Definitiva la condanna nei confronti di un uomo che ha preso di mira, per lungo tempo, la compagna con cui ha avuto un figlio e con cui ha convissuto. I Giudici chiariscono che va attribuito rilievo anche alle violenze verbali, in quanto idonee a determinare un perdurante stato di sofferenza e di prostrazione nella persona offesa.
Catalogabili come maltrattamenti in piena regola anche le violenze verbali perpetrate da un uomo nei confronti della donna a cui è legato da una relazione sentimentale, con tanto di figlio, e con cui vive sotto lo stesso tetto. Ricostruita, grazie ai racconti fatti dalla donna presa di mira dal compagno, la vicenda, i giudici di merito ritengono sacrosanta la condanna dell’uomo, ritenuto colpevole del reato di maltrattamenti in famiglia . A margine, poi, viene anche sancito che l’uomo dovrà provvedere al risarcimento dei danni in favore della donna. Nel contesto della Cassazione, però, l’avvocato che rappresenta l’uomo prova a mettere in discussione le dichiarazioni accusatorie rilasciate dalla persona offesa. A questo proposito, il legale sostiene che le parole della donna siano genericamente formulate, prive di riscontri esterni e, potenzialmente, frutto di rancore verso l’uomo . In aggiunta, poi, secondo il legale, in considerazione dell’interruzione, da oltre un anno, del rapporto di convivenza familiare e preso atto del trasferimento della donna in un’altra città, bisogna tenere presente la limitata capacità di frequentazione tra l’uomo e la donna e, quindi, le comunicazioni solo per via telefonica non possono essere catalogate come atti idonei a qualificare la condotta dell’uomo come maltrattamenti in famiglia . Più logico, secondo il legale, parlare di mera minaccia aggravata . Per i Giudici di Cassazione, però, non vi sono i presupposti per mettere in dubbio la responsabilità penale dell’uomo. Ciò innanzitutto alla luce della credibilità soggettiva della persona offesa , le cui dichiarazioni, precise e circostanziate, sono state ritenute pienamente attendibili anche in forza dei numerosi elementi di riscontro estrinseco rappresentati non solo dalla puntuale disamina dei contenuti dei video e delle chat estrapolati dal cellulare dell’uomo, ma anche dalle dichiarazioni rese da due testimoni in relazione sia agli atti di maltrattamento che alle gravi condotte minatorie poste in essere dall’uomo ai danni della compagna . Rilevante, poi, aggiungono i Giudici, la continuità delle condotte di maltrattamento realizzate dall’uomo e connotate dai caratteri di sistematicità e persistenza e di volta in volta concretizzatesi in offese, umiliazioni, minacce, aggressioni verbali e fisiche, talora in presenza anche del figlio minore della coppia, lungo l’intero arco temporale della convivenza, sì come dispiegatasi per il rilevante periodo di oltre un decennio . Va esclusa poi, sempre secondo i Giudici, una significativa cesura, all’interno della relazione tra l’uomo e la donna, fra le condotte anteriori e successive all’evento della fuga della donna, peraltro verificatasi per il timore di un vulnus all’incolumità della propria persona, senza che il proprio domicilio venisse formalmente trasferito e senza che s’interrompessero i rapporti con il figlio della coppia . Per chiudere il cerchio, infine, i Giudici ricordano che il reato di maltrattamenti in famiglia non circoscrive l’incidenza penalistica della condotta entro il perimetro di una specifica forma di violenza, trattandosi di un reato a forma libera la cui previsione, come tale, attribuisce rilievo anche alle violenze verbali, in quanto idonee a determinare, come verificatosi nel caso preso in esame, un perdurante stato di sofferenza e di prostrazione nella persona offesa. Tirando le somme, i maltrattamenti in famiglia si concretizzano non solo a fronte di percosse, lesioni, ingiurie, minacce, privazioni e umiliazioni imposte alla vittima , ma anche a fronte di atti di disprezzo e di offesa alla sua dignità , che si risolvano in vere e proprie sofferenze morali , come nella vicenda oggetto del processo.
Presidente Ricciarelli Relatore De Amicis Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 5 luglio 2022 la Corte di appello di Roma ha confermato la decisione emessa dal Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Viterbo, che all'esito di giudizio abbreviato condannava K.A. alla complessiva pena di anni cinque e giorni dieci di reclusione per i reati di cui agli artt. 2 e 7 L. n. 895 del 1967 capo A , 4 e 7 legge cit. capo B , 697 c.p. capo C , 572, primo e comma 2, c.p. capo D , ritenendo assorbito nel reato di cui al capo D il reato, contestato all'imputato nel capo E , di cui all' art. 612-bis c.p. , con la condanna del predetto al risarcimento dei danni, al pagamento di una provvisionale e alla rifusione delle spese in favore della costituita parte civile, ossia della compagna convivente B.A 2. Avverso la su indicata decisione ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia dell'imputato, deducendo, con un primo motivo, vizi della motivazione in ordine alla mancata assoluzione dai reati sub D e ed E , per difetto dell'elemento oggettivo, e, in subordine, la loro mancata riqualificazione ai sensi dell' art. 612, comma 2, c.p. , con assorbimento dei reati sub B e C in quello di cui al capo A . Si assume, al riguardo, che le dichiarazioni accusatorie della persona offesa, sulla cui base poggia l'intera ricostruzione della vicenda storico-fattuale oggetto del giudizio, sono genericamente formulate, prive di riscontri esterni e, potenzialmente, frutto di rancore verso l'imputato. Si pone altresì in evidenza il fatto che, in considerazione dell'interruzione da oltre un anno del rapporto di convivenza familiare e del trasferimento della denunciante a Trieste, la limitata capacità di frequentazione e le comunicazioni solo per via telefonica non costituivano atti idonei a qualificare la condotta ai sensi dell' art. 572 c.p. , ma ne determinavano l'inquadramento nella diversa fattispecie della minaccia aggravata. 2.1. Con un secondo motivo si censurano vizi della motivazione in punto di dosimetria della pena, ritenuta eccessiva per la mancata esclusione della recidiva e la denegata concessione delle attenuanti generiche, pur a fronte del positivo comportamento processuale e delle modalità, non particolarmente gravi, di realizzazione della condotta. 3. Con requisitoria trasmessa alla Cancelleria di questa Suprema Corte in data 11 gennaio 2023 il Procuratore generale ha illustrato le sue conclusioni, chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso. 4. Con memoria trasmessa alla Cancelleria di questa Suprema Corte in data 9 gennaio 2023 il difensore d'ufficio dell'imputato, Avv. omissis , ha illustrato le sue conclusioni, chiedendo l'accoglimento dei motivi del ricorso e l'annullamento della sentenza impugnata. 5. Con memoria trasmessa alla Cancelleria di questa Suprema Corte in data 25 gennaio 2023 l'Avv. omissis , difensore della parte civile B.A., ha illustrato le sue conclusioni, chiedendo il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese del grado come da allegata notula, evidenziando, sotto tale profilo, che la parte civile è stata ammessa al gratuito patrocinio a spese dello Stato con provvedimento emesso dal Tribunale di Viterbo in data 12 gennaio 2022. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile sia per manifesta infondatezza, sia in quanto proposto sulla base di motivi non consentiti nel giudizio di legittimità, per essere le su indicate ragioni di doglianza genericamente orientate a sollecitare, sul duplice presupposto di una rivisitazione in fatto delle risultanze processuali e di una diversa, o alternativa, e come tale non consentita, rivalutazione delle fonti di prova, l'esercizio di uno scrutinio improponibile in questa Sede, omettendo di esaminare criticamente, sulla base di una puntuale analisi logico-argomentativa, i passaggi attraverso cui linearmente si snodano le sequenze motivazionali della decisione impugnata. 2. Nel ripercorrere il quadro delle convergenti risultanze probatorie già in senso conforme apprezzate dalla prima decisione di merito, la Corte distrettuale ha puntualmente esaminato e confutato le, qui reiterate, obiezioni difensive, illustrando le ragioni giustificative dell'affermazione di responsabilità sulla base dei dirimenti rilievi qui di seguito indicati a la credibilità soggettiva della persona offesa, le cui dichiarazioni, precise e circostanziate, sono state ritenute pienamente attendibili anche in forza dei numerosi elementi di riscontro estrinseco rappresentati non solo dalla puntuale disamina dei contenuti dei video e delle chat estrapolati dal cellulare del ricorrente, ma anche dal rinvenimento di un'arma e delle relative munizioni all'interno del suo esercizio commerciale, oltre che dalle dichiarazioni rese dai testi G.Y. e di M.M. in relazione sia agli atti di maltrattamento che alle gravi condotte minatorie poste in essere ai danni della convivente b la continuità delle condotte di maltrattamento, connotate dai caratteri di sistematicità e persistenza e di volta in volta concretizzatesi in offese, umiliazioni, minacce, aggressioni verbali e fisiche, talora in presenza anche del figlio minore, lungo l'intero arco temporale della convivenza, sì come dispiegatasi per il rilevante periodo di oltre un decennio c la motivata esclusione in punto di fatto di una significativa cesura, all'interno di tale relazione, fra le condotte anteriori e successive all'evento della fuga, peraltro verificatasi per il timore di un vulnus all'incolumità della persona offesa, senza che il proprio domicilio venisse formalmente trasferito e senza che s'interrompessero i rapporti con il figlio della coppia. E' noto, del resto, che la struttura della fattispecie incriminatrice di cui all' art. 572 c.p. non circoscrive l'incidenza penalistica della condotta entro il perimetro di una specifica forma di violenza, trattandosi di un reato a forma libera la cui previsione, come tale, attribuisce rilievo anche alle violenze verbali, in quanto idonee a determinare, come verificatosi nel caso di specie, un perdurante stato di sofferenza e prostrazione nella persona offesa. Il delitto de quo, invero, non è integrato soltanto dalle percosse, lesioni, ingiurie, minacce, privazioni e umiliazioni imposte alla vittima, ma anche dagli atti di disprezzo e di offesa alla sua dignità, che si risolvano in vere e proprie sofferenze morali Sez. 6, n. 44700 del 08/10/2013, P., Rv. 256962 , trattandosi di una fattispecie che può configurarsi anche mediante il compimento di atti che, di per sé, non costituiscono reato Sez. 6, n. 13422 del 10/03/2016, 0., Rv. 267270 . 3. Congruamente motivate devono altresì ritenersi le argomentazioni svolte in merito alla ritenuta esclusione dell'assorbimento del reato di detenzione in quello di porto illegale, atteso il pacifico indirizzo ermeneutico al riguardo espresso da questa Suprema Corte, che ha affermato il principio secondo cui, in tema di reati concernenti le armi, il delitto di porto illegale assorbe per continenza quello di detenzione, escludendone il concorso materiale, solo quando la detenzione dell'arma inizi contestualmente al porto della medesima in luogo pubblico e sussista altresì la prova che l'arma non sia stata in precedenza detenuta Sez. 1, n. 27343 del 04/03/2021, Amato, Rv. 281668, che in motivazione ha affermato che, in mancanza di alcuna specificazione da parte dell'imputato circa la contemporaneità delle due condotte, il giudice di merito non è tenuto ad effettuare verifiche, potendo attenersi al criterio logico della normale anteriorità della detenzione rispetto al porto Sez. 1, n. 18410 del 09/04/2013, Vestita, Rv. 255687 Sez. 1, n. 32967 del 03/06/2010, Casanova, Rv. 248272 . Nel caso di specie, uniformandosi ai richiamati principi, la Corte territoriale ha correttamente ritenuto sussistente il concorso materiale dei reati di cui ai capi A , B e C sulla base dell'assenza di elementi indicativi della eventuale contemporaneità delle condotte di porto e detenzione illegale. 4. In definitiva, a fronte di un apprezzamento completo delle emergenze procedimentali, congruamente illustrato attraverso un insieme di sequenze motivazionali chiare e prive di vizi logico-giuridici, deve rilevarsi come il ricorrente non abbia individuato passaggi o punti della decisione tali da inficiare la solidità della base argomentativa delineata dalla Corte distrettuale, ma vi abbia genericamente contrapposto una lettura alternativa, facendo leva sul diverso apprezzamento di profili fattuali già puntualmente vagliati nel giudizio di appello, la cui rivisitazione, evidentemente, esula dai confini propri del sindacato di legittimità da questa Suprema Corte esercitabile. 5. Analoghe considerazioni devono svolgersi in ordine al secondo motivo di ricorso, orientato a sollecitare una diversa e non consentita rivalutazione dell'esercizio del potere discrezionale di determinazione della dosimetria della pena, pur a fronte di una congrua ed esaustiva spiegazione delle ragioni che hanno indotto la Corte distrettuale a ritenere l'assenza di elementi positivamente valorizzabili ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e dell'evocata esclusione della contestata recidiva specifica, in presenza di plurime condotte delittuose connotate da un'obiettiva gravità intrinseca e da perseveranza nel comportamento minatorio, unitamente al motivato apprezzamento delle caratteristiche del precedente penale che ha costituito il presupposto per la coerente formulazione di un giudizio di maggiore pericolosità. 6. Sulla base delle su esposte considerazioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende di una somma che, in ragione della natura delle questioni dedotte, si stima equo quantificare nella misura di Euro tremila. Per le medesime ragioni, inoltre, il ricorrente deve essere condannata alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel grado dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, secondo le correlative statuizioni decisorie nel dispositivo meglio precisate, in conseguenza di quanto al riguardo stabilito da questa Suprema Corte Sez. U, n. 5464 del 26/09/2019, dep. 2020, De Falco, Rv. 277760 . P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile B.A. al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Roma con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 8 2 e 83 D.P.R. n. 115 del 200 2, disponendo il pagamento in favore dello Stato.