Va considerato precluso il motivo di ricorso in Cassazione avverso l’ordinanza di distruzione della documentazione e dei supporti delle intercettazioni con cui si deduce il travisamento per omissione nella valutazione delle conversazioni intercettate, non richiamato in sede di udienza camerale. Lo ha stabilito la V sez. penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 10982, depositata in cancelleria il 14 marzo 2023.
Il caso di specie. Nel caso di specie il G.i.p. del Tribunale, all'esito dell'udienza camerale prevista dall' art. 269, comma 2, c.p.p. , ha disposto la distruzione della documentazione e dei supporti sui quali risultavano registrate le intercettazioni effettuate nel procedimento, a carico del ricorrente, avente ad oggetto i delitti di bancarotta fraudolenta. L'indagato per i suddetti reati ha proposto ricorso per Cassazione lamentando in primis la rapidità della tempistica dell'adempimento esecutivo individuata dal Giudice nel termine di 15 giorni dalla comunicazione dell'ordinanza tale termine sarebbe infatti risultato lesivo del diritto di difesa. Con il secondo motivo il ricorrente ha contestato la carenza di motivazione del provvedimento in punto di riservatezza e l'erroneità della valutazione in merito alla necessarietà delle registrazioni. Il Giudice si sarebbe limitato a constatare la risalenza temporale delle intercettazioni rispetto alle condotte contestate e non avrebbe correttamente valutato il contenuto delle dichiarazioni che avrebbe costituito una prova a discarico dell'indagato, nonché ricorrente. Il Pubblico Ministero ha depositato requisitoria e conclusioni scritte e ha chiesto di dichiararsi inammissibile il ricorso poiché l'indagato nell'udienza camerale non aveva specificato quali fossero le conversazioni ritenute necessarie. L'ordinanza di distruzione delle intercettazioni è immediatamente eseguibile. In merito al primo motivo, la Suprema Corte ha ravvisato la genericità, stante la mancata indicazione della norma violata, e la manifesta infondatezza del medesimo. Il Collegio ha ricordato che il ricorso per Cassazione è un mezzo di impugnazione proponibile soltanto per motivi tassativamente previsti dalla legge e che spetta soltanto all'interessato, a pena di inammissibilità del ricorso, indicare i motivi di gravame che intende formulare. Ricostruendo la disciplina dell'ordinanza di distruzione delle intercettazioni, la Corte ha poi sottolineato la mancanza della previsione di un termine di legge per l'esecuzione del provvedimento. Infatti, alla regola generale di cui all' art. 588 c.p.p. , secondo cui, in pendenza di impugnazione, l'esecuzione del provvedimento impugnato è sospesa salvo che la legge disponga altrimenti, deroga la norma dell' art. 127, comma 8, c.p.p. richiamata dall' art. 269, comma 2, c.p.p. in virtù di tali norme, il ricorso non sospende l'esecuzione dell'ordinanza, a meno che il giudice che l'abbia emessa non decida diversamente con decreto motivato. In altri termini, spetta al ricorrente chiedere la sospensione degli effetti dell'ordinanza impugnata sollecitando il giudice a provvedere con decreto motivato. Ebbene, nel caso di specie, il ricorrente non risulta aver formulato alcuna richiesta di sospensione dell'esecuzione. Il travisamento per omissione nella valutazione delle conversazioni intercettate non richiamato in sede di udienza camerale . A proposito del secondo motivo di ricorso, la Suprema Corte ha rilevato che il G.i.p. è chiamato a valutare tanto la non necessità, ai fini del procedimento, delle conversazioni delle quali si chiede la distruzione quanto la sussistenza di una ragione di riservatezza. Il giudizio sul difetto di necessità, ha osservato il Collegio, è un giudizio in fatto e si tratta di una valutazione che il G.i.p. è chiamato a compiere a seguito del contraddittorio tra le parti. Secondo consolidato orientamento giurisprudenziale richiamato dalla Corte, deve ritenersi sistematicamente non consentita la proponibilità per la prima volta in sede di legittimità di uno dei possibili vizi della motivazione con riferimento ad elementi fattuali richiamabili, ma non richiamati, nell'atto di appello. Si vuole così evitare in primo luogo che il giudice di legittimità sia chiamato ad operare valutazioni di natura fattuale funzionalmente devolute alla competenza del giudice d'appello e in secondo luogo che il predetto possa annullare un provvedimento in relazione a vizi intenzionalmente sottratti alla cognizione del giudice di appello. In casi come quello di cui ci si occupa il ricorso per cassazione non è un rimedio facoltativo nella forma p er saltum ai sensi dell' art. 569 c.p.p. , bensì è l'unico rimedio impugnatorio avverso l'ordinanza in esame pertanto, se la doglianza non risulta essere stata previamente dedotta in primo grado, la stessa risulta integrare un motivo inammissibile. Tutto ciò premesso, la Corte ha ritenuto che tali principi devono trovare applicazione anche nel caso di specie. Stando all'ordinanza impugnata, in sede di udienza camerale, il ricorrente si era limitato a un'opposizione generica senza una specifica indicazione delle registrazioni da conservare. In buona sostanza, solo nell'atto di gravame il ricorrente ha dedotto che le intercettazioni sarebbero state fondamentali al fine di non incorrere nel travisamento per omissione nel giudizio complessivo della necessarietà delle intercettazioni. Da ciò deriva dunque la preclusione del motivo. Le ragioni di riservatezza. In merito al profilo della riservatezza la Corte ha fatto notare che il G.i.p. ha fatto correttamente riferimento alla circostanza che erano state captate anche le conversazioni di due soggetti terzi, in quanto non indagati. Anche in mancanza di un esplicito riferimento alla riservatezza, il G.i.p. ha richiamato l'estraneità dei predetti terzi rispetto ai fatti oggetto di indagine e ha giustificato la distruzione della documentazione delle intercettazioni per la tutela della loro privacy. Ebbene la Corte ha ritenuto la motivazione sul punto del provvedimento del G.i.p. corretta in diritto, non manifestamente illogica né tanto meno apparente. La decisione della Corte di Cassazione. Sulla scorta delle predette considerazioni la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso e, ritenendo la parte in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Presidente De Gregorio Relatore Cananzi Ritenuto in fatto 1. Il Gip del Tribunale di Siena, con ordinanza all'esito dell'udienza camerale prevista dall' art. 269, comma 2, c.p.p. , disponeva la distruzione della documentazione e dei supporti sui quali risultavano registrate le intercettazioni effettuate nel procedimento n. 748-2019 RGNR, delegando la polizia giudiziaria alla esecuzione senza ritardo e, comunque, entro e non oltre il termine di quindici giorni dalla comunicazione della ordinanza. Il predetto procedimento riguardava, fra gli altri e per quanto qui rileva, M.F. , indagato dei delitti bancarotta fraudolenta impropria documentale e distrattiva, il quale nel corso dell'udienza camerale si era opposto alla distruzione. 2. Il ricorso per cassazione proposto nell'interesse di M.F. consta di due motivi, enunciati a seguire nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall' art. 173 disp. att. c.p.p. 3. Il primo motivo deduce violazione di legge ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b , c.p.p. Il Gip del Tribunale di Siena avrebbe errato nel determinare il termine di quindici giorni entro il quale la polizia giudiziaria doveva provvedere alla distruzione dei supporti contenenti le conversazioni intercettate, in quanto un termine di tal fatta risultava lesivo del diritto di difesa, da esplicarsi con la presentazione dell'impugnazione. In sostanza la rapidità dell'adempimento esecutivo, in assenza di un provvedimento di sospensione, e l'assenza di un termine più lungo, di fatto facevano coincidere la distruzione con il termine per proporre ricorso in cassazione, vanificando quest'ultimo. 4. Il secondo motivo deduce violazione degli artt. 269 e 368 rectius 358 c.p.p. , con riferimento alla valutazione di inutilità delle intercettazioni, nonché vizio di motivazione per travisamento della prova. Il Gip avrebbe omesso di valutare il requisito della riservatezza, in relazione al quale non vi sarebbe alcun riferimento nel provvedimento impugnato. In secondo luogo, avrebbe valutato in modo errato il requisito della necessarietà' delle registrazioni ai fini del procedimento, sostanzialmente rifacendosi al dato cronologico delle conversazioni, ritenute successive e lontane nel tempo dalle condotte contestate, nonché violando l'obbligo di ricerca e valutazione degli elementi a favore degli indagati, come richiesto dall' art. 368 c.p.p. , consistente nella circostanza che proprio il contenuto delle conversazioni distrutte avrebbe dimostrato l'assenza di riferimenti ai reati, costituendo sostanzialmente prova a discarico. A tal proposito il ricorrente allega alcune conversazioni, lamentando il travisamento per omissione da parte del Gip e la discrasia fra la delibazione di irrilevanza operata e la circostanza che le conversazioni erano state trascritte. 5. Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale, ha depositato requisitoria e conclusioni scritte - ai sensi del D.L. 127 del 2020, art. 23 comma 8, - datate 27 ottobre 2022, ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso, quanto al primo motivo, avendo la difesa ottenuto prima della decisione un termine di tre settimane nonché, quanto al secondo motivo, poiché l'indagato nell'udienza camerale non specificò quali fossero le conversazioni ritenute necessarie. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Va evidenziato che la disciplinarygetty prevista dall'art. 269, comma 2, ultima proposizione, c.p.p. è rimasta sostanzialmente invariata nel passaggio dalla previsione originaria del codice di procedura penale a quella introdotta dal D.L. n. 161 del 2019, art. 2, comma 1, lett. f , n. 3, che rimodula la disciplina delle intercettazioni, rimaste inoperanti le modifiche apportate dal D.Lgs. n. 216 del 2017 , mai entrato in vigore sul punto. La norma recita Tuttavia gli interessati, quando la documentazione non è necessaria per il procedimento, possono chiederne la distruzione, a tutela della riservatezza, al giudice che ha autorizzato o convalidato l'intercettazione. Il giudice decide in camera di consiglio a norma dell'art. 127 . A fronte di tale previsione deve rilevarsi come anche il pubblico ministero sia legittimato, a norma dell' art. 269, comma 2, c.p.p. , a richiedere la distruzione della documentazione relativa ad intercettazioni telefoniche non necessarie per il procedimento Sez. 3, n. 48595 del 20/10/2016, Rv. 268572 01 . 3. Il primo motivo è generico. 3.1 Va evidenziato come nella formulazione del motivo non vi sia alcuna indicazione della norma violata, pur facendosi riferimento alla previsione dell'art. 606, comma 1, lett. b , c.p.p Il ricorso in cassazione è un mezzo d'impugnazione proponibile soltanto per motivi tassativamente previsti dalla legge art. 524 c.p.p. 1930 e 606 c.p.p. 1988 . Ne consegue che, nel vigente sistema di diritto processuale, spetta soltanto all'interessato - a pena di a-specificità ex art. 581 c.p.p. dei motivi, e quindi d'inammissibilità del ricorso - di indicare, nel momento stesso in cui impugna un provvedimento, i motivi di gravame che intenda formulare, non potendo ammettersi una interpretazione d'ufficio della volontà, in ipotesi inespressa o non chiara, in considerazione del fatto che i motivi hanno la funzione di precisare i limiti della devoluzione e le ragioni di doglianza Sez. 2, n. 57403 del 11/09/2018, Carota, Rv. 274258 - 01 . 3.2 Ad ogni buon conto, va evidenziato che l' art. 269 c.p.p. non prevede un termine di legge per l'esecuzione del provvedimento, ma solo che l'operazione di distruzione venga eseguita sotto il controllo del giudice così al comma 3 . Il motivo di ricorso per altro non comprova che sia stata rivolta una istanza sollecitatoria al Gip di sospendere l'esecuzione del provvedimento, notificato al difensore di M.F. il 27 maggio 2022, medesimo giorno del deposito. 3.3 A tal riguardo va evidenziato che l' art. 127, comma 8, c.p.p. , prevede che Il ricorso non sospende l'esecuzione dell'ordinanza, a meno che il giudice che l'ha emessa disponga diversamente con decreto motivato . Tale norma richiama l' art. 269, comma 2, c.p.p. , chiedendo che il giudice decida in camera di consiglio a norma dell' art. 127 c.p.p. , quindi con rinvio alla totalità della disciplina del modulo procedimentale dell'udienza camerale, comprensivo anche della disciplina dell'effetto sospensivo a seguito del ricorso. A ben vedere, analogamente, anche in tema di ricusazione, l' art. 41, comma 3, c.p.p. opera analogo rinvio, chiedendo decidersi a norma dell'art. 127 . A tal proposito questa Corte - Sez. 3, n. 12987 del 05/03/2015, Ercolani, Rv. 263003 - ha chiarito che gli effetti del provvedimento che accoglie la dichiarazione di ricusazione non sono sospesi in pendenza di ricorso per cassazione proposto contro di esso, in quanto alla regola generale dell' art. 588 c.p.p. secondo cui, in pendenza di impugnazione, l'esecuzione del provvedimento impugnato è sospesa salvo che la legge disponga altrimenti, deroga la norma dell'art. 127, comma 8, stesso codice, richiamato dall'art. 41, comma 3, secondo la quale il ricorso non sospende l'esecuzione dell'ordinanza, a meno che il giudice che l'ha emessa non decida diversamente con decreto motivato così anche Sez. 6, n. 49988 del 2/12/2004, Von Pinoci, Rv. 230228 . Si tratta di un principio che può applicarsi anche al caso in esame data la simmetria dei due rinvii alla disciplina dell' art. 127 c.p.p. . 3.4 Pertanto deve affermarsi che l'ordinanza, con la quale il Gip dispone la distruzione dei verbali e delle registrazioni delle conversazioni intercettate, all'esito dell'udienza camerale prevista dall' art. 269, comma 2, c.p.p. , è immediatamente eseguibile, in quanto i relativi effetti non sono sospesi in pendenza di ricorso per cassazione proposto contro di esso, poiché alla regola generale dell' art. 588 c.p.p. secondo cui, in pendenza di impugnazione, l'esecuzione del provvedimento impugnato è sospesa salvo che la legge disponga altrimenti, deroga la norma dell'art. 127, comma 8, richiamata dall'art. 269, comma 2, per la quale il ricorso non sospende l'esecuzione dell'ordinanza, a meno che il giudice che l'ha emessa non decida diversamente con decreto motivato. Spetta pertanto alla parte che ha presentato ricorso per cassazione chiedere la sospensione degli effetti dell'ordinanza impugnata, sollecitando il giudice a provvedere con decreto motivato ai sensi dell' art. 127, comma 8, c.p.p. Nel caso in esame, infatti, non solo non è intervenuto alcun decreto di sospensione, ma lo stesso indagato, che si era opposto alla distruzione, non ha formulato alcuna richiesta di sospensione dell'esecuzione, per sollecitare i poteri del giudice a riguardo. D'altro canto, il giudice emette l'ordinanza e solo successivamente potrebbe venire a conoscere della proposizione del ricorso, che comunque evidentemente non richiede una propria delibazione ma involge le sole funzioni della cancelleria. Pertanto, presentato il ricorso, spetterà a chi l'ha proposto farsi parte attiva per sospendere l'esecuzione dell'ordinanza, sulla quale il giudice deve decidere con separato provvedimento, appunto un decreto motivato. Pertanto, il primo motivo è generico e manifestamente infondato. 4. Il secondo motivo è in parte versato in fatto e in parte generico. Va premesso che il Gip è chiamato a valutare, per un verso, la non necessità ai fini del procedimento delle conversazioni delle quali si chiede la distruzione, per altro verso la sussistenza di una ragione di riservatezza. Le due ragioni devono evidentemente concorrere. 4.1 Quanto al primo requisito per la distruzione, il Gip ha ritenuto che le conversazioni delle quali ebbe a disporre la distruzione non fossero necessarie per il procedimento. Il giudizio sul difetto di necessità è in fatto si tratta di una valutazione che il Gip è chiamato a compiere a seguito del contraddittorio delle parti. Il Gip rileva l'inutilità delle captazioni in quanto a sono state effettuate nel primo trimestre del 2020, e a riprova della inutilità delle stesse richiama la circostanza che cessarono dopo 5-6 settimane, tanto più che le condotte di reato risultavano risalenti a due o tre anni prima rispetto alle captazioni b erano rivolte nei confronti di due soggetti rimasti terzi estranei al procedimento, in quanto mai iscritti nel registro degli indagati, oltre che nei confronti dei due indagati M. e M.F. c non sono state poste a sostegno della richiesta di misura cautelare e della successiva ordinanza di accoglimento d le imputazioni del titolo cautelare sono rimaste immutate anche con l'avviso di conclusione delle indagini preliminari. Tali argomenti risultano non manifestamente illogici e rispetto agli stessi il ricorso si limita a contestare la distanza temporale indicata alla lett. a che precede, fra le condotte e il momento delle captazioni. In vero, rileva questa Corte, se pure la maggioranza delle condotte risulti risalente ad almeno due anni prima rispetto alle captazioni, certamente, come osserva la difesa, due condotte di prelievo di denaro, integranti la condotta di bancarotta fraudolenta per distrazione, risalivano al febbraio e all'aprile 2019, dunque a otto mesi prima rispetto all'inizio delle conversazioni intercettate. E però, per un verso il vizio non risulta decisivo rispetto alla pluralità di ulteriori elementi escludenti la necessarietà' descritti nel provvedimento impugnato, oltre che in relazione alle condotte antecedenti per altro verso, comunque, il tempo trascorso da aprile 2019 a gennaio 2020 non risulta certamente breve e, dunque, l'argomentazione spesa dal Gip sulla distanza temporale risulta non manifestamente illogica. Certamente il ricorso riporta l'attenzione sul tema della dichiarazione di fallimento, che interviene subito prima delle intercettazioni, il 13 dicembre 2019, dunque alla ricerca di commenti, evidentemente, rispetto a tale ultimo evento. E però la valutazione di inutilità', così si legge nel provvedimento impugnato, è conseguente alla lettura del contenuto delle conversazioni intercettate, operata dal Gip, senza che per altro alcuna specifica osservazione da parte della difesa di M.F. , fosse rivolta ad esaltare l'utilità delle conversazioni, anche in prospettiva difensiva infatti, si legge nel provvedimento, fu proposta nell'udienza camerale una opposizione solo generica, senza una specifica indicazione delle conversazioni da conservare. E dunque, lamentare in questa sede il travisamento per omissione con l'allegazione di alcune conversazioni, risulta in vero non consentito, non essendovi stata una specifica doglianza sul punto da parte dell'indagato in sede di udienza camerale, nonostante ed a maggior ragione, come osserva la Procura generale, per il differimento nella trattazione dell'udienza di tre settimane proprio per consentire l'esercizio più consapevole delle prerogative difensive. 4.2 In sostanza deve ritenersi precluso il motivo di ricorso in cassazione in ordine a una richiesta mai formulata in primo grado. Trova applicazione il principio per cui se la doglianza non risulta essere stata previamente dedotta in primo grado, la stessa risulta integrare un motivo inammissibile nel presente caso, in cui il ricorso per cassazione non è un rimedio facoltativo nella forma per saltum ai sensi dell' art. 569 c.p.p. , bensì è l'unico rimedio impugnatorio avverso l'ordinanza in esame. Va premesso che secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, deve ritenersi sistematicamente non consentita non soltanto per le violazioni di legge, per le quali cfr. espressamente art. 606, comma 3, c.p.p. la proponibilità per la prima volta in sede di legittimità, con riferimento ad un capo e ad un punto della decisione già oggetto di appello, di uno dei possibili vizi della motivazione con riferimento ad elementi fattuali richiamabili, ma non richiamati, nell'atto di appello solo in tal modo è, infatti, possibile porre rimedio al rischio concreto che il giudice di legittimità possa disporre un annullamento del provvedimento impugnato in relazione ad un punto della decisione in ipotesi inficiato dalla mancata, contraddittoria, manifestamente illogica considerazione di elementi idonei a fondare il dedotto vizio di motivazione, ma intenzionalmente sottratti alla cognizione del giudice di appello. Ricorrendo tale situazione, invero, da un lato il giudice della legittimità sarebbe indebitamente chiamato ad operare valutazioni di natura fattuale funzionalmente devolute alla competenza del giudice d'appello, dall'altro, sarebbe facilmente diagnosticabile in anticipo un inevitabile difetto di motivazione della sentenza d'appello con riguardo al punto della decisione oggetto di appello, in riferimento ad elementi fattuali che in quella sede non avevano costituito oggetto della richiesta di verifica giurisdizionale rivolta alla Corte di appello, ma siano stati richiamati solo ex post a fondamento del ricorso per cassazione così Sez. 2, n. 32780 del 13/07/2021, De Matteis, Rv. 281813 Sez. 2, n. 19411 del 12/03/2019, Furlan, Rv. 276062, in motivazione in senso conforme, ex plurimis, v. Sez. 2, n. 34044 del 20/11/2020, Tocco, Rv. 280306 Sez. 3, n. 27256 del 23/07/2020, Martorana, Rv. 279903 Sez. 3, n. 57116 del 29/09/2017, B., Rv. 271869 Sez. 2 2, n. 29707 del 08/03/2017, Galdi, Rv. 270316 Sez. 2, n. 8890 del 31/01/2017, Li Vigni, Rv. 269368 . Tali consolidati principi devono trovare applicazione anche nel caso in esame, nel quale difetta il giudizio di appello e pertanto l'onere motivazionale è rimesso esclusivamente al Gip, che sul punto deve essere sollecitato in modo mirato e specifico, il che non è avvenuto. 4.3 Ne consegue che in tema di ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 127, comma 7, avverso l'ordinanza del Gip emessa a seguito dell'udienza prevista dall'art. 269, comma 2, è precluso ai sensi dell' art. 606, comma 3, c.p.p. , il motivo con il quale si deduce il travisamento per omissione nella valutazione di alcune delle conversazioni intercettate, che non siano state specificamente richiamate dal ricorrente, opponendosi alla distruzione, in sede di udienza camerale, dovendosi evitare il rischio che in sede di legittimità sia annullato il provvedimento impugnato con riferimento ad un punto della decisione rispetto al quale si configura a priori un inevitabile difetto di motivazione. 4.4 Quanto, infine, alla deduzione che le conversazioni allegate sarebbero utili e necessarie a discaricò e che ciò integrerebbe una violazione dell'obbligo del pubblico ministero ai sensi dell' art. 358 c.p. si tratta, appunto di un obbligo del Pubblico ministero, ma il provvedimento impugnato è quello emesso dal Gip che nella finestra di giurisdizionè assegnatagli, svolge una propria autonoma valutazione sulla necessità o meno delle intercettazioni di natura complessiva e comprensiva anche delle ragioni dell'indagati, non ritenute sussistenti e non rappresentate, per quanto evidenziato, in modo specifico. Da ciò deriva l'aspecificità del richiamo all' art. 358 c.p.p. e per altro verso deve evidenziarsi che l'interpretazione delle conversazioni intercettate -operazione effettuata dal Gip per rilevarne la radicale inutilità in relazione ai fatti oggetto del processo - è questione di mero fatto, come tale non verificabile in sede di legittimità. In tal senso, infatti, questa Corte condivide l'orientamento consolidato per cui l'interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità. Sez. U, Sentenza n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715 Sez. 2, Sentenza n. 50701 del 04/10/2016, D'Andrea, Rv. 268389 . Pertanto, in assenza di manifeste illogicità, ne consegue la preclusione del motivo, oltre che la manifesta infondatezza e la genericità dello stesso. 5. Quanto al secondo requisito, afferente al bene della riservatezza, il Gip correttamente fa riferimento alla circostanza che erano state captate anche le conversazioni di due soggetti terzi, in quanto non indagati. Or bene, pur se non vi è un esplicito riferimento al profilo della riservatezza, in quel passaggio motivazionale il Gip si riferisce alla estraneità, rispetto alle indagini e ai provvedimenti cautelari, dei predetti terzi, distinguendoli dagli indagati proprio per ravvisarne la posizione peculiare e distinta, quella che giustifica la distruzione della documentazione delle intercettazioni per la tutela del bene della loro privacy. A ben vedere il motivo, invece, si concentra sulla riservatezza quanto a M.F. , contestandone la violazione, risultando in ciò generico, in quanto è evidente che il bene della riservatezza per M. risulta recessivo qualora vi fossero elementi a discarico necessarì ma, per quanto fin qui osservato, il tema della necessarietà a discaricò non risulta specifico e dunque non è comprovato che nel richiesto bilanciamento prevalgano le esigenze difensive. Invece correttamente il Gip pone in primo piano la posizione dei due soggetti mai indagati. D'altro canto la Corte costituzionale ebbe a chiarire con la sentenza n. 463-1994 come sia indubbio che la decisione giudiziale - contemplata dall' art. 269, comma 2, c.p.p. - sulla richiesta, da chiunque formulata, relativa alla distruzione del materiale documentale attinente ad intercettazioni telefoniche, incide in ogni caso su un diritto costituzionale - quello alla riservatezza delle proprie comunicazioni - dichiarato più volte dal Giudice delle leggi come un diritto inviolabile ai sensi della Cost., art. 2 e, in quanto tale, restringibile dall'autorità giudiziaria soltanto nella misura strettamente necessaria alle esigenze di indagine legate al compito primario concernente la repressione dei reati Corte Cost. sentenze nn. 63 del 1994 , 81 del 1993 , 366 del 1991 e 34 del 1973 . D'altro canto, anche la legge di delega 16 febbraio 1987, n. 81, art. 2, n. 41, Delega legislativa al Governo della Repubblica per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale esprime il principio generale dell'obbligatoria conservazione della documentazione delle intercettazioni telefoniche, derogabile soltanto per la tutela della riservatezza degli interessati. Nel caso in esame il Gip ha rinvenuto la necessità di tale tutela, a fronte della inutilità a fini probatori del mantenimento in atti della documentazione riguardante le intercettazioni, con motivazione corretta in diritto, non manifestamente illogica, nè tanto meno apparente. 6. Ne consegue l'inammissibilità complessiva del ricorso, con la condanna della parte ricorrente, ai sensi dell' art. 616 c.p.p. come modificato ex L. 23 giugno 2017, n. 103 , al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, così equitativamente determinata in relazione ai motivi di ricorso che inducono a ritenere la parte in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità Corte Cost. 13/6/2000 n. 186 . P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.