Poiché la condotta lesiva consiste nell’esposizione di una rappresentazione non più attuale di una persona, perché ci sia responsabilità occorre la percezione del divario fra l’immagine pregressa e quella attuale che non può che essere rimessa alla sensibilità o all’onere di attivazione del content provider.
Il caso. Un cittadino citava in giudizio una agenzia di stampa chiedendo il risarcimento dei danni per la violazione del suo diritto all'oblio, esponendo a fondamento della propria domanda di risiedere in una città italiana da molti anni in cui si era trasferito dopo aver espiato la condanna penale per reati in materia di stupefacenti, costituendo un contesto di vita del tutto diverso dal precedente. In tale nuovo ambito l'uomo precisava di aver intrapreso una relazione sentimentale e di aver contratto nuove amicizie mentre la notizia dell'arresto era rimasta visibile sul sito web della convocata agenzia di stampa e che la sua fidanzata era venuta a conoscenza dei suoi precedenti consultando internet con il motore di ricerca Google. Notizia di cui era stata tenuta all'oscuro e che l'aveva portata, una volta avutane cognizione, a troncare la relazione al pari degli amici in comune. Tutto ciò aveva ingenerato nell'attore/ricorrente un forte stato di sofferenza, sfociato poi in una crisi depressiva. L'uomo aggiungeva di aver chiesto anni prima all'agenzia di stampa la rimozione della notizia dall'archivio visibile sul web e che, poco dopo, la detta società gli aveva comunicato l'avvenuta cancellazione dell'articolo sopra citato. Tuttavia, l'agenzia di informazione aveva rifiutato di risarcire il danno provocato, nella ricostruzione dell'uomo, dalla mancata cancellazione tempestiva della notizia nel periodo in cui doveva considerarsi maturato il suo diritto all'oblio, perché la notizia aveva perduto la sua originaria valenza informativa per i fruitori del sito e rappresentava la sua persona in modo da non più corrispondente alla realtà attuale. L'Agenzia di stampa si costituiva in giudizio eccependo la tempestiva rimozione dell'articolo dopo la diffida pervenuta dal ricorrente e rilevava che, al momento della pubblicazione, la notizia possedeva i caratteri della verità, continenza ed attualità. Ma, allo stesso tempo, contestava di essere obbligata a rimuovere di sua iniziativa dai propri archivi informatici, però, tutte le notizie che nel tempo avevano perduto i caratteri dell'attualità e dell'interesse per l'informazione del pubblico senza che gli interessati avessero formulato alcuna richiesta in tal senso. Il Tribunale rigettava la domanda del ricorrente affermando che la tutela del diritto all'oblio non comporta automaticamente in capo ad una testata giornalistica l'obbligo di rimozione oppure di deindicizzazione della notizia, dal momento che il diritto del soggetto a non vedere rappresentato una versione di sé non più corrispondente alla realtà presuppone una valutazione di “non attualità” della notizia che non è possibile compiere se non dopo un'espressa richiesta dell'interessato. Aggiungeva il Tribunale che sarebbe oltremodo gravoso imporre a tutti i content provider un obbligo di controllo e aggiornamento di tutte le notizie che potrebbero perdere attualità e rilevanza, sicché si deve ritenere che la responsabilità del gestore dell'archivio digitale sussista solo allorquando vi sia un'inerzia a fronte di una richiesta formulata dall'interessato. Sulla base di questi presupposti il Tribunale competente aveva escluso l'illiceità della condotta di parte convenuta, valorizzando l'immediata rimozione della notizia in seguito alla richiesta del ricorrente. Avverso la decisione del Tribunale veniva proposto dall'uomo ricorso per cassazione mediante articolazione di un unico motivo col quale deduceva la violazione e falsa applicazione delle norme materia di privacy, richiamando, all'uopo, quegli orientamenti della giurisprudenza di legittimità che, nel contemperamento tra diritto all'oblio ed interesse della collettività alla conoscenza del fatto, escludono l'obbligo di deindicizzazione e/o cancellazione della notizia se permane un interesse storico, anche a distanza di molti anni dall'accaduto, come nelle ipotesi in cui le vicende riguardino personaggi famosi. Il ricorrente sosteneva, pertanto, che nel caso in esame non vi fosse alcun interesse alla conservazione della notizia riguardante un cittadino comune le cui vicende giudiziarie si erano esaurite con l'espiazione della pena. La decisione della Corte Suprema e l'enunciazione del principio di diritto in materia. La sentenza in parola si rende interessante perché la questione di diritto che risolve è quella concernente il momento dell'obbligo di intervento del titolare del sito web vale a dire, se questo presupponga una richiesta dell'interessato oppure vi preesista, per il solo fatto della sopravvenuta inattualità della notizia per effetto del decorso tempo, sicché sarebbe configurabile la sua responsabilità risarcitoria per non avervi provveduto anche in difetto di una richiesta dell'interessato. A tal proposito la Corte, dopo un breve excursus sulla giurisprudenza comunitaria e nazionale, ha enunciato il seguente principio di diritto «in tema di trattamento dei dati personali e di diritto all'oblio, anche nel regime precedente al Regolamento U.E. numero 679/2016, comunemente noto come GDPR, applicabile ratione temporis, il gestore di un sito web non è tenuto a provvedere, a seconda dei casi, alla cancellazione, alla deindicizzazione o all'aggiornamento di un articolo di stampa, a suo tempo legittimamente pubblicato, ancorché relativo a fatti risalenti nel tempo, in difetto di richiesta dell'interessato. Richiesta che è la sola a far scaturire in capo al gestore l'obbligo di provvedere senza indugio». Al riguardo, la Suprema Corte ha ricordato come sussisterebbe un rischio reale di effetto dissuasivo sull'esercizio della libertà di espressione e di informazione se il gestore del motore di ricerca procedesse ad una deindicizzazione del genere, in modo pressoché sistematico, al fine di evitare di dover sopportare l'onere di indagare sui fatti pertinenti per accertare l'esattezza o meno del contenuto indicizzato. Tali conclusioni sono corroborate dalla recentissima pronuncia della CGUE, Grande Sezione, 8 dicembre 2022, C-460, per vero incentrata sul contenuto degli oneri probatori gravanti rispettivamente sul titolare dei dati personali e sul gestore del sito e che, purtuttavia, dà per scontata la necessità di una richiesta dell'interessato ed entro certi limiti di prova da parte sua. Per questi motivi il ricorso viene rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese in favore della controricorrente.
Presidente Genovese – Relatore Scotti Fatti di causa 1. Con ricorso del 23.9.2015 L.M. si è rivolto al Tribunale di Perugia nei confronti della s.p.a. A., chiedendo il risarcimento dei danni per la violazione del suo diritto all'oblio ai sensi D.Lgs. numero 196 del 2003, articolo 11 e 15, comma 2. L'attore ha esposto a fondamento della domanda di risiedere da circa 18 anni a Omissis , dove si era trasferito dopo aver espiato la condanna penale per reati in materia di stupefacenti, costituendo un contesto di vita del tutto diverso dal precedente, nell'ambito del quale aveva intrapreso una relazione sentimentale e aveva contratto nuove amicizie che la notizia dell'arresto era rimasta visibile nel sito web dell'agenzia di stampa A. che la sua fidanzata era venuta a conoscenza, consultando internet con il motore di ricerca Google, del precedente penale del compagno, di cui era stata tenuta all'oscuro, e aveva deciso di troncare la relazione e in poco tempo anche gli amici comuni avevano preso la stessa decisione che tali circostanze avevano ingenerato nel ricorrente un forte stato di sofferenza, sfociato poi in una crisi depressiva. Il sig. L. ha aggiunto di aver chiesto il Omissis a A. la rimozione della notizia dall'archivio visibile sul web e che in data Omissis l'agenzia di stampa aveva comunicato al ricorrente l'avvenuta cancellazione dell'articolo sopracitato. Inoltre A., tuttavia, si era rifiutata di risarcire il danno richiesto dal L. e provocato dalla mancata cancellazione tempestiva della notizia nel periodo in cui doveva considerarsi maturato il suo diritto all'oblio perché la notizia aveva perduto la sua originaria valenza informativa per i fruitori del sito A. e rappresentava la sua persona in modo non più corrispondente alla realtà attuale. 2. A., costituitasi in giudizio, ha eccepito la tempestiva rimozione dell'articolo dopo la diffida pervenuta dal ricorrente, e ha rilevato che, al momento della pubblicazione, la notizia possedeva i caratteri della verità, continenza e attualità. La convenuta ha contestato però di essere obbligata a rimuovere, di sua iniziativa, dai suoi archivi informatici, tutte le notizie che nel tempo avevano perduto i caratteri dell'attualità e dell'interesse per l'informazione del pubblico senza che gli interessati avessero formulato alcuna richiesta in tal senso. 3. Il Tribunale di Perugia, con sentenza numero 378 del 3.3.2021, ha rigettato la domanda del ricorrente, affermando che la tutela del diritto all'oblio non comporta automaticamente in capo ad una testata giornalistica l'obbligo di rimozione o deindicizzazione della notizia, dal momento che il diritto del soggetto a non vedere rappresentata una versione di sé non più corrispondente alla realtà presuppone una valutazione di non attualità della notizia che non è possibile compiere se non dopo un'espressa richiesta dell'interessato. Secondo il Tribunale, sarebbe oltremodo gravoso imporre a tutti i content provider un obbligo di controllo e aggiornamento di tutte le notizie che potrebbero perdere attualità e rilevanza, sicché si deve ritenere che la responsabilità del gestore dell'archivio digitale sussista solo allorquando vi sia un'inerzia a fronte di una richiesta formulata dall'interessato. Il Tribunale di Perugia ha escluso pertanto l'illiceità della condotta di parte convenuta, valorizzando la immediata rimozione della notizia in seguito alla richiesta dell'odierno ricorrente. 4. Avverso la decisione del Tribunale ha proposto ricorso per cassazione L.M., articolando un unico motivo con il quale deduce, in relazione all'articolo 360 c.p.c., numero 3, la violazione e falsa applicazione degli articolo 2,4,7,11,15,23 del codice della privacy D.Lgs. numero 196 del 2003 , dell'articolo 6 della direttiva numero 95/46/CE e della Cost., articolo 2. A tal fine il ricorrente richiama quegli orientamenti della giurisprudenza di legittimità che, nel contemperamento tra diritto all'oblio e interesse della collettività alla conoscenza del fatto, escludono l'obbligo di deindicizzazione o cancellazione della notizia se permane un interesse storico anche a distanza di molti anni dall'accaduto, come nelle ipotesi in cui le vicende riguardino personaggi famosi. Il ricorrente sostiene, pertanto, che, nel caso in esame non vi era alcun interesse alla conservazione della notizia, riguardante un cittadino comune, le cui vicende giudiziarie si erano esaurite con l'espiazione della pena. Ha proposto controricorso A. s.p.a. e ha eccepito preliminarmente l'inammissibilità del ricorso perché proposto per preliminarmente infondata l'eccezione di inammissibilità del ricorso in ragione dell'inappellabilità delle sentenze di primo grado sancita dal D.Lgs. numero 196 del 2003, articolo 152 e dal D.Lgs. numero 150 del 2011, articolo 10, comma 10. Il Procuratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso. E' stata fissata udienza per la discussione orale che è stata celebrata il 20.2.2023. Ragioni della decisione 6. L'eccezione di inammissibilità del ricorso perché proposto per saltum in difetto di accordo delle parti, è palesemente infondata, come osservato nell'ordinanza interlocutoria, perché la sentenza in questione è inappellabile ai sensi di quanto previsto dal D.Lgs. numero 196 del 2003, articolo 152 e dal D.Lgs. numero 150 del 2011, articolo 10, comma 10, e pertanto ricorribile direttamente per cassazione. 7. Con il controricorso A. ha eccepito altresì la tardività del ricorso perché proposto solo il 1.10.2021 avverso sentenza pubblicata il 3.3.2021, ma notificata in data 14.7.2021, con il preteso effetto di determinare la scadenza del termine per impugnare in data 13.9.2021. Tale affermazione, non coltivata in sede di discussione orale, non è agevolmente comprensibile poiché il termine per proporre ricorso per cassazione, a norma dell'articolo 325 c.p.c., è di giorni sessanta e veniva quindi a scadere solo il 13.10.2021. 8. Occorre poi precisare, a sgombrare il campo da possibili equivoci, che alla fattispecie non è applicabile ratione temporis il Regolamento 27.4.2016 numero 679 del Parlamento Europeo e del Consiglio relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE regolamento sulla protezione dei dati - GDPR , entrato in vigore dopo i fatti, anteriori al novembre del 2014. 9. La prima delle questioni evidenziate nell'ordinanza interlocutoria, ossia se pure l'editore del sito web e non solo il gestore del motore di ricerca può ritenersi responsabile del trattamento dei dati, non è realmente oggetto del contendere. Nulla ha eccepito in proposito la controricorrente e il Tribunale di Perugia ha ragionato, implicitamente ma chiaramente, in questa prospettiva, tanto da rigettare la domanda non già perché fosse stata proposta contro un soggetto non legittimato o titolare passivo del rapporto controverso, ma solo perché è stato ritenuto che la responsabilità dell'editore scaturisse solo dalla mancata attivazione tempestiva alla richiesta di intervento da parte dell'interessato. E' quindi solo per completezza che si osserva che non vi può essere alcun dubbio in tal senso alla luce di quanto affermato dalla sentenza Google Spain C-131/12 che ha affermato che il trattamento dei dati personali effettuato nell'ambito dell'attività di un motore di ricerca si distingue e si aggiunge a quello effettuato dagli editori dei siti web. In questo senso è schierata inequivocabilmente la giurisprudenza di questa Corte che si è ripetutamente occupata di controversie afferenti il trattamento dei dati personali e il diritto all'oblio promosse proprio nei confronti degli editori del sito web Sez.3, numero 5525 del 5.4.2012 Sez. 1, numero 7559 del 27.3.2020 Sez. 1, numero 9147 del 19.5.2020 e infine, assai recentemente, Sez.1, numero 2893 del 31.1.2023 . 10. La seconda questione posta dall'ordinanza interlocutoria attiene ai presupposti e al contenuto dell'intervento richiesto all'editore del sito web, responsabile del trattamento dei dati. Con la predetta ordinanza il Collegio si è interrogato sulla esigibilità di un obbligo generalizzato di controllo sull'attualità dell'informazione ricavabile dalla consultazione on line, sia sotto il profilo dell'estensione quantitativa del controllo, sia sotto il profilo della tecnica adeguata da impiegare per evitare illegittime compressioni del diritto all'oblio e nello stesso tempo garantire la praticabilità del controllo e la conservazione di una traccia informativa idonea a realizzare la conservazione della memoria storica piuttosto che la permanenza dell'informazione giornalistica. 11. Ai fini di causa questo secondo profilo non è pertinente per la semplice ragione che A., a richiesta del sig. L. non si è limitata a disporre la deindicizzazione ma ha provveduto alla cancellazione dell'articolo. 12. E' quindi solo per completezza di disamina che la Corte ricorda di aver recentemente rimeditato l'orientamento giurisprudenziale che riteneva adeguata e sufficiente tutela per il diritto all'oblio richiesto dall'interessato la sola deindicizzazione dell'articolo dai motori di ricerca espresso con le decisioni numero 7559 del 27.3.2020, numero 9147 del 19.5.2020 e numero 15160 del 31.5.2021 per affermare con l'ordinanza numero 2893 del 31.1.2023 che In tema di trattamento dei dati personali e di diritto all'oblio, è lecita la permanenza di un articolo di stampa, a suo tempo legittimamente pubblicato, nell'archivio informatico di un quotidiano, relativo a fatti risalenti nel tempo oggetto di una inchiesta giudiziaria, poi sfociata nell'assoluzione dell'imputato, purché, a richiesta dell'interessato, l'articolo sia deindicizzato e non sia reperibile attraverso i comuni motori di ricerca, ma solo attraverso l'archivio storico del quotidiano e purché, a richiesta documentata dell'interessato, all'articolo sia apposta una sintetica nota informativa, a margine o in calce, che dia conto dell'esito finale del procedimento giudiziario in forza di provvedimenti passati in giudicato, in tal modo contemperandosi in modo bilanciato il diritto ex Cost., articolo 21 della collettività ad essere informata e a conservare memoria del fatto storico con quello del titolare dei dati personali archiviati a non subire una indebita lesione della propria immagine sociale. 13. La questione di diritto che deve essere risolta e che è stata posta con il motivo all'attenzione della Corte è se l'obbligo di intervento del titolare del sito web presupponga una richiesta dell'interessato o invece vi preesista per il solo fatto della sopravvenuta inattualità della notizia per effetto del decorso del tempo, sì che sarebbe configurabile la sua responsabilità risarcitoria per non avervi provveduto anche in difetto di una richiesta dell'interessato. 14. La Corte ritiene corretto il responso del giudice umbro nel primo senso, allorché la notizia come in questo caso è pacifico ed è stato accertato dal Tribunale con statuizione non censurata è stata a suo tempo legittimamente pubblicata in presenza di un interesse pubblico informativo in tal senso si è espressa questa Corte proprio con l'ordinanza sopra richiamata numero 2893 del 2023, con riferimento agli articolo 16 e 17 del GDPR come si è detto non applicabile ratione temporis alla presente controversia , che delineano un obbligo di intervento senza indugio, temporalmente calibrato in relazione alla richiesta dell'interessato. Giustamente il Tribunale ha evidenziato, in primo luogo, che proprio perché la condotta lesiva consiste nell'esposizione di una rappresentazione non più attuale della propria persona, occorre la percezione del divario fra l'immagine pregressa e quella attuale, che non può che essere rimessa alla sensibilità e all'onere di attivazione dell'interessato, dovendosi in difetto presumere la persistente conformità della notizia alla realtà attuale. Per altro verso, e in doveroso bilanciamento degli interessi in gioco, sarebbe eccessivamente oneroso accollare al gestore di un archivio digitale di notizie l'onere di un controllo periodico del loro superamento e della loro inattualità, in difetto di qualsiasi parametro temporale fissato dalla legge e sulla base di elementi del tutto sconosciuti come l'evoluzione personale dei soggetti interessati. 15. In questo senso militava già la disciplina Europea antecedente al GDPR, contenuta nella Direttiva CE 24.10.1995 numero 46, applicabile ratione temporis. L'articolo 12, lettera b , imponeva agli Stati membri di garantire a qualsiasi persona interessata il diritto di ottenere dal responsabile del trattamento, a seconda dei casi, la rettifica, la cancellazione o il congelamento dei dati il cui trattamento non fosse conforme alle disposizioni della direttiva, in particolare a causa del carattere incompleto o inesatto dei dati l'articolo 14, lettera a , consentiva agli interessati di opporsi, almeno nei casi di cui all'articolo 7, lettere e e f , in qualsiasi momento, per motivi preminenti e legittimi, derivanti dalla sua situazione particolare, al trattamento di dati che li riguardavano, salvo disposizione contraria prevista dalla normativa nazionale. In altre parole, anche la disciplina Europea anteriore al GDPR si atteggiava in termini di richieste ed opposizioni dell'interessato, così chiaramente evocando la necessità di un'attivazione da parte sua. 16. Ciò ha condotto, giustappunto, la Corte di Giustizia, Grande Sezione, del 13.5.2014- C-131/12 sentenza Google Spain ad affermare che l'articolo 2, lett. b e d , della direttiva 95/46/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati, deve essere interpretato nel senso che, da un lato, l'attività di un motore di ricerca consistente nel trovare informazioni pubblicate o inserite da terzi su Internet, nell'indicizzarle in modo automatico, nel memorizzarle temporaneamente e, infine, nel metterle a disposizione degli utenti di Internet secondo un determinato ordine di preferenza, deve essere qualificata come trattamento di dati personali , ai sensi del citato articolo 2, lett. b , qualora tali informazioni contengano dati personali, e che, dall'altro lato, il gestore di detto motore di ricerca deve essere considerato come il responsabile del trattamento summenzionato, ai sensi dell'articolo 2, lett. d , di cui sopra e inoltre, che gli articolo 12, lett. b , e 14, comma 1, lett. a , della direttiva 95/46 devono essere interpretati nel senso che, al fine di rispettare i diritti previsti da tali disposizioni, e sempre che le condizioni da queste fissate siano effettivamente soddisfatte, il gestore di un motore di ricerca è obbligato a sopprimere, dall'elenco di risultati che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal nome di una persona, dei link verso pagine web pubblicate da terzi e contenenti informazioni relative a questa persona, anche nel caso in cui tale nome o tali informazioni non vengano previamente o simultaneamente cancellati dalle pagine web di cui trattasi, e ciò eventualmente anche quando la loro pubblicazione su tali pagine web sia di per sé lecita. 17. La disciplina nazionale, contenuta nel c.d. Codice della privacy, di cui al D.Lgs. numero 30.6.2003 numero 196, anche prima delle modifiche apportate con il D.Lgs. numero 10.8.2018 numero 101, per l'adeguamento al GDPR, presupponeva in modo chiaro e inequivoco che i diritti spettanti all'interessato fossero esercitati con attivazione da parte sua con una specifica richiesta. L'articolo 7 era strutturato in termini di diritto dell'interessato ad ottenere l'intervento del gestore dei dati. L'articolo 8 attribuiva all'interessato il diritto di ottenere la conferma dell'esistenza o meno di dati personali che lo riguardavano, anche se non ancora registrati, e la loro comunicazione in forma intelligibile. L'articolo 9 disciplinava la richiesta rivolta al titolare o al responsabile nelle sue possibili modalità operative. 18. Tali conclusioni sono corroborate dalla recentissima pronuncia della Corte di Giustizia UE, Grande Sezione dell'8.12.2022 - C-460, per vero incentrata sul contenuto degli oneri probatori gravanti rispettivamente sul titolare dei dati personali e sul gestore del sito, e che purtuttavia dà per scontata la necessità di una richiesta dell'interessato ed entro certi limiti di prova da parte sua. La Corte Europea si è infatti occupata di stabilire se e in che misura spetti alla persona che ha presentato la richiesta di deindicizzazione fornire elementi di prova per corroborare la sua affermazione relativa all'inesattezza delle informazioni incluse nel contenuto menzionato e, dall'altro, se il gestore del motore di ricerca debba esso stesso cercare di chiarire i fatti al fine di accertare l'esattezza o meno delle informazioni asseritamente inesatte ivi contenute. Quanto agli obblighi incombenti alla persona che richiede la deindicizzazione per l'inesattezza di un contenuto indicizzato, è stato ritenuto che spetti ad essa dimostrare l'inesattezza manifesta delle informazioni che compaiono in detto contenuto o, quanto meno, di una parte di tali informazioni che non abbia un carattere secondario rispetto alla totalità di tale contenuto. Tuttavia, al fine di evitare un onere eccessivo idoneo a minare l'effetto utile del diritto alla deindicizzazione, il richiedente è tenuto unicamente a fornire gli elementi di prova che, tenuto conto delle circostanze del caso di specie, possono essere ragionevolmente richiesti al fine di dimostrare tale inesattezza manifesta il richiedente, perciò, non è tenuto, in linea di principio, a produrre, fin dalla fase precontenziosa, a sostegno della sua richiesta di deindicizzazione presso il gestore del motore di ricerca, una decisione giurisdizionale, anche scaturente da procedimento sommario. Imporre un obbligo siffatto a detta persona avrebbe, infatti, l'effetto di far gravare su di essa un onere irragionevole. Inoltre il gestore del motore di ricerca, al fine di verificare, a seguito di una richiesta di deindicizzazione, se un contenuto possa continuare ad essere incluso nell'elenco dei risultati delle ricerche effettuate mediante il suo motore di ricerca, deve fondarsi sull'insieme dei diritti e degli interessi in gioco nonché su tutte le circostanze del caso di specie. Tuttavia, nell'ambito della valutazione delle condizioni di applicazione di cui all'articolo 17, paragrafo 3, lettera a , del GDPR, il gestore non può essere tenuto a svolgere un ruolo attivo nella ricerca di elementi di fatto che non sono suffragati dalla richiesta di cancellazione, al fine di determinare la fondatezza di tale richiesta. Pertanto, in sede di trattamento di una richiesta del genere, non può essere imposto al gestore del motore di ricerca in questione un obbligo di indagare sui fatti e di organizzare, a tal fine, uno scambio in contraddittorio, con il fornitore di contenuto, diretto ad ottenere elementi mancanti riguardo all'esattezza del contenuto indicizzato. Tale obbligo costringerebbe il gestore del motore di ricerca stesso a contribuire a dimostrare l'esattezza o meno del contenuto menzionato e farebbe gravare su di lui un onere che eccede quanto ci si può ragionevolmente da esso attendere alla luce delle sue responsabilità, competenze e possibilità, e comporterebbe quindi un serio rischio che siano deindicizzati contenuti che rispondono ad una legittima e preponderante esigenza di informazione del pubblico e che divenga quindi difficile trovarli in Internet. A tal riguardo, sussisterebbe un rischio reale di effetto dissuasivo sull'esercizio della libertà di espressione e di informazione se il gestore del motore di ricerca procedesse a una deindicizzazione del genere in modo pressoché sistematico, al fine di evitare di dover sopportare l'onere di indagare sui fatti pertinenti per accertare l'esattezza o meno del contenuto indicizzato. Pertanto, nel caso in cui il soggetto che ha presentato una richiesta di deindicizzazione apporti elementi di prova pertinenti e sufficienti, idonei a suffragare la sua richiesta e atti a dimostrare il carattere manifestamente inesatto delle informazioni incluse nel contenuto indicizzato o, quantomeno, di una parte di tali informazioni che non abbia un carattere secondario rispetto alla totalità di tale contenuto, il gestore del motore di ricerca è tenuto ad accogliere detta richiesta di deindicizzazione. Lo stesso vale qualora l'interessato apporti una decisione giudiziaria adottata nei confronti dell'editore del sito Internet e basata sulla constatazione che informazioni incluse nel contenuto indicizzato, che non hanno un carattere secondario rispetto alla totalità di quest'ultimo, sono, almeno a prima vista, inesatte. Per contro, nel caso in cui l'inesattezza di tali informazioni incluse nel contenuto indicizzato non appaia in modo manifesto alla luce degli elementi di prova forniti dall'interessato, il gestore del motore di ricerca non è tenuto, in mancanza di una decisione giudiziaria, ad accogliere siffatta richiesta di deindicizzazione. Nel caso in cui sia avviato un procedimento amministrativo o giurisdizionale vertente sull'asserita inesattezza di informazioni incluse in un contenuto indicizzato e l'esistenza di tale procedimento sia stata portata a conoscenza del gestore del motore di ricerca di cui trattasi, incombe al gestore, al fine di fornire agli utenti di Internet informazioni sempre pertinenti e aggiornate, aggiungere, nei risultati della ricerca, un avvertimento riguardante l'esistenza di un procedimento del genere. E' così evidente che la giurisprudenza Europea presuppone ed implica necessariamente un onere di attivazione da parte dell'interessato, sempre che il contenuto originariamente pubblicato fosse lecito, e pure un ragionevole contributo probatorio. 19. Deve quindi concludersi che il ricorso sia infondato, non potendosi ritenere che A. fosse tenuta a eliminare dal proprio archivio la notizia dell'arresto del sig. L., a suo tempo legittimamente pubblicata, prima della richiesta da parte sua, prontamente soddisfatta. Non può certamente essere condivisa l'obiezione proposta dal ricorrente in sede di discussione orale, basata sulla onerosità dell'iniziativa così richiesta ai soggetti interessati. Al di là del dato testuale, la proposizione della richiesta non richiede né formalità, né tecnicismi e non abbisogna né del ricorso a una difesa tecnica, né a consulenti di sorta e di conseguenza non genera alcun costo aggiuntivo. Al contrario, sarebbe l'imposizione ai gestori di uno scandagliamento periodico di informazioni a suo tempo legittimamente pubblicate a imporre ai gestori un onere insostenibile e gravido di conseguenze per la libertà dell'informazione. 20. Al proposito la Corte ritiene di enunciare il seguente principio di diritto In tema di trattamento dei dati personali e di diritto all'oblio, anche nel regime precedente al Regolamento UE 27.4.2016 numero 679 GDPR , applicabile ratione temporis, il gestore di un sito web non è tenuto a provvedere, a seconda dei casi, alla cancellazione, alla deindicizzazione o all'aggiornamento di un articolo di stampa, a suo tempo legittimamente pubblicato, ancorché relativo a fatti risalenti nel tempo, in difetto di richiesta dell'interessato che è la sola a far scaturire in capo al gestore l'obbligo di provvedere senza indugio. 21. Il ricorso va quindi rigettato. Le spese seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo. Occorre inoltre disporre che, in caso di utilizzazione della presente ordinanza, sia omessa l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nell'ordinanza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidate nella somma di Euro 3.000,00 per compensi, Euro 200,00 per esposti, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla l. numero 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, ove dovuto. Dispone che, in caso di utilizzazione della presente ordinanza, sia omessa l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nell'ordinanza.