Non è esperibile l’azione revocatoria della delibera modificativa dello statuto sociale

La Terza Sezione civile della Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 6384 del 3 marzo 2023, ha stabilito che l’azione revocatoria ex art. 2901 c.c. non può essere esercitata nei confronti di una delibera assembleare avente ad oggetto la modifica dello statuto di una società consortile.

La questione in lite. Alfa S.r.l. e Tizio, creditori di Beta società consortile per azioni, convenivano davanti al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere Beta medesima e i suoi soci affinché, ai sensi dell' articolo 2901 c.c. fosse dichiarata inefficace la delibera adottata dall'assemblea straordinaria della società nella parte in cui aveva modificato lo statuto sostituendo all'obbligo dei soci di pagare lo sbilancio annuale di esercizio la mera possibilità di rimborsarlo. Precisamente, l'originaria disposizione statutaria secondo cui i partecipanti rimborsano annualmente alla società, proporzionalmente alle rispettive quote di partecipazione al capitale, le spese del suo funzionamento nella misura in cui queste superino l'ammontare dei ricavi/proventi di competenza dell'esercizio medesimo in modo che l'esercizio si chiuda senza perdite , era stata modificata come segue i partecipanti possono deliberare in assemblea di rimborsare annualmente alla società proporzionalmente alle rispettive quote di partecipazione al capitale . Beta veniva dichiarata fallita e il fallimento della medesima si costituiva in giudizio subentrando nell'esercizio dell'azione pauliana. Il Tribunale accoglieva la domanda revocatoria ordinaria e dichiarava inefficace nei confronti del Fallimento la delibera in questione. La Corte d'appello di Napoli confermava la decisione del primo giudice. Per quanto qui interessa ricorrevano per Cassazione i soci di Beta denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 2365, 2615- ter , 2901 c.c. e art. 66 l. fall. per irrevocabilità della delibera di modifica statutaria. Il principio di autonomia statutaria. Ad avviso dei ricorrenti, è della massima importanza stabilire se una delibera di assemblea straordinaria, modificativa di una previsione statutaria, possa o meno essere revocata , posto che le conseguenze pratiche di una soluzione positiva verrebbero a minare radicalmente sia i principi di autonomia statutaria e di collegialità delle volontà trasfuse nelle delibere assembleari , sia la stabilità degli atti societari che il legislatore persegue. La Corte di Cassazione, dopo aver ampiamente ricostruito il percorso logico motivazionale della sentenza impugnata, osserva come nel complesso, la corte territoriale abbia schivato la questione della proponibilità dell'azione pauliana avverso la delibera della società debitrice di modifica statutaria, e pertanto la strettamente connessa questione della natura endosocietaria di una delibera modificativa di una clausola dello statuto di una società per azioni consortile ed è l'incompatibilità di un atto endosocietario rispetto a una doglianza pauliana il fondamento su cui si basa il primo motivo del ricorso proposto dai soci di Beta unitamente, appunto, all'attribuzione di natura pienamente ed esclusivamente endosocietaria alla suddetta delibera. Rileva quindi la Corte che l' articolo 2901 c.c. detta le condizioni perché il creditore possa domandare che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio con i quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni . Tuttavia, la questione principale da affrontare è quella di chiarire come tale norma generale venga a sintonizzarsi con la specificità soggettiva del debitore quando questi non sia dotato di una soggettività naturale quale persona fisica, bensì fruisca di una soggettività normativamente istituita quale ente. L'indagine della Corte di legittimità si focalizza quindi sulla natura dispositiva dell'atto i.e. la delibera statutaria di cui si chiede la revoca ex art. 2901 c.c. in misura di compatibilità con la natura del soggetto che lo ha compiuto prima del fallimento. La società di capitali come soggetto giuridicamente artificiale. Osservano i giudici come la società di capitali sia un caso tipico di soggetto giuridicamente artificiale, il cui funzionamento inteso come la formazione della sua volontà giuridica è determinato dal legislatore. In altri termini, la società è tradizionalmente percepita quale fictio juris che deve essere strutturata dal legislatore come autore della fictio stessa per quanto concerne l'apporto e l'ambito delle norme imperative quelle strutturali, appunto , rimettendo naturalmente a chi stipula il contratto sociale la facoltà di completare la forma e l'attività dell'ente artificiale il che si realizza nello statuto della società, ma poi prosegue nel governo interno della stessa. Così, continua la Corte, le volontà manifestate dai soci in sede endosocietaria mediante gli appositi organi costituiscono i componenti di un motore che consente alla società di compiere atti giuridici incidenti all'esterno di sé stessa. Tuttavia, questa funzionalità esterna, che le norme giuridiche connettono alla soggettività artificiosa dell'ente, trova limite proprio nell'ambito endosocietario in sé, ovvero in quel che dimostra proprio l'ontologico confine del soggetto in quanto manovrato dalle volontà maggioritarie dei soci che lo utilizzano per schermare sé stessi nell'attività giuridica esterna. La personalità giuridica come schermo. Ricorda ancora la Corte che la personalità giuridica è stata originariamente percepita come schermo per le persone fisiche che con il contratto societario la istituiscono, così da perimetrare le dimensioni del rischio assunto, disinnescando l'istituto della garanzia patrimoniale generale mediante una propria desoggettivizzazione . Quel che pone in essere la società nel suo ambito interno, e che dunque appartiene alla sua attività endosocietaria, è oggetto di una specifica struttura di tutela normativa, che mira all'equilibrio tra la permanenza dello schermo giuridico, che costituisce interesse dei soci, e la corretta condotta del soggetto artificiale, che costituisce interesse anche dei suoi creditori. La soggettività artificiale deve pertanto garantire un equilibrio specifico a tutela sia degli interessi dei creditori che di quelli dei soci. Il che, logicamente, vale anche per identificare l'atto dispositivo che giustifichi l'esercizio dell'azione pauliana in tale prospettiva la Corte ritiene quindi doveroso chiedersi se nel caso in esame la delibera dell'assemblea straordinaria di Beta, che ha modificato lo statuto nei termini sopra riportati, rappresenti o meno un atto dispositivo ai fini dell' articolo 2901 c.c. La modifica dello statuto non è un atto dispositivo. Per rispondere a detto quesito la Corte ritiene in primo luogo necessario chiarire se la modifica di una clausola dello statuto abbia natura anche esterna ovvero costituisca soltanto un atto endosocietario l'atto endosocietario non può infatti essere oggetto di attacco da parte di soggetti diversi da quelli schermati i.e. i soci , salvo che ciò non sia espressamente previsto dalla legge ai fini di tutelare la personalità giuridica ed evitare che la stessa venga svuotata e resa priva di effetti. Osserva ulteriormente la Corte che l'azione pauliana avverso la delibera in questione, se non trovasse ostacolo nel funzionamento della soggettività artificiale, non sarebbe comunque sorretta da interesse perché la clausola modificata non esplica di per sé alcun effetto esattamente come il suo testo precedente occorrendo sempre quale presupposto l'approvazione del bilancio per il relativo esercizio la delibera in esame non può dunque qualificarsi come rinuncia a un diritto, e quindi come atto dispositivo pregiudizievole verso i creditori. La sua natura, invero, è radicalmente insita nella gestione interna , per cui non può essere impugnata tramite un'azione pauliana. La Corte, a conclusione del proprio percorso motivazionale, afferma pertanto il principio di diritto per cui l'azione pauliana di cui agli articoli 2901 ss. c.c. non può essere esercitata nei confronti di atti endosocietari posti in essere da società di capitali, anche consortili, rappresentati da delibere modificative dello statuto, tali atti non avendo effetti esterni in termini di incidenza sulla garanzia patrimoniale generale, bensì essendo compiuti unicamente per la gestione dell'attività del soggetto giuridico, e sussistendo d'altronde nella normativa societaria strumenti specifici che ne presidiano la legittimità, mentre l'azione pauliana è comunque esercitabile nei confronti degli atti esterni delle suddette società giuridicamente personalizzate .

Presidente Scarano – Relatore Graziosi Fatti di causa 1. Con atto di citazione del 26 luglio 2010 Thema S.r.l. e S.F. convenivano davanti al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere Omissis s. c.p.a . e i suoi soci D.L. 1929 S.p.A., Omissis s.n.c. di N.D. e fratelli, Essevi Goldmetal S.r.l., Labriola S.r.l., Omissis S.r.l., Pecorilla Trading S.p.A., Puca Gold S.r.l., B.P. S.r.l. e Oro 92 di M.C. e C.G. affinché, ai sensi dell' art. 2901 c.c. , nei confronti degli attori fosse dichiarata inefficace la delibera adottata dall'assemblea straordinaria della convenuta società consortile il 27 ottobre 2009 nella parte in cui aveva modificato l'art. 31.1 del suo statuto sostituendo all'obbligo dei soci di pagare lo sbilancio annuale di esercizio la mera possibilità di rimborsarlo. Precisamente, l'art. 31.1 dello statuto di Omissis s. c.p.a . all'origine prevedeva che i partecipanti rimborsano annualmente alla società, proporzionalmente alle rispettive quote di partecipazione al capitale, le spese del suo funzionamento nella misura in cui queste superino l'ammontare dei ricavi/proventi di competenza dell'esercizio medesimo in modo che l'esercizio si chiuda senza perdite , e con la delibera del 27 ottobre 2009 era stato, modificato nel senso che i partecipanti possono deliberare in assemblea di rimborsare annualmente alla società proporzionalmente alle rispettive quote di partecipazione al capitale . Si costituivano Omissis s. c.p.a ., D.L. 1929 S.p.A., Omissis s.n.c., B.P. S.r.l., Oro 92 di M.C. e C., Pecorilla Trading S.p.A., Essevi Goldmetal S.r.l. e Puca Gold S.r.l., tutti resistendo. Nelle more del giudizio Omissis s. c.p.a . falliva, con conseguente interruzione la causa veniva riassunta dalla curatela fallimentare che subentrava agli originari attori nell'esercizio dell'azione pauliana. Con sentenza del 21 settembre 2015 il Tribunale accoglieva la domanda revocatoria ordinaria e pertanto dichiarava inefficace nei confronti del Fallimento Omissis s. c.p.a . la delibera in questione. Avendo proposto appello D.L. 1929 S.p.A., Omissis s.n.c., Labriola S.r.l., B.P. S.r.l. divenuta Fashion Company S.r.l. nonché Oro 92 di M.C. e C.G., ed essendosi costituito il Fallimento Omissis s. c.p.a . resistendo, la Corte d'appello di Napoli rigettava il gravame con sentenza del 15 maggio 2019. 2. Hanno presentato ricorso, articolato in quattro motivi, Omissis s.n. c in liquidazione e Fashion Company S.r.l. il Fallimento Omissis s. c.p.a . si è difeso con controricorso. Il Procuratore Generale ha presentato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso. Sia i ricorrenti, sia il controricorrente hanno depositato memoria. Ragioni della decisione 3. Con il primo motivo si denuncia, in riferimento all' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 2365,2615 ter, 2901 c.c. e 66 L. Fall ., per irrevocabilità della delibera di modifica statutaria. 3.1 Si osserva che, in difetto di precedenti, è della massima importanza stabilire se una delibera di assemblea straordinaria, modificativa di uno statuto, sia revocabile o meno , in quanto le conseguenze pratiche di una soluzione positiva verrebbero a minare radicalmente sia i principi di autonomia statutaria e di collegialità delle volontà trasfuse nelle delibere assembleari , sia la stabilità degli atti societari che il legislatore evidentemente persegue. I giudici di merito - peraltro senza particolare approfondimento - hanno accolto la tesi attorea nel senso che si tratterebbe di un atto di disposizione del patrimonio a contenuto abdicativo in forma di rinuncia a un credito sociale nei confronti dei soci. Ad avviso dei ricorrenti, occorrerebbe in via pregiudiziale dare risposta ad un quesito di carattere generale, vale a dire se una delibera modificativa dello statuto di una società di capitali, ancorché consortile, possa astrattamente rientrare nel genus degli atti dispositivi sui quali sia esercitabile l'azione pauliana. Mai si sarebbe finora dubitata l'irrevocabilità della delibera assembleare, stimando revocabili al massimo gli atti di esecuzione della stessa . Lo sviamento logico in cui sarebbe incorso il giudice d'appello, e che lo avrebbe condotto a una decisione erronea, sarebbe l'aver considerato solo il versante degli effetti potenzialmente ossia, in senso lato e di mera possibilità pregiudizievoli della deliberazione per i creditori sociali si tratterebbe di un'impostazione parziale e non corretta, poiché l' art. 2901 c.c. adopera la nozione di atti di disposizione e sarebbe questa a dover essere precisata e circoscritta . Vale a dire, occorrerebbe anzitutto stabilire se l'atto di cui si chiede la revoca abbia effettivamente natura dispositiva , solo dopo una soluzione in tal senso verificandone poi gli effetti per i creditori del disponente. 3.2 Dispositivo dovrebbe qualificarsi l'atto che impegna il patrimonio del debitore Cass. 11051-2009 la dottrina avrebbe però allertato da una perversa qualificazione di revocabilità che investirebbe quindi tutti gli atti del debitore con contenuto patrimoniale. E se non sarebbe sostenibile escludere in assoluto che le modifiche statutarie abbiano effetti sul patrimonio sociale, sui diritti e sulle aspettative legittime dei creditori sociali come invece accade per la riduzione del capitale, la fusione, la trasformazione o la scissione , dovrebbe comunque in tali casi essere la legge a riconoscere a priori il possibile pregiudizio per i creditori sociali prevedendo pertanto il diritto di opposizione. Quanto alle altre delibere dell'assemblea sociale, pure il loro oggetto illecito o impossibile potrebbe ledere i creditori, che sarebbero dunque legittimati, se portatori di un interesse qualificato, a farle dichiarare nulle entro tre anni, salvo il minor termine ex art. 2434 bis c.c. per le delibere di approvazione del bilancio di esercizio. La specialità del diritto societario si rifletterebbe altresì sul sistema delle impugnazioni delle delibere, ripartibili in tre forme distinte a l'opposizione dei creditori alla riduzione volontaria del capitale sociale, alla fusione e alla scissione, cioè alle operazioni direttamente lesive dei loro diritti b l'impugnativa di nullità ai sensi degli artt. 2379 e 2379 ter c.c. , poiché nelle ipotesi previste da tali norme chiunque sia interessato, inclusi appunto i creditori sociali, è legittimato a impugnare la delibera c l'annullabilità di cui all' art. 2377 c.c. , riservata ai soci dotati delle soglie di possesso azionario prescritte o alle Autorità di vigilanza . Ogni classe riceverebbe quindi dal legislatore una specifica tutela, e non sarebbe casuale l'intensità dei diversi rimedi, graduati in ragione della potenzialità pregiudizievole dell'atto societario per i creditori , al di fuori di tali fattispecie non risultando ammissibile un'ulteriore azione che possa privare di effetti, ex art. 2901 c.c. , anche relativamente ad alcuni soggetti soltanto, le delibere di modifica statutaria le quali, d'altronde, a conferma della tutela rafforzata che la legge predispone per la stabilità degli atti societari , sono sempre assoggettate a pubblicità nel registro delle imprese, e con la stessa efficacia costitutiva dell'atto costitutivo originario . 3.3 Non sarebbe inoltre casuale l'inesistenza di un'azione impugnatoria con termine prescrizionale di cinque anni, cioè superiore a quello relativo all'impugnazione per nullità - tre anni ex art. 2379 c.c. -, e con l'unica eccezione dell'azione di nullità della delibera che modifichi l'oggetto sociale prevedendo attività illecite o impossibili, la cui imprescrittibilità si lega alla natura imperativa delle norme violate . La non esperibilità dell'azione pauliana sulla delibera assembleare di modifica dell'atto costitutivo o dello statuto sarebbe dunque genetica , in quanto lo statuto e le delibere di modifica sarebbero atti organizzativi della persona giuridica, della sua struttura e dei rapporti con i soci, id est atti di contenuto totalmente o prevalentemente normativo e a rilevanza interna , con effetti esterni solo indiretti tranne le operazioni straordinarie della riduzione volontaria del capitale sociale, della fusione e della scissione, già considerate sub a , per cui l'ordinamento offre una specifica tutela ai creditori. 3.4 Nella formazione della volontà della persona giuridica mediante la delibera assembleare sussisterebbe una tensione dialettica tra il fatto che la delibera appartiene alla persona giuridica per imputazione organica - e perciò vanta un'efficacia obbligatoria ex art. 2377, comma 1, c.c. per tutti i soci - e il fatto che la formazione viene raggiunta attraverso il principio maggioritario, mediante i quorum costitutivi e deliberativi fissati dalla legge , così che l'unico atto di volontà si distacca da chi ha votato a favore di tale delibera. Una siffatta dicotomia contrasterebbe con i presupposti dell'azione revocatoria, dove esistono un autore dell'atto, cioè il debitore, e uno o più beneficiari, mentre per la delibera assembleare l'autrice è la società - persona giuridica solo in virtù della fictio iuris dell'imputazione organica -, per cui autori e beneficiari dell'atto più che coincidere si sovrappongono, in quanto gli autori materiali sono i soci votanti in senso favorevole, mentre beneficiari ne sono tutti i soci . Per i principi della maggioranza e dell'obbligatorietà di cui all' art. 2377, comma 1, c.c. ne deriverebbe allora una conseguenza quasi grottesca , nel senso che la delibera revocata dovrebbe essere dichiarata con sentenza inefficace sia verso chi l'ha adottata votando a favore se si dimostra la scientia damni e il consilium o partecipatio fraudis , sia verso tutti gli altri, persino chi abbia votato contro , essendo tutti i soci destinatari degli effetti della delibera a prescindere dagli stati cognitivi e psicologici individuali . 3.5 Tutto questo non sarebbe stato vagliato dalla corte territoriale, nonostante la relativa eccezione di inammissibilità dell'azione sollevata dagli odierni ricorrenti fin dal primo grado e riproposta in appello, e nonostante altresì che il secondo giudice avesse manifestato di aver chiari i termini giuridici del gravame, subito rilevando che la questione posta ha ad oggetto l'ammissibilità dell'azione revocatoria ordinaria della delibera straordinaria di modifica dello statuto sociale . Sul punto, il giudice d'appello si sarebbe però limitato ad una disamina dell' art. 2615 ter, comma 2, c.c. , per dedurne che tale norma, consentendo che l'atto costitutivo preveda l'obbligo dei soci di versare contributi in denaro, rende valide le clausole di ripianamento delle perdite, questione pacifica e in questa sede irrilevante nessuno avrebbe mai messo in dubbio la validità dell'art. 31.1 dello statuto, l'attore pauliano avendo piuttosto prospettato la modifica come il frutto di un'intenzione lesiva per i creditori sociali . Di qui l'errore di diritto della sentenza, per radicale sviamento dal percorso logico-giuridico corretto di soluzione del tema pregiudiziale posto con totale omissione di risposta al motivo d'appello, risposta che avrebbe dovuto consistere nel riconoscere la radicale inammissibilità dell'azione revocatoria di una delibera assembleare di modifica statutaria . 4. Con il secondo motivo si denuncia, in riferimento all' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 4, nullità della sentenza e del procedimento in relazione agli artt. 102 c.p.c. , 2901 c.c. e 66 L. Fall . nonché all'art. 2348 c.c., e violazione dell'integrità del contraddittorio-litisconsorzio necessario. Si premette che il primo motivo è assorbente, per cui il secondo va esaminato in subordine, cioè qualora si ritenga ammissibile l'azione ex artt. 2901 c.c. e 66 L. Fall . avverso la delibera assembleare di modifica dello statuto, per la quale non sia ammessa l'opposizione dei creditori o l'impugnativa di nullità . 4.1 Si osserva che sono litisconsorti necessari nell'azione revocatoria gli autori dell'atto, cioè il debitore-disponente e il terzo beneficiario e di recente Cass. 13593-2019 ha ribadito per l'azione pauliana il litisconsorzio necessario di creditore, debitore alienante e terzo acquirente, onde nel caso in cui il giudizio non sia stato introdotto nei confronti di tutte le parti necessarie o la sentenza sia stata impugnata solo avverso alcune di esse occorre integrare il contraddittorio verso le parti necessarie pretermesse. Pertanto, se si ritiene revocabile la modifica statutaria si dovrebbero identificare tali parti. Inoltre, qui l'azione nasce come revocatoria singolare ex art. 2901 c.c. , ma poi, dopo il subentro della curatela nella posizione degli attori, assume lo speculare connotato concorsuale attribuitole dall' art. 66 L. Fall . e la giurisprudenza di legittimità insegna che il curatore subentrante accetta la causa nello stato in cui si trova, e pure in appello è sufficiente che si costituisca dichiarando di far propria l'azione revocatoria per obbligare il giudice a pronunciare su di essa nei confronti dell'intera massa dei creditori. La peculiarità dell'azione ex art. 66 L. Fall . comporta che il convenuto, una volta fallito, si trasforma in attore mediante il curatore, ciò invertendo pure le difese e le conclusioni . Sarebbe pertanto inaccettabile che il giudice d'appello non abbia rilevata la questione della integrità del contraddittorio, la quale sarebbe pregiudiziale, al fine tanto di evidenziare l'esistenza di un litisconsorzio necessario, quanto di definirne il perimetro soggettivo . Sussisterebbe in effetti il litisconsorzio necessario, considerata l'imputazione di responsabilità dell'approvazione della delibera assembleare, che diverrebbe atto della società dopo aver raggiunto in assemblea il consenso della prescritta maggioranza del capitale sociale . E nel caso de quo, sopravvenuto il fallimento, proprio la curatela ha riassunto la causa ai sensi dell' art. 66 L. Fall ., replicando senza variazioni la domanda originariamente introdotta da due creditori della società consortile, così rendendo i soci litisconsorti necessari quali coautori e beneficiari . Legittimati passivi dell'azione revocatoria non potrebbero infatti essere che quelli che hanno agito e i beneficiari. Quanto a quelli che hanno agito, trattandosi di una revoca di delibera assembleare ricorrerebbe l'anomalia rappresentata da una sorta di duplice interversione soggettiva , perché da un canto l'ex convenuto fallito diventa attore il curatore , e dall'altro verrebbero a mancare gli autori dell'atto, visto che il curatore nega l'efficacia della modifica statutaria per accrescere in prospettiva l'attivo aggredibile a favore della massa creditoria . Riguardo poi ai beneficiari, trattandosi di revoca di una delibera modificante con efficacia reale lo statuto della società, dovrebbero convenirsi tutti i soci, per una non trascurabile esigenza di giustizia sostanziale , ma soprattutto per la necessaria parità di trattamento degli azionisti, ai sensi del combinato disposto della Cost., artt. 3 e 2348, commi primo e terzo, c.c. . Da tutto questo emergerebbe un radicale difetto di contraddittorio , per cui, se si superasse il primo motivo di ricorso ritenendo in astratto revocabile una delibera assembleare modificativa dello statuto, il contraddittorio instaurato nei precedenti gradi sarebbe insufficiente sul piano soggettivo , con conseguente nullità del processo fin dal primo grado. 4.2 Si potrebbe discutere se litisconsorti necessari siano tutti i soci - poiché per tutti vale la modifica statutaria - oppure, sul piano naturalistico o materiale , solo i soci che in assemblea hanno votato a favore della delibera ad avviso dei ricorrenti, dovrebbero chiamarsi nel contraddittorio processuale tutti i soci in quanto tutti i destinatari dell'efficacia dell'atto revocando ex art. 2377, comma 1, c.c. D'altronde, vista la natura collegiale dell'atto, non sarebbero individuabili né separabili le singole volontà dei soci che hanno votato e gli stati soggettivi con le informazioni e le motivazioni sottostanti al voto di ognuno di essi. Pertanto non si potrebbero imputare scientia damni e consilium fraudis alla società per la natura intrinseca dell'atto collegiale assembleare , essendole al più imputabili gli atti di gestione degli amministratori che abbiano rilevanza esterna. In alternativa si potrebbe ritenere che il contraddittorio processuale debba essere instaurato, nel rispetto dell' art. 102 c.p.c. , in una prospettiva naturalistica , cioè convenendo soltanto i soci che hanno votato favorevolmente alla delibera come suoi autori materiali. La delibera assembleare sarebbe infatti atto interno della persona giuridica che ne subirà poi gli effetti, ma in concreto sarebbe assunta dai soci con maggioranze qualificate previste dalla legge o dallo statuto. Questa riduzione del litisconsorzio necessario potrebbe giustificarsi con la necessità della prova dell'elemento soggettivo richiesto dall' art. 2901 c.c. , che certo investirebbe i soci presenti e votanti a favore della modifica statutaria. Il che peraltro non sarebbe mai stato perseguito davanti ai giudici di merito, pur essendo stata proposta la relativa eccezione in primo grado dagli odierni ricorrenti e comunque ciò sarebbe rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado in quanto attinente alla regolare costituzione del contraddittorio. 4.3 Invero sarebbe indispensabile accertare, nell'azione revocatoria ordinaria, ancorché esercitata in sede fallimentare, l'esistenza dei presupposti soggettivi di ordine cognitivo negli autori dell'atto revocando, essendo impossibile imputare alla società, quale persona giuridica, gli stati soggettivi e cognitivi riguardanti l'assunzione di delibere da parte del proprio organo assembleare . Il giudice d'appello, tuttavia, tace sull'accertamento dei presupposti soggettivi di revocabilità, dando quindi per scontato che sussistessero in capo agli attuali ricorrenti, con implicita e scorretta applicazione del principio di efficacia vincolante e generale verso i soci della delibera assembleare modificativa dello statuto art. 2377, comma 1, c.c. . Anche tale principio, però, esigerebbe l'applicazione del litisconsorzio necessario l'efficacia legale verso tutti i soci della delibera assembleare, derivata dalla natura collegiale della volontà espressa, dovrebbe valere pure sul piano processuale, imponendo, se non il rigetto della domanda per difetto di contraddittorio e violazione dell' art. 102 c.p.c. , almeno l'integrazione del contraddittorio stesso ex art. 107 c.p.c. , perché l'inefficacia di una delibera assembleare, ex lege vincolante per tutti i soci, deve essere pronunziata soltanto dopo aver convenuto in giudizio tutti i soci . La necessià del litisconsorzio emergerebbe fin dalla citazione originaria dei due creditori ex art. 2901 c.c. , perché il litisconsorzio si determina sulla base dei beneficiari o aventi causa dell'atto , ma si sarebbe definitivamente radicato una volta divenuta concorsuale l'azione ai sensi dell' art. 66 L. Fall ., per cui sarebbe inconcepibile che l'inefficacia dell'atto rimanga circoscritta solo ad alcuni, peraltro pochissimi, soci . 4.4 Infondata sarebbe poi la tesi degli originari creditori promotori dell'azione e fatta propria dalla curatela fallimentare, cioè che il creditore agente in forza dell' art. 2901 c.c. avrebbe il diritto di non convenire tutti i soci ma solo una parte di essi per ottenere la dichiarazione di inefficacia nei confronti di questi ultimi tesi contrastante, a tacer d'altro, con la natura della delibera statutaria, che inevitabilmente ha efficacia nei confronti di tutti i soci, onde nei confronti di tutti i soci dovrebbe essere revocata, se la revoca fosse ammissibile. La parziarietà avrebbe senso solo nell'azione surrogatoria, qui non promossa e oramai decaduta con il fallimento. 5. Con il terzo motivo si denuncia, in riferimento all' art. 360, comma 3, c.p.c. , violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2901 c.c. . Ancor più in subordine rispetto ai precedenti motivi, si lamenta un errore di diritto che si manifesterebbe in ordine alla carenza degli elementi probatori minimi a sostegno della decisione. 5.1 In termini di fatto sarebbe pacifico che gli attuali ricorrenti non avevano partecipazioni sufficienti per determinare la maggioranza necessaria ai fini dell'approvazione nell'assemblea del 27 ottobre 2009, coprendo soltanto il 4,20% del capitale sociale ed essendo una società consortile per azioni, il quorum deliberativo di seconda convocazione, come quella del 27 ottobre 2009 così risulta dal verbale assembleare a pagina 3, non essendo stato depositato lo statuto , sarebbe quanto meno quello dell' art. 2369, comma 3, c.c. , oltre cinque volte superiore alla quota degli attuali ricorrenti, e superiore altresì della somma totale delle azioni possedute da tutti i soci convenuti nel giudizio di primo grado. D'altronde la parte attrice non avrebbe dimostrato neppure che i ricorrenti avessero partecipato all'assemblea, in cui era presente soltanto il 67,11% del capitale. L'eventuale voto favorevole dei ricorrenti all'approvazione della delibera revocanda non avrebbe neanche potuto essere determinante. Ne consegue che non sarebbe stata mai provata in capo agli attuali ricorrenti la sussistenza degli stati soggettivi rilevanti per l'azione revocatoria, cioè scientia damni e consilium fraudis. 5.2 Se poi gli attuali ricorrenti fossero stati presenti di persona e non per delega, per scrupolo di completezza si rileva che non sarebbe loro imputabile lo stato soggettivo dell'eventuale delegato. Il relativo onere probatorio era degli attori, che non avrebbero nemmeno prodotto documenti oltre al bilancio del 31 dicembre 2009 e alcune dichiarazioni del Presidente dell'assemblea, estrapolate dal più ampio contesto e quindi distorte nel loro reale significato . D'altronde il bilancio, che in ogni caso si riferisce ad un esercizio chiuso due mesi dopo l'adozione della delibera , mostrerebbe un patrimonio netto al 31 dicembre 2009 ancora largamente positivo, da cui non sarebbe quindi possibile desumere né la consapevolezza di una prossima insolvenza né sospetti sulle modifiche dello statuto e per le dichiarazioni del Presidente dell'assemblea si rimanda al successivo motivo. 6. Con il quarto motivo si denuncia, ex art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 1236 e 1362 ss. c.c. . Sarebbe incorso in un errore giuridico il giudice d'appello accogliendo la tesi attorea nel senso che la modifica dell'art. 31.1 dello statuto sociale varrebbe come rinuncia ad un diritto di credito. 6.1 I verbale assembleare dimostrerebbe invece che l'intenzione all'interno della quale avvenne la modifica era molto più ampia, essendo il suo punto focale consentire, proprio per ripianare i debiti, la vendita dei moduli anche a non soci , disponendo in tal senso la modifica di ben sette articoli dello statuto la vendita dei moduli immobiliari del complesso anche a 9 non soci sarebbe stata proprio per far cassa e ripianare i debiti. Essendo l'attività di Omissis la gestione delle spese di funzionamento di due centri di attività orafa, in futuro la ripartizione degli oneri così sarebbe stata su base condominiale da tutti i proprietari di immobili, e non più consortile ai soli soci , per cui la modifica dell'art. 31.1 sarebbe stata consequenziale a quella dell'art. 6 dello statuto, come si evincerebbe dall'illustrazione a verbale del Presidente dell'assemblea. 6.2 Peraltro in sede di legittimità la questione sarebbe diversa e vertente sul significato giuridico oggettivo della norma statutaria prima e dopo la modifica . Il testo originario dello statuto non avrebbe previsto un diritto di credito surrogabile dai creditori sociali e la sua modifica non avrebbe apportato alcuna rinuncia, per la quale essenziale sarebbe stata l'efficacia estintiva del credito, che il testo modificato non includerebbe sostituendo al verbo rimborsano l'espressione possono deliberare il rimborso il nuovo dettato non avrebbe soppresso il diritto ma modificate le condizioni di esercizio del credito della società verso i soci , credito la cui nascita resta sempre subordinata all'approvazione del bilancio , rimanendo quindi un potere della società, necessitante di un'apposita ulteriore deliberazione per essere esercitato. Dunque, in via subordinata a tutti i precedenti motivi , si nega la lesione dei diritti dei creditori sociali poiché un'ingiustificata inerzia della società, approvato il bilancio e in presenza di perdite, nel deliberare la ripartizione delle perdite tra i soci pro quota rendeva comunque esercitabile l'azione surrogatoria dei creditori. Infatti, a partire da Cass. 11151-1995 , la giurisprudenza di legittimità afferma che e' immanente anche nei rapporti sociali il dovere di esecuzione del contratto secondo buona fede , il che, nel caso de quo, si sarebbe tradotto nel dovere dell'assemblea di deliberare, una volta approvato il bilancio annuale in perdita, pure il rimborso da parte dei soci delle perdite pro quota, in adempimento dello statuto e in difetto di tale delibera l'azione surrogatoria dei creditori sarebbe stata ancor più chiaramente esprimibile che secondo la previgente formulazione dell'art. 31.1, essendo facilmente verificabili dal Giudice entrambi i presupposti, ovvero la presenza di un bilancio di esercizio in perdita approvato fatto generativo e la susseguente mancata approvazione della delibera di ricorso alla facoltà dell'art. 31.1 dello statuto inadempimento . Quindi dovrebbe escludersi che la modifica statutaria abbia estinto il debito del socio verso la società. 7. Esaminando allora il primo motivo, per meglio comprenderlo è opportuno prendere le mosse dalla posizione interpretativa adottata dalla Corte d'appello di Napoli nell'impugnata sentenza per disattendere le analoghe censure presentate nel gravame. 7.1 Osserva la corte che, secondo la più attenta dottrina, nella fattispecie della società consortile si concretizza la commistione tra la struttura organizzativa propria di uno dei tipi societari e la funzione propria dei consorzi con attività esterna e, per quanto gli scopi consortili non trovino un'espressa enunciazione nell' art. 2602 c.c. , richiamato dall'art. 2615 ter comma 1, si ritiene che l'obiettivo tipico avuto di mira dai consorziati sia quello di trarre un vantaggio mutualistico, ossia un beneficio economico dipendente dalla fase del ciclo produttivo che gli imprenditori consorziati, anziché svolgere individualmente, affidano alla comune gestione consortile L'opzione, però, per la forma giuridica di società capitalistica, per azioni, come nella specie, implica la sottoposizione della relativa disciplina, dovendo, quindi, trovare applicazione le regole per essa dettate dal codice civile . Sin qui, nulla incide a favore della decisione assunta dal giudice d'appello non vi è stata infatti alcuna contestazione che la società consortile, nel caso in esame, sia disciplinata quale società per azioni, gli appellanti come gli attuali ricorrenti traendo al contrario argomenti proprio dalla natura del soggetto nei cui confronti, quale debitore, è stata - a loro avviso erroneamente - esercitata l'azione pauliana. Peraltro, è innegabile che nel contratto di società consortile ex art. 2615 ter c.c. stipulato da imprenditori il vantaggio mutualistico - rectius, reciproco, come è proprio di ogni contratto a prestazioni corrispettive - consiste in un beneficio economico per gli imprenditori che ne assumono il ruolo di soci consorziati, in quanto la organizzazione comune per la disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese indicata dall' art. 2602, comma 1, c.c. è strumento non meramente diretto a una facilitazione in sé, bensì organizzato e condiviso per ridurre specifici costi nell'attività di impresa. Nell'assoggettamento alle norme societarie non vi è dunque alcuna contrapposizione nei confronti di una tale ratio consortile norme societarie la cui specifica introduzione in questo meccanismo economico a priori di quello giuridico - come usualmente avviene ove c'e' impresa -, costituisce, naturalmente, anche tutela del rischio imprenditoriale. 7.2 A questo punto la corte territoriale mette in gioco il comma 2 dell' art. 2615 ter c.c. , che per la fattispecie di società consortile dispone In tal caso l'atto costitutivo può stabilire l'obbligo dei soci di versare contributi in denaro . Osserva la corte che ciò rappresenta un'eccezione rispetto alla disciplina societaria altrimenti applicabile, concedendosi da parte del legislatore all'autonomia statutaria dei soci di società consortili quel che non è concesso all'autonomia statutaria dei soci di società lucrative, in cui essi sono obbligati solo ai conferimenti iniziali e se i corrispettivi richiesti ai partecipanti in occasione dello scambio mutualistico dovessero rivelarsi insufficienti ex post si determinerà uno squilibrio per colmare il quale viene introdotto statutariamente l'obbligo contributivo che è finalizzato proprio al ripianamento del deficit della gestione mutualistica . Anche questo rilievo, tuttavia, non incide in realtà sulla tematica della presente causa, in quanto concerne uno specifico ma del tutto eventuale contenuto dell'atto costitutivo, mentre l'azione pauliana sarebbe, ad avviso del giudice d'appello, uno strumento generale ineludibile per impedire nei confronti dei creditori della società gli effetti pregiudizievoli di una posteriore modifica dello statuto sociale. Del raffronto/contrasto tra esterno ed interno dell'area giuridica in cui si muove una società - anche consortile - di capitali, che subito riemerge come nucleo del thema decidendum, è peraltro consapevole la corte territoriale, la quale subito dopo intende trattarlo nella modalità seguente Tuttavia l'assenza di responsabilità esterna dei partecipanti che caratterizza I società di capitali ed i consorzi con attività esterna non è compatibile con l'assunzione di una illimitata responsabilità interna quale deriverebbe ad es. da una clausola contributiva che imponesse al socio o al consorziato di versare all'ente qualsiasi somma gli fosse richiesta, attraverso una delibera assembleare o di cda una clausola di tal fatta non sarebbe compatibile con l'intento di limitazione del rischio, posto che il livello di responsabilità interna del socio non sarebbe in alcun modo predeterminato ed egli sarebbe pertanto sempre disposto ad un rischio illimitato sebbene nei confronti di un unico creditore ossia l'ente di appartenenza. La dottrina e la giurisprudenza prevalenti ritengono, quindi, legittima la clausola statutaria che commisuri l'entità dei contributi al totale delle perdite della gestione mutualistica in base ad un criterio oggettivo di partecipazione, in genere, e come nella specie avvenuto, sulla base del valore delle quote di partecipazione al capitale sociale e la Suprema Corte ha ritenuto legittima la clausola che rimetteva agli amministratori oppure all'assemblea la facoltà di porre a carico dei consorziati obblighi di ripianamento sempreché si tratti di perdite o costi imputabili al bilancio della società di guisa che l'obbligo del socio possa poi trovare nelle risultanze di quel bilancio la sua concreta determinazione Da quanto detto si ricava che solo ai fini della cogenza del debito contributivo e per la sua concreta determinazione sia necessario che deliberazione che lo sostituisca ma idonea a verificare la situazione finanziaria dell'ente, posto che l'obbligo sorge con la previsione statutaria . 7.3 La corte territoriale, in questo percorso, cade rispetto alla logica, prima ancora che al diritto, per un immediato inciampo dopo avere riconosciuto che l'assenza di responsabilità esterna dei partecipanti caratterizza le società di capitali ed i consorzi con attività esterna - il che, a ben guardare, è ontologicamente l'ostacolo sistemico che dovrebbe superarsi nel caso in esame per l'azione pauliana -, si proietta immediatamente su quel che nel caso in esame può rilevare soltanto se si apre appunto una breccia in tale barriera della responsabilità esterna, cioè sulla quantificazione della responsabilità dei soci rispetto alla perdita patita dalla società, pervenendo ad affermare che e ciò non è l'oggetto della discussione detto quantum deve determinarsi mediante un bilancio debitamente approvato oppure mediante una delibera che sostituisca il bilancio ma sia comunque idonea a verificare la situazione finanziaria dell'ente , cioè idonea a raggiungere tale determinazione. E allora, il giudice d'appello si dedica non all'an, nel senso della proponibilità dell'azione pauliana - che così come formulata toglierebbe lo schermo ai soci, è questo il punto -, bensì al quantum, ovvero al portato recuperatorio del suo esercizio, rendendo apoditticamente risolta in esito positivo, appunto, la questione della proponibilità dell'azione avverso una delibera interna di modifica dello statuto, in quanto sull'azione, cioè formalmente sul rapporto della società consortile con suoi creditori che raggiunga un livello di concreta esigenza di tutela dei creditori, viene in sostanza a trasferire - con automatismo - il rapporto interno della società con i soci. Afferma infatti che la previsione dell'obbligo contributivo statutario unitamente alla emersione di perdite nell'esercizio sociale, già pacificamente verificatesi alla data della delibera statutaria , aveva sicuramente determinato l'insorgenza nel patrimonio della società di una posizione creditoria avente ad oggetto gli obblighi dei soci al ripianamento delle perdite, nella concreta misura indicata in bilancio La delibera di modifica statutaria si e', quindi, effettivamente sostanziata in una rinuncia da parte della società ai crediti già sorti come confermerà il bilancio al 2009 approvato di lì a pochi mesi che quantificava poi le perdite verso i soci debitori e quindi il quantum dei relativi crediti, che consente di affermare la sussistenza dell'eventus damni. Dunque, la corte territoriale compie un salto logico prima di accertare - e con un'adeguata motivazione spiegare - la giuridica proponibilità dell'azione pauliana, ne accerta direttamente i requisiti sotto il profilo fattuale. 7.4 II giudice d'appello probabilmente coltiva, tuttavia, pure qualche dubbio, perché riapre subito dopo la questione, pur con un incipit che preventivamente enuncia la conferma della proponibilità dell'azione pauliana appena ammessa Il discorso non cambia qualora si accedesse alla prospettazione della difesa appellante secondo cui con la modifica statutaria in esame, comportando il passaggio da un regime di responsabilità dei soci per le perdite sociali, in proporzione delle rispettive quote sociali, ad un regime di irresponsabilità dei soci delle perdite sociali e, quindi, ad una modifica strutturale da società consortile, avente causa mutualistica, ad una società capitalistica, avente causa lucrativa, dovrebbe inquadrarsi come trasformazione eterogenea con conseguente applicabilità del relativo regime di disciplina cg tutela dei creditori sociali che assumono di essere pregiudicati dalla trasformazione, attraverso la previsione del diritto di proporre opposizione ai sensi dell' art. 2500 novies c.c. . Difatti anche nel caso di trasformazione eterogenea di società, che ha avuto il proprio riconoscimento legislativo con la riforma societaria, essendosi sostituita, nell'intitolazione dell' art. 2498 c.c. , formulazione post-riforma del 2003, la locuzione più ampia Della trasformazione a quella precedente Della trasformazione della società , con ciò riferendosi non più solo alla società ma in generale all'ente trasformato, è stato ribadito l'effetto conservativo dell'istituto ossia la conservazione in capo alla società trasformata dei diritti e degli obblighi anteriori alla trasformazione che pertanto, anche a seguito della trasformazione, vanno senz'altro riconosciuti in capo alla società. Il diverso rimedio dell'opposizione dei crediti non si attaglia, poi, al tipo di tutela azionata nel presente giudizio, finalizzata alla conservazione della garanzia patrimoniale generica del debitore a fronte della sostanziale rinuncia della società creditrice ad un'utilità economica già maturata al 2009 ed evitare, quindi, la fuoriuscita dal patrimonio di detta utilità e il suo depauperamento in danno dei creditori, e non anche alla contestazione della trasformazione societaria in sé considerata . A prescindere dalla non limpida strutturazione del primo periodo riportato, è sufficiente rilevare che questa ulteriore argomentazione ictu oculi non è pertinente rispetto alla questione della proponibilità dell'azione pauliana avverso una delibera di modifica statutaria di una società consortile di capitali. Non è infatti sostenibile che la modifica della clausola statutaria 31.1 integrò una trasformazione complessiva dell'ente, anziché diversamente calibrare un elemento già presente nello statuto per la legge comunque non necessario, non essendo infatti un elemento costitutivo della species dell'ente, bensì una sua eventualità, per quanto specifica - ut supra già si è rilevato a proposito del testo dell' art. 2615 ter, comma 2, c.c. -. 7.5 La motivazione della sentenza impugnata altro poi non aggiunge sul problema della compatibilità dell'azione pauliana con la fattispecie in esame, spendendo, per concluderli-, soltanto alcuni rilievi di natura fattuale in ordine alla sussistenza della scientia damni in capo ai soci debitori all'atto della modifica statutaria . 8.1 Nel complesso, dunque, la corte territoriale, pur avendola almeno in parte percepita, ha schivato la questione della proponibilità dell'azione pauliana avverso la delibera della società debitrice di modifica statutaria, e pertanto la strettamente connessa questione della natura endosocietaria di una delibera modificativa di una clausola dello statuto di una società per azioni consortile ed è l'incompatibilità di un atto endosocietario rispetto a una doglianza pauliana il fondamento su cui si basa il primo motivo del ricorso il cui contenuto non è certo un novum unitamente, appunto, all'attribuzione di natura pienamente ed esclusivamente endosocietaria alla suddetta delibera. L' art. 2901 c.c. detta le condizioni perché il creditore possa domandare che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio con i quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni . Tuttavia, la questione così non si arresta, in quanto risiede pure nel chiarire come tale norma generale venga a sintonizzarsi - il che usualmente significa anche delimitarsi, ciò essendo la logica regola della compresenza, del contesto - con la specificità soggettiva del debitore quando questi non è dotato di una soggettività naturale quale persona fisica, bensì fruisce di una soggettività normativamente istituita quale ente giuridicamente posto in essere, in toto inesistente, per così dire, prima del diritto. 8.2 Nel caso in esame, infatti, la debitrice che avrebbe compiuto un atto dispositivo arrecante pregiudizio alle ragioni del creditore che ha inteso esercitare l'azione pauliana è una società consortile per azioni questa è in seguito fallita, ma ciò non rileva nella presente fattispecie, essendo sopravvenuto un mero subentro dal lato attoreo in capo al curatore che non incide quindi sull'atto oggetto dell'azione pauliana, atto di cui si deve accertare, invero, la natura dispositiva ai fini dell' art. 2901 c.c. in misura di compatibilità con la natura del soggetto che lo ha compiuto appunto - giacché si tratta di revocatoria ordinaria - prima del fallimento. La società, qui consortile, di capitali come già si accennava è un caso tipico di soggetto giuridicamente artificiale il suo funzionamento, pertanto, cioè la formazione della sua volontà giuridica sia verso i suoi soci, sia verso l'esterno , non può non essere determinato, nella sua modalità basilare, dal legislatore che lo ha costruito come persona pienamente esistente ai fini giuridici nel contesto ordinamentale. Ciò si rinviene sine dubio nella normativa codicistica, giacché la società come soggetto distinto dalla persona fisica di cui pur condivide lo spazio attivo nel sistema è tradizionalmente percepita quale fictio juris che deve essere strutturata dal legislatore come autore della fictio stessa per quanto concerne l'apporto e l'ambito delle norme imperative - quelle strutturali, appunto -, rimettendo naturalmente a chi stipula il contratto sociale la facoltà di completare, laddove l'autonomia negoziale permane come accade in tutti i tipi negoziali, pur avendo il presente tipo la peculiarità di introdurre nella realtà giuridica un soggetto al di fuori di essa inesistente , la forma e l'attività dell'ente artificiale il che si realizza, alla base, nello statuto della società, ma poi prosegue nel governo interno della stessa. In quest'ultimo modo si integra quel che giuridicamente rileva ma nell'ambito endosocietario, e che è necessario proprio perché l'ente concretizzi una sua volontà che potrà poi, se a ciò è diretto il contenuto, ridondare all'esterno, e dunque assimilarsi alla volontà della persona fisica nel rapportarsi con altri soggetti diversi dai suoi soci - così pienamente emergendo che, in effetti, non si è propriamente dinanzi a una fictio, bensì alla costruzione di una entità reale, pur se tale realtà risiede solo nell'ambito giuridico -. Le volontà manifestate dai soci in sede endosocietaria mediante gli appositi organi costituiscono i componenti di un motore che consente alla società di compiere atti giuridici incidenti all'esterno di sé stessa. Tuttavia, questa funzionalità esterna che le norme giuridiche connettono alla soggettività artificiosa dell'ente trova limite proprio nell'ambito endosocietario in sé, ovvero in quel che dimostra proprio l'ontologico confine del soggetto in quanto manovrato dalle volontà maggioritarie di altri soggetti - i soci - che lo utilizzano per schermare sé stessi nell'attività giuridica esterna. 8.3 La personalità giuridica quantomeno nel settore privato, che trova pienezza nella società di capitali tanto che per questa è attualmente consentita pure la società unipersonale , è stata originariamente percepita - e dunque in tal senso finalizzata - appunto come schermo per le persone fisiche che con il contratto societario la istituiscono, così da perimetrare le dimensioni del rischio assunto, disinnescando l'istituto della garanzia patrimoniale generale presidiato in primis, a prescindere dagli strumenti cautelari - ontologicamente differenti nel gioco processuale -, proprio dall'azione pauliana cfr., p. es., Cass. sez. 6-3, ord. 22 gennaio 2020 n. 1414 e Cass. sez. 3, 16 marzo 2010 n. 6321 mediante una propria desoggettivizzazione, e facendo confluire, invece, soggettività e corrispondente responsabilità patrimoniale in una entità giuridicamente fabbricata, sulla base di evidenti radici economiche. Non a caso, in vari ordinamenti giuridici la società di capitali viene definita società anonima , espressione significativamente utilizzata in passato anche nell'ordinamento giuridico italiano sia nel Codice del Commercio del 1865 sia nel Codice del Commercio del 1882 , così oggettivamente evidenziando, più che la caratteristica dell'artificiale soggetto di diritto, la condizione assunta da chi lo costituisce. Naturalmente, il legislatore al contempo consente e limita. E' ben noto, infatti, che il diritto privato, e soprattutto quello attinente ai negozi giuridici, persegue sempre il bilanciamento di interessi diversi, diversi essendo i soggetti coinvolti nei fatti e nelle attività giuridicamente rilevanti. 8.4 Quel che pone in essere la società nel suo ambito interno, e che dunque appartiene alla sua attività endosocietaria, come rileva il motivo in esame, è oggetto di una specifica struttura di tutela normativa, che mira all'equilibrio tra la permanenza dello schermo giuridico che costituisce interesse dei soci e la corretta condotta del soggetto artificiale che, oltre a costituire ancora interesse dei soci, costituisce interesse pure dei suoi creditori. La soggettività artificiale, nella disciplina che la governa, non può pertanto essere plasmata e interpretata solo dal versante dell'interesse dei creditori, ma, proprio per la sua - originaria e mai abbandonata - natura, anche da quello dell'interesse di chi si è schermato appunto dietro la persona giuridica rappresentata dalla società di capitali, dovendosi in tal modo pervenire ad un equilibrio specifico. Il che, logicamente, vale anche per identificare l'atto dispositivo che giustifichi l'esercizio dell'azione pauliana, non potendosi certo negare in assoluto la proponibilità della tipica azione di tutela creditoria pure nei confronti di una società di capitali. Si torna, così, dopo avere identificato la ratio e la conseguente configurazione della personalità giuridica di tale società, a interrogarsi se, alla luce di questo inquadramento, sussista nel caso in esame un atto dispositivo ai fini dell' art. 2901 c.c. . 8.5 E' stata indicata nell'azione pauliana de qua come atto dispositivo la delibera dell'assemblea straordinaria del 27 ottobre 2009 di Omissis s. c.p.a . che ha modificato, come sopra si è visto, l'art. 31.1 dello statuto della società, il quale nell'originale testo obbligava i soci a rimborsare annualmente, proporzionalmente alle rispettive quote di partecipazione al capitale, le spese del suo funzionamento nella misura in cui queste superino l'ammontare dei ricavi/proventi di competenza dell'esercizio medesimo in modo che l'esercizio si chiuda senza perdite , ed è stato mutato nel senso che i partecipanti possono deliberare in assemblea di rimborsare annualmente alla società proporzionalmente alle rispettive quote di partecipazione al capitale . La parte attrice aveva prospettato - come rileva il giudice d'appello - che ciò costituisse una rinuncia della società consortile al proprio diritto al ribaltamento nei confronti dei soci, nei confronti dei quali tuttavia era maturato il credito, almeno fino alla modifica statutaria impugnata , rinuncia integrante un atto di disposizione a titolo gratuito riduttivo della garanzia generica dei creditori. Il quesito che si presenta è se la modifica di una clausola dello statuto abbia natura - anche - esterna perché sprigiona - anche - effetti esterni, e non costituisca dunque un atto endosocietario, rectius, soltanto un atto endosocietario. Invero, logicamente prima ancora che giuridicamente, se un atto è endosocietario non può, proprio per la sua natura interna che si fonda sulla finalità/essenza di schermo del soggetto artificiale e consente ai soggetti schermati di governarlo, essere oggetto di attacco da soggetti diversi da quelli schermati se non nei limiti specifici, e dunque nelle fattispecie specifiche, che il legislatore prevede come eccezione affinché la personalità giuridica non venga svuotata e resa priva di effetti - id est, il relativo contratto sia deprivato da interesse/causa -, e il rapporto tra il creditore formalmente della società e i soci ritorni immediato e diretto come se la società non esistesse. Peraltro, se l'azione pauliana è esperibile avverso una società di capitali in relazione ad un atto esterno, ciò esclude che sia esperibile in relazione ad un atto endosocietario, proprio perché questo è l'aliud rispetto a quello attaccabile, se si riconosce - come non può non essere - la sussistenza funzionale di una personalità giuridica. La dialettica funzionale interno/esterno sfocia dunque nella esclusione della proponibilità dell'azione pauliana avverso un atto endosocietario. Diversamente, la personalità giuridica sarebbe tamquam non esset. 8.6 La tutela, radicalmente specifica per la sua ratio di controbilanciamento, che il codice civile peraltro garantisce anche ai terzi - e dunque anche ai creditori - rispetto alle attività sociali interne è stata correttamente evidenziata dai ricorrenti ripartendola in tre forme distinte, come sopra si è già riportato sub 3.2 e a ciò pertanto si rimanda. Va ulteriormente osservato che l'azione pauliana avverso la delibera modificante una clausola dello statuto, se non trovasse - come invece trova - ostacolo nel funzionamento della soggettività artificiale che chiude all'esterno gli atti endosocietari salvi appunto gli specifici istituti di controbilanciamento, non sarebbe sorretta da interesse perché la clausola modificata, a ben guardare, non esplica di per sé alcun effetto, esattamente come il suo testo precedente, occorrendo sempre quale presupposto l'approvazione del bilancio per il relativo esercizio, e dunque non potendosi già qualificare la delibera come rinuncia a un diritto - non ancora insorto -, id est come atto dispositivo pregiudizievole verso i creditori. La sua natura, invero, è radicalmente insita nella gestione interna, per cui non solo non può venire in gioco per impugnarla un'azione pauliana - l'azione dell'esterno, si può ben dire, perché correlata alla garanzia patrimoniale ex art. 2740 c.c. , ovvero all'esito della gestione sociale - ma inevitabile è l'attrazione alle tutele specifiche di cui si è appena detto come richiamate nel motivo in esame, che presidiano proprio anche la correttezza delle modalità di attivazione interna di un soggetto artificialmente dotato di personalità giuridica, tenendo in conto un esempio significativo ne è la dimensione prescrizionale, che condivisibilmente i ricorrenti sottolineano incompatibile con l'istituto regolato dall' art. 2903 c.c. tutti i suscettibili interessi - laddove l'azione pauliana ictu oculi ontologicamente costituisce la concretizzazione dell'interesse creditorio, per di più integrando parzialmente, pur nella sua cognizione formalmente piena, un ibrido con gli istituti cautelari perché tutela mere ragioni di credito e non i crediti certi -. 9. Si deve pertanto affermare il principio di diritto per cui l'azione pauliana di cui agli artt. 2901 ss. c.c. non può essere esercitata nei confronti di atti endosocietari posti in essere da società di capitali, anche consortili, rappresentati da delibere modificative dello statuto, tali atti non avendo effetti esterni in termini di incidenza sulla garanzia patrimoniale generale, bensì essendo compiuti unicamente per la gestione dell'attività del soggetto giuridico, e sussistendo d'altronde nella normativa societaria strumenti specifici che ne presidiano la legittimità, mentre l'azione pauliana è comunque esercitabile nei confronti degli atti esterni delle suddette società giuridicamente personalizzate. Il primo motivo del ricorso risulta quindi fondato, e ciò conduce all'assorbimento delle ulteriori censure. Dall'accoglimento di tale motivo deriva altresì, visto l' art. 384, comma 2, c.p.c. e non occorrendo ulteriori accertamenti di fatto, oltre alla cassazione della sentenza il rigetto della domanda proposta ex art. 2901 c.c. oggetto del presente giudizio, ad ogni effetto di legge. La peculiarità della fattispecie, priva di precedenti sufficientemente specifici, giustifica la compensazione delle spese processuali di tutti i gradi del giudizio. P.Q.M. Accoglie il primo motivo del ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, rigetta la domanda attorea di cui all 'art. 2901 c.c ., compensando le spese processuali di tutti i gradi di giudizio di merito e del giudizio di cassazione.