Confermata in via definitiva la condanna dell’uomo alla guida, ritenuto colpevole del reato di omicidio colposo. Inequivocabili i dettagli del drammatico episodio. Irrilevante l’azzardo compiuto dal pedone, che ha attraversato in un punto privo di segnaletica pedonale e senza prestare attenzione al sopraggiungere dei veicoli.
L'imprudenza del pedone non può rendere meno grave il comportamento dell'automobilista che lo ha investito e ne ha provocato la morte. Investimento. A finire sotto processo è un uomo, accusato di omicidio colposo per avere investito e così causato la morte di un anziano signore. I dettagli dell'episodio, verificatosi in Emilia Romagna nel marzo del 2013, sono inequivocabili secondo i giudici di merito. Consequenziale, quindi, la condanna, sia in primo che in secondo grado, dell'automobilista, ritenuto colpevole di omicidio colposo e sanzionato con 8 mesi di reclusione. Proprio sulla ricostruzione del drammatico investimento si soffermano i giudici d'Appello, i quali evidenziano che l'automobilista, quando mancavano pochi minuti alle 20, procedendo sull'asfalto bagnato, giunto in prossimità di un centro abitato, nei pressi di una intersezione a T' posta a destra e regolarmente segnalata, aveva, in un tratto di strada rettilineo con illuminazione pubblica presente e funzionale, investito un pedone che aveva iniziato da circa due secondi l'attraversamento da sinistra verso destra della strada . Il pedone era stato caricato sul cofano della vettura e successivamente, mentre l'automobile aveva proseguito nella direzione di marcia e si era arrestata a circa sessantasei metri dal punto d'urto, era stato proiettato per circa tredici metri sul margine sinistro della carreggiata ed era così deceduto sul colpo a causa di lesioni cranioencefaliche e viscerali-toraciche . Per i giudici d'Appello sono evidenti i profili di colpa addebitabili all'automobilista , ossia la negligenza, l'imprudenza e l'imperizia e la violazione delle norme della disciplina sulla circolazione stradale, per aver tenuto una velocità di circa 96 chilometri orari, a fronte del limite vigente di 50 chilometri orari indicato in apposita segnaletica verticale, e comunque non adeguata alle condizioni della strada e per non aver consentito al pedone, che aveva già iniziato l'attraversamento di quel tratto di strada, da sinistra verso destra, con impegno della carreggiata, di raggiungere il lato opposto in condizioni di sicurezza . L'imprudenza del pedone. Inutile il ricorso proposto in Cassazione dal legale dell'automobilista e mirato a fornire una chiave di lettura diversa dell'episodio. Per i giudici di terzo grado è difatti impossibile mettere in discussione la colpevolezza dell'automobilista. Ciò perché dalla documentazione fotografica è emersa la presenza di numerosi lampioni funzionanti e dislocati in maniera tale da illuminare adeguatamente la strada , senza dimenticare che l'azionamento dei fari anabbaglianti aveva permesso all'automobilista di avere una buona visuale e allo stesso tempo si è accertato che l'asfalto era bagnato e pertanto scivoloso ed il tratto di strada teatro dell'incidente è in prossimità di abitazioni, sicché il conducente avrebbe dovuto adeguare la velocità in relazione a tali condizioni e tenendo conto della ora notturna . In aggiunta si è appurato che in loco era vigente il limite di velocità di 50 chilometri orari, segnalato da un cartello ben visibile e che il pedone aveva attraversato in un punto in cui non vi era apposita segnaletica, e aveva proceduto da sinistra verso destra, ossia partendo dalla semicarreggiata opposta rispetto a quella di percorrenza dell'automobilista, con un'andatura che, data l'età e la stazza, doveva ritenersi non sostenuta, sicché il conducente dell'auto era stato nelle condizioni di avvedersi della sua presenza già nel momento dell'inizio dell'attraversamento , sanciscono i giudici. Logico, quindi, ritenere che l'automobilista abbia violato, in occasione dell'investimento, il codice della strada , avendo proceduto ad una velocità sostenuta e comunque non adeguata alle condizioni dei luoghi e quindi non idonea a consentire di compiere le manovre necessarie in condizioni di sicurezza . Allo stesso tempo, l'automobilista non ha consentito al pedone, che aveva già iniziato l'attraversamento, di raggiungere il lato opposto in condizioni di sicurezza . Comunque, anche a volere ammettere che l'automobilista avesse rispettato il limite di velocità esistente, in ogni caso l'andatura non era stata adeguata alle condizioni dei luoghi, giacché l'asfalto era bagnato e pertanto scivoloso, era ormai sera e nel tratto di strada erano presenti abitazioni , concludono i giudici. In sostanza, le regole violate dall'automobilista sono volte a prevenire eventi quale quello verificatosi e, difatti, il rispetto di dette regole avrebbe consentito all'automobilista l'avvistamento del pedone in tempo utile ad arrestate la marcia e ad evitare l'investimento. Per quanto concerne, infine, la presunta colpa del pedone , che ha attraversato in un punto privo di segnaletica pedonale e senza prestare attenzione al sopraggiungere dei veicoli , i giudici di Cassazione chiariscono che tale condotta non è comunque una causa eccezionale ed atipica , non prevista ed imprevedibile, in quanto l'incidente si è verificato in un centro abitato e in un orario, ossia quello del rientro a casa, in cui la presenza di persone ai margini della carreggiata poteva essere considerata usuale .
Presidente Di Stefano Relatore Giordano Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 12 febbraio 2020, il Tribunale di Palermo, in esito a giudizio abbreviato, condannava G.C. alla pena di tre mesi di arresto per il reato di cui al D.Lgs. n. 150 del 2011 , art. 73 commesso il omissis , poiché costui, senza essere munito di patente, sottoposto a misura di prevenzione personale, si era posto alla guida di un motociclo, come accertato dalla Polizia. 2. Avverso la sentenza di primo grado, la difesa di G. proponeva appello. 3. Con sentenza del 2 febbraio 2022, la Corte di appello di Palermo rigettava le doglianze difensive contenute nel gravame circa la mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all' art. 131-bis c.p. , il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e la mancata sostituzione della pena detentiva con la sanzione sostitutiva della libertà controllata. Il giudice di appello confermava perciò la sentenza di primo grado. 4. Avverso la sentenza di appello, la difesa di G. ha proposto ricorso per cassazione. Con l'unico motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata richiamando l' art. 606 c.p.p. , comma 1, lett. e , e lamentando vizio di motivazione. Il ricorrente sostiene che il giudice di appello sia incorso in carenza di motivazione nella parte in cui non ha approfondito il motivo di appello con il quale la difesa aveva richiesto il contenimento della pena nel minimo edittale. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile, poiché manifestamente infondato e generico. 1.1. La giurisprudenza di legittimità ha affermato che è inammissibile il ricorso per cassazione i cui motivi, limitandosi a lamentare l'omessa valutazione, da parte del giudice dell'impugnazione, delle censure articolate con il relativo atto di gravame, rinviino genericamente ad esse, senza indicarne il contenuto al fine di consentire l'autonoma individuazione delle questioni che si assumono irrisolte e sulle quali si sollecita il sindacato di legittimità l'atto di ricorso, infatti, deve essere autosufficiente, e cioè contenere la precisa prospettazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre a verifica Sez. 2, n. 13951 del 05/02/2014, Caruso, Rv. 259704-01 . E' stato altresì stabilito che la sentenza di merito non è tenuta a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico ed adeguato, le ragioni del convincimento, dimostrando che ogni fatto decisivo è stato tenuto presente, sì da potersi considerare implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata Sez. 4, n. 26660 del 13/05/2011, Caruso, Rv. 250900-01 Sez. 6, n. 20092 del 04/05/2011, Schowick, Rv. 250105-01 Sez. 4, n. 1149 del 24/10/2005, dep. 2006, Mirabilia, Rv. 23318701 . 1.2. Nel caso ora in esame, le doglianze difensive si limitano ad una generica censura della sentenza impugnata, senza spiegare quali sarebbero gli elementi necessari e sufficienti a far pervenire ad un giudizio difforme da quello complessivamente argomentato dal giudice di appello. Infatti, il ricorrente deduce la mancanza di motivazione ma non indica, ai fini dell'autosufficienza del ricorso, gli elementi che avrebbero dovuto condurre il giudice di appello a una rideterminazione della pena. Al tempo stesso, dalla lettura complessiva della sentenza ora impugnata risulta che il giudice di appello ha implicitamente disatteso le deduzioni difensive sul punto. Infatti, il giudice di appello, nel motivare sul rigetto delle richieste di applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, di negazione delle circostanze attenuanti generiche e di sostituzione della pena detentiva con la libertà controllata, ha indicato nella sentenza plurimi elementi rilevanti anche ai fini del rigetto della richiesta di riduzione della pena, come il fatto che G. al fine di eludere il controllo aumentò l'andatura del veicolo nel momento in cui vide la Polizia, e come la personalità dell'imputato, a carico del quale è un precedente penale specifico. 2. In conclusione, il ricorso è inammissibile per le ragioni sopra esposte. Ai sensi dell' art. 616 c.p.p. , il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e della somma indicata nel seguente dispositivo in favore della Cassa delle ammende, non potendosi escludere - alla stregua del principio di diritto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000 - la sussistenza dell'ipotesi della colpa nella proposizione della impugnazione. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.