Auto in sosta blocca le vetture degli invitati al matrimonio: legittima la condanna a risarcire il ristorante

Nessuna giustificazione per la condotta tenuta da una donna, condotta che ha, in sostanza, obbligato gli invitati a un matrimonio ad arrivare a piedi al ristorante. Per i giudici ci si trova di fronte ad un episodio catalogabile come violenza privata.

Vale non solo una censura morale ma anche una condanna a pagare un adeguato risarcimento la condotta inurbana che ha arrecato disagio ai clienti di un ristorante . A certificarlo è la vicenda, conclusasi in Cassazione, che ha visto contrapposti una donna e i gestori di una struttura utilizzata come location per ricevimenti nuziali. A finire sotto accusa è una donna che con la propria vettura in sosta ha arrecato non pochi problemi ai clienti del ristorante destinato ad ospitare il ricevimento nuziale a cui essi erano stati invitati. Per i giudici di merito i dettagli dell'episodio sono inequivocabili la donna si è resa volutamente colpevole di una condotta catalogabile come violenza privata . E ciò significa che ella deve provvedere a risarcire i danni arrecati ai gestori del ristorante. Accolta la tesi proposta dalla società a cui è stata data in gestione la struttura. In sostanza, la società ha premesso di condurre in locazione un immobile in cui svolge l'attività di ristorazione in occasione di cerimonie e ha precisato che all'immobile è possibile accedere solo attraverso una strada molto stretta . Ebbene, nel luglio del 2014, in occasione di una festa di nozze, la donna sotto accusa ha lasciato deliberatamente un proprio autoveicolo in sosta sulla strada di accesso all'immobile e lo ha posizionato in modo tale da impedire ai clienti della società di raggiungere in auto il luogo della cerimonia . Così facendo, la donna ha costretto i partecipanti alla cerimonia percorrere un tratto di strada a piedi, con disagi e danno all'immagine della società , hanno riconosciuto i giudici di merito. In sostanza, dalle prove testimoniali e dalle foto è emerso, secondo i giudici d'Appello, il dolo nella condotta tenuta dalla donna, che volutamente e callidamente ha parcheggiato la propria automobile in modo da impedire ai partecipanti alla festa di nozze di arrivare con mezzi a motore fino all'ingresso del luogo di destinazione . Inutile il ricorso proposto in Cassazione dalla donna, che, difatti, vede confermato l'obbligo di risarcire i danni arrecati nel luglio del 2014 alla società che gestisce il ristorante. Secondo i magistrati non vi sono, difatti, i presupposti per mettere in discussione il pronunciamento d'Appello. In particolare, viene respinta la tesi difensiva secondo cui vi è stato il concorso di colpa della società, che , secondo la donna, avrebbe potuto evitare il danno se la sua rappresentante legale ed il di lei padre avessero tenuto un comportamento educato, corretto, oltre che consono ed adeguato al contesto .Su questo tema i giudici osservano, innanzitutto, che, secondo la donna, alla causazione del danno ha concorso la condotta di due persone fisiche ma, in realtà, il danno oggetto del contendere è stato richiesto da una società commerciale, e il concorso di colpa è soltanto quello che proviene dalla parte danneggiata, e non da terze persone , e non rileva, aggiungono i giudici, che i soggetti terzi cui la donna intendeva addebitare un concorso di colpa fossero rappresentanti della società danneggiata poiché l'imputazione delle loro condotte alla società può dipendere solo dalla spendita del nome, che, in questo caso, non risulta avvenuta . Per fare definitivamente chiarezza, infine, i giudici di Cassazione precisano non ha riscontro nell'ordinamento il principio proposto dalla donna, principio secondo cui sarebbe consentito danneggiare il prossimo per reagire a sue condotte maleducate . Su questo punto i magistrati ribadiscono che il concorso di colpa non è applicabile nell'ipotesi di provocazione da parte della persona offesa del reato , in quanto la determinazione dell'autore del delitto, di tenere la condotta illecita che colpisce la persona offesa, costituisce causa autonoma del danno, non potendo ritenersi che la consecuzione del delitto al fatto della provocazione esprima una connessione rispondente ad un principio di regolarità causale .

Presidente Scoditti – Relatore Rossetti Fatti di causa 1. La società S. s.r.l. nel 2014 convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Genova B.M. , chiedendone la condanna al risarcimento del danno. A fondamento della domanda dedusse - di condurre in locazione un immobile nel quale svolgeva l'attività di ristorazione in occasione di cerimonie - al suddetto immobile era possibile accedere solo attraverso una strada molto stretta - il omissis , in occasione di una festa di nozze, B.M. lasciò deliberatamente un proprio autoveicolo in sosta su quella strada, posizionato in modo tale da impedire ai clienti della società attrice di raggiungere in auto il luogo della cerimonia ciò costrinse i partecipanti a percorrere un tratto di strada a piedi, con disagi e danno all'immagine della S La convenuta si costituì e chiese il rigetto della domanda. 2. Con sentenza 30 gennaio 2017 n. 271 il Tribunale di Genova accolse la domanda. Il Tribunale ritenne che la condotta di B.M. integrava gli estremi del reato di cui all' art. 610 codice penale , e la obbligava perciò al risarcimento del danno. La sentenza venne appellata dalla parte soccombente. 3. Con sentenza 28 gennaio 2021 n. 90 la Corte d'appello di Genova rigettò il gravame. La Corte d'appello ritenne che dalle prove testimoniali e dalle fotografie allegate agli atti emergeva il dolo emulativo di B.M. , che volutamente e callidamente parcheggiò la propria automobile in modo da impedire ai partecipanti alla festa di nozze di arrivare con mezzi a motore fino all'ingresso del luogo di destinazione. 4. La sentenza d'appello è stata impugnata per cassazione da B.M. con ricorso fondato su quattro motivi ed illustrato da memoria. La S. s.r.l. ha resistito con controricorso illustrato da memoria. Ragioni della decisione 1. Col primo motivo la ricorrente lamenta la mancanza di motivazione sotto il profilo dell'illogicità e dell'omessa pronuncia , nonché la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. . Deduce che erroneamente la Corte d'appello ha ritenuto che, in conseguenza della condotta di B.M. , il transito sulla strada di accesso all'immobile condotto in locazione dalla S. rimase impedito per due ore. Sostiene che non esisteva nessuna prova in tal senso che il giudice di merito aveva malamente valutato l'attendibilità dei testimoni che pertanto doveva ritenersi non assolto dalla società attrice l'onere della prova. 1.1. Il motivo è manifestamente inammissibile perché censura la valutazione delle prove e la ricostruzione dei fatti. Ma una censura di questo tipo cozza contro il consolidato e pluridecennale orientamento di questa Corte, secondo cui non è consentita in sede di legittimità una valutazione delle prove ulteriore e diversa rispetto a quella compiuta dal giudice di merito, a nulla rilevando che quelle prove potessero essere valutate anche in modo differente rispetto a quanto ritenuto dal giudice di merito ex permultis, Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010 , Rv. 612747 Sez. 3, Sentenza n. 13954 del 14/06/2007 , Rv. 598004 Sez. L, Sentenza n. 12052 del 23/05/2007 , Rv. 597230 Sez. 1, Sentenza n. 7972 del 30/03/2007 , Rv. 596019 Sez. 1, Sentenza n. 5274 del 07/03/2007 , Rv. 595448 Sez. L, Sentenza n. 2577 del 06/02/2007 , Rv. 594677 Sez. L, Sentenza n. 27197 del 20/12/2006 , Rv. 594021 Sez. 1, Sentenza n. 14267 del 20/06/2006 , Rv. 589557 Sez. L, Sentenza n. 12446 del 25/05/2006 , Rv. 589229 Sez. 3, Sentenza n. 9368 del 21/04/2006 , Rv. 588706 Sez. L, Sentenza n. 9233 del 20/04/2006 , Rv. 588486 Sez. L, Sentenza n. 3881 del 22/02/2006 , Rv. 587214 e così via, sino a risalire a Sez. 3, Sentenza n. 1674 del 22/06/1963, Rv. 262523, la quale affermò il principio in esame, poi ritenuto per sessant'anni e cioè che la valutazione e la interpretazione delle prove in senso difforme da quello sostenuto dalla parte è incensurabile in Cassazione . 1.2. Alcun pregio possono avere le contrarie deduzioni svolte dalla ricorrente nella memoria ex art. 380 bis c.p.c. , in quanto - lo stabilire se su una strada sia o non sia impedito il transito, così come lo stabilire se un testimone sia o non sia attendibile sono accertamenti di fatto, e non valutazioni in punto di diritto - la motivazione di una sentenza può essere sindacata da questa Corte solo in due casi o quando manchi del tutto sinanche come segno grafico , o quando sia totalmente incomprensibile. Per contro, l'omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l'omesso esame circa un fatto decisivo previsto dall' art. 360 c.p.c. , n. 5 così Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 , Rv. 629830 Nel caso di specie la motivazione della sentenza impugnata non è graficamente mancante, e tanto meno può dirsi incomprensibile . 2. Col secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1226, 2043 e 2697 c.c. , oltre che degli artt. 115 e 116 c.p.c. Il motivo investe la sentenza d'appello nella parte in cui ha ritenuto corretta la liquidazione del danno compiuta dal Tribunale. L'illustrazione del motivo è composta in larga parte dalla trascrizione integrale dell'atto d'appello, nel quale l'appellante passa in rassegna le fatture depositate dalla controparte per sostenere che esse non dimostravano affatto l'esistenza di un danno patrimoniale. 2.1. Il motivo è manifestamente inammissibile per le medesime ragioni per cui è inammissibile il primo motivo. Stabilire, infatti, se una certa condotta abbia causato un determinato danno, e quale sia l'ammontare di questo, sono tipici apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito e non sindacabili in sede di legittimità. 3. Col terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1226, 2043, 2059, 2697 e 2729 c.c. , nonché dell' art. 610 del codice penale . La censura investe la sentenza d'appello nella parte in cui ha ritenuto corretta la liquidazione del danno non patrimoniale compiuta dal Tribunale. Nell'illustrazione del motivo si deduce che erroneamente la Corte d'appello ha ritenuto sussistente il reato di cui all' art. 610 codice penale che avrebbe sbrigativamente liquidato le contestazioni formulate su questo punto con l'atto d'appello che nessun danno all'immagine poteva ritenersi patito dalla società attrice. 3.1. Anche questo motivo è inammissibile al pari dei primi due, perché censura la ricostruzione dei fatti e la valutazione delle prove. 4. Col quarto motivo la ricorrente prospetta il vizio di omessa pronuncia. Sostiene di avere formulato in grado di appello un motivo di gravame col quale lamentava la violazione, da parte del Tribunale, dell'art. 1227 c.c Nella illustrazione del motivo si deduce che in primo grado B. aveva eccepito il concorso di colpa della società S., allegando che questa avrebbe potuto evitare il danno se la sua rappresentante legale, M.C. , ed il di lei padre, M.G. , avessero tenuto un comportamento educato, corretto, oltre che consono ed adeguato al contesto . Sostiene che il Tribunale aveva rigettato tale eccezione con motivazione insufficiente che tale statuizione era stata impugnata che tale motivo di gravame non era stato esaminato dalla Corte d'appello. 4.1. Il vizio di omessa pronuncia esiste, ma esso non comporta la necessità di cassare la sentenza impugnata. Infatti, in applicazione del principio di ragionevole durata del processo, una volta verificata l'omessa pronuncia su un motivo di gravame questa Corte può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito, se la questione di diritto posta con quel motivo risulti infondata e non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto ex multis, Sez. 5 -, Ordinanza n. 9693 del 19/04/2018 , Rv. 647716 - 01 Sez. 5 -, Sentenza n. 16171 del 28/06/2017 , Rv. 644892 - 01 Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 21257 del 08/10/2014 , Rv. 632915 - 01 . 4.2. Nel caso di specie, il motivo di appello con cui B.M. prospettò il concorso di colpa della S. s.r.l. nella causazione del danno era manifestamente infondato in diritto. Ciò per due ragioni. In primo luogo, in quanto a fondamento di quell'eccezione B.M. dedusse che alla causazione del danno aveva concorso la condotta di due persone fisiche. Ma il danno oggetto del contendere è stato richiesto da una società commerciale, e il concorso di colpa di cui all' art. 1227 c.c. è soltanto quello che proviene dalla parte danneggiata, e non da terzi. Nè rileva che i terzi cui la ricorrente intendeva addebitare un concorso di colpa fossero rappresentanti della società danneggiata, dal momento che l'imputazione delle loro condotte alla società può dipendere solo dalla spendita del nome, che nella specie non risulta avvenuta. In secondo luogo, il motivo di appello del cui omesso esame B.M. si duole sarebbe stato manifestamente infondato in quanto con esso l'appellante odierna ricorrente intese sostenere un principio che non ha riscontro nell'ordinamento quello secondo cui sarebbe consentito danneggiare il prossimo, per reagire a condotte maleducate . Ma questa Corte sul punto ha più volte affermato che l' art. 1227 c.c. non è applicabile nell'ipotesi di provocazione da parte della persona offesa del reato, in quanto la determinazione dell'autore del delitto, di tenere la condotta illecita che colpisce la persona offesa, costituisce causa autonoma del danno, non potendo ritenersi che la consecuzione del delitto al fatto della provocazione esprima una connessione rispondente ad un principio di regolarità causale ex plurimis, Sez. 3, sentenza n. 5679 del 23/03/2016 , Rv. 639388 - 01 Sez. 3, Sentenza n. 20137 del 18/10/2005 , Rv. 585230 - 01 Sez. 3, Sentenza n. 9209 del 30/08/1995 , Rv. 493829 - 01 . 5. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza, ai sensi dell' art. 385, comma 1, c.p.c. , e sono liquidate nel dispositivo. Ritiene il Collegio che il ricorso, pur potendosi ritenere che sia stato proposto con colpa, non attinga gli estremi della colpa grave o del dolo, per i fini di cui all' art. 96 c.p.c. , e che di conseguenza non possa accogliersi la domanda di condanna formulata dalla S. ai sensi della norma ora richiamata. P.Q.M. - rigetta il ricorso - condanna B.M. alla rifusione in favore di S. s.r.l. delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 3.400, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex D.M. n. 10.3.2014 n. 55, art. 2 , comma 2 - ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 , comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.