Cane viene lasciato libero e si avventa su una persona facendola cadere: padrona condannata

Impossibile ridimensionare il comportamento negligente tenuto dalla proprietaria dell’animale che, proprio perché lasciato libero di scorrazzare sulla pubblica via, si è rivolto con irruenza verso una donna e l’ha fatta finire rovinosamente a terra.

Se il cane viene lasciato libero e ciò gli consente di avventarsi contro una persona e di farla finire a terra, allora è sacrosanta la condanna del padrone, colpevole del reato di lesioni personali colpose. Scenario dell’episodio oggetto del processo è la provincia leccese. A finire sotto accusa è una donna, il cui cane – un labrador – ha aggredito e fatto cadere, nel maggio del 2016, una donna. Per i giudici di merito non ci sono dubbi i fatti, così come ricostruiti tra primo e secondo grado, sono inequivocabili e legittimano la condanna della padrona del cane, ritenuta colpevole del reato di lesioni personali colpose e sanzionata con 1.200 euro di multa e obbligata anche a risarcire i danni alla donna che è finita rovinosamente a terra a causa dell’irruenza del quadrupede e ha riportato lesioni personali giudicate guaribili in trenta giorni. I giudici del Tribunale precisano che l’addebito di colpa a carico della padrona dell’animale è stato individuato nella negligenza e nella imprudenza riscontrabili nel suo comportamento, avendo ella omesso di adottare le debite cautele nella custodia del cane , che, lasciato libero, si era avventato contro la donna facendola cadere a terra . In sostanza, la proprietaria del cane è ritenuta responsabile per avere cagionato alla donna aggredita dall’animale lesioni personali . E questa visione è condivisa e fatta propria anche dai Giudici della Cassazione, i quali richiamano i principi concernenti la responsabilità colposa collegata al danno cagionato da animale in custodia . A questo proposito i magistrati ricordano che la responsabilità del proprietario di un animale per le lesioni causate a terzi dall’animale stesso può essere affermata ove si accerti in positivo la colpa in forza dei parametri, stabiliti in tema di obblighi di custodia dell’animale e aggiungono che la posizione di garanzia assunta dal detentore di un cane impone l’obbligo di controllare e custodire l’animale adottando ogni cautela per evitare e prevenire le possibili aggressioni a terzi . Nella vicenda oggetto del processo, invece, si è appurato che il cane era stato lasciato libero e senza museruola sulla pubblica via , e in questo contesto la condotta della persona offesa, che aveva richiamato l’attenzione del cane, non può valere ad interrompere il nesso di causa fra la condotta colposa della padrona dell’animale e l’evento . Ciò perché, precisano i Giudici, la regola cautelare violata è volta a prevenire i rischi collegati anche a comportamenti quali quello tenuto in questo caso dalla persona offesa .

Presidente Ferranti – Relatore Ricci Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Lecce ha confermato la sentenza del Giudice di Pace di Lecce di condanna di D.A.C. n ordine al reato di cui all' art. 590 c.p. commesso in omissis alla pena di Euro 1200 di multa ed al risarcimento dei danni alla parte civile. D. è stata ritenuta responsabile per avere, nella qualità di proprietaria del cane di razza Labrador, cagionato a S.G. lesioni personali giudicate guaribili in giorni trenta. L'addebito di colpa è stato individuato nella negligenza e imprudenza, per avere l'imputata omesso di adottare le debite cautele nella custodia del cane, che lasciato libero si era avventato contro S. facendola cadere a terra. 2. Avverso la sentenza d'appello ha proposto ricorso l'imputata, a mezzo di difensore, formulando due motivi. 2.1 Con il primo, ha dedotto la violazione di legge in relazione agli artt. 590 c.p. e 41 c.p. Il difensore lamenta che nel caso di specie il Tribunale non aveva riconosciuto l'interruzione del nesso di causa fra la condotta dell'imputata e l'evento per effetto della condotta colposa della parte civile. Dall'istruttoria, infatti, era emerso che l'imputata aveva liberato il cane all'interno di un terreno recintato da muratura a secco e chiuso al pubblico passaggio e che era stata la stessa parte civile, giunta in prossimità dell'ingresso del terreno, a chiamare il cane, attirandolo a sé il labrador, privo di museruola in quanto di natura docile, solo in ragione del richiamo si era diretto verso S. con intenti festosi facendole perdere, tuttavia, l'equilibrio. Secondo il ricorrente, dunque, era evidente la contribuzione della persona offesa in termini di avvio della serie causale sfociante nell'evento danno e tale circostanza doveva ritenersi integrare l'ipotesi del caso fortuito incidentale. 2.2. Con il secondo motivo ha dedotto la violazione di legge in relazione alla determinazione della pena ex art. 133 c.p. Il difensore lamenta che il Tribunale, nel replicare alla censura per cui il giudice di primo grado non aveva motivato adeguatamente in ordine alla irrogazione della pena in misura superiore alla media edittale, si era limitato a ribadire la non eccessività della pena in relazione ai fatti di causa e non aveva dato conto dei criteri legali ai quali si era attenuto nella scelta tra il minimo ed il massimo della pena edittale determinata. 3. Il Procuratore generale, nella persona del sostituto Felicita Marinelli, ha presentato conclusioni scritte con cui ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. 2. Si deve, in primo luogo, ribadire che, ai sensi del D.Lgs. n. 28 agosto 2000 n. 274, art. 39 bis e del corrispondente art. 606 comma 2 bis c.p.p. per i reati di competenza del giudice di pace, il ricorso per cassazione avverse le sentenze pronunciate in grado di appello può essere proposto soltanto per i motivi di cui all'art. 606 comma 1 lett. a , b e c e quindi non anche per il vizio inerente la motivazione Sez. 5, n. 22854 del 29/04/2019, De Bilio, Rv. 275557 . 3. Entrambi i motivi, sotto l'apparente censura della violazione di legge, sono in realtà incentrati sul difetto di motivazione in ordine alla affermazione della responsabilità sotto il profilo della sussistenza del nesso di causa ed alla determinazione della pena e sono, pertanto, inammissibili o comunque manifestamente infondati. 4. Quanto al primo motivo, nessuna violazione di legge è riscontrabile nella sentenza impugnata, nella quale è stata confermata la condanna della proprietaria del cane in coerenza con i principi di diritto afferenti alla responsabilità colposa collegata al danno cagionato da animale in custodia. Per la esatta individuazione di tal obblighi, non può che rimandarsi ai principi elaborati da questa Corte, secondo cui La responsabilità del proprietario di un animale per le lesioni causate a terzi dall'animale stesso nella specie, un cane può essere affermata ove si accerti in positivo la colpa in forza dei parametri, stabiliti in tema di obblighi di custodia, dall' art. 672 c.p. , nonostante l'intervenuta abrogazione di detto articolo Sez. 4 n. 43420 del 17/07/2009, Badei, Rv. 245468 e secondo cui la posizione di garanzia assunta dal detentore di un cane, discendente anche dalle ordinanze del Ministero della Salute del 3 marzo 2009 e del 6 agosto 2013, impone l'obbligo di controllare e custodire l'animale adottando ogni cautela per evitare e prevenire le possibili aggressioni a terzi Sez. 4 n. 31874 del 27/06/2019, Giambelluca, Rv. 276705 . Il Tribunale ha, infatti, evidenziato come il cane fosse stato lasciato libero e senza museruola sulla pubblica via e non già in un luogo recintato e come la condotta della persona offesa, che secondo uno dei testi escussi, aveva richiamato l'attenzione del cane, non poteva valere ad interrompere il nesso di causa fra la condotta colposa dell'imputata e l'evento, posto che la regola cautelare violata era volta a prevenire i rischi collegati anche a comportamenti quali quello tenuto dalla parte civile S. . Anche sotto tale profilo la decisione del Tribunale non è censurabile in quanto rispettosa del principio per cui, nei reati omissivi impropri, l'effetto interruttivo del nesso causale può essere ravvisato solo a fronte di circostanza che introduca un rischio nuovo o comunque radicalmente esorbitante rispetto a quelli che il garante è chiamato a governare Sez. 4 n. 22691 del 25/02/2020, Romagnolo, Rv279513 Sez.4 n. 20270 del 06/03/2019, Palmieri, Rv276238 . 3. Quanto al secondo motivo, parimente nessuna violazione di legge è ravvisabile nel percorso argomentativo del Tribunale che ha ritenuto di confermare la pena irrogata dal primo giudice con un richiamo, pertinente, alla gravità dei fatti, ovvero ad uno dei parametri di cui il giudice deve tenere conto ai fini della quantificazione della pena, ai sensi dell' art. 133 c.p. . 4. All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 , e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che la ricorrente non versasse in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve essere disposto a suo carico, a norma dell' art. 616 c.p.p. , l'onere di versare la somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, somma così determinata in considerazione delle ragioni di inammissibilità. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.