Respinta l’istanza avanzata da un uomo e una donna, cittadini albanesi, e mirata ad ottenere l’autorizzazione a permanere in Italia per tutelare i due figli piccoli, rispettivamente di neanche 3 e 2 anni. Decisiva la constatazione, osservano i giudici, della mancanza di radicamento in Italia dei due bambini.
Niente permanenza in Italia per i due genitori stranieri se i figli sono così piccoli uno di neanche 3 anni, l'altro di neanche 2 anni da non avere avuto alcun inserimento nel contesto sociale italiano . Inequivocabile il fatto che essi non frequentino un asilo nido e vivano, invece, prevalentemente in famiglia, sottolineano i giudici. Concordi i giudici d'Appello e quelli del Tribunale va respinta la richiesta avanzata da un uomo e una donna, entrambi cittadini albanesi, e mirata ad ottenere l' autorizzazione alla permanenza sul territorio italiano così da tutelare, a loro parere, i due figli minori. Proprio sui due bambini uno di neanche 3 anni, l'altro di neanche 2 anni si sono soffermati i giudici d'Appello, chiarendo che essi non sono, in ragione della loro tenerissima età, ancora inseriti nel contesto sociale, vivendo prevalentemente in famiglia e non frequentando l'asilo nido e, peraltro, non presentando particolari problematiche relative alla loro salute e al loro sviluppo psicofisico . Secondo i giudici, quindi, deve escludersi che i due minori destinati a seguire i genitori nel Paese d'origine, non avendo parenti in Italia ai quali potrebbero essere affidati in caso di rimpatrio dei genitori possano subire un pregiudizio in conseguenza del rientro in Albania dove , annotano i giudici, vivono i nuclei familiari di origine di entrambi i genitori, del cui supporto e della cui vicinanza affettiva il nucleo familiare potrebbe avvalersi nel percorso di crescita dei bambini mentre nel territorio italiano i due cittadini albanesi non hanno parenti . Col ricorso in Cassazione, però, il legale che rappresenta i due stranieri contesta le valutazioni compiute dai giudici d'Appello e lamenta siano stati ignorati i danni derivanti dall'allontanamento dei genitori e dallo sradicamento dei minori . Egli aggiunge poi che non è stata considerata la situazione che il nucleo familiare si troverebbe ad affrontare in Albania , con particolare riferimento ai gravi problemi derivanti dalla mancanza di lavoro e di una abitazione nel Paese di origine dei due genitori. I magistrati di Cassazione ribattono ricordando che la tutela dei minori figli di cittadini stranieri presenti in Italia e destinati a tornare in patria può scattare a fronte di situazioni che si concretino in eventi traumatici e non prevedibili che trascendano il normale disagio dovuto al proprio rimpatrio o a quello di un familiare . In questa ottica, quindi, va fatto riferimento ad uno specifico grave disagio psico-fisico del minore, non essendo sufficiente né la mera indicazione della necessità di entrambe le figure genitoriali, né l'allegazione di un disagio in caso di rimpatrio insieme ai genitori o a causa dell'allontanamento di un genitore, né, infine, la prospettazione dell'esigenza di tutelare la coesione familiare . Ebbene, nel caso riguardante i due genitori albanesi e i loro due figlioletti, non è stato allegato uno specifico grave disagio psico-fisico dei minori, al di là di quello normale collegato al loro allontanamento dal territorio nazionale insieme con i propri genitori , osservano i giudici. Peraltro, in Appello si è coerentemente escluso che i due bambini possano subire un pregiudizio in caso di rimpatrio, evidenziando, da un lato, che gli stessi minori, in ragione della loro tenerissima età, non possono ritenersi radicati in Italia, non frequentando neppure un asilo nido, e, dall'altro, che in Albania vivono i nuclei familiari di origine di entrambi i genitori, del cui supporto e della cui vicinanza affettiva i genitori potrebbero avvalersi nel percorso di crescita dei bambini, mentre nel territorio italiano i due genitori non hanno parenti in grado di aiutarli nella gestione della prole. Per chiudere il cerchio, infine, a fronte dei presunti possibili pericoli derivanti dal rientro dei minori in patria , i magistrati chiariscono che va escluso che i possibili problemi di natura economica ed il diverso livello di vita esistente nel Paese di rientro rispetto a quello italiano possano essere catalogati come gravi motivi connessi con lo sviluppo psico-fisico, l'età e le condizioni del minore che si trova nel territorio italiano tali da autorizzare l'ingresso o la permanenza in Italia del familiare per un periodo di tempo determinato .
Presidente Valitutti Relatore Fidanzia Fatti di causa La Corte d'Appello di Lecce - sezione per i Minorenni - con decreto del 25.5.2021, ha rigettato il reclamo proposto da X.S. e X.K., entrambi cittadini alabanesi, avverso il decreto con cui il Tribunale per i Minorenni di Lecce aveva, a sua volta, rigettato la richiesta dei reclamanti di autorizzazione alla permanenza sul territorio italiano D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 31 . Il giudice del reclamo ha ritenuto che i minori A. e G., rispettivamente di due anni e sei mesi e di un anno e otto mesi, non siano, in ragione della loro tenerissima età, ancora inseriti nel contesto sociale, vivendo prevalentemente in famiglia, non frequentando l'asilo nido, e non presentando particolari problematiche relative alla loro salute e al loro sviluppo psicofisico. Deve, pertanto, escludersi che i minori medesimi - che seguirebbero i genitori nel paese d'origine, non avendo parenti in Italia ai quali potrebbero essere affidati in caso di rientro dei genitori - possano subire in pregiudizio in conseguenza del proprio rientro in Albania dove vivono i nuclei familiari di origine di entrambi i genitori, del cui supporto e della cui vicinanza affettiva il nucleo familiare potrebbe avvalersi nel percorso di crescita dei bambini, laddove nel territorio pugliese i ricorrenti non hanno parenti. X.S. e X.K. hanno proposto ricorso per cassazione, affidandolo ad un unico articolato motivo. Il Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di Lecce non ha svolto difese. Ragioni della decisione 1. E' stata dedotta la carenza ed illogicità della motivazione nonché la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31 oltre all'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ed il mancato svolgimento di un giudizio prognostico in violazione della Convenzione di new York. I ricorrenti assumono che il decreto impugnato violi del tutto l'impianto normativo, nazionale e sovranazionale, posto a tutela del minore e della famiglia, non essendo stata compiuta una concreta valutazione sulla sussistenza dei gravi motivi di disagio psico-fisico dei minori conseguenti all'allontanamento dei medesimi dal territorio italiano, evidenziati anche dai Servizi Sociali del Comune di Minervino LE e dalla psicologa. Non si è tenuto conto dei danni derivanti dall'allontanamento dei genitori e dallo sradicamento dei minori. La Corte leccese ha operato un'interpretazione fortemente restrittiva del requisito dei gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico del minore , di cui all'art. 31 T.U.I., non considerando la situazione che il nucleo familiare si troverebbe ad affrontare in Albania e, in particolare, i gravi problemi derivanti dalla mancanza di lavoro e di una abitazione. 2. Il ricorso è inammissibile. Va osservato che è pur vero che le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 21799/2010, hanno ritenuto che i gravi motivi connessi allo sviluppo psico-fisico del minore, di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31, comma 3 non richiedono necessariamente l'esistenza di situazioni di emergenza o di circostanze contingenti ed eccezionali strettamente collegate alla sua salute, potendo comprendere qualsiasi danno effettivo, concreto, percepibile ed obiettivamente grave che in considerazione dell'età o delle condizioni di salute ricollegabili al complessivo equilibrio psico-fisico, deriva o deriverà certamente al minore dall'allontanamento del familiare o dal suo definitivo sradicamento dall'ambiente in cui è cresciuto. Deve trattarsi, tuttavia, di situazioni non di lunga o indeterminabile durata e non caratterizzate da tendenziale stabilità che, pur non prestandosi ad essere catalogate o standardizzate, si concretino in eventi traumatici e non prevedibili che trascendano il normale disagio dovuto al proprio rimpatrio o a quello di un familiare. Anche più recentemente, questa Corte, con la sentenza n. 26710 del 10/11/2017 , ha statuito che la parte richiedente ha l'onere di dedurre, in modo specifico, il grave disagio psico-fisico del minore, non essendo sufficiente né la mera indicazione della necessità di entrambe le figure genitoriali, né l'allegazione di un disagio in caso di rimpatrio insieme ai genitori o a causa dell'allontanamento di un genitore, né, infine, la prospettazione dell'esigenza di tutelare la coesione familiare vedi Cass. n. 4496/2022 . Nel caso di specie, tuttavia, i ricorrenti non hanno allegato uno specifico grave disagio psico-fisico dei minori, al di là di quello normale collegato al loro allontanamento dal territorio nazionale insieme con i propri genitori. La Corte d'Appello, d'altro canto, ha coerentemente escluso che i due bambini possano subire un pregiudizio in caso di rimpatrio, evidenziando, da un lato, che gli stessi minori, in ragione della loro tenerissima età rispettivamente poco più di due anni e di un anno non possono ritenersi radicati in Italia - non frequentando neppure un asilo nido - e, dall'altro, che in Albania vivono i nuclei familiari di origine di entrambi i genitori, del cui supporto e della cui vicinanza affettiva i genitori potrebbero avvalersi nel percorso di crescita dei bambini, mentre nel territorio pugliese i ricorrenti non hanno parenti. Il Giudice di secondo grado, inoltre, oltre a confutare le conclusioni della relazione psicologica depositata in atti sui possibili pericoli derivanti dal rientro del minore in patria e' stato, sul punto, evidenziato che il rientro avrebbe come destinazione un paese, come l'Albania, conosciuto per lingua, affetti e tradizioni , ha coerentemente escluso che tra i gravi motivi di cui all'art. 31 legge cit. possano farsi rientrare i possibili problemi di natura economica ed il diverso livello di vita esistente nel paese di rientro rispetto a quello italiano. Svolgendo tali argomentazioni, il giudice d'appello ha correttamente applicato il principio di diritto già enunciato da questa Corte vedi Cass. n. 38661/2021 secondo cui, in tema di autorizzazione temporanea alla permanenza in Italia del genitore del minore, costituiscono unici presupposti essenziali per l'applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31 che il minore medesimo si trovi in Italia e che sia integrato nel tessuto socio-territoriale e nei percorsi scolastici. Nella specie, la S.C. ha negato ricorressero detti presupposti nell'ipotesi di richiesta formulata dai genitori, appena giunti in Italia dall'Albania insieme con il minore per la prima volta dopo la sua nascita, per una ragione estranea al suo specifico interesse, quale il miglioramento delle proprie condizioni di vita . Infine, la decisione in oggetto, fondata su un ben preciso accertamento in fatto, non è comunque sindacabile in questa sede se non per vizio di motivazione costituzionalmente rilevante, secondo i parametri della sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 8053/2014. Tale vizio non è stato neppure dedotto dai ricorrenti, i quali, non a caso, si sono espressi genericamente in termini di carenza o illogicità della motivazione, ma senza neppure illustrarne le ragioni. Non si liquidano le spese di lite, non avendo l'intimato svolto difese. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 , comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis. Dispone che, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omessi i nominativi e gli altri dati identificativi delle parti e degli altri soggetti in esso menzionati.