A 21 anni ha rapporti con una 13enne, nessuno lo mette in guardia: condanna confermata

Incontestabile, secondo i Giudici, il reato di atti sessuali con una minorenne. Impossibile parlare di errore scusabile in merito all’effettiva età della ragazzina. Irrilevante che gli amici e il fratello della ragazzina non abbiano detto nulla, nonostante gli approcci tra il ragazzo di 21 anni e la 13enne, e irrilevante anche che a prendere l’iniziativa sia stata proprio la minorenne.

Condanna sacrosanta per il ragazzo di 21 anni che fa sesso in spiaggia con una giovane di appena 13 anni, nonostante né il fratello della ragazzina né gli amici facenti parte della loro comitiva lo abbiano messo in guardia in merito all’età della giovane che lo aveva fatto oggetto di alcune avances . Ricostruito l’episodio, verificatosi nell’estate del 2013 in una zona di mare, i giudici di merito sanciscono la condanna dell’uomo sotto processo, ritenuto colpevole, quando aveva 21 anni, di atti sessuali con una minorenne e sanzionato con dodici mesi di reclusione. Secondo i giudici di merito è certo che l’uomo sotto processo ha commesso, all’epoca, atti sessuali con una ragazzina di 13 anni, atti consistiti in un rapporto sessuale completo . Il difensore dell’uomo sotto processo sottolinea col ricorso in Cassazione la buonafede del suo cliente. A questo proposito, il legale ricorda che è prevista la non punibilità in caso di ignoranza inevitabile sulla minore età della persona offesa , circostanza che, sempre secondo il legale, si è realizzata nel caso specifico , poiché i fatti si sono svolti in presenza di amici e del fratello della persona offesa, fratello che, pur essendo consapevole della natura sessuale degli approcci tra i due giovani che dapprima si baciavano e quindi si appartavano in spiaggia , ha dimostrato disinteresse e non ha messo in guardia l’allora 21enne, così ingenerando in quest’ultimo la convinzione che la ragazza avesse 17 anni . Il legale aggiunge poi che non si è verificata alcuna compressione della libertà sessuale della ragazza, essendo ella non solo consenziente ma colei che aveva assunto l’iniziativa . A fronte delle obiezioni difensive, i Giudici di Cassazione ribattono richiamando i paletti fissati tra primo e secondo grado. In primo luogo, nel reato di atti sessuali con minorenne l’età della persona offesa costituisce un preciso elemento costitutivo, essendo l’età il catalizzatore del disvalore del fatto. Ciò in ragione del fatto che la norma tutela non già e non solo la libertà sessuale del minore, quanto il corretto sviluppo della sua acerba personalità dalle insidie provenienti da soggetti terzi . Impossibile, perciò, chiariscono i Giudici, accettare la tesi difensiva secondo cui non si è verificata alcuna compressione della libertà sessuale della vittima, essendo stata quest’ultima ad assumere l’iniziativa nell’approccio col ragazzo più grande. Per quanto concerne l’età della ragazzina, i Giudici sottolineano il preciso obbligo di attivarsi, in capo al ragazzo di 21 anni, per superare l’eventuale condizione di ignoranza sull’età della persona offesa, ignoranza che non può fondarsi sulle dichiarazioni della sola persona offesa, in quanto in questo caso è richiesto un impegno conoscitivo proporzionale alla presenza dei valori in gioco . E in questa ottica il ragazzo avrebbe dovuto attivarsi per sincerarsi dell’età della ragazzina , magari adoperandosi mediante consuete ricerche sui social media, oppure solo chiedendo maggiori informazioni agli amici e al fratello della ragazzina ovvero proprio alla ragazza, alla quale, invece, non ha assolutamente chiesto l’età . Impossibile, quindi, parlare di ignoranza inevitabile in merito all’età della ragazzina. Anche perché, aggiungono i Giudici, diversa è la sembianza di una giovane donna prossima al compimento del diciottesimo anno di età rispetto a quella di una tredicenne, quale era la persona offesa al momento del fatto , e ciò avrebbe dovuto indurre l’uomo ad una ancora maggiore diligenza in ordine all’accertamento dell’età effettiva della partner . Non a caso, l’uomo aveva, in un primo momento, espresso le sue perplessità ad un amico perché quella ragazza era piccola di età . Evidente, quindi, la colpa dell’uomo sotto processo, il quale, a fronte del dubbio sull’età effettiva della ragazzina , ha omesso di attivarsi per acquisire certezze sul punto, pur essendo nelle sue possibilità , sottolineano i Giudici.

Presidente Sarno – Relatore Galanti Ritenuto in fatto 1. con sentenza del 16/05/2022, la Corte di appello di Catanzaro confermava la sentenza del 28/09/2018 del Giudice per l'udienza preliminare di Catanzaro, che condannava C.F. , in esito a giudizio abbreviato, alla pena di anni uno di reclusione in ordine alla commissione del delitto di cui all' art. 609-quater c.p. , per avere l'imputato commesso atti sessuali con M.M., minore di anni quattordici, consistiti in un rapporto sessuale completo, previo riconoscimento dell'attenuante di cui al comma 4 della medesima disposizione. Reato commesso in omissis . Concedeva il beneficio della pena sospesa. Condannava altresì l'imputato alle pene accessorie previste per legge oltre al pagamento di una provvisionale in favore della parte civile. 2. Avverso tale sentenza l'imputato proponeva, tramite il difensore di fiducia, ricorso per cassazione. In particolare 2.1. con il primo motivo, lamenta l'inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in riferimento agli artt. 63 e 350, comma 7, c.p.p. , avendo i giudici di primo e secondo grado fondato la pronuncia di condanna sulla base delle spontanee dichiarazioni rese dall'imputato alla polizia giudiziaria nell'immediatezza dei fatti, senza le garanzie difensive previste dagli artt. 63 e 64 del codice di rito, con conseguente inutilizzabilità delle dichiarazioni stesse 2.2. con il secondo motivo, lamenta l'inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in riferimento agli artt. 609-quater e 609-sexies c.p. , non avendo fatto il giudice di secondo grado buon governo della disposizione che prevede la non punibilità in caso di ignoranza inevitabile della minore età della persona offesa, circostanza che si è realizzata nel caso di specie. I fatti si sono infatti svolti in presenza di amici e del fratello della stessa persona offesa che, pur essendo consapevole della natura sessuale degli approcci tra i due giovani che dapprima si baciavano e quindi si appartavano in spiaggia , non ha messo in guardia l'imputato ed anzi ha dimostrato disinteresse, così ingenerando nel medesimo la convinzione che la ragazza avesse diciassette anni sottolinea, da ultimo, come non si sia verificata alcuna compressione della libertà sessuale della vittima, essendo la stessa non solo consenziente, ma colei che ha assunto l'iniziativa. Considerato in diritto 1. Il primo motivo, in disparte la questione relativa all'utilizzabilità o meno nel rito abbreviato delle dichiarazioni rese dall'imputato ai sensi dell' art. 350, comma 7, c.p.p. da ritenersi assorbita dalle considerazioni che seguono è inammissibile sotto un duplice profilo. In primo luogo, la censura in concreto non supera la c.d. prova di resistenza secondo il costante orientamento della Corte, infatti, quando con il ricorso per cassazione si contesti l'utilizzabilità di un elemento a carico, il motivo di ricorso deve illustrare, a pena di inammissibilità, l'incidenza dell'eventuale eliminazione del predetto elemento sulla decisione si tratta, per l'appunto, della prova di resistenza , essendo necessario valutare se le altre risultanze processuali, in caso di espunzione di quella inutilizzabile, risultino sufficienti a giustificare l'identico convincimento Sez. 2, n. 29642 del 30/05/2019, Tanè, Rv. 276978 Sez. 6, n. 18764 del 05/02/2014, Rv. 259452 . Nel caso in esame, da un lato il ricorrente non ha indicato in che modo il venir meno di tale elemento di prova avrebbe avuto incidenza determinante sul giudizio, per ciò solo presentandosi inammissibile in secondo luogo, la Corte di appello di Catanzaro ha espressamente chiarito che la penale responsabilità dell'imputato, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa, secondo cui il giudizio di condanna fonderebbe sulle dichiarazioni rese dal C. , è stata ritenuta sulla base delle dichiarazioni della persona offesa M.M. e degli altri testi escussi, di talché l'eccezione sollevata dalla difesa non appare rilevante . Il motivo di ricorso non supera, pertanto, il processo di eliminazione mentale della prova censurata, essendo il giudizio di colpevolezza fondato sul complesso delle altre risultanze probatorie, come concordemente affermato in entrambi i gradi del giudizio di merito. L'applicazione del suddetto principio comporta l'inammissibilità del motivo di ricorso, posto che la prova di cui i ricorrenti lamentano l'inutilizzabilità non ha avuto incidenza determinante nel giudizio di colpevolezza. In secondo luogo, da quanto sopra evidenziato emerge con chiarezza che la censura proposta in questa sede non costituisce che la mera ripetizione di quella già oggetto del precedente gravame e puntualmente valutata - come dinanzi evidenziato - dalla Corte di merito. Questa Corte, in proposito, ha reiteratamente chiarito come sia inammissibile per genericità il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti, in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso Sez. 4, n. 19617 del 10/05/2022 Ud., non massimata Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014 Ud. Rv. 260608 Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014 Ud. Rv. 259425 Sez. 6, n. 34521 del 27 giugno 2013 Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013 Ud. Rv. 25568 . 2. Il secondo motivo è parimenti inammissibile. La censura, in realtà, pur se presentata come violazione di legge, si articola in realtà come vizio di motivazione, limitandosi a proporre una lettura alternativa degli elementi di prova già valutati dai giudici di primo e secondo grado in modo sufficientemente esaustivo, non illogico nè contraddittorio. La Corte di appello di Catanzaro, e prima di lei il Giudice dell'udienza preliminare le cui motivazioni si integrano cfr., ex mu/tis, Sez. 4, n. 19617/2022, cit. Sez. 2, n. 19619 del 13/02/2014, Bruno, Rv. 259929 , hanno infatti - sottolineato pag. 4 sent. GUP come nel reato in parola l'età della persona offesa costituisca un preciso elemento costitutivo della fattispecie, essendo l'età il catalizzatore del disvalore del fatto ciò in ragione del fatto che la norma tutela non già e non solo la libertà sessuale del minore, quanto il corretto sviluppo della sua acerba personalità dalle insidie provenienti da soggetti terzi motivazione con cui il ricorrente non si confronta laddove afferma che non si è verificata alcuna compressione della libertà sessuale della vittima, essendo la stessa, secondo la prospettazione difensiva, colei che ha assunto l'iniziativa - ritenuto che dalla predetta considerazione scaturisce un preciso obbligo di attivarsi, in capo all'agente, per superare l'eventuale condizione di ignoranza della persona offesa, che non può fondarsi sulle dichiarazioni della sola persona offesa, in quanto in questo caso è richiesto un impegno conoscitivo proporzionale alla presenza dei valori in gioco cita Cass. 32235-2007 - infine, evidenziato come l'imputato avrebbe dovuto attivarsi per sincerarsi dell'età della ragazza adoperandosi, ad esempio, mediante consuete ricerche sui social media, oppure solo chiedendo maggiori informazioni al M., al fratello ed all'amica di M.M. che si trovavano in compagnia della stessa ovvero proprio alla ragazza alla quale, invece, non ha assolutamente chiesto quanti anni aveva . La motivazione, sul punto, non appare illogica nè apparente in ordine all'insussistenza di quella ignoranza inevitabile prevista quale causa di esclusione della colpevolezza dall' art. 609-sexies c.p. Del resto, non sembra ultroneo sottolineare come, anche utilizzando dati di comune esperienza, affatto diversa è la sembianza di una giovane donna prossima al compimento del diciottesimo anno di età rispetto a quella di una tredicenne, quale era la persona offesa al momento del fatto, ciò che avrebbe dovuto indurre l'imputato ad una ancora maggiore diligenza in ordine all'accertamento dell'età effettiva della partner. Circostanza, questa, ben chiara al giudice di primo grado laddove sottolinea che lo stesso imputato, in un primo momento, aveva espresso le sue perplessità al M. perché quella ragazza era piccola di età , concludendo - con motivazione logica e coerente - nel senso che deve ascriversi a colpa, e quindi fuori dal perimetro dell'ignoranza inevitabile, la condotta dell'imputato che a fronte del dubbio sull'età effettiva della vittima ha omesso di attivarsi per acquisire certezze sul punto, pur essendo nelle sue possibilità . Tale affermazione risulta perfettamente in linea con la costante giurisprudenza della Corte secondo cui il fatto tipico scusante previsto in relazione all'ignoranza inevitabile circa l'età della persona offesa è configurabile solo se emerga che nessun rimprovero, neppure di semplice leggerezza, possa essere rivolto all'agente, per avere egli fatto tutto il possibile al fine di uniformarsi ai suoi doveri di attenzione, di conoscenza, di informazione e di controllo, attenendosi a uno standard di diligenza direttamente proporzionale alla rilevanza dell'interesse per il libero sviluppo psicofisico dei minori Sez. 3, n. 29640 del 14/03/2018, non massimata n. 3651 del 10/12/2013, dep. 2014, Rv. 259089 , nonché della stessa Corte Costituzionale sentenza n. 322 del 24.7.2007 , la quale, nel ribadire il principio, ha ulteriormente precisato che qualora gli strumenti conoscitivi e di apprezzamento di cui il soggetto dispone lascino residuare il dubbio circa l'effettiva età del partner, detto soggetto al fine di non incorrere in responsabilità penali, deve necessariamente astenersi dal rapporto sessuale giacché operare in situazioni di dubbio circa un elemento costitutivo dell'illecito o un presupposto del fatto -lungi dall'integrare una ipotesi di ignoranza inevitabile – equivale ad un atteggiamento psicologico di colpa, se non addirittura di dolo eventuale . Il ricorso non si confronta puntualmente nè con il contenuto del provvedimento impugnato nè con la citata, univoca, sedimentata giurisprudenza. 3. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per la ricorrente, ai sensi dell' art. 616 c.p.p. , di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , si dispone che la ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000 in favore della Cassa delle Ammende. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Catanzaro con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 8 2 e 83 del D.P.R. n. 115 del 200 2, disponendo il pagamento in favore dello Stato.