Vendita di partecipazioni sociali e clausole contrattuali

La Corte di Cassazione ha espresso un importante principio di diritto inerente la vendita di alcune partecipazioni sociali, ove al pagamento di una parte del corrispettivo si affianchi, al fine del pagamento del prezzo residuo, l’assunzione a carico dell’acquirente dell’obbligo di eseguire un finanziamento in favore della società compravenduta.

Nel caso in esame, i Supremi Giudici ricordano che il giudice deve procedere all'analisi degli interessi concretamente perseguiti dalle parti, o ragione pratica dell'affare, valutando l'utilità del contratto e la sua idoneità ad espletare una funzione commisurata sugli interessi come tali Cass. n. 4628/2015 e che, dall'altro lato, la clausola prevista dall' art. 1322 c.c. subordina i contratti non appartenenti ad una disciplina particolare alla verifica che essi siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico, perché il contratto discende dall'esercizio dell'autonomia privata, tale esercizio è libero ed il confine di questa libertà è nella meritevolezza degli interessi perseguiti Cass. n. 22950/2015 . Per dirimere il conflitto in oggetto, i magistrati esprimono, quindi, il seguente principio di diritto nel caso di vendita delle partecipazioni sociali , ove al pagamento di una parte del corrispettivo si affianchi, al fine del pagamento del prezzo residuo, l'assunzione a carico dell'acquirente dell'obbligo di eseguire un finanziamento in favore della società compravenduta, con l'accordo che il socio entrante si attivi affinché quest'ultima paghi la relativa somma non allo stesso socio entrante, ma ai soci alienanti, al fine di tenerli indenni degli esborsi in precedenza eseguiti in favore della società a titolo di versamenti in conto aumento capitale sociale, tale accertata natura di versamenti in conto aumento del capitale e non di finanziamenti degli originari versamenti dei soci alienanti alla società non rende di per sé nulla , per violazione dell' art. 2423 c.c. o per preteso rimborso del capitale di rischio, la clausola che l'assunzione di quell'obbligo preveda .

Presidente De Chiara – Relatore Nazzicone Fatti di causa Con sentenza del 22 luglio 2017, la Corte d'appello di Roma ha respinto l'impugnazione avverso la decisione del Tribunale di Roma del 4 aprile 2015, che a sua volta aveva disatteso le domande proposte dagli attori. In particolare, questi avevano dedotto, con l'atto di citazione, la conclusione in data 26 marzo 2010 tra i medesimi, quali venditori, e la omissis s.r.l. poi Bioenergie s.p.a. , quale acquirente, di un complesso negozio, con il quale i primi avevano ceduto le proprie partecipazioni nella E. s.r.l. a fronte del prezzo, pari al valore nominale dei titoli di Euro 94.514,60, nonché dell'assunzione di una serie di obbligazioni a carico dell'acquirente, fra le quali - per quanto ancora rileva - quella di effettuare un finanziamento soci in favore della società compravenduta per la somma di Euro 240.000,00, in quattro rate trimestrali, mediante assegni circolari o bonifici bancari sul conto corrente della stessa l'accordo prevedeva la clausola secondo cui E. utilizzerà gli introiti di tale finanziamento soci per estinguere parte della propria esposizione debitoria verso i Venditori quali soci finanziatori di E., in misura proporzionale al debito verso ciascuno dei Venditori . Lamentando l'inadempimento di tale obbligazione, gli attori chiesero la condanna della società acquirente all'adempimento ed al risarcimento del danno, ma, nel corso del giudizio di primo grado, la prima domanda venne modificata in quella di risoluzione del contratto. La Corte d'appello ha, in via pregiudiziale, ritenuto ammissibile la domanda di risoluzione, proposta in corso di causa, in ragione dello stretto collegamento funzionale tra l'atto denominato cessione di quote sociali e quello contenente accordi connessi , come palesato dall'essere stati i medesimi conclusi simultaneamente ed essere ciascuno l'indispensabile completamento dell'altro, onde l'incontro di volontà, secondo la corte territoriale, si è formato esclusivamente sul contenuto complessivo dei due negozi. Nel merito, ha ritenuto che i soci alienanti avessero, in precedenza, eseguito non dei finanziamenti dei soci, ma dei versamenti in conto futuro aumento di capitale, appostati a riserva della E. s.r.l. ed utilizzati dall'assemblea dei soci del 15 maggio 2013 a diminuzione delle perdite di esercizio pertanto, la ricordata clausola del complesso negozio non rispondesse alla realtà dei fatti, non essendovi finanziamenti soci da restituire alle parti venditrici tale clausola doveva, invece, secondo la corte, qualificarsi come promessa del fatto del terzo, ai sensi dell' art. 1381 c.c. , posto che non esisteva un debito restitutorio in capo alla società compravenduta. La clausola in questione, tuttavia, è stata dalla corte ritenuta affetta da illiceità, dal momento che l'acquirente non aveva il potere giuridico di far deliberare alla E. s.r.l. il pagamento della somma in favore degli odierni ricorrenti, non comprendendosi la ragione di tale apparentemente inutile e complicato meccanismo , neppure se tale somma avesse fatto parte del prezzo della compravendita, in quanto non esisteva alcun modo lecito per far in modo che la E. s.r.l. pagasse direttamente la somma ai soci alienanti, posto che le operazioni economiche delle società di capitali devono essere funzionali al perseguimento dell'oggetto sociale a nessun titolo sarebbe stato lecito un pagamento della somma dalla E. s.r.l. ai venditori, neppure in mancanza di un pregiudizio per il suo patrimonio, violandosi in tal modi i criteri di redazione del bilancio, di cui agli artt. 2423 ss. c.c. , ed il divieto di rimborso del capitale di rischio manente societate in definitiva, la omissis s.r.l. ha promesso il compimento di un fatto illecito da parte della società compravenduta E. s.r.l Onde la corte territoriale ha ritenuto di dover rilevare d'ufficio la nullità della clausola su riportata, confermando, con tale motivazione, il rigetto delle domande proposte, per mancanza di una valida obbligazione rimasta inadempiuta. Avverso la decisione propongono ricorso per cassazione i soccombenti, affidato a quattro motivi, illustrati da memoria. Si difende con controricorso l'intimata. Ragioni della decisione 1. - Con il primo motivo, i ricorrenti deducono la violazione o falsa applicazione degli artt. 1343, 1346, 1418 e 1419 c.c. , per avere la corte territoriale ritenuto nulla per contrasto con norme imperative soltanto la clausola predetta, e non l'intero accordo intercorso tra le parti tuttavia, non vi era spazio per una nullità parziale, dal momento che l'importo recato dalla clausola costituiva una parte del corrispettivo per la vendita delle quote, come riconosciuto dalla stessa corte d'appello, e che i venditori non avrebbero mai concluso l'operazione senza tale importo. Dalla nullità dell'intero accordo, pertanto, i ricorrenti fanno derivare il loro diritto alla ripetizione dell'indebito oggettivo, fra l'altro evidenziando che gli accordi erano stati predisposti interamente dalla controparte e che stravolgerli sotto un profilo così importante ridonda a netto svantaggio dei soli venditori, tenuto conto che la somma, a suo tempo versata dai soci, era stata utilizzata dalla società per ripianare le perdite, a vantaggio quindi della nuova socia. In definitiva, del prezzo pattuito di Euro 566.104,31 i venditori hanno, in tal modo, incassato soltanto la somma di Euro 94.514,60. Con il secondo subordinato motivo, deducono la violazione dell' art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. , per l'insanabile contraddizione contenuta nella decisione impugnata, la quale ha, dapprima, affermato di ravvisare una complessiva ed unitaria operazione, nell'ambito di un collegamento negoziale fra i diversi patti, e, poi, dichiarato nulla soltanto una parte, pur essenziale, degli accordi e non l'intera pattuizione, lasciando in essere una cessione di quote del tutto monca rispetto di contenuti originati voluti dalle parti. Con il terzo subordinato motivo, deducono la violazione degli artt. 1418 e 2423 c.c. , perché la nullità è stata dichiarata in maniera apodittica per la sola clausola predetta, sebbene fosse palese, e sia stato affermato dalla stessa corte territoriale, che il patto nè avrebbe condotto ad un'alterazione del patrimonio della E. s.r.l., nè fosse altrimenti contrario a norme imperative od illecito, atteso il principio di libertà ed autonomia negoziale, di cui all' art. 1322 c.c. In sostanza, secondo gli accordi, ai soci venditori sarebbe stato corrisposto il pagamento in via indiretta di una ulteriore somma rispetto al valore nominale, senza nessuna lesione del patrimonio di E. s.r.l. Le parti avevano valutato come conforme ai loro interessi che il prezzo finale della compravendita fosse costituito dal valore nominale più una somma corrispondente al valore della riserva, di cui la società era stata dotata dai soci fondatori, onde la E. s.r.l. sarebbe stata soltanto il tramite dell'adempimento cui si era obbligata l'acquirente, che a tal fine doveva effettuare il finanziamento di nuove somme in favore della società, non potendosi affatto, dunque, ritenere una simile operazione contra legem. La omissis s.r.l. ha promesso il fatto del terzo ed era nelle condizioni di adempiere, quale socia di maggioranza della società compravenduta, al pagamento da parte di questa della somma, mediante il descritto meccanismo. In definitiva, l'atto di acquisto con accordi connessi è valido e vincolante tra le parti, oppure è nullo per intero. Con il quarto motivo lamentano la violazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 92 c.p.c. e 13, comma 1-quater, per non avere il giudice di appello, atteso il rigetto delle eccezioni di controparte, provveduto alla compensazione delle spese di lite. 2. - I ricorrenti hanno impostato il loro ricorso in favore dell'accoglimento del primo motivo, il quale mira alla nullità della intera operazione, espressamente subordinando ad esso il secondo motivo, cui a sua volta viene subordinato il terzo. Tale nesso di subordinazione risponde non ad una successione logica delle questioni, ma unicamente all'interesse dei ricorrenti ad una data statuizione peraltro, la regola della prospettazione di parte, ai fini dell'ordine delle questioni poste anche in Cassazione, è diritto positivo negli artt. 99 e 112 c.p.c. , onde a tale ordine occorre attenersi. 3. - Il primo motivo è inammissibile, perché la volontà delle parti di non stipulare l'intero accordo in caso di nullità della clausola in questione, ai sensi dell' art. 1419 c.c. , è questione di fatto, che sarebbe spettato al giudice di merito risolvere e che non può essere sollevata soltanto in sede di legittimità. 4. - Il secondo motivo non è fondato la sentenza contiene sì affermazioni in parte contraddittorie, ma è chiaro l'intento e l'esito, volti a reputare nulla una clausola con tale contenuto. Dunque, una decisione non manca e non è apparente, sebbene sia in punto di diritto errata. 5. - Il terzo motivo è fondato, avendo la corte territoriale proceduto ad una falsa applicazione delle norme dalla ricorrente invocate, risultante dall'esame degli argomenti articolati nel motivo medesimo. 5.1. - I fatti emergono in modo netto dalla sentenza impugnata, che ha dato conto dell'operazione negoziale, conclusa tra le parti. Alla vendita delle partecipazioni al capitale sociale di alcuni soci della E. s.r.l., al valore nominale di Euro 94.514,60, pagato quale parte del prezzo dei titoli, si affiancava, al pari a titolo di pagamento del prezzo convenuto tra le parti, l'assunzione a carico dell'acquirente omissis s.r.l. dell'obbligo di corrispondere la residua parte del prezzo, mediante la seguente operazione effettuazione di un finanziamento, in quattro rate annuali, alla società compravenduta, cui avrebbe dovuto far seguito la restituzione, non alla stessa società acquirente, ma ai soci alienanti, della somma medesima, allo scopo di render loro il pari valore patrimoniale, a suo tempo versato in società a titolo di - secondo le parole dell'accordo - finanziamento soci , ma, in realtà, nell'accertamento compiuto dalla corte del merito, a titolo di versamento a titolo di futuro aumento del capitale sociale . La clausola negoziale, come accertata dalla sentenza impugnata, prevedeva dunque l'obbligo dell'acquirente di effettuare un finanziamento soci in favore della società compravenduta, dell'importo di Euro 240.000,00, con assegni circolari o bonifici bancari, da versare sul conto corrente della E. s.r.l., la quale pertanto - in luogo che restituire la somma così finanziata alla nuova socia, a titolo di rimborso della somma mutuata, ai sensi dell' art. 1813 c.c. - li avrebbe utilizzati versandoli agli stessi soci venditori, e ciò allo scopo, così si esprime il contratto, come accertato e riportato dalla sentenza impugnata, di estinguere parte della propria esposizione debitoria verso i Venditori quali soci finanziatori di E. . 5.2. - La riconduzione della vicenda alle fattispecie degli artt. 1418 e 2423 ss. c.c. integra il denunziato vizio di sussunzione nelle menzionate disposizioni. Come sopra esposto, la corte territoriale ha accertato che i soci venditori non avevano eseguito finanziamenti soci, ma apporti a titolo di versamenti in conto futuro aumento di capitale, mentre la somma, che la socia acquirente aveva assunto l'obbligo di versare in società a titolo di nuovo finanziamento, in base alla clausola negoziale riportata, serviva allo scopo di utilizzare i fondi, così acquisiti dalla società compravenduta, per pagare i soci cedenti. Tale configurazione non è affatto contestata dai ricorrenti i quali, però, lamentano l'errata declaratoria di nullità del patto, ai sensi delle norme predette, sostenendo che non la mera assenza di un originario finanziamento dei soci uscenti, nè il prefigurato utilizzo della nuova finanza, versata in società dalla socia entrante per ottenere da parte della società partecipata il pagamento in loro favore, fossero circostanze e previsioni idonee a comportare la nullità del contratto de quo per contrasto con norme imperative. Tale assunto è fondato. Per concludere nel senso della nullità, dalla corte territoriale rilevata d'ufficio, di un simile accordo non era sufficiente, invero, osservare che, in punto di fatto, non esistessero finanziamenti soci , a suo tempo effettuati dagli alienanti in favore della società dal momento che ad altro valido titolo la somma avrebbe potuto essere corrisposta dalla società ai dètti soci, proprio mediante l'approntamento in favore di essa dei corrispondenti mezzi finanziari da parte della socia entrante, obbligata al pagamento del residuo valore delle quote. Ed è errata in diritto, anche per la sua stessa apoditticità e genericità, l'affermazione secondo cui, in nessun caso, l'acquirente omissis s.r.l. avrebbe potuto lecitamente far deliberare alla s.r.l. E. di pagare, per qualsivoglia titolo artificialmente creato a posteriori , una somma di denaro a favore degli odierni appellanti . 5.3. - Occorre ricordare come, nel novero delle diverse funzioni degli apporti dei soci in società - conferimenti, finanziamenti dei soci, versamenti a fondo perduto o in conto capitale, versamenti finalizzati ad un futuro aumento del capitale - appartiene al giudice del merito l'individuazione della natura delle dazioni dei soci cfr. Cass. 22 dicembre 2020, n. 29325 20 aprile 2020, n. 7919 19 febbraio 2020, n. 4261 3 dicembre 2018, n. 31186 8 giugno 2018, n. 15035 23 marzo 2017, n. 7471 , ed altre . Ma è possibile che, pur quando una data dazione sia avvenuta ad un determinato titolo, si operi la conversione in altra tipologia, fra quelle sopra indicate, con la volontà in tal senso di tutti i soggetti coinvolti, a seconda del tipo originario di qualificazione della dazione ad esempio, l'iniziale finanziamento, con il consenso del socio finanziatore e della società, può trasformarsi in un versamento a fondo perduto o di altro genere oppure, l'iniziale versamento in conto futuro aumento del capitale potrebbe essere, in seguito, trasformato finanziamento, una volta in ipotesi preso atto, da parte dei soci e della società, che un aumento di capitale sia definitivamente sfumato e così via. Non per questo sussisterebbe, però, un falso in bilancio e la violazione degli artt. 2423 ss. c.c. dovendo, certo, a tali eventuali mutamenti causali seguire l'acconcia appostazione delle relative poste in bilancio, sulla base delle documentate deliberazioni e delle pattuizioni delle parti, ma non potendosi ritenere violate dette disposizioni in presenza di uno dei mutamenti causali predetti. Nella specie, peraltro, tutto questo non rileva perché l'appostazione a titolo di riserva dell'iniziale versamento dei soci fondatori era correttamente avvenuta, come accertato dalla sentenza impugnata, mentre la detta clausola negoziale era eseguibile mediante l'operazione circolare concordata, in cui, al nuovo finanziamento in società, pari al prezzo residuo da pagare ai venditori, sarebbe seguita la restituzione in loro favore, e non in favore della socia finanziatrice entrante, del relativo importo. Non basta, cioè, aver qualificato come versamento senza obbligo di restituzione l'apporto originario in società, per ritenere senz'altro invalido il meccanismo così configurato approntamento di nuovi fondi a favore della società compravenduta, restituzione mediante i medesimi di somme direttamente ai soci uscenti . Il nuovo finanziamento effettuato della socia entrante, che essa avrebbe dovuto compiere in adempimento degli accordi raggiunti, avrebbe quindi potuto lecitamente dare luogo, in adempimento del contratto di compravendita delle partecipazioni sociali, alla restituzione della somma - mutuata dalla socia omissis s.r.l. - non alla stessa finanziatrice, ma ai soci uscenti, secondo un meccanismo sicuramente lecito cfr. art. 1188 c.c. , al fine di adempiere così, da parte dell'acquirente, al pagamento del prezzo residuo della compravendita. Non la clausola negoziale, quindi nè la prefigurata operazione in sé potevano violare le regole di redazione del bilancio, che attengono al documento contabile. Si noti come, nella specie, non rileva neppure il disposto ex art. 2467 c.c. e le relative condizioni ostative della restituzione del finanziamento non si è mai discorso, nel presente giudizio, della violazione dell'istituto della postergazione, del quale, nel corso della presente causa, non sono stati mai dedotti, e dunque provati, i presupposti di applicazione. In definitiva, la nullità è stata dichiarata, senza che fosse accertata la violazione di specifici divieti positivi, ma la sentenza impugnata ha finito per alterare il sinallagma contrattuale voluto dalle parti, elidendo l'obbligazione di pagamento di una rilevante parte del prezzo. Quel che è mancato, nello sforzo ricostruttivo e di inquadramento giuridico da parte della corte territoriale, è stata l'analisi e la considerazione dell'effettiva operazione negoziale nella sua complessità, essendosi essa limitata ad una visione parcellizzata degli obblighi assunti e all'indagine atomistica del regolamento degli interessi contenuto negli accordi, che ha impedito la corretta valutazione di liceità o di illiceità degli stessi. Occorre ricordare che, da un lato, il giudice deve procedere all'analisi degli interessi concretamente perseguiti dalle parti, o ragione pratica dell'affare, valutando l'utilità del contratto e la sua idoneità ad espletare una funzione commisurata sugli interessi come tali Cass., sez. un., 6 marzo 2015, n. 4628 e che, dall'altro lato, la clausola prevista dall' art. 1322 c.c. subordina i contratti non appartenenti ad una disciplina particolare alla verifica che essi siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico , perché il contratto discende dall'esercizio dell'autonomia privata, tale esercizio è libero ed il confine di questa libertà è nella meritevolezza degli interessi perseguiti Cass. 10 novembre 2015, n. 22950 . In tal modo, i concetti di illiceità per contrasto con norme imperative, ordine pubblico e buon costume cfr., fra gli altri, artt. 1343, 1345, 1346, 1354 c.c. , come quello di meritevolezza, devono essere riempiti di contenuto dagli intE.reti, nell'individuazione delle condotte concrete che, pur esercizio dell'autonomia negoziale, integrino violazione dei divieti e non legittimo esercizio del diritto d'iniziativa economica privata. 6. - Il quarto motivo è assorbito. 7. - La sentenza impugnata va dunque cassata, con rinvio innanzi alla Corte d'appello di Roma, in diversa composizione, perché riesamini le domande proposte ed il materiale istruttorio in atti, alla stregua del seguente principio di diritto Nel caso di vendita delle partecipazioni sociali, ove al pagamento di una parte del corrispettivo si affianchi, al fine del pagamento del prezzo residuo, l'assunzione a carico dell'acquirente dell'obbligo di eseguire un finanziamento in favore della società compravenduta, con l'accordo che il socio entrante si attivi affinché quest'ultima paghi la relativa somma non allo stesso socio entrante, ma ai soci alienanti, al fine di tenerli indenni degli esborsi in precedenza eseguiti in favore della società a titolo di versamenti in conto aumento capitale sociale, tale accertata natura di versamenti in conto aumento del capitale e non di finanziamenti degli originari versamenti dei soci alienanti alla società non rende di per sé nulla, per violazione dell' art. 2423 c.c. o per preteso rimborso del capitale di rischio, la clausola che l'assunzione di quell'obbligo preveda . Alla corte del merito si demanda la liquidazione delle spese di legittimità. P.Q.M. La Corte respinge il primo ed il secondo motivo di ricorso, accoglie il terzo motivo e dichiara assorbito il quarto cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa innanzi alla Corte d'appello di Roma, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di legittimità.