Tra accertamento in sede di giudizio civile del c.d. danno conseguenza e pregiudizialità dell’azione di revocazione

Di seguito alcuni importanti principi di diritto espressi da questo Collegio, in tema di liquidazione del danno conseguenza e di impugnazione per revocazione della sentenza effetto del dolo del giudice, accertato con pronuncia passata in giudicato.

Nel caso in esame, il giudice del merito dovrà in conclusione limitare la liquidazione del danno conseguenza al danno patrimoniale , nei limiti del mancato guadagno dal giorno del pagamento alla domanda di revocazione, e al danno non patrimoniale , attenendosi ai seguenti principi di diritto mentre la condanna generica al risarcimento del danno in favore della parte civile, disposta dal giudicato penale di condanna per corruzione in atti giudiziari, attiene al danno evento e alla sua potenzialità lesiva, ai fini dell'accertamento in sede di giudizio civile del danno conseguenza , avente ad oggetto la perdita subita ed il mancato guadagno, pregiudiziale è l'azione di revocazione della sentenza effetto del dolo del giudice proposta l'impugnazione per revocazione di sentenza effetto del dolo del giudice accertato con sentenza passata in giudicato, e disposta la restituzione di ciò che siasi in buona fede conseguito con la sentenza revocata, costituiscono debito risarcitorio dell'autore del reato non solo il danno patrimoniale nei limiti del mancato guadagno dal giorno del pagamento a quello della domanda di revocazione e il danno non patrimoniale, ma anche l'oggetto dell'obbligazione restitutoria derivante dalla sentenza di revocazione se il diritto di credito restitutorio, avente ad oggetto quanto pagato in esecuzione della sentenza revocata ed il lucro cessante dalla domanda di revocazione, è rimasto insoddisfatto all'esito dell'inutile escussione in sede esecutiva individuale o concorsuale di chi ha ricevuto il pagamento non dovuto in una fattispecie caratterizzata dalla condanna generica al risarcimento del danno in favore della parte civile con il giudicato penale di condanna per corruzione in atti giudiziari e dal successivo giudicato di revocazione della sentenza effetto del dolo del giudice con dichiarazione di inammissibilità per sopravvenuto difetto di interesse ad agire dell'originaria domanda di merito e assorbimento del provvedimento sulla restituzione di ciò che siasi in buona fede conseguito con la sentenza revocata, la parte che ha eseguito il pagamento in forza della sentenza revocata ha nei confronti dell'autore del reato di corruzione diritto al risarcimento del danno patrimoniale , nei limiti del mancato guadagno dal giorno del pagamento alla domanda di revocazione, nonché del danno non patrimoniale .

Presidente Spirito Relatore Scoditti Fatti di causa 1. Nell'ambito della L. n. 787 del 1978 Disposizioni per agevolare il risanamento finanziario delle imprese venne stipulata in data 19 luglio 1979 una convenzione fra da una parte il costituendo Consorzio nelle persone del futuro presidente e l'Istituto Mobiliare Italiano e dall'altra R.N. e B.L. rispettivamente titolari di F. s.r.l. poi E. s.r.l. e P. s.p.a., azioniste di controllo del gruppo S.I.R., in base alla quale il controllo del detto gruppo sarebbe dovuto passare al costituendo Consorzio . R.N. e F. s.r.l. convennero poi in giudizio innanzi al Tribunale di Roma, con atto di citazione notificato in data 11 marzo 1982, l'I.M.I. per l'inadempimento alla convenzione. Annullata dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 3228 del 1989 la sentenza di appello con cui era stato rigettato il gravame avverso la sentenza non definitiva di accoglimento della domanda limitatamente all'an, e appellata la sentenza del Tribunale che circa il quantum aveva liquidato l'importo di 750 miliardi di Lire, riuniti i giudizi in sede di appello con la nomina quale istruttore del Dott. M.V., venne emessa dalla Corte di appello di Roma la sentenza n. 4809 del 1990 estensore il medesimo M. , che condannò l'I.M.I. al pagamento in favore degli attori della somma di 500 miliardi di Lire oltre interessi e rivalutazione. Con sentenza n. 7802 del 1993 la Corte di Cassazione dichiarò l'improcedibilità del ricorso proposto dall'I.M.I. per il mancato deposito della procura speciale. L'I.M.I. corrispose quindi in data 13 gennaio 1994 l'importo complessivo di Lire 980.351.147.815, ed in particolare Lire 678,3 miliardi in favore di B.P. coniuge erede del R., stante la rinuncia da parte degli altri eredi e di F., Lire 237,8 miliardi all'Erario per conto della B. a titolo di imposta di successione e Lire 64,2 miliardi a titolo di ritenuta di acconto sugli interessi di mora pagati sempre dall'I.M.I Successivamente, sulla base di indagini avviate nel 1995, venne disposto il rinvio a giudizio del magistrato M.V. e degli avvocati P.C., + Altri Omessi, per corruzione in atti giudiziari in concorso in relazione alla sentenza n. 4809 del 1990. All'esito dei gradi di merito del processo penale la Corte di Cassazione con sentenza n. 33435 del 2006, annullata senza rinvio la sentenza emessa nei confronti della B. perché il fatto non costituiva reato e nei confronti del R. per estinzione del reato, confermò l'accertamento della penale responsabilità di M., P. e P., condannando questi ultimi ed il R. al risarcimento in favore di S. I.M.I., che aveva incorporato I.M.I. s.p.a. e si era costituita parte civile, del danno patrimoniale e non patrimoniale, rimettendo la liquidazione al giudice civile con sentenza n. 33519 del 2006 rideterminò la pena dei confronti di A.G., rimettendo al giudice civile per la determinazione del danno patrimoniale e non patrimoniale. Con atto di citazione notificato in data 13 giugno 2006 I. S. propose innanzi alla Corte d'appello di Roma domanda di revocazione della sentenza effetto del dolo del giudice accertato dal giudicato penale. 2. Con distinti atti di citazione, notificato il primo in data 29 gennaio 2007, I. S. s.p.a. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Roma A.G., + Altri Omessi e la Presidenza del Consiglio dei Ministri, tenuta in solido con il M. ai sensi della L. n. 117 del 1988, art. 13 chiedendo la condanna in solido al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale cagionato dal reato sulla base di Cass. n. 33435 e n. 33519 del 2006, ed in particolare, quanto al danno patrimoniale, Euro 506.309.113,82 per danno emergente e Euro 505.000.000,00 per lucro cessante in relazione al mancato investimento della somma corrisposta . Si costituirono i convenuti chiedendo il rigetto della domanda. La Presidenza del Consiglio dei Ministri propose domanda di regresso nei confronti di P., A., P. e R. non nei confronti del M., stante la giurisdizione della Corte dei Conti . All'udienza del 13 maggio 2009, a causa della cessazione dello stato di interdizione legale del P., fu dichiarata l'interruzione del giudizio. L'attrice depositò in data 17 dicembre 2009 ricorso di riassunzione. In data 15 dicembre 2009 la società attrice notificò ai convenuti P. e P. atto di rinuncia, i quali notificarono il 21 e 22 dicembre 2009 l'accettazione. All'udienza del 28 aprile 2010, fissata per la prosecuzione del giudizio, il giudice, rilevato che il ricorso per riassunzione non era stato notificato al P. e al P., ordinò alla società attrice e alla Presidenza del Consiglio dei Ministri la notifica del ricorso ai predetti convenuti, rinviando all'udienza del 27 ottobre 2010, nel corso della quale, stante la mancata notifica del ricorso, venne eccepita l'estinzione del giudizio. Successivamente a nuova interruzione e riassunzione del giudizio, per essere venuta meno la causa di interdizione legale nei confronti del M., all'udienza del 19 ottobre 2011 fu dichiarata l'estinzione del processo in relazione al rapporto processuale fra l'attrice e i convenuti R., P. e P. a seguito di transazione stipulata fra questi convenuti e l'attrice medesima in particolare nel luglio 2009 era stata stipulata transazione con il P. ed il P., con versamento dell'importo complessivo di Euro 16.875.984,73, e nel gennaio 2010 era stata stipulata transazione con il R. e gli altri componenti della famiglia R., fra cui B.P., con versamento dell'importo complessivo di Euro 169.223.774,14 e cessione in favore dell'I.M.I. del credito di Euro 111.116.602,77 vantato nei confronti della Agenzia delle Entrate per imposta di successione . 3. Con sentenza parziale n. 10131 del 2012, il Tribunale adito, per quanto qui rileva, rigettò l'eccezione di estinzione del giudizio e dichiarò l'inammissibilità della domanda di regresso della Presidenza del Consiglio dei Ministri nei confronti del P., del P. e del R. alla luce della transazione intervenuta, disponendo per l'ulteriore istruzione con la nomina di CTU. Con sentenza n. 11135 del 2015 il Tribunale condannò l' A. ed il M., nonché in solido con quest'ultimo ai sensi della L. n. 117 del 1988, art. 13 la Presidenza del Consiglio dei Ministri, al pagamento in favore di I. S. s.p.a. della somma di Euro 173.000.000,00 oltre interessi al netto del prelievo fiscale condannò inoltre l' A. a rivalere la Presidenza del Consiglio dei Ministri di quanto eventualmente corrisposto in misura eccedente rispetto alla metà del liquidato. Con sentenza n. 1306 del 2013, passata in cosa giudicata, la Corte d'appello di Roma, in accoglimento della domanda di revocazione, aveva revocato la sentenza n. 4809 del 1990 e, in sede rescissoria, dichiarato l'inammissibilità dell'originaria domanda per carenza di interesse ad agire alla luce della transazione stipulata nel gennaio 2010. 4. Avverso la sentenza n. 11135 del 2015 del Tribunale di Roma furono proposti distinti appelli ed appello incidentale anche da parte di I. S Disposta la riunione delle impugnazioni, ed anche di quelle proposte nei confronti della sentenza parziale, con sentenza di data 16 aprile 2020 la Corte d'appello di Roma rigettò gli appelli proposti avverso la sentenza parziale e, in parziale riforma della sentenza n. 11135 del 2015, condannò M.V., A.G. e la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in solido fra di loro, al pagamento in favore di I. S. della somma di Euro 108.000.000,00 oltre interessi legali al netto del prelievo fiscale, confermando per il resto la decisione impugnata. 5. La corte territoriale, per quanto qui rileva, osservò quanto segue. 5.1. Era infondata l'eccezione di estinzione dell'intero giudizio ai sensi dell' art. 307 c.p.c. , comma 3, con riferimento alla prima interruzione, perché l'ordine di rinnovazione della notifica del ricorso in riassunzione nei confronti dei convenuti P. e P. era illegittimo per l'intervento degli atti di rinuncia e accettazione nelle more fra il deposito del ricorso e l'udienza atti prodotti nella medesima udienza , mentre sarebbe stato legittimo l'ordine indirizzato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ove questa avesse depositato in relazione alla domanda di rivalsa il ricorso in riassunzione non essendo stato depositato atto di riassunzione il giudizio relativo alla domanda di manleva nei confronti dei convenuti P. e P. era già estinto ai sensi dell' art. 305 c.p.c. , mentre non competeva a I. S. s.p.a. notificare il ricorso in riassunzione per una domanda, quale quella di manleva, da essa non proposta per cui l'ordine di rinnovazione non era ad essa indirizzato per tale domanda . 5.2. L' A. ha proposto appello fra l'altro per il difetto di legittimazione passiva, non potendo essere chiamato a rispondere a titolo risarcitorio per quanto l'attrice avrebbe potuto recuperare a titolo di indebito oggettivo dalle parti del giudizio oggetto di revocazione in sede restitutoria. Quanto al rapporto con l'azione di revocazione proposta ai sensi dell' art. 395 c.p.c. , n. 6 non vi era reale contrasto con Cass. n. 21255 del 2013 alla luce della diversità con l'azione risarcitoria di cui all' art. 185 c.p. , sicuramente complementare e non alternativa alla prima, non essendovi un impedimento per pretesa pregiudizialità alla domanda risarcitoria ove non proposta quella restitutoria. La previsione dell'impugnazione straordinaria nel caso di dolo del giudice apprestava un primo strumento, in senso lato risarcitorio, per restituire alle parti un processo giusto e consentire loro di eliminare dal mondo giuridico la pronuncia viziata a condizione che ciò non comportasse un ulteriore onere per la parte, già danneggiata, privo di qualsiasi utilità, fino al sacrificio dell'interesse concreto alla più rapida definizione della controversia. L'ingiustizia del comando nella decisione frutto di dolo permaneva anche in presenza di rinnovazione del processo innanzi a giudice terzo in quanto al primo comando, ove eseguito come nella specie, era stata data concreta attuazione con immediati effetti patrimoniali deteriori da valutare nell'azione risarcitoria al momento della loro verificazione. La causa del danno era pertanto identificabile nella sentenza affetta da dolo del giudice e nell'esecuzione del comando viziato che non cesserebbe di essere illegittimo anche nell'ipotesi che all'esito del giudizio revocatorio si pervenisse ad analoga soluzione. Come evidenziato dal Tribunale, alla luce dell'incertezza del giudizio rescissorio, rispetto alla domanda restitutoria pari ad Euro 506.309.113, vi era stata una sicura utilità nella transazione conclusa con gli eredi R., propedeutica all'estinzione concordata di quel giudizio. 5.3. Non era fondato il motivo di appello proposto dall' A., in relazione alla dichiarazione di voler profittare della transazione intercorsa fra l'I.M.I. e gli eredi R. in base alla quale il primo si era dichiarato interamente soddisfatto nei confronti dei membri della famiglia R. e di E. s.r.l. in liquidazione per le pretese risarcitorie o restitutorie azionate nel contenzioso I.M.I.-S.I.R., con abbandono di tutte le controversie pendenti, fra cui la domanda risarcitoria proposta nei confronti della B. innanzi al Tribunale di Monza per i fatti accertati in sede penale, ad eccezione del giudizio per revocazione della sentenza n. 4809 del 1990. Poiché la transazione aveva avuto ad oggetto la sola quota del condebitore che l'aveva stipulata, il debito residuo gravante sugli altri coobbligati non transigenti doveva essere ridotto in misura pari alla quota di chi aveva transatto. Irrilevante era la circostanza che la domanda innanzi al Tribunale di Monza era stata abbandonata perché l'esito di tale giudizio non poteva avere alcun effetto di giudicato nei confronti dei debitori non transigenti che non avevano partecipato al giudizio e si trattava soltanto della conseguenza dell'intervenuta transazione. 5.4. L' art. 1227 c.c. , comma 2, presupponeva un'attività con risultato certo al fine di evitare o ridurre il danno, senza implicare l'obbligo di intraprendere un'iniziativa giudiziaria, comportante sacrifici, esborsi o assunzione di rischi e dall'esito non certo. Avuto riguardo sia al giudizio inibito in Cassazione per la mancanza della procura speciale, che all'immediata evocazione in giudizio del Consorzio S.I.R., non era provato che il danno sarebbe stato presumibilmente evitato con un'impugnazione tempestiva. Gli appellanti si dolevano del giudizio negativo prognostico effettuato dal Tribunale, trascurando che loro stessi si avvalevano di un giudizio prognostico del tutto incerto sull'esito favorevole ad I.M.I. della lite. Non si poteva infatti la valutazione fermare alla sola pronuncia successiva di condanna del Consorzio S.I.R., ma si dovevano valutare anche le concrete probabilità di ottenere la somma in via esecutiva. Come chiarito dal Tribunale sulla base degli accertamenti effettuati dal CTU, già nel 1985 il patrimonio del Consorzio S.I.R., posto in liquidazione dal 24 settembre 1984, risultava ampiamente incapiente rispetto ad un'azione di rivalsa dell'I.M.I. per cui, dovendosi escludere l'utile esercizio dell'azione di rivalsa, non poteva ritenersi dimostrata né la negligenza difensiva dell'I.M.I. né la sicura elisione o riduzione del danno. Quanto al mancato deposito della procura speciale nel giudizio di cassazione, difettava la prova sia dell'effettiva negligenza dell'I.M.I. il procedimento penale relativo alla scomparsa della procura si era concluso con la richiesta di archiviazione, accolta dal GIP, perché in ordine a tutte le ipotesi di reato di cui al presente fascicolo sono rimasti ignoti gli autori , sia di quello che sarebbe stato l'esito del giudizio di legittimità non essendo per nulla scontato che il giudizio si sarebbe concluso con la cassazione della sentenza affetta da dolo. Inammissibile era poi l'eccezione ai sensi dell'art. 1227 sotto il profilo della mancata attivazione di I.M.I., quale azionista, per far deliberare e sottoscrivere l'aumento di capitale sociale del Consorzio, affinché quest'ultimo potesse adempiere l'obbligo di rivalsa il che confermava la consapevolezza degli appellanti circa l'incapienza del patrimonio consortile , perché proposta dal M. per la prima volta in appello, mentre l' A., che l'aveva proposta in primo grado, non l'aveva poi riproposta in appello. 5.5. Alla luce della CTU, doveva escludersi per l'I.M.I. l'esistenza di vantaggi, idonei a ridurre l'ammontare del danno patrimoniale, derivanti dalla partecipazione dell'I.M.I medesimo al Consorzio, avuto riguardo alla cessione alla Cassa Depositi e Prestiti dei crediti vantati nei confronti delle società del Gruppo S.I.R. e assistiti da garanzie reali sugli impianti in virtù della L. n. 784 del 1980 , perché, come rilevato dal Tribunale, non vi era alcuna connessione sia cronologica che funzionale al pagamento del risarcimento imposto dalla sentenza corrotta. Doveva quindi escludersi una correlazione fra il danno subito per l'esborso in favore degli eredi R. ed il preteso beneficio economico ritratto dalla partecipazione al Consorzio che, oltre ad essere indimostrato, non poteva essere considerato un credito da eccepire in compensazione al debito risarcitorio. 5.6. Nella liquidazione del danno patrimoniale era preferibile l'approccio ex post, scelto dal CTU e fatto proprio dal Tribunale, rispetto a quello ex ante, per essere ancorato a dati certi e a fatti realmente accaduti. Quanto al danno non patrimoniale, preliminarmente si condivideva il giudizio del Tribunale in termini di pregiudizio derivante dalla vicenda penalistica all'immagine di sana e prudente gestione dei risparmi e fondi altrui nonché per l'alterazione dell'ordinaria gestione per un istituto bancario di importanza strategica per l'economia nazionale costretto a far fronte, mediante soluzioni finanziarie e contabili, ad un evento gravemente lesivo quale l'illecito penale. Pur non potendosi negare la negativa influenza sull'immagine dell'Istituto, come pure il coinvolgimento dei suoi vertici nelle critiche negative riguardanti le scelte operative, nonché lo sviamento o compromissione dei fini istituzionali della persona giuridica, non era tuttavia condivisibile la liquidazione del danno non patrimoniale nella misura del 25% del danno patrimoniale in ragione dell'elevatezza di quest'ultimo e trattandosi di profili del tutto autonomi, per cui arbitrario era parametrare il primo al secondo. Non era dimostrato che lo sviamento dai fini istituzionali avesse inciso, quanto all'immagine e alla reputazione dell'I.M.I. nella maniera così incisiva presupposta dal Tribunale, per cui, in luogo dell'importo liquidato di Euro 77.000.000, competeva il diverso importo di Euro 8.000.000, portando quindi il complessivo risarcimento riconosciuto nella sentenza da Euro 173.000.000.000 a Euro 108.000.000, oltre interessi legali. 6. I. S. s.p.a. propose istanza di correzione materiale della sentenza della Corte d'appello di Roma, nella parte in cui in dispositivo in luogo della somma di Euro 131.600.000.000 risultava indicato l'importo di Euro 108.000 .000.000. La Corte d'appello rigettò l'istanza. 7. Hanno proposto ricorso per cassazione A.G. sulla base di dieci motivi e I. S. s.p.a. sulla base di tre motivi. Resiste al ricorso proposto da I. S. la Presidenza del Consiglio dei Ministri, che ha proposto altresì ricorso incidentale sulla base di tre motivi. Resistono al ricorso proposto da A.G. con distinti controricorsi P.A., R.F. e I. S. s.p.a. P.C. resiste con unico controricorso ai ricorsi proposti da A.G., I. S. s.p.a. e Presidenza del Consiglio dei Ministri. Ha inoltre proposto ricorso per cassazione in via principale la Presidenza del Consiglio dei Ministri sulla base di tre motivi. Resiste con controricorso I. S. s.p.a E' stata depositata memoria di parte. Il Pubblico Ministero ha presentato le conclusioni scritte. 8. Le impugnazioni proposte vengono riunite in un solo processo. Ragioni della decisione 1. Muovendo dal ricorso proposto da A.G., con il primo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione dell' art. 307 c.p.c. , comma 3, ai sensi dell' art. 360 c.p.c. , comma 1, nn. 3 e 4. Osserva la parte ricorrente, premesso che era stata dichiarata con la sentenza parziale n. 10131 del 2012 l'inammissibilità della domanda di regresso della Presidenza del Consiglio nei confronti del P. e del P. per la transazione stipulata fra questi e l'attrice per cui essi avevano perso la qualità di condebitori solidali cfr. art. 1299 c.c. e non per non avere la Presidenza del Consiglio proposto il ricorso per riassunzione nei confronti di costoro, che per effetto del ricorso in riassunzione il rapporto processuale si era ripristinato integralmente, sicché la rinnovazione della notifica di ricorso e decreto doveva essere eseguita da chiunque fosse parte del giudizio nei confronti del P. e del P., ed in particolare dalla Presidenza del Consiglio in quanto parte interessata alla luce della proposta domanda di manleva, pena l'estinzione dell'intero giudizio, come in effetti verificatosi. 2. Con il secondo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 395,398 e 402 c.p.c. , ai sensi dell' art. 360 c.p.c. , comma 1, nn. 3 e 4. Premette il ricorrente che all'epoca dell'instaurazione del presente processo l'attrice aveva già introdotto il giudizio di revocazione. Osserva quindi la parte ricorrente che in base a Cass. n. 21255 del 2013 la parte danneggiata dalla sentenza corrotta è obbligata ad attivare il rimedio della revocazione, con le conseguenti restituzioni, mentre l'azione risarcitoria può essere promossa solo ove la parte danneggiata dimostri l'oggettiva impossibilità di conseguire l'oggetto della revocazione. Aggiunge che la corte territoriale ha erroneamente inteso il concetto di utilità giuridica, avendolo riferito alla differente ipotesi di introduzione dell'utile giudizio di revocazione e, ivi transatte le pretese delle parti, sia sopravvenuto il difetto di interesse per la convenienza della transazione, laddove invece la corte territoriale avrebbe dovuto rilevare l'astratta possibilità giuridica dell'oggetto del giudizio di revocazione e la conseguente utilità giuridica per le parti. 3. Con il terzo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 112 e 402 c.p.c. , ai sensi dell' art. 360 c.p.c. , comma 1, nn. 3 e 4. Premette il ricorrente che il giudice di appello ha omesso di pronunciare in ordine al motivo di appello avente ad oggetto il difetto di legittimazione passiva in ordine alla pretesa restitutoria. Osserva quindi che, ove si intenda che vi sia stata pronuncia, vi è violazione dell'art. 402 per le seguenti ragioni anche a non voler riconoscere la natura pregiudiziale dell'azione di revocazione, legittimato passivo nell'azione restitutoria ai sensi dell'art. 402 è il materiale percettore della somma B.P. e F. s.r.l. la sentenza della Corte d'appello emessa in sede di revocazione n. 1306 del 2013 , con cui è stata rigettata l'eccezione di difetto di legittimazione passiva della B. stante la sua qualità di unica erede universale, costituisce giudicato opponibile all'I.M.I. e l'oggetto della pretesa restitutoria coincide con l'allegato danno patrimoniale perché l'importo di Euro 505.309.113,82 corrisponde al danno emergente importo pagato in esecuzione della sentenza n. 4809 del 1990 , l'importo di Euro 505.000.000,00, dedotto come mancato utile, costituisce i frutti e gli interessi di cui all'art. 2033 e la rivalutazione monetaria costituisce, come indicato, obbligazione pecuniaria di ripetizione di indebito l' A. non ha beneficiato dell'importo corrisposto dall'I.M.I. perché la somma bonificata dagli eredi R. sul conto intestato all' A. è stato per la parte prevalente utilizzato per il pagamento all'Erario di imposte e per il resto messo a disposizione dell'autorità giudiziaria non vi è spazio per ulteriori liquidazioni a titolo di danno patrimoniale alla luce della soddisfazione del diritto dell'attrice con la transazione di cui si dà atto nella sentenza sulla revocazione mentre quanto percepito dal P. e dal P. è da imputare al danno non patrimoniale . 4. Con il quarto motivo si denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 1223 e 2043 c.c. , ai sensi dell' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3. Osserva il ricorrente che, come affermato con l'atto di appello, non vi è prova del danno ingiusto poiché si sarebbe dovuto provare che il dolo aveva alterato la decisione del giudizio in favore della controparte, laddove invece nel giudizio penale era stato accertato solo un accredito sul conto del M. dell'importo di 400 milioni di Lire senza fare riferimento all'ingiustizia della sentenza n. 4809 del 1990. Aggiunge che l'ingiustizia poteva essere accertata esclusivamente nel giudizio sulla revocazione, il quale si era invece concluso con la dichiarazione, previa revoca della sentenza n. 4809 del 1990 in quanto frutto di dolo, che la B. e E. s.r.l. già F. avevano riscosso da I. S. s.p.a., a seguito della transazione con cui era stato regolato il diritto di quest'ultima alla restituzione ai sensi dell' art. 402 c.p.c. , una somma di denaro minore di quella ricevuta in esecuzione della sentenza revocata, per cui erano carenti di interesse ad una pronuncia sul merito. Precisa sul punto che deve intendersi che la sentenza sulla revocazione abbia stabilito che il giusto prezzo per la cessione delle imprese del gruppo S.I.R. corrisponde alla differenza fra l'importo ricevuto in sede di esecuzione della sentenza n. 4809 del 1990 e l'importo pagato a seguito della transazione per cui I.M.I. non ha diritto a percepire di più di quanto fissato dalla transazione. 5. Con il quinto motivo si denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 1223 e 2043 c.c. , art. 112 c.p.c. , ai sensi dell' art. 360 c.p.c. , comma 1, nn. 3 e 4. Osserva il ricorrente che vi è omessa pronuncia sul motivo di appello con cui si sosteneva che non vi fosse alcun lucro cessante per non esservi stato alcun ingiustificato esborso di denaro posto che, come si ricava dalla sentenza sulla revocazione, l'importo a suo tempo corrisposto alla B. era dovuto, sicché alcun danno è stato patito dall'I.M.I. e comunque il danno lamentato poteva essere evitato mediante l'ordinaria diligenza depositando la procura alle liti nel giudizio di cassazione e chiamando in causa il Consorzio . 6. Con il sesto motivo si denuncia violazione o falsa applicazione dell' art. 1304 c.c. , comma 1, ai sensi dell' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3. Osserva il ricorrente che la transazione I.M.I.- R. spiega effetti estintivi dell'obbligazione risarcitoria vantanti dell'I.M.I. nei confronti dell' A Premesso che fin dalla comparsa di costituzione in primo grado era stata fatta dichiarazione di voler approfittare della transazione ai sensi dell'art. 1304, comma 1, precisa al riguardo il ricorrente che, benché formalmente nella transazione era stato convenuto che gli effetti si producessero esclusivamente fra i membri della famiglia R. e l'Istituto S. in relazione alle sole quote di responsabilità dei primi, potendo beneficiare della transazione i coobbligati solo nei limiti della deducibilità dal dovuto di quanto corrisposto in forza della transazione medesima, fra gli effetti di quest'ultima, per essersi l'I.M.I. dichiarata interamente soddisfatta delle pretese risarcitorie o restitutorie nei confronti della famiglia R. e di E., vi era l'estinzione di tutti i giudizi pendenti, fra cui quello proposto innanzi al Tribunale di Monza, proposto nei confronti della B. ed avente il medesimo oggetto del presente giudizio il danno derivante dai fatti penali accertati , sicché l'I.M.I. doveva ritenersi risarcito del danno per il quale era stata proposta la domanda nei confronti dell' A 7. Con il settimo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione dell' art. 1227 c.c. , comma 2, art. 2697 c.c. , art. 115 c.p.c. , ai sensi dell' art. 360 c.p.c. , comma 1, nn. 3 e 4. Osserva il ricorrente di avere provato, con riferimento alla questione dell'assenza della procura speciale relativa al ricorso in cassazione avverso la sentenza oggetto dei fatti penali, la condotta colposa dell'I.M.I. ed il nesso di causalità fra quella e il danno patito, precisando al riguardo quanto segue la sentenza n. 2500 del 2005 della Corte d'appello penale di Milano, passata in cosa giudicata, aveva affermato che quanto meno non sia stata dimostrata la presenza della procura nel fascicolo depositato dalla difesa IMI il 22.1.1991 nella cancelleria della Corte di Cassazione, con conseguente esclusione dell'ipotesi che il documento sia stato sottratto né in calce al ricorso né nella nota di deposito documenti sottoscritta dal cancelliere risultava indicata la procura speciale e sulla copertina del fascicolo risultava l'annotazione della mancanza della procura i due decreti di archiviazione del GIP presso il Tribunale di Roma, relativi entrambi ad esposti proposti dal presidente dell'I.M.I., erano stati emessi per infondatezza della notitia criminis entrambi poi annullati dalla Corte di Cassazione per difformità con la richiesta del PM, contraddistinta dalla mancata identificazione dell'autore del reato, per il vizio formale della divergenza motivazionale, secondo la giurisprudenza dell'epoca la circostanza della procura speciale, dapprima richiamata nell'ordinanza di custodia cautelare emessa nei confronti del P. e dell' A. per gli episodi di corruzione, non era poi stata richiamata nella richiesta di rinvio a giudizio la procura speciale era stata inviata, acclusa in un esposto anonimo, al Primo Presidente dalla Corte di Cassazione, ma era da escludere che gli eredi R. e i loro difensori avessero avuto interesse all'invio. Conclude nel senso che, se la procura speciale fosse stata presente agli atti, la Corte di Cassazione avrebbe confermato la sentenza n. 4809 del 1990 oppure avrebbe accolto il ricorso e un altro collegio avrebbe emesso un'altra sentenza in sostituzione di quella impugnata, ma in entrambi i casi sarebbe stati eliminati gli effetti della sentenza asseritamente attinta da corruzione. 8. Con l'ottavo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione dell' art. 1227 c.c. , comma 2, ai sensi dell' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3. Osserva il ricorrente, premesso che l'I.M.I. si era limitato nella controversia introdotta da R.N. ad eccepire il difetto di legittimazione passiva, che nonostante i difensori avv.ti Nicolò e Punzi avessero proposto di chiamare in causa il Consorzio e le banche promotrici, l'Istituto decise di non fare la chiamata in causa, proponendo la domanda sostanzialmente accolta in separato giudizio solo nel 1993, per cui se la chiamata in causa del terzo vi fosse stata, indicando come titolare dal lato passivo del rapporto dedotto in giudizio il Consorzio e facendo sì che la condanna fosse emessa nei confronti del chiamato in causa, l'I.M.I. sarebbe stato liberato da qualsiasi pretesa economica ed il presunto danno non vi sarebbe stato. 9. Con il nono motivo si denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 1226 e 2697 c.c. , art. 112 c.p.c. , ai sensi dell' art. 360 c.p.c. , comma 1, nn. 3 e 4. Osserva il ricorrente che non è stato provato il presupposto del danno non patrimoniale, essendo l'unico documento prodotto il bilancio chiuso al 31 dicembre 1993 da cui risultava l'avvenuto pagamento agli eredi R Aggiunge che il mero esborso non poteva essere causa di danno all'immagine, tanto più che in relazione a tale esborso era stato possibile dedurre l'importo dalle imposte dirette, mentre, successivamente all'instaurazione del giudizio penale per corruzione, non vi è prova di quale possa essere stato il pregiudizio, e che privo di prova è anche lo sviamento dai fini istituzionali. Osserva ancora che la motivazione è assente non risultando indicato il peso specifico dei vari fattori di probabile incidenza sul danno nel caso concreto Cass. n. 1046 del 2019 . 10. Con il decimo motivo, in via subordinata, si denuncia violazione o falsa applicazione dell' art. 1223 c.c. , ai sensi dell' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3. Osserva il ricorrente che l'I.M.I., grazie alla partecipazione unitamente ad altri istituti di credito al capitale sociale del Consorzio SIR, ha potuto in base alla L. n. 784 del 1980, art. 7 cedere le proprie ragioni di credito nei confronti del Consorzio alla Cassa depositi e prestiti ricavando l'importo complessivo di 1.269 miliardi di Lire. Aggiunge che l'importo totale dei crediti soddisfatti supera quello degli importi corrisposti dall'I.M.I., costituendo un differenziale positivo da scomputare dal calcolo del danno per lucro cessante. 11. Passando al ricorso proposto da I. S. s.p.a., con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell' art. 1226 c.c. Osserva la parte ricorrente che, nonostante la corte territoriale abbia condiviso le argomentazioni del Tribunale circa il danno non patrimoniale, ha poi in modo apodittico concluso per il carattere ingiustificato della liquidazione operata senza indicare il criterio alternativo in base al quale ha liquidato l'importo inferiore. 12. Con il secondo motivo, in via subordinata, si denuncia violazione o falsa applicazione dell' art. 1298 c.c. , comma 2, ai sensi dell' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3, nonché omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti, ai sensi dell' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 5. Osserva la parte ricorrente che il Tribunale aveva determinato il danno patrimoniale in 307 milioni di Lire, stimando poi quello non patrimoniale nella misura di 77 milioni di Lire il 25% . Per determinare poi le quote ideali da porre a carico dei cinque condebitori solidali, sulla base del criterio enunciato da Cass. Sez. U. n. 30174 del 2011 e Cass. n. 22231 del 2014 se il pagamento della transazione stipulata fra il creditore e uno dei condebitori in solido è stato inferiore alla quota che faceva idealmente capo al condebitore che ha transatto, il debito residuo gravante sugli altri condebitori deve essere ridotto in misura pari alla quota di chi ha transatto , il Tribunale ha così proceduto tre dei condebitori solidali P., P., R. avevano transatto le loro quote di debito versando complessivamente la somma di 186 milioni di Euro 169 milioni di Euro R., 17 milioni di Euro arrotondati congiuntamente P. e P. per determinare le quote dei due debitori non transigenti si sommano 307 milioni di Euro per danno non patrimoniale, 186 milioni di Euro per transazioni, 77 milioni di Euro per danno non patrimoniale, per un totale di 570 milioni di Euro, da dividere in cinque quote ideali di 114 milioni Euro l'una sottraendo da 570 milioni di Euro, 169 milioni di Euro versati da R., 114 milioni di Euro per la quota ideale di P. e 114 milioni di Euro per la quota ideale di P., residuano 173 milioni di Euro come da condanna in primo grado. Aggiunge la ricorrente che, modificando il valore del danno non patrimoniale 8 milioni di Euro , si sarebbe dovuto pervenire al totale di 501 milioni di Euro 307+8+186 che, diviso per 5 avrebbe prodotto 100,2 milioni di Euro, per cui sottraendo da 501 milioni i valori 169 milioni, 100,2 milioni e 100,2 milioni si sarebbe ottenuto il valore di 131.600.000. Osserva quindi che l'importo di 108 milioni non trova alcuna giustificazione neanche sottraendo da 173 milioni 77 milioni e poi aggiungendo 7 milioni, si sarebbe ottenuto il valore indicato, perché si sarebbe ottenuto 104 milioni di Euro , per cui è stato violato il criterio enunciato da Cass. Sez. U. n. 30174 del 2011 , ovvero è stato omesso l'esame dei dati numerici relativi all'iter seguito dal Tribunale. 13. Con il terzo motivo, in via ulteriormente subordinata, si denuncia violazione degli artt. 132 e 161 c.p.c. , art. 111 Cost. , comma 6, ai sensi dell' art. 360 c.p.c. , comma 1, nn. 4 e 5. Osserva la parte ricorrente che l'importo indicato in dispositivo non corrisponde né al calcolo matematico esatto Euro 131.600.000,00 né a quello semplicistico Euro 104.00.000 , per cui vi è contrasto insanabile fra motivazione e dispositivo e comunque omissione del minimo costituzionale della motivazione. 14. Passando al ricorso proposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, nonché al ricorso incidentale contenente gli identici motivi, con il primo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione dell' art. 2043 c.c. , art. 185 c.p. , L. n. 117 del 1988, art. 13, art. 395 c.p.c. , n. 6 e art. 402 c.p.c. , ai sensi dell' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 4. Osserva la parte ricorrente che, facendo applicazione del principio enunciato da Cass. n. 21255 del 2013 secondo cui la valutazione circa l'ingiustizia della sentenza oggetto di corruzione con le eventuali restituzioni spetta al giudice della revocazione a meno che ciò risulti impossibile , l'azione risarcitoria è inammissibile per la mancanza di un giudizio rescissorio, che avrebbe chiarito se la sentenza oggetto di dolo del giudice fosse anche ingiusta, in quanto a seguito dell'intervenuta transazione, frutto della scelta di opportunità di I.M.I., il giudice della revocazione con la sentenza n. 1306 del 2013, previa revoca della sentenza n. 4809 del 1990, aveva dichiarato il sopravvenuto difetto dell'interesse ad agire della B. e di E. s.r.l., avendo questi per effetto della transazione corrisposto ad I. S. una somma inferiore a quella percepita in forza della sentenza n. 4809 del 1990 rileva in motivazione il giudice della revocazione che vi è stata esaustiva rinuncia della parte B.-E., accettata da I. S., indipendentemente dal riconoscimento delle opposte ragioni giuridiche . Aggiunge che l'azione ai sensi dell' art. 395 n. 6 c.p.c. , da esperire a pena di decadenza entro il termine perentorio di giorni trenta dal passaggio in giudicato della sentenza penale artt. 325 e 326 c.p.c. , è condizione di ammissibilità dell'azione risarcitoria, diversamente potendosi ottenere una pronuncia risarcitoria avente ad oggetto la stessa somma che altra sentenza irrevocabile ha statuito come dovuta nel presente caso l'oggetto della domanda risarcitoria è proprio la somma che avrebbe dovuto essere oggetto di restituzione ai sensi dell'art. 402 , e che nella specie non vi era l'impossibilità del giudizio rescissorio che Cass. n. 21255 del 2013 pone quale condizione di ammissibilità della domanda risarcitoria perché I. S., in base ad una propria valutazione di convenienza per l'incertezza del giudizio rescissorio, come affermato dalla sentenza impugnata , ha scelto la transazione e di non proseguire il giudizio rescissorio, ponendovi fine e dunque impedendo la dimostrazione dell'ingiustizia della sentenza oggetto di corruzione nonostante che nella transazione I. S. si era riservata di coltivare il giudizio di revocazione fino al passaggio in giudicato al solo scopo di fare constare l'inesistenza del credito portato dalla sentenza M. , laddove invece, se avesse ottenuto la pronuncia dichiarativa del suo diritto alla restituzione dell'intera somma, sarebbe stata legittimata a proporre domanda risarcitoria ove tale diritto fosse rimasto insoddisfatto per impossibilità di recupero della somma dai debitori. 15. Con il secondo motivo, in subordine, si denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 1227,2043 e 2056 c.c. , art. 185 c.p. , L. n. 117 del 1988, art. 13, art. 395 c.p.c. , n. 6 e art. 402 c.p.c. , ai sensi dell' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che I. S., definendo con la transazione la pretesa restitutoria nei confronti dei soggetti tenuti alla restituzione ai sensi dell'art. 402 e accettando una somma minore in via transattiva, ha implicitamente rinunciato al recupero del residuo credito mediante azione risarcitoria nei confronti degli altri debitori solidali, fra cui lo Stato, perché, eliminata dalla domanda risarcitoria la componente relativa alle somme all'epoca corrisposte, non vi era altra pretesa suscettibile di risarcimento, neppure a titolo di lucro cessante che avrebbe dovuto trovare ristoro nel giudizio rescissorio ai sensi dell'art. 1224, comma 2 , posto che il danno richiesto corrispondeva esattamente alla somma a suo tempo erogata dall'I.M.I Aggiunge che non poteva essere riconosciuto neanche il danno non patrimoniale, posto che se nessun danno patrimoniale può essere riconosciuto, allo stesso modo non può essere riconosciuto alcun danno non patrimoniale che si fondi sul fatto che I.M.I. era obbligata a versare una ingente somma al R 16. Con il terzo motivo, in subordine, si denuncia violazione o falsa applicazione dell' art. 2043 c.c. , art. 185 c.p. , L. n. 117 del 1988, art. 13, art. 395 c.p.c. , n. 6, art. 651 c.p.p. , ai sensi dell' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 4. Premette la parte ricorrente che il Tribunale aveva richiamato le sentenze penali della Corte di Cassazione n. 33435 del 2006 e n. 33519 del 2016, che a loro volta rinviavano a Cass. n. 3060 del 1984 secondo cui in presenza della costituzione di parte civile la sentenza del giudice penale di accertamento del fatto-reato travolge gli effetti del giudicato civile, e che sul punto era stato proposto motivo di appello nel senso che le dette sentenze penali non potevano fare stato in ordine alle modalità del risarcimento del danno ed al rapporto con l' art. 395 c.p.c. , n. 6, senza che tuttavia sul motivo la Corte d'appello si fosse pronunciata, prestando comunque adesione alla decisione del Tribunale. Osserva quindi che, ove si ritenga che sia il Tribunale che la Corte d'appello abbiano rinvenuto nelle menzionate sentenze il vincolo del giudicato circa il rapporto fra azione risarcitoria e azione di revocazione, tale effetto di giudicato non ricorre per due ragioni a il giudicato penale ha effetto nei giudizi di danno in generale quanto all'accertamento del fatto e la condanna generica al risarcimento del danno non comporta alcuna indagine in ordine alla concreta esistenza di un danno risarcibile, potendo in sede civile essere esclusa la sussistenza in concreto di qualunque danno b la Presidenza del Consiglio dei Ministri è stata presente nei giudizi penali in questione quale parte civile e non quale responsabile, per cui il giudicato penale non le è opponibile ai sensi dell' art. 651 c.p.p. . 17. Il primo motivo del ricorso proposto da A.G. è infondato. Ha affermato il giudice del merito che l'ordine di rinnovazione della notifica del ricorso in riassunzione nei confronti dei convenuti P. e P. era illegittimo per l'intervento degli atti di rinuncia e accettazione nelle more fra il deposito del ricorso e l'udienza atti prodotti nella medesima udienza , mentre sarebbe stato legittimo l'ordine indirizzato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ove questa avesse depositato in relazione alla domanda di rivalsa il ricorso in riassunzione, per cui, non essendo stato depositato atto di riassunzione, il giudizio relativo alla domanda di manleva nei confronti dei convenuti P. e P. era già estinto ai sensi dell' art. 305 c.p.c. . Si tratta di una conclusione conforme a diritto. Riprendendo la sequenza degli eventi processuali, all'udienza del 13 maggio 2009, a causa della cessazione dello stato di interdizione legale del P., fu dichiarata l'interruzione del giudizio. L'attrice depositò in data 17 dicembre 2009 ricorso in riassunzione. In data 15 dicembre 2009 la società attrice notificò ai convenuti P. e P. atto di rinuncia, i quali notificarono il 21 e 22 dicembre 2009 l'accettazione. All'udienza del 28 aprile 2010, fissata per la prosecuzione del giudizio, il giudice, rilevato che il ricorso per riassunzione non era stato notificato al P. e al P., ordinò alla società attrice e alla Presidenza del Consiglio dei Ministri la notifica del ricorso ai predetti convenuti, rinviando all'udienza del 27 ottobre 2010, nel corso della quale, stante la mancata notifica del ricorso, venne eccepita l'estinzione del giudizio. Successivamente all'udienza del 19 ottobre 2011 fu dichiarata l'estinzione del processo in relazione al rapporto processuale fra l'attrice e i convenuti R., P. e P Con sentenza parziale n. 10131 del 2012, il Tribunale dichiarò l'inammissibilità della domanda di regresso della Presidenza del Consiglio dei Ministri nei confronti del P., del P. e del R. alla luce della transazione intervenuta. Ciò premesso, deve muoversi dal rilievo che in base all' art. 307 c.p.c. , u.c., l'estinzione opera di diritto ed è dichiarata, anche d'ufficio, con ordinanza del giudice istruttore ovvero con sentenza del collegio . Si tratta di ordinanza dichiarativa perché l'estinzione opera di diritto , ossia ipso iure, il che sta a significare che l'estinzione, una volta dichiarata, produce i propri effetti fin dal giorno in cui si era verificata la fattispecie che l'ha determinata. Benché dichiarata con riferimento alla domanda relativa al rapporto principale all'udienza del 19 ottobre 2011, gli effetti dell'estinzione si erano prodotti, quanto al rapporto in questione, con l'accettazione della rinuncia agli atti del giudizio. Ciò significa che all'udienza fissata per la riassunzione il rapporto processuale fra la società attrice e i convenuti P. e P. si era già estinto e non ricorreva alcun onere processuale per l'attrice di notificare a costoro il ricorso in riassunzione. Quanto al rapporto di garanzia fra la Presidenza del Consiglio dei Ministri e i medesimi convenuti P. e P., sorto per effetto della domanda di regresso, è pur vero che l'inammissibilità di quest'ultima domanda venne dichiarata solo con la sentenza n. 10131 del 2012 e tuttavia, estintosi prima dell'udienza fissata per la riassunzione il rapporto processuale fra la società attrice e i convenuti P. e P., la prosecuzione del processo interrotto nei confronti di costoro ai fini della permanenza del rapporto processuale di garanzia dipendeva dall'attività processuale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, la quale mancò per il mancato compimento dell'atto di impulso, e cioè il ricorso in riassunzione. Deve pertanto intendersi perfezionata la fattispecie estintiva ai sensi dell' art. 305 c.p.c. , come rilevato dalla corte territoriale, con riferimento al rapporto processuale di garanzia ben prima, in quanto operante ipso iure, della dichiarazione di inammissibilità della domanda da parte del Tribunale. Quest'ultima statuizione non è passata in cosa giudicata in quanto oggetto di appello da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri, per cui è ancora sub iudice, e sul motivo di impugnazione la statuizione della corte territoriale è stata nel senso della pregressa verificazione della fattispecie estintiva trattasi di conclusione, per quanto appena osservato, conforme a diritto. 18. I motivi dal secondo al sesto del ricorso proposto da A.G. e i tre motivi del ricorso proposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, da trattare congiuntamente in quanto connessi, sono parzialmente fondati nei limiti di quanto indicato nella motivazione che segue. 18.1. La natura processuale della violazione denunciata, in punto di rapporti fra giudizio di revocazione e giudizio risarcitorio, consente al Collegio, una volta assolto l'onere di cui all' art. 366 c.p.c. , comma 1, n. 6, di accedere al documento corrispondente al giudicato relativo al giudizio di revocazione. Prima dell'introduzione dell'odierno giudizio era stata proposta domanda di revocazione e, nel corso del processo di primo grado, si è formato il giudicato in ordine alla revocazione, non essendo stata impugnata la sentenza della Corte d'appello di Roma che ha pronunciato. Tale pronuncia costituisce il punto di partenza dell'indagine alla luce del tema dogmatico del rapporto fra azione di revocazione ed azione risarcitoria, rapporto nella specie complicato dalla presenza del giudicato penale che ha condannato l' A. e il M., ritenuti colpevoli del reato di corruzione in atti giudiziari, al risarcimento del danno nei confronti della parte civile San Paolo IMI s.p.a Le parti del giudizio di revocazione sono diverse da quelle del giudizio risarcitorio perché le parti attrici della sentenza revocanda, B.P., quale erede universale di R.N., e E. s.r.l. non risultano convenute nell'odierno giudizio risarcitorio, nel quale sono stati evocati gli autori del reato condannati alla rifusione dei danni in favore della parte civile, oltre lo Stato. 18.2. Prima dell'esame delle statuizioni della sentenza sulla domanda di revocazione si impone un chiarimento preliminare. Va in primo luogo rammentato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte Cass. 17 settembre 2013, n. 21255 , pregiudiziale alla domanda risarcitoria è la proposizione nel termine di legge del rimedio revocatorio allo scopo di rimuovere la sentenza effetto del dolo del giudice ed ottenere un pronuncia di merito volta al ripristino della situazione quale sarebbe stata in presenza di un giudice non corrotto, con l'eventuale restituzione di ciò che siasi conseguito con la sentenza revocata , come prevede l' art. 402 c.p.c. , salvo che, per la presenza di una situazione oggettivamente ostativa alla pronuncia di qualsivoglia sentenza in sede rescissoria idonea a soddisfare le originarie pretese, sia venuto meno l'interesse a proporre l'impugnazione per revocazione, per cui la parte pregiudicata dalla sentenza effetto di dolo può proporre un'autonoma azione risarcitoria la domanda risarcitoria va proposta direttamente nel caso di reato di falso giuramento in base all' art. 2738 c.c. , che in tale ipotesi non consente di chiedere la revocazione - sul giudicato conseguito mediante prove false si vedano Cass. 17 gennaio 2022, n. 1169 e 18 maggio 1984 , n. 3060 . L'applicazione del principio di pregiudizialità dell'impugnazione per revocazione rispetto alla domanda risarcitoria non trova ostacolo nell'esistenza del giudicato penale il quale ha disposto la condanna generica al risarcimento del danno in favore della parte civile indipendentemente dalla domanda di revocazione. Intanto va subito osservato che la circostanza che la domanda di revocazione sia stata comunque proposta, e che nel corso del giudizio risarcitorio di primo grado sia intervenuto il giudicato su tale impugnazione, sgombra subito il campo da rilievi in ordine al mancato assolvimento dell'onere del previo esperimento dell'impugnazione revocatoria. Il punto dirimente è tuttavia che l'esistenza del giudicato penale di condanna generica al risarcimento non esonerava la parte civile dall'onere di proporre nel termine di legge l'azione revocatoria. Deve essere premesso che la decisione di condanna generica al risarcimento emessa dal giudice penale contiene implicitamente l'accertamento del danno evento e del nesso di causalità materiale tra questo e il fatto-reato, ma non anche quello del danno conseguenza, per il quale si rende necessaria un'ulteriore indagine, in sede civile, sul nesso di causalità giuridica fra l'evento di danno e le sue conseguenze pregiudizievoli Cass. 5 maggio 2020, n. 8477 2 agosto 2022, n. 23960 . E' ben vero che si legge nella motivazione del giudicato penale che, richiamando sul punto Cass. 7 novembre 1983 n. 3060 , la sentenza del giudice penale di accertamento del fatto-reato travolge gli effetti del giudicato civile e costituisce titolo della domanda risarcitoria proposta ex art. 185 c.p. dalla parte che ha subito gli effetti della corruzione ai fini dell'accoglimento della domanda risarcitoria. Tutto questo però ai fini dell'accertamento del solo danno evento che caratterizza la condanna generica al risarcimento emessa dal giudice penale e dunque dell'accertamento della potenzialità lesiva della condotta corrispondente al reato, e non anche dell'accertamento del danno conseguenza, il quale, in presenza di condanna generica, resta affidato al giudice civile. Come di recente ribadito dalle Sezioni Unite di questa Corte, ai fini dell'accoglimento della domanda di condanna generica al risarcimento del danno, è sufficiente che siano dimostrati la colpa e il nesso causale, mentre è sufficiente che sia anche solo probabile l'esistenza del danno Cass. Sez. U. 12 ottobre 2022, n. 29862 . Il giudicato penale di condanna generica al risarcimento attiene pertanto alla causalità materiale, ossia al nesso eziologico fra la condotta e l'evento di danno, che in quanto tale è dotato di potenzialità lesiva. La causalità giuridica, e cioè il nesso eziologico fra l'evento di danno e il danno conseguenza di cui all' art. 1223 c.c. , è invece accertata dal giudice civile in sede di azione risarcitoria dopo che è stato esperito il rimedio della revocazione sulla fondamentale distinzione fra causalità materiale e causalità giuridica da ultimo in motivazione Cass. Sez. U. 15 novembre 2022 n. 33645 e n. 33659 . Si comprende così il passaggio della motivazione del giudicato penale ove, a proposito della spettanza del danno, si afferma, quanto al rapporto fra la domanda risarcitoria ai sensi dell' art. 185 c.p. e l'impugnazione straordinaria per revocazione, che l'autonomia e l'eterogeneità delle due azioni, la cui operatività ed i cui effetti sono relegati su piani e ambiti diversi, escludono ogni loro interferenza e le collocano ciascuna nel proprio settore, con l'unico limite di non consentire la duplicazione di esiti coincidenti sul piano risarcitorio e, quindi, di indebite locupletazioni . La condanna generica al risarcimento del danno, che il giudice pronuncia sulla base della domanda ai sensi dell' art. 185 c.p. proposta dalla parte civile, non può essere condizionata dall'impugnazione in sede civile per revocazione. Emessa però la detta condanna generica, l'accertamento del danno conseguenza che spetta al giudice civile rinviene la sua cornice sistematica nell'ordinamento civile, il quale previene la duplicazione di esiti coincidenti sul piano risarcitorio e la formazione di indebite locupletazioni . Questa cornice sistematica è offerta dal principio di pregiudizialità dell'impugnazione per revocazione rispetto alla domanda risarcitoria, principio che rileva, come è a questo punto ormai chiaro, non ai fini dell'accertamento del danno evento, riservato al giudice penale ove nel processo per corruzione in atti giudiziari sia stata proposta domanda risarcitoria dalla parte civile, ma ai fini dell'accertamento del danno conseguenza di cui all'art. 1223. Il giudizio sul danno conseguenza è per l'ordinamento logicamente successivo a quello di revocazione perché mentre l'accertamento dell'evento di danno in sede penale vuol dire accertamento della potenzialità lesiva della condotta di reato, per accertare se e in quale misura spetti il danno conseguenza è necessario promuovere prima del giudizio risarcitorio quello avente ad oggetto la domanda di revocazione. Vi è dunque perfetta armonia fra il giudicato penale di corruzione con condanna generica al risarcimento del danno e principio di pregiudizialità dell'azione di revocazione rispetto a quella risarcitoria. Il fatto costitutivo del danno conseguenza non è il giudicato penale ma la perdita subita e il mancato guadagno che siano conseguiti all'evento di danno cagionato dal reato accertato dal giudicato penale ed ai quali il giudizio rescissorio, conseguente alla fase rescindente, non ha potuto porre rimedio o, come affermato da Cass. n. 21255 del 2013 per la peculiare fattispecie ivi considerata del tutto diversa da quella qui ricorrente , non avrebbe potuto comunque porre rimedio. Il rilievo consente anche di superare l'eccezione di non opponibilità del giudicato penale sollevata con il terzo motivo dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, non avendo questa partecipato quale responsabile civile al giudizio penale. Oggetto della fattispecie prevista dalla L. n. 117 del 1988, art. 13 non è l'evento di danno, ma il danno conseguenza, come si evince dalla disposizione che, molto chiaramente, prevede che chi ha subito un danno in conseguenza di un fatto costituente reato commesso dal magistrato nell'esercizio delle sue funzioni ha diritto al risarcimento nei confronti del magistrato e dello Stato . Posto che la condanna generica al risarcimento emessa in sede penale attiene al danno evento e non al danno conseguenza, la questione dell'opponibilità del giudicato penale allo Stato non viene in rilievo. 18.3. Sempre al livello di principi di diritto su cui avere chiarezza prima di passare all'esame del giudicato sulla revocazione, va evidenziato che la restituzione prevista dall' art. 402 c.p.c. prende titolo dalla revocazione della sentenza perché, venuto meno il titolo giudiziale del pagamento eseguito, quest'ultimo rimane privo di causa. La restituzione viene però disposta con la decisione di merito della causa perché dipende dal contenuto di quest'ultima. Si spiega così perché dell'art. 402, il comma 1 si esprima in termini di eventualità con la sentenza che pronuncia la revocazione il giudice decide il merito della causa e dispone l'eventuale restituzione di ciò che siasi conseguito con la sentenza revocata . La restituzione non è dunque un accessorio della fase rescindente, ma, benché derivante da quest'ultima, viene disposta solo con la pronuncia rescissoria nell'eventualità di difformità della decisione di merito rispetto a quella originaria che aveva costituito il titolo del pagamento. Trattandosi di pagamento non dovuto per effetto della caducazione del titolo, dal punto di vista del diritto sostanziale la restituzione è disciplinata dall' art. 2033 c.c. . Spetta pertanto in favore di chi ha eseguito il pagamento sulla base della sentenza revocata la restituzione di ciò che è stato pagato, oltre gli interessi dal giorno della domanda, perché si presume la buona fede dell'accipiens, in quanto la buona fede nell'art. 2033 è stato psicologico soggettivo e non regola oggettiva di comportamento, salvo che il solvens provi la mala fede all'atto della ricezione della somma fra le tante da ultimo Cass. 26 ottobre 2020, n. 23448 . Con la medesima decorrenza dal giorno della domanda - stante la presunzione di buona fede - spetta in relazione alla domanda per indebito oggettivo anche il maggior danno ai sensi dell' art. 1224 c.c. , comma 2, Cass. 10 marzo 2005, n. 5330 17 marzo 1998, n. 2857 4 novembre 1992, n. 11969 , da identificare in quello non compensato dalla corresponsione degli interessi, secondo la disciplina dei danni nelle obbligazioni pecuniarie. A colui che agisce in restituzione ai sensi dell' art. 402 c.p.c. spetta, in conclusione, non solo la ripetizione della somma corrisposta, ciò che in una prospettiva risarcitoria sarebbe qualificabile come la perdita subita, ma anche il lucro cessante attraverso la valvola dell'art. 1224, comma 2 che garantisce la riparazione del danno nelle obbligazioni pecuniarie. Dal punto di vista della pregiudizialità dell'impugnazione per revocazione rispetto alla domanda risarcitoria, quest'ultima, facendo seguito al rimedio impugnatorio, va proposta per tutto quello che quest'ultimo non consente, o non avrebbe consentito, di ottenere. Per restare alla fattispecie di cui al presente ricorso, la parte convenuta nell'azione risarcitoria è diversa da quella dell'azione di revocazione e ciò che, una volta pronunciata la revocazione e per ipotesi accolta l'istanza di restituzione con la decisione di merito, il solvens può in sede di revocazione ottenere è la restituzione della somma pagata, corrispondente al danno emergente dal punto di vista risarcitorio, ed il lucro cessante, comprensivo degli interessi, dal giorno della domanda, in mancanza della prova della mala fede di chi ha ricevuto il pagamento. Quello che non è possibile ottenere ai sensi dell' art. 402 c.p.c. è il lucro cessante dal giorno del pagamento a quello della domanda di revocazione e il danno non patrimoniale. Nella prospettiva del presente giudizio la parte danneggiata dal reato di corruzione in atti giudiziari doveva, in conclusione, prioritariamente proporre la domanda di revocazione, esercitando il diritto di cui all'art. 402 alla restituzione nei confronti dell'accipiens dell'importo corrisposto, con gli interessi ed il lucro cessante dal giorno della domanda. Passata in cosa giudicata la decisione di cui all'art. 402, anche nel corso del giudizio risarcitorio come nel caso di specie trattandosi di condizione dell'azione che può sopravvenire in corso di causa , si poteva domandare il risarcimento del danno patrimoniale corrispondente al mancato guadagno dal giorno del pagamento a quello della domanda di revocazione e il danno non patrimoniale, quali danni conseguenza dell'evento di danno sancito dal giudicato penale. 18.4. Tornando a questo punto al giudicato sulla revocazione, con esso in primo luogo si dispone la revocazione ai sensi dell' art. 395 n. 6 c.p.c. della sentenza effetto del dolo del giudice accertato con sentenza passata in giudicato. In secondo luogo si dichiara la carenza di interesse ad agire della parte attrice B. - E. s.r.l. in ordine al merito dell'originaria causa. La motivazione di quest'ultimo dispositivo risiede nella rilevanza conferita alla transazione intervenuta il 20 gennaio 2010 fra le originarie parti del giudizio, con la partecipazione anche dei componenti della famiglia R., fra cui R.F., originariamente convenuto nel presente giudizio risarcitorio. Secondo quanto risulta dalla motivazione della sentenza, conformemente peraltro a quanto esposto negli odierni ricorsi, la parte B.-E. ha restituito a I. S. s.p.a., rispetto alla somma riscossa in esecuzione della sentenza revocata Euro 350.330.301,40 , il minor importo di Euro 169.223.774,14, rinunciando così ad ogni pretesa o diritto, anche derivanti dal giudizio di revocazione. Come si legge nel giudicato in esame, la parte B.-E. con la riscossione della differenza fra la somma ricevuta in esecuzione della sentenza revocata e l'importo restituito ha ritenuto di essere soddisfatta in relazione all'originaria pretesa. Di qui la pronuncia di carenza di interesse alla decisione di merito. Quanto alla pretesa restitutoria di I. S., in conseguenza della revocazione della sentenza effetto di dolo, la statuizione in motivazione è da intendere come di assorbimento. Si legge infatti nella motivazione quanto segue lo scopo di I. S. di negare - in difetto di domanda riconvenzionale - il pagamento della differenza tra Euro 350.330.301,90 ed Euro 169.223.774,14, differenza che ha transattivamente attribuito e corrisposto, rimane proprio per questo - sul piano del suo interesse sostanziale -, assorbito di fronte alla rinuncia di B. - E. di chiedere di più pag. 35 . Si specifica subito dopo che I. S., sulla base di quanto previsto dal punto IV della transazione, sarà interamente soddisfatta per le pretese risarcitorie o restitutorie nei confronti dei membri della famiglia R. e di E. s.r.l. in particolare ciò vale, evidentemente, a tacitare quanto dovuto dalle convenute in revocazione ai sensi dell'art. 402,1 co, c.p.c. ovvero la restituzione di ciò che siasi conseguito con la sentenza revocata . Risultando quindi transattivamente regolato il diritto restitutorio di cui all'art. 402, si intende che la pronuncia è stata sul punto assorbita. Che tecnicamente di assorbimento si sia trattato lo si desume dalla circostanza che il giudice della revocazione ha statuito di non provvedere sulla restituzione considerando assorbito l'interesse sostanziale alla differenza tra l'importo pagato Euro 350.330.301,90 e quello ricevuto in restituzione Euro 169.223.774,14 per l'idoneità della transazione a tacitare quanto dovuto dalle convenute in revocazione ai sensi dell' art. 402 c.p.c. , comma 1 . Come accertato dal giudice del merito, tale accordo contrattuale ha effetti, alla stregua di quanto previsto dal punto XII della transazione, esclusivamente fra l'Istituto S. e i membri della famiglia R. in relazione alle sole quote di responsabilità di questi ultimi, in modo che nessuno dei coobligati solidali possa beneficiare ad alcun titolo degli effetti della transazione se non nei limiti della deducibilità dal dovuto di quanto corrisposto ad ISP dai membri della famiglia R. in forza della transazione Conseguentemente ISP potrà proseguire la causa risarcitoria generale nei confronti di tutte le parti convenute fatta eccezione per il convenuto Dott. R.F. nei confronti del quale, eseguita la transazione, ISP rinuncerà alla domanda e all'azione nelle opportune forme . E' stata adottata la pronuncia di carenza di interesse in luogo di quella di cessazione della materia del contendere perché il giudice della revocazione ha ritenuto che la seconda fosse impedita dalla circostanza che in sede di precisazione delle conclusioni la parte attrice B. - E. s.r.l. ha chiesto l'accoglimento della originaria domanda nella stessa misura riconosciuta nella sentenza revocata, mentre I. S. ha chiesto il rigetto della domanda, sulla base di quanto previsto dal punto VI della transazione ISP si riserva di coltivare il giudizio di revocazione al solo scopo di fare constare l'inesistenza del credito portato dalla sentenza M. . 18.5. Dal giudicato sulla revocazione si ricava quanto segue. In primo luogo l'assenza di un giudicato sostanziale in ordine alla decisione di merito, dato il carattere di rito della pronuncia di sopravvenuta carenza dell'interesse ad agire dell'originaria parte attrice nel giudizio di merito Cass. 16 settembre 2015, n. 18160 . In secondo luogo, la revocazione della sentenza che aveva costituito il titolo del pagamento, da cui il venir meno della causa giustificativa di quest'ultimo. Sull'istanza di restituzione ai sensi dell' art. 402 c.p.c. vi è stato però assorbimento, avendo il giudice della revocazione rilevato che le parti con la transazione avevano regolato il diritto derivante dall'art. 402. I. S. s.p.a. ha dunque esercitato il diritto di restituzione, che le avrebbe consentito l'integrale ripetizione della somma corrisposta, con gli interessi ed il mancato guadagno non ristorato dagli interessi dal giorno della domanda, stante la presunzione di buona fede di chi aveva ricevuto il pagamento. Avendolo già esercitato, e non avendo impugnato l'assorbimento della relativa istanza nel giudizio di revocazione, non può la società ottenere per via risarcitoria quello che l'ordinario rimedio della revocazione le avrebbe consentito di conseguire. L'obbligazione risarcitoria del danno conseguenza incombente sugli autori del reato non preesisteva al giudizio di revocazione nella forma di una solidarietà passiva con l'accipiens del pagamento di cui alla sentenza revocata perché il debito risarcitorio, stante la pregiudizialità dell'azione di revocazione rispetto a quella risarcitoria, ha ad oggetto tutto quanto la decisione di cui all'art. 402 non avrebbe consentito al solvens di ottenere. L'accipiens del pagamento derivato dalla sentenza oggetto di revocazione è soggetto passivo di un'obbligazione - per indebito oggettivo - diversa da quella di cui - per fatto illecito - risponde l'autore del reato di corruzione in atti giudiziari. Ne' naturalmente la solidarietà passiva può sorgere per il solo fatto che accipiens e solvens in sede di transazione, avente ad oggetto l'originaria controversia ed il diritto di restituzione di cui all'art. 402, facciano salvo, come si legge nella transazione intervenuta il 20 gennaio 2010, il diritto del solvens alle quote di responsabilità dei coobligati solidali nella causa risarcitoria generale , non potendo essi far sorgere per via negoziale nei confronti di un terzo rispetto al contratto, alla luce del principio di relatività degli effetti negoziali, un'obbligazione che può solo derivare dalla legge. Elemento costitutivo della fattispecie di danno conseguenza, in termini di perdita subita e mancata guadagno, è quanto per il solvens non è possibile conseguire mediante l'esercizio del diritto di restituzione all'interno del processo di revocazione. Se fatto costitutivo del danno conseguenza fosse semplicemente la decisione di merito di segno diverso da quella revocata, senza il medio logico dell'infruttuosità dell'esercizio del diritto di restituzione, sarebbero immaginabili, in un contesto quale quello presente in cui accipiens e autore del reato sono soggetti diversi, situazioni puramente ipotetiche quale quella della rinuncia da parte del solvens in sede processuale al provvedimento di restituzione e dell'escussione poi del solo autore del reato, il quale non potrebbe esercitare il regresso, sia pure per metà, nei confronti dell'accipiens, non essendo questi soggetto passivo di un'obbligazione per la mancata adozione del provvedimento restitutorio né risulterebbe altrimenti esperibile l'azione di arricchimento senza causa, a tacere sul resto quanto meno per la carenza dell'unicità del fatto causativo dell'impoverimento . Un'azione di regresso sarebbe configurabile solo se anche l'accipiens fosse autore del reato in veste di corruttore, risultando in questo caso soggetto passivo dell'obbligazione risarcitoria. Sul piano strutturale non c'e' obbligazione in solido fra accipiens ed autore del reato perché essi non sono obbligati per la medesima prestazione il primo è obbligato alla restituzione di quanto ricevuto in base al pagamento non dovuto il secondo è obbligato a risarcire il solvens di tutto quanto questi non può conseguire esercitando il diritto alla restituzione nei confronti del primo. La parte nei cui confronti esercitare il diritto alla restituzione di quanto pagato in esecuzione della sentenza revocata e da cui pretendere il lucro cessante dalla domanda di revocazione è pertanto l'accipiens e non l'autore del reato. Quest'ultimo diventa il soggetto obbligato soltanto in presenza dell'impossibilità pratica di recuperare dall'accipiens l'importo corrisposto, che così perde la qualifica di indebito oggettivo per acquistare quella risarcitoria di perdita subita, e il mancato guadagno dalla domanda di revocazione. Più precisamente mentre il debito da pagamento di indebito dell'accipiens corrisponde a quanto ricevuto in esecuzione della sentenza revocata e al lucro cessante dalla domanda di revocazione, il debito risarcitorio dell'autore del reato di corruzione corrisponde a quanto per il solvens è impossibile conseguire dall'accipiens. Alla luce dell'operatività del principio di pregiudizialità del giudizio di revocazione rispetto a quello risarcitorio salvo fattispecie particolari quale quella di Cass. n. 21255 del 2013 , si deve in ordine al debito risarcitorio distinguere fra l'impossibilità di diritto e l'impossibilità di fatto. L'impossibilità di diritto si ha per quanto non è possibile conseguire con l'istanza di restituzione ai sensi dell'art. 402, e cioè il lucro cessante dal pagamento alla domanda di revocazione e il danno non patrimoniale. Si ha invece impossibilità di fatto, ed il debito restitutorio dell'accipiens - nelle sue componenti di quanto pagato in esecuzione della sentenza revocata e del lucro cessante dalla domanda di revocazione - diventa debito risarcitorio dell'autore del reato, quando l'obbligazione restitutoria rimane inadempiuta dopo la formazione del titolo giudiziario rappresentato dal provvedimento di restituzione di cui all'art. 402 e l'inutile escussione del debitore in sede di esecuzione individuale o concorsuale, a seconda delle circostanze del caso. Le due impossibilità hanno oggetti diversi, quella di fatto il debito restitutorio dell'accipiens, quella di diritto l'originario debito risarcitorio dell'autore del reato sorto a seguito della revocazione del titolo giudiziario del pagamento la prima è eventuale, in quanto dipendente dall'inutile escussione del debitore rimasto inadempiente all'obbligazione derivante dal titolo giudiziario di restituzione la seconda è necessaria, in quanto per l'appunto di diritto. Si tratta dei due volti dell'infruttuosità dell'esercizio del diritto di restituzione di cui all'art. 402, quale elemento costitutivo della fattispecie di danno conseguenza, il primo pratico ed il secondo giuridico. All'impossibilità di diritto, sempre ricorrente, può quindi aggiungersi quella di fatto, e l'autore del reato risponderà a questo punto non solo del proprio debito risarcitorio, ma anche di quello restitutorio dell'accipiens, rimasto inadempiuto. Il danno conseguenza, cagionato dalla sentenza effetto del dolo del giudice accertato con giudicato penale, corrisponde in conclusione all'impossibilità, di diritto ed eventualmente di fatto, di conseguire dall'accipiens la perdita subita e il mancato guadagno derivati dall'esecuzione della detta sentenza. Nel caso di specie ciò che ricorre è solo l'impossibilità di diritto. Non vi è stata la pronuncia di merito in luogo di quella rimossa, ma l'originaria domanda è stata dichiarata inammissibile per difetto sopravvenuto di interesse ad agire, senza alcun provvedimento, nonostante la disposta revocazione e l'inammissibilità dell'originaria domanda, in ordine al diritto del solvens alla restituzione di quanto pagato a causa della sentenza revocata. Dell'assorbimento dell'istanza di restituzione I. S. non si è doluta in sede impugnatoria e la decisione è passata in cosa giudicata. Non ricorre dunque il presupposto dell'impossibilità di fatto, ossia l'inutile escussione dell'accipiens rimasto inadempiente all'obbligazione restitutoria derivante dal titolo giudiziale, vi è solo un giudicato di assorbimento dell'istanza proposta in esercizio del diritto di restituzione ai sensi dell' art. 2033 c.c. e art. 402 c.p.c. , giudicato che come ben si intende è solo un giudicato interno di rito sull'assorbimento della pronuncia e non un giudicato sostanziale sulla questione assorbita Cass. 19 settembre 2013, n. 21472 27 maggio 2011, n. 11798 23 aprile 2008, n. 10545 . Finché non si perfezioni una fattispecie di inadempimento dell'accipiens all'obbligazione restitutoria derivante dal titolo giudiziale e di insoddisfazione del diritto di credito all'esito dell'escussione del debitore, non sorge l'obbligazione risarcitoria dell'autore del reato avente per oggetto il corrispondente debito restitutorio l'inutile escussione dell'accipiens inadempiente all'obbligazione derivante dalla sentenza è il fatto costitutivo della corrispondente obbligazione risarcitoria dell'autore del reato. L'interposizione cronologica dell'infruttuosità pratica dell'esercizio del diritto di restituzione fra l'evento di danno la sentenza effetto del dolo del giudice accertato con sentenza passata in giudicato e il danno conseguenza discende dalla circostanza che la legge, prevedendo la restituzione di ciò che siasi conseguito con la sentenza effetto del dolo del giudice nello stesso processo in cui la sentenza è stata pronunciata, fa sì che le conseguenze pregiudizievoli di quest'ultima si producano solo al cospetto dell'impossibilità di fatto della restituzione. Per tutto quanto invece di diritto non sia dal solvens conseguibile ai sensi dell'art. 402 ciò che si interpone fra il danno evento ed il danno conseguenza è la sola decisione di merito di contenuto diverso da quello della sentenza revocata. Nei limiti di quanto non sia giuridicamente conseguibile con la restituzione prevista dall'art. 402, il danno conseguenza si perfeziona soltanto grazie alla decisione di merito sostitutiva. Una precisazione sul punto va fatta resta fermo che, una volta che l'autore del reato abbia adempiuto l'obbligazione risarcitoria insorta per l'inutile escussione dell'accipiens, egli abbia comunque diritto di agire in regresso nei confronti di quest'ultimo ove anche questo fosse autore del reato in veste di corruttore, cumulandosi a carico dell'accipiens in questo caso la qualità di soggetto passivo non solo dell'obbligazione restitutoria ma anche di quella risarcitoria. In un'evenienza del genere, posto che elemento della fattispecie costitutiva del danno conseguenza è l'inutile escussione dell'accipiens, il solvens prima di agire nei confronti dell'autore del reato diverso dall'accipiens ha l'onere di preventiva escussione di quest'ultimo mentre, in relazione a quanto non è giuridicamente conseguibile ai sensi dell'art. 402, una volta esauritosi il giudizio di revocazione il solvens può agire in sede risarcitoria indifferentemente sia nei confronti dell'autore del reato che dell'accipiens in veste di corruttore . Ciò che nel presente caso ricorre, come si è detto, è l'impossibilità di diritto. Esercitato il diritto alla restituzione di cui all'art. 402 nei confronti del solvens, residua il danno conseguenza nei limiti dell'interesse che l'esercizio di quel diritto costitutivamente non poteva soddisfare, e cioè il danno patrimoniale nei limiti del mancato guadagno dal giorno del pagamento alla domanda di revocazione e il danno non patrimoniale. La circostanza che non vi sia stata decisione di merito in luogo di quella effetto del dolo del giudice, e che dunque manchi un giudicato sostanziale favorevole al solvens ai sensi dell'art. 402, non impedisce la configurabilità del danno conseguenza, nei limiti evidenziati, alla luce del giudicato penale che nel caso concreto ha disposto la condanna generica in favore della parte civile e della caducazione del titolo giudiziario del pagamento, rimasto così senza causa. Con ciò non vuole negarsi la pregiudizialità della revocazione rispetto alla domanda risarcitoria, ma si vuole soltanto affermare che in una fattispecie processuale peculiare quale quella del caso di specie, in cui, caducata la sentenza effetto del dolo del giudice a seguito della domanda di revocazione, facendo venire meno il titolo del pagamento, e dichiarata inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse ad agire la domanda originaria senza però provvedimenti sulla restituzione ai sensi dell'art. 402, elementi sufficienti della fattispecie costitutiva del danno conseguenza, di diritto esigibile in sede risarcitoria dalla parte danneggiata, sono il giudicato penale di condanna generica in favore della parte civile e, per l'appunto, la caducazione del titolo giudiziario del pagamento nonché il mancato accoglimento dell'originaria domanda per una ragione di rito quale la carenza di interesse. Non rileva quindi la mancata formazione di un giudicato sostanziale in ordine al merito della controversia alla luce dell'inammissibilità della domanda - che introdusse la controversia - per difetto sopravvenuto di interesse ad agire. 18.6. Il giudice del merito dovrà in conclusione limitare la liquidazione del danno conseguenza al danno patrimoniale, nei limiti del mancato guadagno dal giorno del pagamento alla domanda di revocazione, e al danno non patrimoniale, attenendosi ai seguenti principi di diritto mentre la condanna generica al risarcimento del danno in favore della parte civile, disposta dal giudicato penale di condanna per corruzione in atti giudiziari, attiene al danno evento e alla sua potenzialità lesiva, ai fini dell'accertamento in sede di giudizio civile del danno conseguenza, avente ad oggetto la perdita subita ed il mancato guadagno, pregiudiziale è l'azione di revocazione della sentenza effetto del dolo del giudice proposta l'impugnazione per revocazione di sentenza effetto del dolo del giudice accertato con sentenza passata in giudicato, e disposta la restituzione di ciò che siasi in buona fede conseguito con la sentenza revocata, costituiscono debito risarcitorio dell'autore del reato non solo il danno patrimoniale nei limiti del mancato guadagno dal giorno del pagamento a quello della domanda di revocazione e il danno non patrimoniale, ma anche l'oggetto dell'obbligazione restitutoria derivante dalla sentenza di revocazione se il diritto di credito restitutorio, avente ad oggetto quanto pagato in esecuzione della sentenza revocata ed il lucro cessante dalla domanda di revocazione, è rimasto insoddisfatto all'esito dell'inutile escussione in sede esecutiva individuale o concorsuale di chi ha ricevuto il pagamento non dovuto in una fattispecie caratterizzata dalla condanna generica al risarcimento del danno in favore della parte civile con il giudicato penale di condanna per corruzione in atti giudiziari e dal successivo giudicato di revocazione della sentenza effetto del dolo del giudice con dichiarazione di inammissibilità per sopravvenuto difetto di interesse ad agire dell'originaria domanda di merito e assorbimento del provvedimento sulla restituzione di ciò che siasi in buona fede conseguito con la sentenza revocata, la parte che ha eseguito il pagamento in forza della sentenza revocata ha nei confronti dell'autore del reato di corruzione diritto al risarcimento del danno patrimoniale, nei limiti del mancato guadagno dal giorno del pagamento alla domanda di revocazione, nonché del danno non patrimoniale . 19. I motivi settimo ed ottavo del ricorso proposto da A.G., da trattare congiuntamente in quanto avvinti dal medesimo vizio, sono inammissibili. Le censure attingono in modo diretto il giudizio di fatto relativo alla condotta della parte danneggiata, assumendo l'esistenza di un nesso di causalità fra tale condotta ed il danno. Come è noto, il giudizio di fatto e', in quanto tale, non sindacabile in sede di legittimità ed è riservato pertanto all'apprezzamento del giudice del merito. L'ottavo motivo fa comunque riferimento al concorso colposo del danneggiato per omessa iniziativa giudiziaria nella specie, l'omessa chiamata del terzo in causa . Al riguardo costante è la giurisprudenza di questa Corte secondo cui l' art. 1227 c.c. , comma 2, che costituisce un'applicazione dell' art. 1175 c.c. , pur imponendo al creditore di tenere una condotta attiva, diretta a limitare le conseguenze dannose dell'altrui comportamento, non arriva a pretendere il compimento di attività gravose o implicanti rischi, tra le quali ben può ricomprendersi l'avvio di un'azione giudiziale da ultimo fra le tante Cass. 5 agosto 2021, n. 22352 e 8 febbraio 2019 , n. 3797 , quale è anche la chiamata del terzo in causa. 20. Il nono motivo del ricorso proposto da A.G. è infondato. Con la censura si denuncia sia la carenza di prova del danno non patrimoniale che la carenza del requisito motivazionale sul punto. Quanto al primo profilo, il giudizio sull'assolvimento dell'onere probatorio è riservato al giudice del merito, per cui la censura è inammissibile. Quanto al secondo profilo l'apparenza motivazionale viene denunciata con riferimento alla parte di motivazione dedicata al quantum. Al riguardo si coglie dalla motivazione della sentenza la ratio decidendi, avendo il giudice del merito conferito rilievo alle circostanze della negativa influenza sull'immagine dell'Istituto come pure del coinvolgimento dei suoi vertici nelle critiche negative riguardanti le scelte operative, nonché allo sviamento o compromissione dei fini istituzionali della società. 21. Il decimo motivo del ricorso proposto da A.G. è inammissibile. Esso attiene al giudizio di fatto in ordine al presupposto del lucro cessante che è valutazione, come tale, riservata al giudice del merito. Va inoltre osservato che la ratio decidendi sul punto del preteso beneficio economico ritratto dalla partecipazione al Consorzio è duplice a non è provato b non poteva essere considerato un credito da eccepire in compensazione al debito risarcitorio. La seconda ratio decidendi non è stata impugnata, per cui la censura è comunque priva di decisività. 22. Passando al ricorso proposto da I. S. s.p.a., nonché al ricorso incidentale contenente gli identici motivi, i motivi devono intendersi assorbiti alla luce dell'accoglimento dei motivi di ricorso con riferimento alla non spettanza del danno patrimoniale per perdita subita e per lucro cessante dalla domanda di revocazione. Va dichiarata assorbita anche la censura sul danno non patrimoniale, in quanto la sua riduzione da parte del giudice di appello è stata dettata non solo dall'eterogeneità di danno patrimoniale e danno non patrimoniale, tale da rendere ingiustificato secondo il giudice del merito la parametrazione del secondo al primo, ma anche per l'elevatezza del danno patrimoniale, elevatezza che, nella misura liquidata dal giudice del merito, viene a meno a seguito del parziale accoglimento degli altri due ricorsi. P.Q.M. Dispone la riunione del procedimento n. r.g. 16625/2021 al n. r.g. 13727//2021. Accoglie parzialmente i motivi del ricorso proposto da A.G. dal secondo al sesto e parzialmente i tre motivi del ricorso proposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, rigettando per il resto il ricorso proposto da A.G. e dichiarando assorbiti ricorso principale e ricorso incidentale proposti da I. S. s.p.a. cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti rinvia alla Corte di appello di Roma in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.