Reati tributari: le informazioni fiscali della Convenzione OCSE sono utilizzabili anche in sede penale?

Le informazioni fiscali scambiate tra i paesi aderenti alla Convenzione OCSE volta a disciplinare la cooperazione amministrativa in materia di accertamento e riscossione delle imposte possono essere utilizzate anche in sede penale? E poi, è necessaria un’eventuale autorizzazione del paese da cui le informazioni provengono? Risponde la Corte di Cassazione.

L'Italia ha aderito alla Convenzione OCSE sulla reciproca assistenza in materia tributaria , la quale ha la finalità di individuare e disciplinare forme di cooperazione amministrativa tra gli Stati in materia di accertamento e riscossione delle imposte, ciò al fine di evitare la doppia imposizione e di contrastare elusione ed evasione fiscale. In ragione di ciò, l'art. 26 Mod. OCSE prevede che le Autorità competenti degli Stati contraenti possano scambiarsi informazioni prevedibilmente rilevanti” utili a dare esecuzione alla Convezione. Su tali informazioni è previsto un obbligo di confidenzialità e pertanto devono essere tenute segrete nello Stato ricevente. L'aggiornamento della norma approvato dal Consiglio dell'OCSE il 17 luglio 2012 ha previsto che, in deroga a ciò, le informazioni siano utilizzabili per altri scopi quando ciò è consentito in base alle leggi di entrambi gli Stati e l'autorità competente dello Stato che le fornisce autorizza tale utilizzo. Nel caso in commento, giunto fino ai Giudici della Suprema Corte, il ricorrente, condannato per il delitto di cui agli art. 81 cpv c.p. e art. 10 d. lgs. n. 74/2000 , lamentava come la Corte d'appello avesse incorrettamente rigettato l'eccezione di utilizzabilità dei dati acquisiti dalla Svizzera e dall'Inghilterra, che avrebbe a suo parere richiesto una rogatoria internazionale per essere utilizzati in sede penale . Secondo la Cassazione però, una volta accertato il piano esclusivamente amministrativo in corso ad opera dell'autorità richiedente, ciò che la stessa ottiene diviene parte del procedimento stesso e assume la veste di un documento utilizzabile a fini istruttori, accertativi e sanzionatori fiscali. Una volta acquisito da un'autorità interna, quindi, lo stesso potrà poi eventualmente essere utilizzato anche per altri scopi, compreso quello penale , senza che sia necessaria l'autorizzazione dello Stato allora richiesta e nel pieno rispetto di tutte le disposizioni interne che concernono l'acquisizione dei documenti nella fase procedimentale e processuale. L'autorizzazione prevista da suddetto art. 26 Mod OCSE al comma 2, sarà invece necessaria soltanto nella diversa ipotesi in cui la domanda di cooperazione riguardi informazioni e documenti prevedibilmente rilevanti”, già al momento della richiesta stessa , per altri scopi diversi da quello fiscale, come quello penale. Rigettato il motivo, la Suprema Corte rigetta l'intero ricorso.

Presidente Rosi – Relatore Mengoni Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 21/2/2022, la Corte di appello di Palermo confermava la pronuncia emessa il 14/2/2019 dal locale Tribunale, con la quale C.C. era stato giudicato colpevole del delitto di cui agli artt. 81 cpv. c.p. , 10, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 , e condannato alla pena di due anni di reclusione. 2. Propone ricorso per cassazione il C. , a mezzo del proprio difensore, deducendo i seguenti motivi - violazione degli artt. 626, 729 c.p.p. 26 mod. OCSE 191-546 c.p.p. La Corte di appello avrebbe rigettato con motivazione viziata l'eccezione sollevata con riguardo ai dati acquisiti all'estero. La possibilità di utilizzare non solo le informazioni, ma anche i relativi documenti, infatti, sarebbe subordinata al rispetto dell'art. 26 Mod. OCSE, che distinguerebbe con chiarezza l'ambito amministrativo fiscale da quello penale ebbene, con riguardo a quest'ultimo proprio della vicenda in esame - l'utilizzazione sarebbe subordinata all'autorizzazione dello Stato richiesto, che tuttavia non sarebbe mai stata rilasciata dai Paesi interessati, nè mai richiesta. I documenti inoltrati da Svizzera ed Inghilterra, dunque, non avrebbero potuto far ingresso nel procedimento penale, in spregio all'art. 26 citato, risultando necessaria la rogatoria internazionale. Fermo restando, peraltro, che indizi di reità a carico del C. sarebbero emersi sin dal 12/12/2014, quindi ben prima della richiesta formulata all'estero - la violazione di legge e poi dedotta con riguardo alla natura permanente del reato in contestazione premessa la distinzione sul punto tra le condotte di occultamento e distruzione delle scritture contabili, si contesta che l'istruttoria non avrebbe provato quale delle due sarebbe stata accertata a carico del ricorrente. In ossequio al principio di favor rei, dunque, La Corte di appello avrebbe dovuto privilegiare l'ipotesi più favorevole, così dichiarando estinto il reato per prescrizione - le stesse censure, infine, sono mosse quanto al diniego delle circosstanze attenuanti generiche, che la sentenza sosterrebbe con motivazione viziata. Considerato in diritto 3. Il ricorso risulta infondato. 4. Con riguardo al primo motivo, concernente la possibilità di utilizzare nel processo penale la documentazione acquisita da autorità estere in forza dell'art. 26 Mod. OCSE, il Collegio osserva che la disposizione attiene ad un ambito amministrativo fiscale e solo a questo deve essere riferita, come correttamente affermato nella sentenza impugnata. 5. Al riguardo, occorre premettere che l'Italia ha aderito alla Convenzione OCSE-Consiglio d'Europa sulla reciproca assistenza in materia tributaria entrata in vigore il 1/4/1995 e successivamente modificata , con firma e ratifica in data 31/1/2006 finalità della Convenzione è quella di individuare e disciplinare le forme di cooperazione amministrativa tra gli Stati in materia di accertamento e riscossione delle imposte, con il particolare obiettivo di evitare il fenomeno della doppia imposizione avoidance of double taxation e di contrastare l'elusione e l'evasione fiscale prevention of fiscal evasion . 5.1. Proprio per il perseguimento di questo scopo, è dunque previsto all'art. 26 Exchange of information , comma 1, che le autorità competenti degli Stati contraenti scambino informazioni per dare esecuzione alle disposizioni della Convenzione o per l'applicazione ed il rispetto delle norme interne riguardanti leggi in materia di imposte di ogni genere e denominazione. Queste informazioni, peraltro, debbono essere prevedibilmente rilevanti foreseeably relevant per la corretta applicazione della Convenzione ciò, al fine di ottenerne la massima estensione, senza vincolanti limiti formali, ma, al contempo, di scoraggiare le c.d. fishing expeditions , ovvero di richiedere troppe informazioni, o di richiederne con caratteri troppo vaghi, così che difficilmente avranno rilievo con riguardo ai profili fiscali del contribuente. 5.2. Al successivo comma 2, poi, è stabilito l'obbligo di confidenzialità sulle informazioni così scambiate, che debbono essere tenute segrete nello Stato ricevente, analogamente alle informazioni ottenute in base alla normativa interna le informazioni ricevute possono essere comunicate soltanto alle persone interessate e alle autorità - inclusi tribunali ed organi amministrativi - incaricate dell'accertamento o della riscossione, delle procedure applicative o delle decisioni dei ricorsi relativi alle imposte per le quali lo scambio di informazioni è compiuto. 5.3. In coda allo stesso comma 2, e a seguito dell'aggiornamento della norma approvato dal Consiglio dell'OCSE il 17/7/2012, è infine previsto che, in deroga a quanto sopra, le informazioni ricevute da uno Stato contraente possono essere utilizzate per altri scopi quando ciò è consentito in base alle leggi di entrambi gli Stati e l'autorità competente dello Stato che le fornisce autorizza tale utilizzo . 6. Così richiamata la norma di riferimento, il Collegio rileva che ne risulta dunque evidente il relativo ambito di applicazione, ossia quello amministrativo, ed in particolare fiscale è soltanto per accertamenti e verifiche di questa natura, infatti, che opera l'intero Modello di Convenzione, e la finalità che sostiene tutta la disciplina - evitare la doppia imposizione ed impedire l'evasione/elusione fiscale ne costituisce un riscontro oggettivo, anche con riguardo allo scambio di informazioni e dei relativi documenti qui in esame. 6.1. Lo stesso ambito esclusivamente amministrativo, del resto, connota anche il Regolamento UE n. 904/2010 del Consiglio del 7/10/2010, relativo alla cooperazione amministrativa e alla lotta contro la frode in materia di imposta sul valore aggiunto proprio la disciplina in forza della quale - si osservi - l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli aveva svolto attività ispettiva a carico della ditta individuale C.C. , così ottenendo da Austria ed Inghilterra numerose fatture a dimostrazione dei rapporti commerciali avuti ma non dichiarati con società straniere, poi presupposto della contestazione di cui all' art. 10, D.Lgs. n. 74 del 2000 . Ebbene, l'art. 55, par. 1, stabilisce che le informazioni comunicate o raccolte in qualsiasi forma ai sensi dello stesso Regolamento possono essere usate per accertare la base imponibile, la riscossione o il controllo amministrativo dell'imposta, ai fini di un corretto accertamento fiscale 1.2 . Le informazioni possono inoltre essere usate per accertare altri contributi, dazi e imposte contemplati dall'art. 2 della direttiva 2008/55/CE del Consiglio , del 26 maggio 2008, sull'assistenza reciproca in materia di recupero dei crediti risultanti da taluni contributi, dazi, imposte ed altre misure 1.3 . Inoltre, esse possono essere utilizzate in occasione di procedimenti giudiziari che implicano l'eventuale irrogazione di sanzioni, avviati per violazioni della normativa fiscale, fatte salve le norme generali e le disposizioni giuridiche che disciplinano i diritti dei convenuti e dei testimoni in siffatti procedimenti comma 1.4 . Analogamente al citato Modello di Convenzione OCSE, infine, lo stesso art. 55 stabilisce che, in deroga al paragrafo 1, l'autorità competente dello Stato membro che fornisce le informazioni ne consente l'uso ad altro scopo nello Stato membro dell'autorità richiedente quando l'uso per scopi analoghi sia consentito dalla legislazione dello Stato membro dell'autorità interpellata. 7. Così evidenziata la natura amministrativa dell'ambito di applicazione di. questa disciplina, peraltro riconosciuta anche dal ricorrente, ìl Collegio ritiene dunque che non possa essere accolta la tesi - a sostegno del primo motivo di impugnazione - in forza della quale le informazioni e i documenti così ricevuti non potrebbero essere comunque utilizzati in sede penale, neppure successivamente, se non previo riscontro - ora per allora - delle condizioni poste dall'art. 26 del Modello così come dall'art. 55 del Regolamento citato all'utilizzo per altro scopo rispetto a quello che, in via esclusiva, permea di sé il testo normativo in assenza di queste condizioni, sarebbe dunque necessario percorrere la via della rogatoria internazionale. 7.1. In senso contrario, infatti, deve essere qui affermato che il rispetto di tutte le disposizioni citate, presupposto per il legittimo utilizzo delle informazioni ottenute e dei relativi documenti , deve esser verificato con riguardo esclusivo al momento in cui ne è fatta richiesta all'autorità estera, e in relazione alla specifica - ed effettiva - finalità che sostiene quella domanda di cooperazione. Dal testo normativo, del resto, non emerge alcun elemento che giustifichi una soluzione differente, ossia che mantenga, anche per il futuro e sine die, un silente ma vincolante collegamento tra l'informazione ottenuta e l'autorità estera che l'ha fornita, fino ad imporre - in sede penale - l'attivazione della procedura di rogatoria per ottenere nuovamente la medesima informazione già acquisita da un'autorità interna, sebbene in un procedimento di diversa natura. Ammettere un simile collegamento, dunque, condurrebbe a soluzioni irrazionali e distoniche, peraltro con riguardo ad un'indagine penale sorta solo successivamente al procedimento fiscale che aveva giustificato la richiesta di cooperazione internazionale come nel caso in esame o comunque all'infuori di questo. 7.2. Ne consegue, dunque, che, una volta accertato il piano esclusivamente amministrativo del procedimento in corso ad opera dell'autorità richiedente, quanto così ottenuto come le fatture, nella vicenda a carico del ricorrente diviene parte del procedimento stesso ed assume la veste di un documento utilizzabile a fini istruttori, accertativi e sanzionatori fiscali. Ormai legittimamente acquisito da un'autorità interna, lo stesso potrà poi, eventualmente, essere utilizzato anche per altri scopi, compreso quello penale, senza necessità dell'autorizzazione dello Stato allora richiesto e nel pieno rispetto di tutte le disposizioni interne che concernono l'acquisizione dei documenti nella fase procedimentale e processuale. 7.3. Proprio questa autorizzazione - prevista nell'art. 26, comma 2, citato - si rende invece necessaria soltanto nella diversa ipotesi in cui la domanda di cooperazione riguardi informazioni e documenti prevedibilmente rilevanti , già al momento della richiesta stessa, per scopi diversi da quello fiscale, come quello penale, oppure anche per questi altri, qualora l'indagine coinvolga più ambiti in tali casi, infatti, l'estraneità dell'ambito di riferimento rispetto a quello proprio della disciplina, così come il possibile coinvolgimento di rilevanti interessi a questa del tutto estranei come la libertà personale nella materia penale , giustifica una particolare attenzione da parte dello Stato richiesto, chiamato, per un verso, ad accertare se esista una comune previsione normativa in ordine all'utilizzo delle stesse informazioni per fini diversi da quelli fiscali, e, per altro verso, a prestare eventualmente il relativo consenso allo Stato richiedente. 7.4. La violazione delle stesse disposizioni, con ogni conseguenza in tema di legittimo utilizzo delle informazioni ottenute in sede penale, può peraltro essere riscontrata anche in un momento successivo all'inoltro della richiesta di cooperazione, ma solo a condizione che si deduca - e si provi - che la medesima domanda fosse stata avanzata nell'ambito di un'indagine di cui l'autorità richiedente conosceva già il carattere sostanzialmente penale, a prescindere dalla formale iscrizione del fascicolo soltanto in questo caso, infatti, può essere sanzionato nei termini della inutilizzabilità degli effetti il ricorso alla disciplina della cooperazione tra Stati, risultandone il carattere artificioso e l'effettivo scopo di eludere la normativa - certamente più complessa - delle rogatorie. 8. Questa, del resto, è la tesi che connota anche il ricorso del C. , quantomeno con riguardo alle fatture ricevute dall'Inghilterra alla pag. 5 dell'impugnazione, infatti, si legge che erano emersi elementi di reità in seguito alla prima verifica fiscale del 12 dicembre 2014, ergo la richiesta delle fatture alle società inglesi rispondeva a finalità extra fiscali che richiedevano tanto il rispetto dell'art. 26 modello OCSE quanto della disciplina della rogatoria internazionale, cui invece ci si è sottratti . La stessa doglianza, tuttavia, non si confronta affatto con quanto affermato al riguardo nella sentenza impugnata, che - pronunciandosi proprio sulla questione qui riproposta - ha steso una motivazione del tutto corretta e non meritevole di censura in questa sede. In particolare, la Corte di appello ha sottolineato che la documentazione era stata richiesta - ed ottenuta - nell'ambito di una verifica di natura fiscale ed esclusivamente a tale scopo soltanto in un momento successivo, ed anche sulla base della medesima documentazione, era emersa la notitia criminis, con la conseguente ed obbligatoria denuncia penale e l'inizio del relativo procedimento. Non può essere qui accolta, pertanto, la tesi difensiva per la quale gli indizi di reità sarebbero emersi, in realtà, prima del febbraio 2015 quando i documenti in esame erano stati acquisiti , ossia nel dicembre 2014, in quanto sostenuta da un argomento di puro merito, proprio della sola fase di cognizione e diversamente valutato dalla sentenza impugnata e dal ricorso come tale, dunque, non suscettibile di verifica in questa sede. Il primo motivo di impugnazione, dunque, è infondato. 9. In ordine, poi, alla seconda censura, che concerne la reale natura della condotta di reato nell'ottica soprattutto di una possibile declaratoria di estinzione per prescrizione , la Corte di appello ha sottolineato che l'imputato non aveva offerto alcun elemento positivo a dimostrazione di un'eventuale distruzione della documentazione richiesta, peraltro neppure dedotta nel giudizio di primo grado correttamente, dunque, i giudici del merito hanno riconosciuto integrata l'unica condotta della quale emergevano adeguati e coerenti presupposti, ossia l'occultamento della stessa documentazione, con ogni conseguenza in tema di prescrizione. Costituisce infatti indirizzo costante, ribadito anche nella sentenza impugnata, quello per cui la condotta del reato di cui all'art. 10 può consistere sia nella distruzione che nell'occultamento delle scritture contabili o dei documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari, con conseguenze diverse rispetto al momento consumativo, giacché la distruzione realizza un'ipotesi di reato istantaneo, che si consuma con la soppressione della documentazione, mentre l'occultamento consistente nella temporanea o definitiva indisponibilità della documentazione da parte degli organi verificatori - costituisce un reato permanente, che si protrae sino al momento dell'accertamento fiscale, dal quale soltanto inizia a decorre il termine di prescrizione tra le ultime, Sez. 3, n. 38090 del 27/5/2022 , D'Alessandro, non massimata . 10. Infine, quanto alle circostanze attenuanti generiche, la sentenza impugnata ha sottolineato l'assenza di un qualunque elemento positivo, peraltro a fronte di un soggetto che non ha mostrato alcun segno di resipiscenza la genericità della censura sollevata con il gravame, peraltro, si riscontra anche nel ricorso in esame, che infatti non individua neppur un elemento - eventualmente sottoposto ai giudici del merito ma non valutato - che avrebbe giustificato il riconoscimento delle attenuanti in esame. 6. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato, ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.