Parcheggia la propria auto e blocca per 45 minuti quella di una donna incinta: condannato per violenza privata

Inequivocabile, secondo i giudici, il comportamento tenuto dall’uomo sotto processo. Impossibile ridimensionare l’episodio, anche perché il parcheggio effettuato dall’uomo sotto accusa ha bloccato la vettura di proprietà di una donna incinta che proprio per questo ha dovuto rinunciare alla prestabilita visita medica.

Vale una condanna per violenza privata il parcheggiare la propria automobile in modo tale da bloccare il veicolo di un'altra persona e impedire per ben 45 minuti a quest'ultima di spostarsi col proprio mezzo. Parcheggio. A finire sotto processo è un uomo, che con la propria vettura in sosta ha volutamente bloccato il veicolo di una coppia, ‘sequestrandolo' per 45 minuti e rendendo così necessario l'intervento della Polizia locale. I dettagli dell'episodio, verificatosi nella provincia lombarda, sono considerati inequivocabili dai giudici di merito, i quali ritengono l'uomo sotto processo colpevole di violenza privata . Ciò perché egli, avendo parcheggiato l'autovettura della propria moglie, di cui aveva disponibilità, dietro a quella in uso a una coppia e regolarmente parcheggiata , impediva senza alcun motivo ai proprietari della vettura bloccata l'utilizzo del loro, e rifiutandosi di spostare la propria vettura e di fatto rendendo impossibile alla coppia proprietaria del veicolo bloccato la libertà di movimento, così costringeva l'uomo e la donna ad omettere ogni spostamento fino all'arrivo della Polizia locale . Violenza. Inutile il ricorso in Cassazione proposto dal legale che ha rappresentato l'uomo sotto processo. Impossibile, secondo i giudici di terzo grado, mettere in dubbio la lettura data in Appello all'episodio oggetto del processo. In prima battuta, comunque, i magistrati ribadiscono che ai fini dell'integrazione del reato di violenza privata non è necessaria la contestuale presenza della persona offesa e del reo . Ampliando l'orizzonte, poi, i giudici chiariscono che integra il delitto di violenza privata la condotta di colui che parcheggi la propria autovettura dinanzi ad un fabbricato in modo tale da bloccare il passaggio , impedendo l'accesso alla persona offesa, considerato che, ai fini della configurabilità del reato in questione, il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l'offeso della libertà di determinazione e di azione . E in questa ottica i giudici aggiungono che per parlare di violenza privata è sufficiente che l'energia fisica, comunque esercitata, sia idonea a coartare la volontà o la libertà di movimento della vittima, determinando una situazione di costrizione psicologica della persona offesa . Per quanto concerne il dettaglio non secondario della violenza, i giudici osservano che anche le tesi dottrinali propense ad accogliere una nozione restrittiva di violenza, intesa, cioè, come violenza fisica alla persona e avvertita come riprovevole dalla collettività, hanno ritenuto ivi ricompresa qualsiasi aggressione fisica ai beni più strettamente inerenti alla persona, quali la vita, l'integrità psicofisica, la libertà di movimento . Ebbene, nella vicenda oggetto del procedimento penale l' effetto di coartata libertà , effetto derivante dalla condotta dell'uomo sotto processo, si è manifestato proprio in riferimento alla lesa libertà di movimento delle persone offese, pur in assenza della contestuale presenza di loro due e dell'uomo sotto processo . Peraltro, il vulnus arrecato alla libertà delle persone offese è stato ricollegato a una specifica circostanza , cioè i giudici di merito hanno notato che dalle emergenze processuali risulta che la donna comproprietaria del veicolo bloccato fosse, all'epoca dei fatti, incinta e in occasione dell'episodio che ha dato il ‘la' alla vicenda giudiziaria dovesse recarsi a una visita medica poi saltata proprio a causa della impossibilità materiale di spostare la propria autovettura dal parcheggio . Tali circostanze hanno certamente incrementato il disagio e lo stato d'ansia della donna e del compagno, concludono i giudici.

Presidente Sabeone – Relatore Bifulco Ritenuto in fatto 1. Con sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Brescia ha parzialmente riformato la decisione con cui il Tribunale di Bergamo aveva dichiarato V.P. responsabile del reato di cui all' art. 610 c.p. , rideterminando la somma liquidata a titolo di risarcimento dei danni a favore di ciascuna delle parti civili in Euro 200, confermando nel resto la sentenza. Secondo il capo di imputazione, il V. , avendo parcheggiato l'autovettura della propria moglie, di cui aveva disponibilità, dietro a quella in uso alla coppia G.E. e K.A. , regolarmente parcheggiata, impediva senza alcun motivo a questi ultimi l'utilizzo della loro auto, rifiutandosi di spostarla e di fatto rendendo impossibile agli stessi la libertà di movimento, così costringendoli a omettere ogni spostamento fino all'arrivo della Polizia locale di […] intervenuta sul posto . 2. Avverso la sentenza della Corte d'appello di Brescia, ha presentato ricorso l'imputato, per il tramite del suo difensore, articolando le proprie censure in cinque motivi. 2.1 Col primo motivo, si lamenta violazione di legge, in riferimento all' art. 610 cod. pen. , per avere la Corte territoriale erroneamente ravvisato la tipicità della fattispecie incriminatrice contestata, pur in assenza della compresenza di imputato e persone offese nel momento della condotta, ascritta al V. , di estrinsecazione dell'energia fisica costituita dall'avvenuto parcheggio . Quel che accadde in seguito sostiene la difesa - corrispose a un mero rifiuto di cooperazione peraltro manifestato in assenza delle persone offese , di per sé non costitutivo di reato. 2.2 Con il secondo motivo, si deduce violazione legge, nonché vizio di motivazione, per non avere la Corte territoriale ritenuto il reato di violenza privata assorbito in quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni. A supporto della propria tesi, la difesa indica il seguente dato, pacificamente confermato dai Giudici di merito le parti offese, anziché parcheggiare la propria auto nell'area riservata, avevano parcheggiato a cavaliere dei due posti riservati, l'uno alle persone offese, l'altro all'imputato. In conseguenza di ciò, l'imputato aveva posizionato la propria autovettura dietro quella delle persone offese. La condotta di queste ultime integrerebbe una lesione del diritto proprietà e del possesso, rispetto alla quale l'imputato avrebbe avuto un diritto suscettibile d'esser esercitato davanti al giudice civile. 2.3 Col terzo motivo, si eccepisce vizio di motivazione e violazione di legge in relazione agli artt. 62, n. 2 e 62 bis c.p. , nella parte in cui la Corte territoriale ha negato la circostanza attenuante della provocazione e le circostanze attenuanti generiche. 2.4 Con il quarto motivo, si deduce vizio di motivazione ed erronea applicazione dell' art. 99, comma 1, c.p. , per avere la Corte territoriale ritenuto sussistente la recidiva in considerazione soltanto della gravità dei fatti e dell'arco temporale in cui essi furono commessi, senza alcuna indagine circa il rapporto esistente tra il fatto per cui si procede e le precedenti condanne. 2.5 Con il quinto motivo, si duole della violazione di legge in riferimento all' art. 164 c.p. , per avere la Corte territoriale negato la sospensione condizionale della pena in vista della precedente condanna a pena detentiva patteggiata e del successivo decreto penale di condanna del 2016, senza considerare la natura pecuniaria della condanna inflitta con tale decreto. 3. Con memoria difensiva depositata ai sensi dell' art. 121 c.p.p. , la difesa dell'imputato deduce l'estinzione del reato contestato per maturata prescrizione, chiedendo, in ogni caso, l'accoglimento del ricorso ai fini della decisione delle statuizioni civili. 4. Il Sostituto Procuratore generale, Dott. Luigi Giordano, letta la requisitoria depositata il 15.2.2022 per la precedente udienza, poi differita al 17.11.2022 e ritenuto di condividere integralmente la precedente requisitoria scritta, depositata dal Sostituto Procuratore generale, Dott. Tomaso Edipendio, alla quale rinvia , conclude per l'inammissibilità del ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2.1 II primo motivo è manifestamente infondato. La tesi difensiva secondo cui, ai fini dell'integrazione del reato di violenza privata, sarebbe comunque necessaria la contestuale presenza della p.o. e del reo è disattesa da consolidati orientamenti della Cassazione. In particolare, risulta inconferente il richiamo, operato dalla difesa, alla pronuncia di questa Corte Sez. 5, n. 11875 del 30/09/1998, Cadetti, Rv. 211927, in cui la Corte non ha ravvisato gli estremi della violenza , secondo la quale, ai fini dell'integrazione del delitto di violenza privata ex art. 610 c.p. , non basta che la condotta abbia determinato una situazione di costrizione, essendo altresì necessario che tale condotta sia stata posta in essere con violenza o minaccia. Come la Corte di cassazione ha puntualizzato in seguito, tale pronuncia, resa in una fattispecie molto particolare, non concreta neppure un precedente difforme, poiché dalla lettura del testo della sentenza risulta che il veicolo della parte lesa era stato bloccato dal trattore dell'imputato su di una strada privata sulla quale la parte lesa non aveva diritto di transito ossia, in buona sostanza, l'imputato non aveva permesso a un veicolo altrui di uscire da un sito ove non aveva diritto di trovarsi così, Sez. 5, n. 1913 del 16/10/2017, dep. 2018, Andriulo e al., Rv. 272322 - 01 . Una volta chiarita la diversità di fattispecie, questa Corte, nella pronuncia appena citata, ha inoltre chiarito che integra il delitto di violenza privata la condotta di colui che parcheggi la propria autovettura dinanzi ad un fabbricato in modo tale da bloccare il passaggio, impedendo l'accesso alla persona offesa, considerato che, ai fini della configurabilità del reato in questione, il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l'offeso della libertà di determinazione e di azione. Sez. 5, n. 1913 del 2018, cit. . Tale pronuncia è emblematica di una concezione estensiva del concetto di violenza, che, guadagnando col tempo prevalenza, ha portato la giurisprudenza di legittimità a ritenere sufficiente, affinché si perfezioni la fattispecie normativa di cui all' art. 610, c.p. , che l'energia fisica, comunque esercitata, sia idonea a coartare la volontà o la libertà di movimento della vittima, determinando una situazione di costrizione psicologica della persona offesa come già osservato in un caso analogo, anche per l'assenza della p.o. al momento del compimento del parcheggio ostruttivo Sez. 5, n. 603 del 18/11/2011, dep. 2012, Lombardo, Rv. 252668 - 01 . Anche le tesi dottrinali propense ad accogliere una nozione restrittiva di violenza intesa, cioè, come violenza fisica alla persona e avvertita come riprovevole dalla collettività , hanno ritenuto ivi ricompresa qualsiasi aggressione fisica ai beni più strettamente inerenti alla persona quali la vita, l'integrità psicofisica, la libertà di movimento . Orbene, nel caso di specie, l'effetto di coartata libertà delle p.o., derivante dalla condotta dell'imputato, si è manifestato proprio in riferimento alla lesa libertà di movimento delle p.o., pur in assenza della contestuale presenza di queste ultime e dell'imputato. Il vulnus arrecato alla libertà delle persone offese è stato peraltro espressamente ricollegato, nella motivazione dell'impugnata sentenza, a una specifica circostanza i Giudici del merito hanno, invero, notato che dalle emergenze processuali risulta che K.A. , all'epoca dei fatti, fosse incinta e in tale occasione doveva recarsi a una visita , medica e a tale impegno dovè rinunciare a cagione dell'impossibilità di spostare la propria autovettura dal parcheggio. Circostanze, queste, che hanno certamente incrementato il disagio e lo stato d'ansia della coppia . La Corte di appello ha dato qui espressamente conto della sussistenza degli elementi costitutivi del reato di violenza privata e, segnatamente, dell'evento rappresentato da un pati, ossia dalla costrizione esercitata dall'imputato nei confronti delle persone offese ex plur., Sez. 5, n. 48909 del 16.12.2022, Circello, dep. 2023, n. m. Sez. 5, n. 704 del 16.12.2022, dep. 2023, Scarpa, n. m. Sez. 5, n. 1388 del 15.12.2022, Di Stefano, dep. 2023, n. m . In vista delle precedenti osservazioni, va senz'altro disattesa la tesi difensiva secondo cui, ai fini dell'integrazione del reato di violenza privata, sarebbe necessaria la contestuale presenza della p.o. e del reo a riprova di ciò, basti por mente a Sez. 5, n. 47575 del 07/10/2016, Altoè, Rv. 268405-01, che, in adesione a quanto indicato da Sez. U, n. 2437 del 18/12/2008, dep. 2009 Giulini, ha ricordato essere l'elemento oggettivo del reato di cui all' art. 610 c.p. costituito da una violenza o da una minaccia che abbiano l'effetto di costringere taluno a fare, tollerare, od omettere una determinata cosa la condotta violenta o minacciosa deve atteggiarsi alla stregua di mezzo destinato a realizzare un evento ulteriore vale a dire la costrizione della vittima a fare, tollerare od omettere qualche cosa deve dunque trattarsi di qualcosa di diverso dal fatto in cui si esprime la violenza . Ciò che rende evidente come la contestuale presenza di imputato e p.o. non sia in nessun modo elemento indefettibile della fattispecie criminosa, contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente . 2.2 II secondo motivo è, del pari, inammissibile. Per pacifico orientamento di questa Corte, ricorre il delitto di violenza privata e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone allorché si eccedano macroscopicamente i limiti insiti nel fine di esercitare, sia pure arbitrariamente, un preteso diritto, ponendo in essere un comportamento costrittivo dell'altrui libertà di determinazione, in termini di particolare gravità Sez. 5, n. 7468, del 28/11/2013, dep. 2014, Pisano, Rv. 258985 - 01 . D'altra parte, il risultato conseguito con la condotta contestata non era affatto idoneo a realizzare l'effetto che l'imputato avrebbe potuto ottenere dal giudice, giacché, come spiegato dalla sentenza impugnata, egli non aveva alcun diritto di sostare lì dove aveva parcheggiato l'autovettura. Pertanto, si trattava di mero comportamento ritorsivo in danno delle odierne parti civili. 2.3 II terzo motivo è del pari inammissibile per manifesta infondatezza e assenza di specificità. Non è dato riscontrare alcun vizio di motivazione nella parte in cui la Corte territoriale ha escluso la circostanza attenuante dello stato d'ira, soprattutto avuto riguardo al difetto di proporzionalità evidenziato dai Giudici di merito. Questa Corte ha chiarito che la circostanza attenuante della provocazione, pur non richiedendo i requisiti di adeguatezza e proporzionalità, non è configurabile laddove la sproporzione fra il fatto ingiusto altrui e il reato commesso sia talmente grave e macroscopica da escludere lo stato d'ira o il nesso causale fra il fatto ingiusto e l'ira. Sez. 5, n. 8945 del 19/01/2022, Mangano, Rv. 282823 - 01 . La Corte territoriale ha chiaramente messo in luce la vistosa mancanza di proporzione tra la condotta dell'imputato, che ha impedito alle due parti civili, di cui una donna in stato interessante, di uscire dall'area di parcheggio e ciò per un considerevole lasso di tempo di oltre 45 minuti e quella delle parti offese , le quali mai erano state rese edotte della necessità di lasciare spazio libero, sufficiente per il parcheggio di un'altra autovettura, come risulta dagli atti. Al proposito, spiega la Corte, soltanto una missiva successiva ai fatti informava le p.o. di tale necessità. In ultimo, è appena il caso di notare che il dato del mancato pagamento del canone di affitto l'imputato è proprietario dell'appartamento offerto in locazione alle parti offese , è del tutto inidoneo a provare il nesso di causalità tra offesa e reazione, come invece preteso dalla difesa. Anche la mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche è stata congruamente e persuasivamente motivata dalla Corte territoriale, in vista della condotta dell'imputato, resistente a qualsivoglia attitudine di resipiscenza nei confronti delle p.c., e di noncuranza anche rispetto all'arrivo degli agenti di polizia municipale. 2.4 Il quarto motivo è inammissibile perché generico. La Corte territoriale ha fatto buon governo dei criteri delineati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di applicazione di recidiva e dei parametri posti dall' art. 133 c.p. A tal proposito, la Corte territoriale ha ricordato, tra l'altro, che l'imputato ha un precedente di condanna per usura e infedele dichiarazione annuale d'imposta 2001 e una condanna con decreto penale del 2016 per rifiuto d'indicazione della propria identità. Nel ritenere correttamente applicata la recidiva, la Corte territoriale ha osservato, benché succintamente, che la pena comminata deve essere ritenuta congrua e proporzionata alla gravità del fatto e alla capacità a delinquere dell'imputato , argomentata anche in relazione alla condotta serbata nonostante l'arrivo della polizia locale. Il Collegio ritiene, pertanto, che la sentenza impugnata risulti immune dalla contestata censura. 2.5 Il quinto motivo è inammissibile perché manifestamente infondato. Il Giudice d'appello non ha ritenuto sussistenti preclusioni normative alla concessione della sospensione condizionale della pena, ma ha espresso una valutazione di merito negativa rispetto alla prognosi di non commissione di altri delitti, congruamente motivando il diniego dell'invocato beneficio, ritenendo che le precedenti condanne, la prima delle quali a pena certamente non modesta, non abbiano sortito efficacia deterrente. Considerato che la concessione del beneficio in parola non costituisce oggetto di un diritto dell'imputato, ma è rimesso al potere discrezionale del giudice secondo i criteri indicati dall'art. 133 cod., questo Collegio non ravvisa vizio alcuno nella parte motiva relativa al punto in contestazione Sez. 5, n. 19258 del 12/02/2019, C., Rv. 276508-01 Sez. 5, n. 30946 del 30/06/2010, Rv. 247764-01 . P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.