in grado di indicarle nella sentenza. 2.4. Col quarto motivo è stata censurata, allegando violazione di legge e vizio motivazionale, la mancata indicazione delle ragioni di fatto e di diritto per le quali sussisterebbero gli elementi materiale e psicologico del reato sub 2. 2.5. Col quinto motivo il ricorrente si è doluto del mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, benché fosse stato individuato un elemento, come il comportamento processuale, che ben avrebbe potuto essere valorizzato al riguardo. Nè risultavano indicati quei comportamenti riparatori che l'imputato avrebbe dovuto porre in proposito in essere. 2.6. Col sesto motivo, in relazione al trattamento sanzionatorio, non erano stati giustificati l'aumento di un terzo per il reato base e di un anno per la continuazione. 3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso dell'inammissibilità del ricorso. Considerato in diritto 4. Il ricorso è infondato. 4.1. In ordine ai primi due motivi di impugnazione, che possono essere esaminati congiuntamente stante la loro connessione, è anzitutto nozione ribadita che, in tema di reati tributari, per il principio di atipicità dei mezzi di prova nel processo penale, di cui è espressione l' art. 189 c.p.p. , il giudice può avvalersi dell'accertamento induttivo, compiuto mediante gli studi di settore dagli Uffici finanziari, per la determinazione dell'imposta dovuta, ferma restando l'autonoma valutazione degli elementi emersi secondo i criteri generali previsti dall' art. 192, comma 1, c.p.p. Sez. 3, n. 36207 del 17/04/2019, Menegoli, Rv. 277581 cfr. anche Sez. 3, n. 40992 del 14/05/2013, Ottaiano, Rv. 257619 . 4.1.1. Ciò posto, correttamente il Procuratore generale nella sua requisitoria ha osservato come in realtà il ricorrente non si fosse confrontato con la motivazione della sentenza impugnata. In particolare, infatti, per un verso la Corte territoriale ha dato conto che alcuna contestazione sostanziale era mai stata formulata nei riguardi delle risultanze fiscali, nè vi erano state contrarie deduzioni, allegazioni o quant'altro, con particolare riferimento a ricavi e costi siccome evidenziati. D'altro canto - a fronte delle doglianze difensive - non poteva neppure definirsi come induttivo l'accertamento compiuto dall'Agenzia delle Entrate nei riguardi della società rappresentata dal M. . Al riguardo, infatti, ancorché nel persistente deserto collaborativo dell'odierno ricorrente, un significativo compendio documentale era stato rintracciato nella disponibilità dei partners commerciali della società, quanto a fatture, contratti e contabilità in genere, ed anche a questo proposito non erano state elevate contestazioni o contrarie precisazioni di sorta laddove anzi erano state riconosciute, in favore del soggetto privato, la congruità e la pertinenza di voci di costo di per sé difficilmente inquadrabili nell'attività societaria . In relazione poi a pretese irregolarità dell'accertamento tributario, il Tribunale i Giudici di merito hanno infatti adottato decisioni e percorsi motivazionali comuni, sì che la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complesso corpo argomentativo, ex plurimis , Sez. 1, n. 8868 del 26/06/2000, Sangiorgi, Rv. 216906 cfr. da ult. Sez. 5, n. 40005 del 07/03/2014, Lubrano Di Giunno, Rv. 260303 ha correttamente ricordato che le per vero eventuali patologie dell'avviso di accertamento tributario non determinano l'inutilizzabilità nel procedimento penale dell'avviso stesso e degli atti su cui esso si fonda, poiché si esauriscono nell'ambito del rapporto giuridico tributario e non incidono sull'attitudine dell'atto a veicolare nel giudizio penale le informazioni che se ne possono trarre Sez. 3, n. 36491 del 26/06/2019, Villa, Rv. 276702 Sez. 3, n. 35294 del 12/04/2016, Satta, Rv. 267544 . Tanto più oltretutto che, in specie, l'imputato aveva optato per il rito abbreviato, con ogni conseguenza circa la utilizzabilità degli atti raccolti in sede d'indagine. 4.1.2. I primi due motivi sono quindi infondati. 4.2. In ordine poi al terzo motivo di censura, e come è stato ricordato dalle due decisioni di merito, la prova del dolo specifico in capo al contribuente può desumersi anche dal comportamento successivo del mancato pagamento delle imposte dovute e non dichiarate, dimostrativo della volontà preordinata di non presentare la dichiarazione Sez. 3, n. 16469 del 28/02/2020, Veruari, Rv. 278966 . È stato così ritenuto - e non vi sono ragioni per non ribadire il principio - che la prova dell'esistenza della volontà di non presentare la dichiarazione al fine di evadere le imposte può bene essere desunta anche dal comportamento successivo del contribuente-imputato e, dunque, desumibile dal mancato pagamento delle imposte dovute e non dichiarate, essendo tale condotta successiva dimostrativa della volontà del ricorrente di non presentare la dichiarazione, in quanto preordinata al mancato versamento successivo delle imposte. Laddove la dichiarazione tributaria rappresenta, infatti, un momento essenziale del procedimento di accertamento del tributo, anzi l'obbligo di presentazione della dichiarazione rappresenta il momento di partecipazione del contribuente alla fase di accertamento. In tal modo, il mancato assolvimento dell'obbligo dichiarativo, non manifestando al Fisco la capacità contributiva e non indicando l'ammontare delle imposte dovute in relazione all'anno di imposta, integra quell'offesa al bene giuridico oggetto di tutela penale, che rende punibile il comportamento omissivo del contribuente-imputato a prescindere ed indipendentemente dalla condotta successiva - del medesimo, consistente nel mancato pagamento delle imposte dovute ma non dichiarate, il quale può rivestire valenza penale ad altri fini, ma non priva certo di rilevanza penale il mancato assolvimento dell'obbligo dichiarativo. A fronte dunque del mancato assolvimento dell'obbligo dichiarativo, la condotta successiva è comportamento che ben può essere valorizzato in chiave soggettiva, ricavando dal medesimo la prova del dolo originario di evasione connesso alla mancata presentazione della dichiarazione fiscale, quale condicio sine qua non del mancato adempimento del successivo obbligo di versamento cfr., in motivazione, Sez. 3 n. 16469 cit. . Del resto, a fronte dell'imponenza delle imposte evase quasi 615 mila Euro quanto all'Ires, poco meno di 400mi1a Euro quanto all'Iva e dell'assenza di qualsivoglia genere di condotte riparative, il ricorrente nulla ha specificamente contestato ed eccepito, in definitiva sostenendo solo di avere scelto siffatta linea processuale in ragione delle pretese violazioni dell'accertamento tributario sull'erroneità di siffatta posizione, v. supra sub 4.1.1. . 4.3. Parimenti infondato è il quarto motivo di doglianza. È stato invero chiaramente osservato che risultavano presentati modelli F24 negativi, e che non vi era documentazione di alcun genere idonea a suffragare siffatte poste in tesi deducibili. Al riguardo, il delitto di indebita compensazione di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10-quater , si consuma al momento della presentazione dell'ultimo modello F24 relativo all'anno interessato e non in quello della successiva dichiarazione dei redditi, in quanto, con l'utilizzo del modello indicato, si perfeziona la condotta decettiva del contribuente, realizzandosi il mancato versamento per effetto dell'indebita compensazione di crediti in realtà non spettanti in base alla normativa fiscale Sez. 3, n. 23027 del 23/06/2020, Mangieri, Rv. 279755 Sez. 3, n. 4958 del 11/10/2018, dep. 2019, Cappello, Rv. 274854, con la precisazione ulteriore - e quindi in replica ai rilievi del ricorrente - che siffatto delitto non presuppone la presentazione da parte del contribuente di una dichiarazione annuale, a differenza di quello di dichiarazione infedele di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4, in cui il mendacio del contribuente si esprime proprio nella dichiarazione annuale relativa alle imposte sui redditi o all'Iva . 4.3.1. In relazione i poi all'elemento soggettivo del reato, è stato correttamente evocato il principio in forza del quale l'inesistenza del credito costituisce di per sé, salvo prova contraria, un indice rivelatore della coscienza e volontà del contribuente di bilanciare i propri debiti verso l'Erario con una posta creditoria artificiosamente creata, ingannando il fisco mentre, nel caso in cui vengano dedotti crediti non spettanti , sebbene certi nella loro esistenza e ammontare, occorre provare la consapevolezza da parte del contribuente che il credito non sia utilizzabile in sede compensativa Sez. 3, n. 5934 del 12/09/2018, dep. 2019, Giannino, Rv. 275833 da ult. Sez. 3, n. 7615 del 21/01/2022, Di Matteo, non mass. . 4.3.2. Anche siffatta doglianza non merita quindi accoglimento. 4.4. In relazione poi agli ultimi due motivi di censura, è anzitutto nozione comune che le circostanze attenuanti generiche hanno lo scopo di estendere le possibilità di adeguamento della pena in senso favorevole all'imputato, in considerazione di situazioni e circostanze che effettivamente incidano sull'apprezzamento dell'entità del reato e della capacità a delinquere del reo, sicché il riconoscimento di esse richiede la dimostrazione di elementi di segno positivo Sez. 2, n. 9299 del 07/11/2018, dep. 2019, Villani, Rv. 275640 Sez. 3, n. 19639 del 27/01/2012, Gallo e altri, Rv. 252900 , ben potendo quindi l'onere di motivazione del diniego dell'attenuante essere soddisfatto con il mero richiamo da parte del giudice alla assenza di elementi positivi che possono giustificare la concessione del beneficio cfr. Sez. 3, n. 54179 del 17/07/2018, D., Rv. 275440 . 4.4.1. In ogni caso, peraltro, al riguardo il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell' art. 133 c.p. , considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269 , anche limitandosi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall' art. 133 c.p. , quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all'entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare sufficiente Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549 . In specie la Corte territoriale - al pari del Tribunale - ha appunto dato conto, in senso all'evidenza prevalente, degli elementi negativi, legati all'esistenza di precedenti penali e alla gravità del fatto anche in ragione della calliditas della condotta e dell'assenza di qualsivoglia resipiscenza. 4.4.2. A sua volta il corretto comportamento processuale, posto in deteriore comparazione con gli elementi negativi richiamati, è stato discrezionalmente e non illogicamente considerato ai soli fini della determinazione di una non elevata pena base. 4.4.3. Per quanto, infine,riguardo il censurato aumento per continuazione, esso è stato parimenti giustificato - in modo certamente non illogico - proprio in considerazione dell'entità del danno erariale e dello scostamento assai rilevante dalla soglia minima di punibilità, tenuto conto dell'entità di questa in 50mila Euro/ e dell'utilizzo di crediti inesistenti per quasi un milione e quattrocentomila Euro. Anche in tal caso, pertanto, la doglianza non è condivisibile. 5. La complessiva infondatezza dell'impugnazione non può che comportare il rigetto del ricorso, con la condanna altresì del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.