La distinzione tra maltrattamenti e atti persecutori aggravati dall’esistenza, presente o pregressa, di una relazione affettiva

Se la persona offesa ha effettivi spazi di autonomia, materiale e psicologica, rispetto al maltrattante - nel qual caso ricorre la cessazione della convivenza - si applica la fattispecie di cui all'art. 612- bis , comma 2, c.p. se la persona offesa continua ad essere totalmente privata di spazi di autonomia, come avveniva nel corso della convivenza, a tal punto da rendere le violenze senza soluzione di continuità, si applica la fattispecie di cui all'art. 572 c.p.

Così ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 9187 depositata il 3 marzo 2023. La sentenza in commento si occupa di analizzare il discrimine tra il reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi di cui all' art. 572 c.p. e il reato di atti persecutori aggravato dall'esistenza, presente o passata, di una relazione affettiva che lega l'autore con la persona offesa, ai sensi dell'art. 612- bis , comma 2, c.p. L' art. 572 c.p. Il reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi punisce ponga in essere atti coercitivi, anche solo minacciati o di minimale apparente portata lesiva, operanti a diversi livelli fisico, sessuale, psicologico o economico , che siano volti a ledere la dignità della persona offesa, umiliandola o limitandone la sfera di libertà anche rispetto a scelte minimali del vivere quotidiano, affinché, stante la struttura abituale del reato, si sviluppi, fino a consolidarsi, un assetto di potere discriminatorio. La riforma attuata con legge n. 172 del 2012 , di ratifica della Convenzione di Lanzarote, ha inserito tra i soggetti attivi e passivi del reato, anche il convivente. La definizione di convivenza giuridicamente rilevante ai sensi dell' art. 572 c.p. è quella che proietta il rapporto, cioè la volontà di coppia, in una dimensione di impegno e di progetto di vita, al di là che poi in concreto la stabilità si realizzi, come nel caso in cui, assunta la decisione di vivere insieme, la convivenza cessi, ad esempio, proprio per le violenze. Dalla nozione delineata discende che la convivenza non può essere esclusa quando sia sospesa o segnata da intervalli purché, però, restino intatti gli altri aspetti materiali e spirituali della comunione di vita e della volontà di condivisione. Questi andranno accertati dal giudice di merito in chiave fattuale tenendo conto anche della flessibilità che caratterizza questa dimensione affettiva rispetto al contesto sociale, lavorativo e alle scelte intime che muovono le condotte umane. La coabitazione , ad esempio, può essere un indice importante per individuare una convivenza affettiva stabile in quanto vi è una casa comune all'interno della quale si svolge il programma di vita condiviso, ma non è un requisito che la connota. Infatti, la coabitazione può mancare per ragioni economiche, per condizioni oggettive, per scelte individuali, per necessità di assistenza di altri parenti, per esigenze lavorative e aspettative di studio o di carriera. Al contrario, la coabitazione o la convivenza meramente anagrafica possono esistere in assenza di convivenza affettiva duratura quando dipendono da esigenze di mera opportunità, di cura, di amicizia o utilità economica si pensi agli studenti o ai colleghi di lavoro che condividono le spese di un appartamento . La condotta costitutiva del reato di maltrattamenti appare indirizzata non genericamente contro una persona con cui si vive, ma contro chi ha una consuetudine di vita in comune con l'agente in una relazione intima che, attraverso condotte maltrattanti, genera un rapporto gerarchico e non paritario. È proprio il rapporto di intimità, di fiducia e di affidamento, a prescindere dal legame formale, ad esporre alle vessazioni maltrattanti. L'art. 612- bis , comma 2, c.p. La questione si pone in quanto la matrice relazionale propria del reato di maltrattamenti è riscontrabile anche nell'art. 612- bis c.p. Inizialmente, la distinzione con il reato di maltrattamenti era chiara perché ruotava intorno al dato, sia formale che fattuale, dell'attualità o meno del vincolo di coniugio o affettivo era configurabile l' art. 572 c.p. per le condotte consumate con relazione in atto, mentre era configurabile l'art. 612- bis , comma 2, c.p. per le condotte consumate dopo la cessazione del vincolo o a conclusione della convivenza. Questo chiaro discrimine è venuto meno con la legge n. 119/2013 , che ha esteso l'applicazione dell'aggravante anche agli atti persecutori commessi in costanza di relazione coniugale, di convivenza o affettiva determinando una vera e propria sovrapposizione con il delitto di maltrattamenti. La modifica normativa che ha riguardato l'art. 612- bis , comma 2, c.p. prevede che ogni rapporto, sia che venga formalizzato o meno dal coniugio, sia che risulti cessato o attuale, meriti un aumento sanzionatorio per la grave insidiosità delle condotte e la maggiore pericolosità dell'autore. Questi, infatti, proprio approfittando del legame sentimentale e dell'intimità presente o passata con la persona offesa, oltre che dell'abbassamento delle sue difese, è agevolato nella commissione del delitto essendo a conoscenza delle sue abitudini di vita, dei suoi comportamenti, dei suoi affetti più cari, delle sue conoscenze, dei suoi dati sensibili. Per relazione affettiva ai sensi dell'art. 612- bis , comma 2, c.p. deve intendersi un legame sentimentale derivante da un rapporto di reciproco affidamento che facilita il delitto, in quanto l'autore sfrutta la fiducia che la vittima ripone in lui e ne approfitta per accedere violentemente o abusivamente nella sua sfera più intima. Distinzione tra i due reati nei casi di cessazione della convivenza. La distinzione appare netta quando i fatti illeciti sono commessi dopo la chiusura del vincolo da parte dell'ex coniuge divorzio , con conseguente applicazione della sola forma aggravata di cui all'art. 612- bis , comma 2, c.p. In questa ipotesi, infatti, sulla base dei criteri sopra indicati non è più in atto la convivenza. Quando, invece, le condotte sopraffattorie e violente proseguono anche dopo la cessazione della convivenza e sono commesse dal coniuge separato o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa, si pone il problema, dal momento che il delitto potrebbe essere punito sia dall'art. 612- bis , comma 2, c.p., sia dall' art. 572 c.p. Secondo l'interpretazione costante di questa Corte, quando le azioni vessatorie, fisiche o psicologiche, siano commesse ai danni del coniuge separato si configura il solo reato di maltrattamenti, in quanto con il matrimonio o con l'unione civile la persona resta comunque familiare , presupposto applicativo dell' art. 572 c.p. Con riguardo, invece, ai casi in cui il fatto sia commesso da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa , per distinguere se si configuri il reato di cui all' art. 572 c.p. o del 612-bis, comma 2, c.p. occorre analizzare due elementi l'esistenza di una effettiva convivenza 572 c.p. e non solo di una relazione affettiva 612- bis c.p. l'effettiva interruzione della convivenza 612- bis c.p. Questo secondo requisito, cioè l'effettiva interruzione della convivenza, è cruciale in quanto dalla sua esistenza deriva l'applicazione dell'art. 612- bis , comma 2, c.p. e, di converso, l'esclusione del reato di maltrattamenti. Nei casi di cessazione della convivenza è necessario verificare se tra l'autore del reato e la persona offesa non vi sia più quella consuetudine di vita che connotava il precedente rapporto. La verifica non sempre è agevole proprio per la fluidità e la complessità delle relazioni di coppia, specie quando vi siano figli piccoli e provvedimenti giudiziari, civili o minorili, che impongono una loro gestione comune oppure per la necessità di un tempo di assestamento ai fini della definizione dei pregressi rapporti affettivi quando siano stati prolungati e la chiusura sia recente. Tutto questo potrebbe far permanere modalità relazionali e abitudini di vita assai simili a quelle precedenti mangiare nella stessa casa o passare le feste o le vacanze insieme o imporre all'ex convivente di sbrigare le faccende domestiche nell'appartamento del partner . In questi casi, dunque, potrebbe proseguire una condizione di convivenza per la quale non basta accertare l'assenza di coabitazione, ma possono soccorrere altri indicatori volti a dimostrare che la convivenza sia cessata, come, ad esempio la mancata disponibilità da parte dell'autore del reato delle chiavi di casa in cui vive la persona offesa e, dunque, l'impossibilità di accesso incondizionato ed incontrollato ai luoghi in cui questa abita o la non condivisione della responsabilità genitoriale. Si tratta in sostanza di stabilire se la cessazione della convivenza sia davvero avvenuta o, al contrario, permangano le medesime condizioni controllanti su cui questa si fondava, con tutti i meccanismi, oggettivi e soggettivi, che la connotavano, tanto da rendere meramente astratta la decisione di interromperla. È, dunque, necessario verificare se la persona offesa abbia effettivi spazi di autonomia, materiale e psicologica, rispetto al maltrattante nel qual caso ricorre la cessazione della convivenza e, dunque, si applica la fattispecie di cui all'art. 612- bis , comma 2, c.p. oppure continui ad esserne totalmente privata, come avveniva nel corso della convivenza, a tal punto da rendere le violenze senza soluzione di continuità, nel qual caso si applica la fattispecie di cui all' art. 572 c.p.

Presidente Fidelbo Relatore Travaglini Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Bologna ha confermato la pronuncia con la quale il Tribunale di Reggio Emilia aveva condannato C.G.M. alla pena di due anni e due mesi di reclusione per il reato di cui all' art. 572 c.p. Capo A per avere maltrattato la convivente B.G. con violenze fisiche e psicologiche nonché con minacce gravi alla persona, fatti aggravati dalla condizione di gravidanza della donna e dalla presenza dei figli minorenni commessi da febbraio a Omissis nonché per lesioni aggravate connesse al delitto di maltrattamenti Capo B . C.G.M. e B.G., legati da una relazione sentimentale, nel novembre del 2016 avevano avviato una convivenza. Dopo pochi mesi, cioè nel gennaio del 2017, l'uomo aveva iniziato ad esercitare violenza sulla giovane, con insulti e schiaffi fino a quando, nel marzo del 2017, alla presenza del figlio S., di pochi mesi nato il Omissis , aveva tentato di strangolarla. B. era andata a vivere dalla madre, senza denunciare i fatti, e per questo era stata minacciata dal compagno di impedirle di rivedere il bambino se non fosse tornata, cosa che la giovane aveva fatto nell'aprile dello stesso anno. Durante la nuova convivenza, mentre la donna era incinta di due gemelli nati il Omissis , e sempre alla presenza di S., le violenze dell'uomo erano proseguite con minacce, schiaffi e spintoni. A seguito dell'intervento dei carabinieri e dei servizi sociali nel luglio 2017 la situazione era migliorata per poi precipitare nel marzo del 2019 quando C., scoperto dalla convivente di intrattenere una relazione con un'altra donna, aveva ripreso le violenze nei confronti di B., minacciandola, schiaffeggiandola e colpendola con pugni in diverse occasioni tanto da determinarla a trasferirsi con i bambini prima dalla madre e dal gennaio 2020 per conto proprio. Nonostante la separazione C. aveva insistito con le violenze ai danni della donna, presentandosi sul luogo di lavoro, controllandola, impedendole di truccarsi e vestirsi come voleva, ingiuriandola anche con sms, pretendendo di vedere i figli, minacciando di ucciderla e di toglierle i bambini, picchiandola con schiaffi, pugni e ginocchiate in tre occasioni. L'ultimo episodio, all'esito del quale era stata emessa una misura cautelare non custodiate, era avvenuto il 7 febbraio del 2020 quando l'uomo alle ore 23 00 era entrato nell'abitazione della B., accompagnato dalla nuova compagna, G.F., e dopo avere malmenato la ex compagna, che lo implorava di smetterla anche per la presenza del figlio S. che piangeva disperato, aveva tentato di defenestrarla, non riuscendoci per l'intervento della G Dallo sgabuzzino dell'appartamento Z.L., amica della B., chiamata in aiuto dalla donna aveva sentito tutto e aveva visto parte dell'aggressione. I fatti erano stati confermati dagli sms inviati dal C., dal tenore gravemente minaccioso e ingiurioso dalla madre della persona offesa dalla teste Z. e dalle certificazioni mediche acquisite. Sulla base di questi elementi, i giudici di merito hanno concluso che il ricorrente fosse responsabile del reato di maltrattamenti aggravati, sia dall'essere stati commessi su donna in stato di gravidanza, sia dalla presenza dei figli minorenni, con riferimento all'intero periodo in contestazione dal febbraio 2017 al luglio 2017 e dal marzo 2019 al 20 febbraio 2020 , ritenendo che anche per le condotte successive alla convivenza dopo il mese di maggio 2019 dovesse applicarsi detta norma alla luce dell'orientamento giurisprudenziale che valorizza la situazione di condivisa genitorialità in questi termini è stata richiamata la sentenza Sez. 6, n. 37628 del 25/06/2019, C., Rv. 276697 . 2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso l'imputato, con atto sottoscritto dal difensore, deducendo due motivi. 2.1. Vizio di motivazione, per contraddittorietà e manifesta illogicità, per avere la Corte territoriale rigettato, con argomenti apodittici, la richiesta, già invano avanzata in primo grado con il rito abbreviato condizionato, di escussione della testimone G.F., nuova compagna del C. e presente all'ultimo episodio di violenza - consistito nel tentativo di defenestramento della B. avvenuto il 7 febbraio 2020 - la cui dichiarazione, mai assunta neanche in fase investigativa, benché la sua presenza risultasse dalla denuncia, avrebbe comprovato l'assenza, nell'occasione, della testimone Z.L. che aveva confermato il fatto. In particolare, la sentenza impugnata, a fronte della specifica richiesta di esaminare la G., non aveva attivato i sollecitati poteri di cui all' art. 603 c.p.p. ritenendo erroneamente che la difesa dell'imputato, in sede di udienza preliminare, nel formulare istanza subordinata di rito abbreviato, anche in difetto di integrazione probatoria, avesse accettato il rito abbreviato non condizionato. 2.2. Vizio di omessa motivazione in quanto la Corte distrettuale non aveva esaminato la richiesta di escludere l'aggravante della presenza dei figli minorenni o definirne l'ambito temporale, collocandola sino al maggio del 2019, cioè prima degli inasprimenti sanzionatori disposti dalla L. 19 luglio 2019, n. 69 e dell'introduzione dell'aggravante di cui all' art. 572, comma 2, c.p. Ciò aveva determinato l'esclusione sia della concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, nonostante la remissione di querela della persona offesa, sia della sospensione dell'esecuzione ai sensi dell' art. 656, comma 9, c.p.p. . Considerato in diritto 1.Il ricorso è fondato nei limiti di seguito indicati. 2. La Corte di appello, sulla base di una puntuale ricostruzione del rapporto tra il ricorrente e la persona offesa, facendo anche propri gli argomenti del giudice di primo grado, ha ritenuto di qualificare le condotte illecite tenute da C. nei confronti della compagna, avvenute alla presenza dei figli minorenni e protrattesi, nell'arco di oltre tre anni, sia durante che dopo la convivenza, ai sensi dell' art. 572 c.p. . 3. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. La sentenza impugnata, con argomenti completi e coerenti, non ha accolto l'istanza proposta nell'interesse di C. di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale dando atto che la difesa, in sede di udienza preliminare, aveva formulato istanza subordinata di rito abbreviato anche in difetto di integrazione probatoria. A fronte del rigetto del giudice di primo grado di darvi luogo, la difesa del ricorrente aveva concluso chiedendo l'assoluzione dell'imputato, così accettando il rito abbreviato nei termini in cui esso si era svolto. Peraltro, la sentenza impugnata, nel disattendere i diversi motivi di appello, ha dato conto della completezza del materiale probatorio anche con riguardo all'unico episodio su cui avrebbe dovuto vertere l'esame testimoniale di G. il defenestramento della persona offesa alla presenza del figlio minorenne e pertanto della sua non necessità. Inoltre, nel giudizio abbreviato di appello le parti non hanno un diritto all'assunzione di prove nuove, ma solo il potere di sollecitare l'esercizio dei poteri istruttori essendo rimessa la valutazione dell'assoluta necessità dell'integrazione probatoria al giudice che vi provvede solo quando non possa decidere allo stato degli atti Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, Ricci, Rv. 266820 Sez. 3, n. 34949 del 03/11/2020, S., Rv. 280504 . 4. Il secondo motivo di ricorso, relativo all'aggravante del delitto di maltrattamenti avvenuto in presenza dei figli minorenni, è in parte reiterativo ed in parte tardivo. 4.1. La censura sull'omessa motivazione della sentenza impugnata in ordine alla precisa collocazione temporale dell'aggravante, agli effetti della L. n. 69 del 2019 , per come proposto in questa sede costituisce motivo nuovo in quanto nell'atto di appello la questione di diritto è stata posta in termini generici e comunque la Corte di merito, come il giudice di primo grado, ha descritto in modo puntuale l'epoca in cui il piccolo S. aveva assistito alle violenze del padre sulla madre. Inoltre, al ricorrente sono state applicate le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti contestate, tra le quali, oltre a quella oggetto di esame, vi è quella di aver commesso le condotte maltrattanti ai danni di donna in stato di gravidanza, fatto non posto in dubbio dal ricorso, cosicché il motivo è privo di qualsiasi effetto giuridico. 4.2. Il ricorso ha riproposto, negli stessi termini e in modo generico, l'assenza di prova dell'aggravante dei maltrattamenti, senza in alcun modo misurarsi con gli argomenti, logici e non contraddittori, correttamente adottati dalle pronunce di merito che ne hanno richiamato le convergenti prove dichiarative che la comprovano denuncia-querela di B.G., testimonianze di C.D. e di Z.L. . 5. Il Collegio ritiene di sollevare di ufficio, in quanto non dedotto nel ricorso, il tema della qualificazione giuridica del fatto, accertato dalle sentenze di merito, con specifico ed esclusivo riferimento alle condotte poste in essere dal C. nel segmento temporale successivo alla cessazione della convivenza con la persona offesa. La lettura congiunta delle pronunce consente, infatti, di scindere l'affermazione di responsabilità del ricorrente in due diversi momenti uno relativo ai maltrattamenti perpetrati durante la convivenza con B.G., per i quali vi è ampia e congrua motivazione l'altro relativo alle condotte poste in essere dopo la fine della relazione e quindi della convivenza con la B. - e più precisamente dopo il mese di maggio 2019 . 6. La questione di diritto, che si pone nella specie, riguarda la qualificazione giuridica della condotta illecita posta in essere da un partner ai danni dell'altro dopo la cessazione della convivenza, pur a fronte di una situazione di condivisa genitorialità, e dunque il discrimine tra il reato di maltrattamenti e quello di atti persecutori aggravati. La Corte costituzionale con la sentenza n. 98 del 2021 , si è occupata della linea di demarcazione tra art. 572 c.p. e art. 612-bis, comma 2, c.p. a partire proprio dal caso delle violenze perpetrate nell'ambito di una coppia, legata sentimentalmente da pochi mesi, che conviveva solo nei fine settimana. Il Giudice delle leggi si è posto il problema dell'interpretazione estensiva, operata dal giudice rimettente, della nozione di convivenza - contenuta nel più grave delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi e ha ritenuto che il giudice di merito, seguendo un'interpretazione teleologica, da un lato non si fosse misurato con il dato letterale, che fissa il limite estremo della legittima interpretazione della norma penale, con riferimento ai requisiti alternativi persona della famiglia e persona comunque convivente con l'autore del reato dall'altro lato avesse omesso di confrontarsi con il canone ermeneutico rappresentato, in materia di diritto penale, dal divieto di analogia a sfavore del reo canone affermato a livello di fonti primarie dall'art. 14 delle preleggi nonché - implicitamente - 1 c.p., e fondato a livello costituzionale sul principio di legalità di cui all' art. 25, comma 2, Cost. nullum crimen, nulla poena sine lege stricta sentenza n. 447 del 1998 . La Corte costituzionale ha affermato, dunque, in termini molto netti, e proprio con riferimento al reati di maltrattamenti, che Il divieto di analogia non consente di riferire la norma incriminatrice a situazioni non ascrivibili ad alcuno dei suoi possibili significati letterali, e costituisce così un limite insuperabile rispetto alle opzioni interpretative a disposizione del giudice di fronte al testo legislativo sicché non è tollerabile che la sanzione possa colpirlo il consociato per fatti che il linguaggio comune non consente di ricondurre al significato letterale delle espressioni utilizzate dal legislatore . Inoltre, la ratio della riserva assoluta di legge in materia penale sarebbe svuotata se si consentisse al giudice di assegnare al testo un significato ulteriore e distinto da quello che il consociato possa desumere dalla sua immediata lettura 7. Anche alla luce di quanto affermato dalla sentenza sopracitata, occorre verificare la correttezza della qualificazione giuridica operata dai giudici di merito in una fattispecie che concerne una coppia di conviventi, con figli, poi separatasi. 9. Il reato previsto dall' art. 572 c.p. punisce Chiunque maltratta una persona della famiglia . Si tratta di un delitto che nel Codice Zanardelli era contro la persona e nel Codice Rocco è stato collocato nel Titolo XI Dei delitti contro la famiglia sub capo V Dei delitti contro l'assistenza familiare nella prospettiva di tutelare proprio l'istituzione-famiglia, definita nella Relazione sui Libri II e III del Progetto definitivo di un nuovo codice penale centro di irradiazione di ogni civile convivenza , mantenendo fermo lo ius corrigendi del pater familias nei confronti di moglie e figli. 9.1.La L. 1 ottobre 2012, n. 172 di ratifica della Convenzione di Lanzarote Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei minorenni contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale , al fine specifico che qui interessa, ha inserito il convivente tra i soggetti attivi e passivi del reato, così adattando la fattispecie penale al risalente approdo di questa Corte Sez. 2, n. 320 del 01/03/1966, Palumbo, Rv. 101563 e della Corte EDU Emonet + altri contro Svizzera, 13 dicembre 2007 Merckx contro Belgio, 13 giugno 1979 con l'obiettivo di estendere la tutela penale, in risposta all'evoluzione sociale e nel rispetto di una lettura costituzionalmente orientata della fattispecie, anche all'interno di stabili legami affettivi. Dalla lettura della norma si evince che la famiglia e la convivenza delineano l'ambito relazionale in cui si sviluppano precisi rapporti interpersonali ed individuano, sinteticamente, coloro che del reato di maltrattamenti possono essere autori e persone offese così come avviene con il richiamo alle altre relazioni fondate su rapporti di autorità e affidamento e che, per la natura e l'intensità stessa del legame, dal lato passivo rende difficile sottrarsi alle violenze e, dal lato attivo, rende facile perpetrarle. La riforma legislativa del 2012, inserendo tra le persone tutelate anche il/la convivente , genera un effetto evolutivo di estremo rilievo sotto diversi profili adegua la norma alla mutata realtà sociale dei rapporti di coppia e così depotenzia l'anacronistica collocazione sistematica della fattispecie penale tra i delitti contro la famiglia consente, proprio a partire dal dato testuale dell'assimilazione tra familiare e convivente, l'abbandono dell'impostazione pubblicistica e funzionale della famiglia fondata sul matrimonio, delineando l'oggetto giuridico del reato e dei beni che esso garantisce secondo un'esegesi costituzionalmente artt. 2,3,32 Cost. e convenzionalmente orientata la CEDAW, con l'art. 16 la Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali, detta CEDU, con gli artt. 3 e 14 la Convenzione di Istanbul, con l'art. 3 individuandoli nell'integrità fisica e morale, oltre che nella dignità e nell'autodeterminazione, della persona Sez.6, n. 30340 del 08/07/2022, S., non mass. Sez.6, n. 29542 del 18/09/2020, G., Rv. 279688 Sez. 6 n. 2625 del 12/01/2016, G., Rv. 266243 . Questa interpretazione è ulteriormente avvalorata dalla riformulazione parziale della rubrica dell' art. 572 c.p. , avvenuta sempre con la L. n. 172 del 2012 , che da maltrattamenti in famiglia è divenuta maltrattamenti contro familiari e conviventi tanto da rovesciare, in modo inequivoco, la prospettiva di tutela della norma che passa dall'istituzione-famiglia alla protezione dei suoi componenti dalle violenze, fisiche e psicologiche, che vi si compiono. 9.2. La lettura costituzionalmente e convenzionalmente orientata dell'unico verbo maltrattare che descrive la condotta, fornita dalla giurisprudenza di questa Corte a partire da Sez. U, n. 10959 del 29 gennaio 2016, P.O. in proc. C., Rv. 265893 , ha consentito un pieno adeguamento alla Convenzione di Istanbul in quanto qualificata come l'insieme di comportamenti vessatori che, pur singolarmente considerati, possono anche non costituire reato, senza dunque richiedere la reiterazione di atti di violenza tra le altre Sez. 6, n. 13422 del 10/03/2016, 0., Rv. 267270 Sez. 6, n. 44700 del 08/10/2013, P., Rv. 256962 . Ciò che caratterizza un comportamento come maltrattante, in un quadro di insieme e non parcellizzato della relazione tra autore e vittima, è che gli atti coercitivi, anche solo minacciati o di minimale apparente portata lesiva, operanti a diversi livelli fisico, sessuale, psicologico o economico , siano volti a ledere la dignità della persona offesa, umiliandola o limitandone la sfera di libertà anche rispetto a scelte minimali del vivere quotidiano, affinché, stante la struttura abituale del reato, si sviluppi, fino a consolidarsi, un assetto di potere discriminatorio. L'accertamento, dunque, deve appuntarsi esclusivamente sulla condotta dell'autore, unico elemento oggettivo e descrittivo della fattispecie penale, non assumendo alcuna valenza, sotto il profilo della qualificazione giuridica del fatto e della sussistenza della illiceità penale, né la capacità reattiva della persona offesa da ultimo Sez. 6, n. 30340 dell'08/07/2022, S., non mass. , né l'eventuale reciprocità delle condotte, né la concreta idoneità delle violenze di ottenere l'annientamento o la subordinazione della vittima Sez. 6, n. 809 del 17/10/2022, V. Sez. 6, n. 19847 del 22/04/2022, M. . 10. La nozione di convivente non è delineata nel codice penale o processuale penale perché, storicamente, il rapporto di convivenza, considerato un fenomeno deviante e poi a contenuto minore rispetto al matrimonio, ha assunto progressivamente diverso rilievo, di pari passo con l'evoluzione sociale e culturale, oltre che con il riconoscimento dei diritti dei conviventi e dei loro figli. 10.1. Per definire il termine convivente contenuto nell' art. 572 c.p. è necessario tenere conto della giurisprudenza costituzionale e delle leggi che, in vari ambiti, lo richiamano. La giurisprudenza costituzionale a partire da Corte Cost., sent. n. 237 del 18 novembre 1986 , condivisa ed assunta dalla giurisprudenza di legittimità da ultimo Sez. U, n. 10381 del 26/11/2020, Fialova, Rv. 280574 , riconduce la convivenza alle formazioni sociali meritevoli di protezione giuridica, in virtù dell' art. 2 Cost. , quando si fonda su una relazione affettiva, nell'ambito della platea dei valori solidaristici postulati dalle aggregazioni menzionate dalla norma costituzionale, fonte di doveri morali e sociali anche al di là della filiazione. L'ordinamento contiene da anni numerose disposizioni normative, regolamentari, ecc. che si riferiscono al convivente e, per quello che interessa in questa sede, già dal 2001 la L. n. 154 ha introdotto gli ordini di protezione contro gli abusi familiari di cui agli artt. 342-bis c.p.c. e ss. pur se commessi da conviventi o in danno di conviventi proprio per incrementare il catalogo delle persone offese dal reato e, di conseguenza, degli autori, al di fuori della famiglia fondata sul matrimonio. In questo modo non solo si prende atto della progressiva equiparazione nel nostro ordinamento, per via normativa o giurisprudenziale, tra famiglia e convivenza, ma anche di un'interpretazione che costituiva diritto vivente già dagli anni 60 Sez. 2, n. 320 del 01/03/1966, Palumbo, Rv. 101563 ovverosia l'esistenza di condotte violente e maltrattanti anche nell'ambito delle cd famiglie di fatto , per tali intendendosi le relazioni sentimentali che, per la consuetudine dei rapporti creati, implicassero l'insorgenza di vincoli affettivi e aspettative di assistenza assimilabili a quelli tipici della famiglia o della convivenza abituale nonché a ogni consorzio di persone tra le quali la relazione stretta avesse creato rapporti di solidarietà per un apprezzabile periodo di tempo Sez. 6, n. 21329 del 24/01/2007, Gatto, Rv. 236757 Sez. 6, n. 20647 del 29/01/2008, B., Rv. 239726 . 10.2. Questo percorso evolutivo, che ha attraversato tutti gli ambiti del diritto per decenni, ha avuto un approdo utile, ai fini dell'ermeneusi del termine convivente contenuto nell' art. 572 c.p. , con l'unica norma che, per la prima volta, ne introduce nell'ordinamento la nozione legale ovvero l' art. 1, comma 36, della L. 20 maggio 2016, n. 76 Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze secondo cui sono conviventi di fatto due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un'unione civile. . Occorre chiedersi se la disposizione contenuta nell' art. 572 c.p. possa attingere alla citata definizione di convivente visto che L. n. 76 del 2016 art. 1, comma 36, premette che la nozione legale è enucleata ai fini delle disposizioni di cui ai commi da 36 a 67 . La risposta deve essere affermativa, non solo alla luce dei criteri ermeneutici delineati dalla Corte costituzionale nelle sopra richiamate sentenze Corte Cost. sent. n. 25 del 2019 e n. 172 del 2014 , ma anche perché la L. n. 76 del 2016 , per quanto rileva in questa sede, ha preso atto del diritto vivente formatosi in materia di convivenza di fatto definizione criticabile che, peraltro, non ha più ragion d'essere stante l'introduzione di una specifica disciplina che regola, in parte, i contenuti e le caratteristiche di questa condizione di coppia , come si desume dalle Relazioni al disegno di legge, secondo cui la finalità della disciplina è volta a recepire nell'ordinamento legislativo le evoluzioni giurisprudenziali già consolidate nell'ambito dei diritti e dei doveri delle coppie conviventi . L'intenzione del legislatore, dunque, è stata quella di accreditare, nel diritto positivo, la definizione di convivente elaborata dalla giurisprudenza, secondo una nozione condivisa e a vocazione generale riferibile al senso comune , invocato dalla Corte costituzionale nella sentenza 98 del 2021 , che costituisce un preciso riferimento anche per il diritto penale nel rispetto del canone interpretativo a disposizione del giudice di fronte al testo legislativo. Va ricordato che il D.Lgs. n. 6 del 2017 con l'art. 1, lett. b ha introdotto l' art. 574-ter c.p. Costituzione di un'unione civile agli effetti della legge penale che, a chiusura del Titolo XI Dei delitti contro la famiglia , stabilisce una generale equiparazione tra le parti delle unioni civili e i coniugi, senza menzionare i conviventi. Detta omissione, ai fini dell'interpretazione dell'art. 572 c.p., non assume alcuna valenza proprio grazie all'estensione testuale avvenuta con la precedente L. n. 172 del 2012 . 10.3. Ulteriore e definitiva conferma della definizione di convivente enucleata, si trae, infine, sia dalla legge delega 27 settembre 2021, n. 134 che all'art. 1, comma 18, lett. b , delega il Governo a definire, nell'ambito dei programmi di giustizia riparativa, il familiare , qualificando il convivente come la persona che convive con la vittima in una relazione intima, nello stesso nucleo familiare in modo stabile e continuo sia dall'art. 42 lett. d del decreto delegato D.Lgs. n. 150 del 2022 , che riprendendo la Direttiva 2012/29/UE, ha tradotto il criterio menzionato ed equiparato il coniuge, la parte di un'unione civile ai sensi dell' art. 1, comma 1, L. 20 maggio 2016, n. 76 , il convivente di fatto di cui all'art. 1, comma 36, della stessa legge, la persona che è legata alla vittima o alla persona indicata come autore dell'offesa da un vincolo affettivo stabile, nonché i parenti in linea retta, i fratelli, le sorelle e i familiari a carico della vittima o della persona indicata come autore dell'offesa . Ciò che è certo è che il convivente, in quanto tale, non acquisisce uno status perché quello che lo connota è l'avere creato uno stretto legame affettivo di coppia che prescinde anche dall'appartenenza di sesso, diversamente da quanto previsto per le unioni civili e per il matrimonio , la cui definizione sfugge a schemi predefiniti, in quanto la convivenza è fondata su intime e personalissime scelte, differenti per ciascuna relazione, anche orientate da valutazioni economiche, culturali, sociali o religiose sempre più soggette a cambiamenti. 10.4. A questo punto è possibile delineare la definizione di convivenza, giuridicamente rilevante ai sensi dell' art. 572 c.p. , che proietta il rapporto, cioè la volontà di coppia, in una dimensione di impegno e di progetto di vita, al di là che poi in concreto la stabilità si realizzi Sez. 6, n. 8145 del 15/01/2020, S., Rv. 278358 , come nel caso in cui, assunta la decisione di vivere insieme, la convivenza cessi, ad esempio, proprio per le violenze. In sostanza ciò che qualifica detto tipo di rapporto è la spontaneità della decisione, liberamente revocabile, volta ad una comunione materiale e spirituale di vita Sez. 6, n. 17888 dell'11/02/2021, O., Rv. 281092 che si differenzia da altre forme di condivisione, quali il matrimonio o l'unione civile, solo per la mancata adesione a vincoli giuridici da cui conseguono differenti soglie di tutela a seconda delle scelte operate di volta in volta dal legislatore Sez. U, n. 10381 del 26/11/2020, Fialova, Rv. 280574 che al par. 4.2. richiama le sentenze della Corte EDU che già dal 1979 riconducono nella sfera applicativa dell'art. 8 CEDU , sulla protezione della vita familiare, anche i vincoli affettivi discendenti dalla convivenza di fatto . Dalla nozione delineata discende che la convivenza non può essere esclusa quando sia sospesa o segnata da intervalli purché, però, restino intatti gli altri aspetti, materiali e spirituali, della comunione di vita e della volontà di condivisione. Questi andranno accertati dal giudice di merito in chiave fattuale tenendo conto anche della flessibilità che caratterizza questa dimensione affettiva rispetto al contesto sociale, lavorativo e alle scelte intime che muovono le condotte umane. 10.5. Sono diversi gli indicatori della convivenza elaborati nei decenni dalla giurisprudenza civile e penale quali la coabitazione, cioè la vita in un alloggio comune in cui investire affettivamente Sez. 6, n. 9663 del 16/02/2022, P., Rv. 283120 la condivisione di un'intimità che si traduce in un legame sentimentale stabile la riconoscibilità come coppia da parte di contesti sociali e familiari la scelta di avere figli la responsabilità genitoriale Sez. 6, n. 37628 del 25/06/2019, C., Rv. 276697 la reciproca assistenza economica con la messa a disposizione di un patrimonio comune conto corrente, pagamento comune di alcune voci di spesa, mutuo, leasing ecc. o di beni auto, case, ecc. o servizi badante, baby-sitter, dog sitter ecc. o intestazione di utenze lo svolgimento di un'attività lavorativa comune impresa, negozio, ecc. . Si tratta di indicatori che, seppure singolarmente sforniti di valenza indiziaria, potrebbero acquisirla ove valutati congiuntamente, in quanto ognuno può rafforzare e trarre vigore dall'altro in un rapporto di vicendevole completamento. Infatti, la volontaria e reciproca partecipazione dell'uno alla vita dell'altro, che costituisce il nucleo del rapporto di convivenza, spesso è priva di elementi formali la cui esistenza richiede un accertamento in concreto che, al di là del foro interno dei partner, va svolto dal giudice attraverso una valutazione complessiva, e mai atomistica, di tutti gli elementi utili. 10.6. La coabitazione può essere un indice importante per individuare una convivenza affettiva stabile in quanto vi è una casa comune all'interno della quale si svolge il programma di vita condiviso, ma non è un requisito che la connota, visto che sempre più costituisce un dato recessivo Cass. civ., Sez. 1 ord. 14151 del 04/05/2022, B./F., Rv. 664954 Cass. civ., Sez. 3 ord. 9178 del 13/04/2018, S., Rv. 648590 . Infatti, la coabitazione può mancare per ragioni economiche, per condizioni oggettive, per scelte individuali, per necessità di assistenza di altri parenti, per esigenze lavorative e aspettative di studio o di carriera come nel caso di partner che svolgono attività in città differenti e lontane o quando è la stessa natura della professione svolta a non permettere una continuativa coabitazione . Anche la Corte EDU ha ritenuto di non ravvisare alcun fondamento per tracciare la distinzione tra i ricorrenti che convivono e coloro che - per motivi professionali e sociali - non lo fanno poiché il fatto di non convivere non priva le coppie interessate della stabilità che le riconduce nell'ambito della vita familiare ai sensi dell'art. 8 Corte EDU, Vallianatos e altri contro Grecia, 7 novembre 2013, p. 73 . Al contrario, la coabitazione o la convivenza meramente anagrafica possono esistere in assenza di convivenza affettiva duratura quando dipendono da esigenze di mera opportunità, di cura, di amicizia o utilità economica si pensi agli studenti o ai colleghi di lavoro che condividono le spese di un appartamento, ai parenti lontani che abitano nella stessa casa di famiglia, ecc. . 10.7. La condotta costitutiva del reato di maltrattamenti appare indirizzata non genericamente contro una persona con cui si vive, ma contro chi ha una consuetudine di vita in comune con l'agente in una relazione intima che, attraverso condotte maltrattanti, genera un rapporto gerarchico e non paritario. Si tratta, in sostanza, di un legame strutturato su una volontà di dominio nel quale è dirimente soprattutto il condizionamento psicologico e manipolatorio, fondato su ricatti affettivi o economici, in cui la relazione sentimentale e/o genitoriale costituiscono una precondizione che agevola la condotta sopraffattoria dell'autore sulla persona offesa. E' proprio il rapporto di intimità, di fiducia e di affidamento, a prescindere dal legame formale, ad esporre alle vessazioni maltrattanti. In conclusione, l'argomento letterale acquisisce una indiscutibile valenza dimostrativa allorché vede nel termine convivenza l'idea della condivisione di vita intesa sia nella componente materiale comune gestione e organizzazione dei figli, del tempo, dello spazio abitativo, delle amicizie o delle attività di ciascuno dei conviventi , sia nella componente affettiva. 11. La matrice relazionale propria del reato di maltrattamenti è riscontrabile anche nell' art. 612-bis c.p. , che va qualificato delitto per motivi di genere, in forza della denominazione delle leggi e dei Preamboli che lo hanno introdotto prima e modificato poi. 11.1. La condotta è integrata da minacce o molestie reiterate da cui consegue per la vittima almeno uno dei tre seguenti eventi un perdurante e grave stato di ansia o di paura un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto, o di persona al medesimo legata da relazione affettiva un'alterazione delle abitudini di vita. Si tratta di tre eventi che violano la libertà morale della persona offesa perché la costringono in una posizione difensiva per la debordante invasività degli atti vessatori posti in essere dall'agente Sez. 3, n. 9222 del 16 gennaio 2015, P.C., Rv. 262517 . Inizialmente, la distinzione con il reato di maltrattamenti era chiara perché, al di là del tipo di condotta e dell'essere il reato di evento, ruotava intorno al dato, sia formale che fattuale, dell'attualità o meno del vincolo di coniugio o affettivo era configurabile l' art. 572 c.p. per le condotte consumate con relazione in atto, mentre era configurabile l' art. 612-bis, comma 2, c.p. per le condotte consumate dopo la cessazione del vincolo o a conclusione della convivenza. La fattispecie penale in esame è stata più volte modificata per renderla adeguata sia alle condotte lesive, che alla tutela delle vittime. La più rilevante, che interessa il caso in esame, è quella di cui al D.L. n. 93 del 2013 , conv. dalla L. n. 119 del 2013 che ha esteso l'applicazione dell'aggravante anche agli atti persecutori commessi in costanza di relazione coniugale, di convivenza o affettiva determinando, per quanto si vedrà oltre, una vera e propria sovrapposizione con il delitto di maltrattamenti, tanto da ingenerare notevoli difficoltà interpretative sia per la natura emergenziale degli interventi avvenuti sempre con decreto legge , sia per l'assenza di un disegno organico e coerente tra le diverse norme sostanziali e processuali di contrasto alla violenza contro le donne che non viene mai né nominata se non nei titoli delle leggi , né definita. 11.2. Sia l' art. 612-bis, comma 2, c.p. che l' art. 572 c.p. risultano oggetto di numerosi interventi normativi, sempre dettati dall'adempimento dell'Italia agli obblighi sovranazionali, che hanno portato all'attuale sovrapposizione, attraverso la progressiva estensione della tutela delle donne in qualsiasi tipo di relazione affettiva, che costituisce ontologicamente un fattore di pericolo capace di favorire la violenza, allorché vi si esprima una cultura discriminatoria e sopraffattoria, per ragioni di genere, dell'autore. L'espansione è avvenuta con la parificazione della violenza commessa in contesto familiare e di convivenza, con quella esercitata tra attuali o precedenti partner, al di là della coabitazione. 11.3. La modifica normativa che ha riguardato l' art. 612-bis, comma 2, c.p. prevede che ogni rapporto, sia che venga formalizzato o meno dal coniugio, sia che risulti cessato o attuale, meriti un aumento sanzionatorio per la grave insidiosità delle condotte e la maggiore pericolosità dell'autore. Questi, infatti, proprio approfittando del legame sentimentale e dell'intimità presente o passata con la persona offesa, oltre che dell'abbassamento delle sue difese, è agevolato nella commissione del delitto essendo a conoscenza delle sue abitudini di vita, dei suoi comportamenti, dei suoi affetti più cari, delle sue conoscenze, dei suoi dati sensibili numero di telefono, mail, luogo di studio o di lavoro, tragitto percorso, veicoli utilizzati per gli spostamenti, profili social, eccetera . Ad oggi, dunque, gli interventi legislativi, senza fissare precisi criteri di orientamento per l'individuazione della linea di confine, hanno pressoché sovrapposto l'ambito di operatività delle due norme che, nate in contesti storici differenti, costituiscono i più significativi strumenti per contrastare forme di violenza nel contesto familiare ed affettivo. I profili del rapporto interpersonale che lega autore del reato e persona offesa, la struttura abituale delle fattispecie, l'elemento oggettivo e quello soggettivo dei due delitti comportamenti, anche privi del requisito dell'illiceità, inquadrabili in una cornice unitaria caratterizzata dall'imposizione della volontà di un partner sulle scelte libere e autonome dell'altro nel tempo sono venuti via via ad avvicinarsi, non costituendo più valore dirimente l'argomento, sino ad oggi utilizzato, della distinzione dell'oggetto giuridico protetto. 11.4. Ai fini dell'esegesi delle norme in esame, utile per distinguerle, ulteriore approfondimento merita la definizione di relazione affettiva contenuta nell' art. 612-bis, comma 2, c.p. e più volte richiamata nel codice penale, anche attraverso le modifiche introdotte dalla L. n. 69 del 2019 , perché i vari tipi di vincolo previsti normativamente coniugio, unione di fatto, separazione di fatto, separazione legale, divorzio, ecc. sono accomunati dalla precondizione della relazione affettiva che è in corso o li ha preceduti. Per relazione affettiva deve intendersi un legame sentimentale derivante da un rapporto di reciproco affidamento che facilita il delitto, in quanto l'autore sfrutta la fiducia che la vittima ripone in lui e ne approfitta per accedere violentemente o abusivamente nella sua sfera più intima Sez. 3, n. 42424 del 06/02/2018, L., Rv. 274518 , senza che vi sia né una stabile condivisione di vita ovvero di una convivenza attuale o cessata Sez. 3, n. 11920 del 09/01/2018, B., Rv. 272383 , né che vi siano frequentazioni ancorché episodiche Sez. 5, n. 18048 del 01/02/2018, S., Rv. 273746 . La formula relazione affettiva utilizzata dal legislatore consente ampi margini di valutazione che rimettono sostanzialmente all'interprete l'individuazione della nozione e dello specifico rapporto, tenendo conto non solo del contesto in cui questo si inscrive, ma soprattutto dell'appartenenza di genere dell'autore del reato e della persona offesa da cui origina la riproduzione di un rapporto sopraffattorio e controllante dell'uno sull'altra. 12. Alla luce di quanto precede è possibile individuare proprio nella fine della convivenza il confine tra i due reati in esame, in piena attuazione del precetto costituzionale di cui all' art. 25, comma 2, Cost. 12.1. La distinzione appare netta quando i fatti illeciti sono commessi dopo la chiusura del vincolo da parte dell'ex coniuge divorzio , con conseguente applicazione della sola forma aggravata di cui all' art. 612-bis, comma 2, c.p. In questa ipotesi, infatti, sulla base dei criteri sopra indicati non è più in atto la convivenza . Quando, invece, le condotte sopraffattorie e violente proseguono anche dopo la cessazione della convivenza e sono commesse dal coniuge, anche separato , o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa , si pone il problema, dal momento che il delitto potrebbe essere punito sia dall' art. 612-bis, comma 2, c.p. , sia dall' art. 572 c.p. . Il concorso apparente di norme è risolto dal principio di specialità, richiamato dalla clausola di sussidiarietà contenuta nell' art. 612-bis, comma 1, c.p. e spetta al giudice di merito delineare le ragioni, di fatto e di diritto, di applicazione dell'una o dell'altra norma. 12.2. La questione è di agevole soluzione, secondo l'interpretazione costante di questa Corte, quando le azioni vessatorie, fisiche o psicologiche, siano commesse ai danni del coniuge separato perché in questo caso si configura il solo reato di maltrattamenti, in quanto con il matrimonio o con l'unione civile la persona resta comunque familiare , presupposto applicativo dell' art. 572 c.p. . La separazione coniugale, infatti, da un lato è una condizione che incide soltanto sull'assetto concreto delle condizioni di vita, ma non sullo status acquisito dall'altro lato dispensa dagli obblighi di convivenza e fedeltà, lasciando integri quelli discendenti dall' art. 143, comma 2, c.c. reciproco rispetto, assistenza morale e materiale oltre che di collaborazione , cosicché il coniuge separato resta persona della famiglia come peraltro si evince anche dalla lettura dell' art. 570 c.p. Sez. 6, n. 45400 del 30/09/2022, R., non mass. . A questo dato formale si aggiunge un indicatore di comune esperienza, esplicitato anche dalle Convenzioni internazionali, secondo cui la violenza domestica tra coniugi, fondata su motivi di genere, è una forma di violenza che non solo continua, ma spesso si aggrava, proprio per la scelta della persona offesa di interromperla attraverso la separazione che costituisce, infatti, atto di affermazione di autonomia e libertà negate nella relazione di coppia in questi termini p. 42 della Relazione esplicativa della Convenzione di Istanbul . Detta interpretazione è ulteriormente rafforzata quando si condivida un rapporto genitoriale poiché, in situazioni di pregressa violenza domestica, sono proprio i figli e l'esercizio del diritto di visita a costituire, per l'agente, l'occasione o lo strumento per proseguire i maltrattamenti ai danni della persona offesa, come avvenuto anche nel caso di specie. 12.3. Ritiene il Collegio che il discrimine, nei casi di cessazione della convivenza, imponga un approfondito accertamento di fatto volto a verificare se tra l'autore del reato e la persona offesa non vi sia più quella consuetudine di vita che connotava il precedente rapporto, tale da escludere un'incombente e continuativa presenza del primo nell'esistenza della vittima e una modalità relazionale in piena discontinuità rispetto alla fase della convivenza. 12.4. Per compiere una corretta qualificazione giuridica delle condotte illecite, il giudice di merito deve operare un doppio accertamento della situazione di fatto al momento della consumazione delle violenze quello preliminare circa l'esistenza di una convivenza e non di una relazione affettiva , in base agli indicatori di cui ai paragrafi 10.1 e ss. quello successivo circa l'effettiva interruzione della convivenza. Questo secondo requisito, cioè l'effettiva interruzione della convivenza, è cruciale in quanto dalla sua esistenza deriva l'applicazione dell' art. 612-bis, comma 2, c.p. e, di converso, l'esclusione del reato di maltrattamenti. La verifica non sempre è agevole proprio per la fluidità e la complessità delle relazioni di coppia, specie quando fondate su una sopraffazione normalizzata o vi siano figli piccoli e provvedimenti giudiziari, civili o minorili, che impongono una loro gestione comune oppure per la necessità di un tempo di assestamento ai fini della definizione dei pregressi rapporti affettivi quando siano stati prolungati e la chiusura sia recente ricerca di un'abitazione o di una fonte di sostentamento, divisione di beni comuni o di conti cointestati, ecc. o, ancora, per i riavvicinamenti e gli allontanamenti, anche a brevi e continuativi intervalli, conseguenti a ricatti morali o a forme manipolatorie o a tentativi di ricostruzione della precedente condizione di vita. Tutto questo potrebbe far permanere modalità relazionali e abitudini di vita assai simili a quelle precedenti mangiare nella stessa casa o passare le feste o le vacanze insieme o imporre all'ex convivente di sbrigare le faccende domestiche nell'appartamento del partner per le più svariate ragioni come rendere graduale la separazione nell'interesse dei figli o assecondare il maltrattante per non aggravare ulteriormente la violenza. In questi casi, dunque, potrebbe proseguire una condizione di convivenza per la quale non basta accertare l'assenza di coabitazione, ma possono soccorrere altri indicatori volti a dimostrare che la convivenza sia cessata, come, ad esempio la mancata disponibilità da parte dell'autore del reato delle chiavi di casa in cui vive la persona offesa e, dunque, l'impossibilità di accesso incondizionato ed incontrollato ai luoghi in cui questa abita o la non condivisione della responsabilità genitoriale nel caso di affido esclusivo o super esclusivo alla sola persona offesa . Si tratta in sostanza di stabilire, con accertamento puntuale della specifica situazione di fatto se, al di là dell'affermazione dell'imputato o della persona offesa di avere cessato la convivenza, questo sia davvero avvenuto o, al contrario, permangano le medesime condizioni controllanti su cui questa si fondava, con tutti i meccanismi, oggettivi e soggettivi, che la connotavano, tanto da rendere meramente astratta, o solo ambita, la decisione di interromperla. E', dunque, necessario verificare se la persona offesa abbia effettivi spazi di autonomia, materiale e psicologica, rispetto al maltrattante nel qual caso ricorre la cessazione della convivenza e, dunque, si applica la fattispecie di cui all' art. 612-bis, comma 2, c.p. oppure continui ad esserne totalmente privata, come avveniva nel corso della convivenza, a tal punto da rendere le violenze senza soluzione di continuità, nel qual caso si applica la fattispecie di cui all' art. 572 c.p. . 13. Alla stregua di tali rilievi la motivazione della sentenza impugnata risulta deficitaria nella parte relativa alla puntuale descrizione dell'elemento oggettivo del reato con riferimento all'effettiva cessazione della convivenza per il periodo successivo al maggio 2019, visto peraltro che la condotta di tentato defenestramento dell'autore è avvenuta proprio a casa della persona offesa. Se si accerta che le violenze si sono consumate in una situazione di autonomia della vita della persona offesa, il fatto dovrà essere qualificato ai sensi dell' art. 612-bis c.p. , eventualmente in continuazione con l'accertata condotta di maltrattamenti, posta in essere in epoca precedente al maggio 2019 a cui non potrà applicarsi né l'inasprimento sanzionatorio del minimo edittale dell' art. 572, comma 1, c.p. di cui alla L. n. 69 del 2019 né l'aggravante di cui all' art. 572, comma 2, c.p. introdotta da tale disciplina, ma solo l'aggravante comune di cui all'art. 61, n. 11-quinquies, c.p. con conseguente rideterminazione della pena relativa a quel segmento. 14. Alla luce delle motivazioni esposte la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente alla qualificazione giuridica della condotta illecita posta in essere dal ricorrente nei confronti di B.G. successivamente al maggio 2019, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Bologna che potrà, eventualmente, anche utilizzare i propri poteri integrativi nel caso dovesse ritenere di non poter decidere allo stato degli atti. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Bologna.