Istanza di revoca della confisca da parte del terzo estraneo al reato

Per ottenere il riconoscimento del diritto reale correlato ad un bene confiscato in via definitiva, il terzo deve allegare elementi idonei a rappresentare la propria buona fede e l’affidamento incolpevole, inteso come applicazione, in sede contrattuale, di un livello di media diligenza.

La Corte d'Appello di Venezia rigettava l'istanza con cui una s.r.l. chiedeva la revoca della confisca di un immobile, in qualità di terza aggiudicataria in procedura esecutiva. La società ha proposto ricorso in Cassazione. Ripercorrendo la giurisprudenza intervenuta sul tema della posizione del terzo titolare di diritti di garanzia rispetto a beni confiscati e dell'individuazione del requisito della buona fede del terzo estraneo al reato , il Collegio afferma che per ottenere il riconoscimento del diritto reale correlato ad un bene confiscato in via definitiva, il terzo deve allegare elementi idonei a rappresentare la propria buona fede come assenza di accordi sottostanti che svelino la consapevolezza dell'attività illecita realizzata all'epoca dal contraente poi sottoposto al sequestro , ma anche l' affidamento incolpevole , inteso come applicazione, in sede contrattuale, di un livello di media diligenza. In conclusione, nella vicenda in esame la pronuncia riscontra che l'esclusione della buona fede e dell'affidamento incolpevole in capo al terzo titolare del diritto reale di garanzia risulta affermata in maniera apodittica, senza un'adeguata disamina degli elementi di fatto disponibili e ritenuti eventualmente rilevanti, elementi la cui valutazione deve necessariamente essere operata in una prospettiva non astratta, ma riferita in concreto alle modalità e alla tipologia dell'operazione contrattuale. In particolare, ciò che risulta carente, nell'ordinanza oggetto di impugnazione, è l'individuazione dell' impegno informativo che sarebbe stato necessario nella vicenda in esame e al quale l'istituto bancario sarebbe venuto colposamente meno nella fase preparatoria all'erogazione del mutuo, dovendo la violazione del dovere di diligenza negoziale essere ancorata a parametri oggetti e non assertivi . Riscontrando lacune motivazionali su tali profili, la Corte accoglie il ricorso e annulla con rinvio la sentenza impugnata.

Presidente Rosi Relatore Mengoni Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 21/4/2022, la Corte di appello di Venezia rigettava l'istanza con la quale la omissis s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, aveva chiesto la revoca della confisca di un immobile - di cui si era resa aggiudicataria in procedura esecutiva - disposta con sentenza del G.i.p. del Tribunale di Treviso del 31/3/2015, irrevocabile il 27/2/2020, pronunciata a carico di R.M 2. Propone ricorso per cassazione la omissis s.r.l., a mezzo del proprio difensore, deducendo i seguenti motivi - contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, erronea applicazione del D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, art. 52 . La Corte di Appello avrebbe rigettato l'istanza con motivazione viziata ed astratta, tale da non considerare i caratteri del caso specifico in particolare, e premessa la totale assenza di un qualunque collegamento tra l'immobile ed i reati ascritti al R. escluse le parole di questi, da riferire, però, ad altro bene , si contesta la motivazione laddove avrebbe illogicamente riconosciuto un comportamento negligente in capo al Monte dei Paschi di Siena, in fase di istruttoria per l'erogazione del mutuo allo stesso R L'ordinanza, infatti, non considererebbe che l'acquisto dell'immobile era avvenuto per 600.000 Euro contestualmente alla stipula del mutuo e proprio con l'importo oggetto di questo 550.000 Euro , eccezion fatta per un residuo di 50.000 Euro, che, certamente, non avrebbe richiesto una particolare istruttoria. Sarebbe errata, ancora, l'affermazione secondo cui il R., all'epoca di accensione del mutuo, sarebbe stato proprietario di tre immobili, compreso quello in esame quest'ultimo, infatti, sarebbe stato acquistato in un momento successivo, sebbene di pochissimi giorni. La motivazione dell'ordinanza, dunque, sarebbe illogica nella misura in cui imputerebbe alla banca di non aver verificato la lecita provenienza di un importo che essa stessa stava erogando - con il secondo motivo, poi, si contestano le colpevoli lacune che la Corte di appello avrebbe imputato alla banca quanto alla fase istruttoria se per un verso, infatti, di questa non sussisterebbe prova documentale il che, però, non giustificherebbe le conclusioni alle quali è pervenuto il Collegio , per altro verso nessun elemento in atti consentirebbe di affermare che gli illeciti poi contestati al R. fossero conoscibili dalla banca. In particolare, la sostanziale contestualità tra questi reati e la concessione del mutuo, valorizzata nel provvedimento, deporrebbe invece a favore dell'istituto, dimostrando l'impossibilita di conoscere gli stessi fatti illeciti, tanto che il R. sarebbe stato iscritto nel registro degli indagati soltanto due anni più tardi. Ancora, nessun elemento di sospetto sarebbe stato ricavabile dai bilanci della società di cui era consigliere lo stesso imputato, risultati alterati in modo tale da non fare emergere le anomalie espressione di reato. Nessun elemento, dunque, avrebbe consentito alla banca di vedere la crisi finanziaria della società, e dunque individuare eventuali motivi di sospetto, con l'uso della ordinaria diligenza. All'epoca dell'erogazione del mutuo, peraltro, il R. sarebbe stato un noto e stimato dirigente di azienda, proprietario di due immobili, uno solo dei quali coperto da altro mutuo acceso nel Omissis quel che, dunque non avrebbe potuto ingenerare alcun lecito sospetto. Ribadita, quindi, l'assenza di qualunque collegamento tra l'erogazione e i delitti ascritti, nessuna inadeguatezza avrebbe caratterizzato l'istruttoria, non emergendo conoscibilità di sorta, nel caso concreto, dei fatti ascritti al mutuatario - da ultimo, richiamando quella giurisprudenza definita minoritaria che nega l'applicazione ai sequestri ordinari del D.Lgs. n. 152 del 2011, si menziona l'art. 187-bis c.p.c., dal quale ricavare che la prosecuzione dell'esecuzione forzata andrebbe ancorata non al sequestro, ma alla confisca definitiva con l'effetto che il diritto dell'aggiudicatario potrebbe essere pregiudicato dalla misura ablatoria che può costituire causa di estinzione o chiusura atipica del processo esecutivo solo quando questa intervenga prima della aggiudicazione, e con carattere definitivo. Ebbene, questa ipotesi non ricorrerebbe nel caso di specie, nel quale la ricorrente sarebbe risultata aggiudicataria del bene il 25/2/2020, e la confisca sarebbe divenuta definitiva con il rigetto del ricorso da parte di questa Corte il successivo 27/2/2020. Considerato in diritto 3. Il ricorso risulta fondato. 4. Premesso che i motivi possono essere trattati in maniera unitaria, proponendo gli stessi questioni sostanzialmente sovrapponibili, occorre evidenziare che, rispetto al tema principale sollevato, ovvero la posizione dei terzo titolare di diritti di garanzia rispetto ai beni confiscati, la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato il principio secondo cui, in tema di confisca di beni gravati da ipoteca, l'estinzione della garanzia reale non si verifica qualora il terzo acquirente del credito ipotecario dimostri la propria buona fede, nel senso di aver positivamente adempiuto agli obblighi di informazione e di accertamento imposti dal caso concreto, e di aver fatto quindi affidamento incolpevole sul proprio dante causa cfr. ex multis, Sez. 1, n. 32648 del 16/06/2009, Rv. 244816 e Sez. 1, n. 45260 del 27/09/2013, Rv. 257913, che si segnala anche per la sua ampiezza di richiami giurisprudenziali . 5. Quanto poi alla individuazione delle condizioni che portano al riconoscimento del diritto del terzo estraneo al reato , deve ribadirsi che va esclusa un'accezione della buona fede che, facendo leva sulla necessità di un atteggiamento doloso del terzo stesso, finisca per attribuire alla relativa nozione un ambito estremamente restrittivo, al punto da configurare la sua posizione soggettiva come necessaria adesione consapevole e volontaria all'altrui attività illecita. Del resto, la nozione di colpevolezza o di volontà colpevole abbraccia sia il dolo che la colpa e, conseguentemente, un comportamento non può qualificarsi come incolpevole non soltanto quando esso sia qualificato dal dolo, ma anche quando tale consapevolezza e tale volontà siano mancate in dipendenza di un atteggiamento colposo dovuto a imprudenza, negligenza e imperizia sicché, non può parlarsi di comportamento incolpevole qualora il fatto, pur non essendo stato conosciuto, sia tuttavia conoscibile con l'uso dell'ordinaria diligenza. Ne consegue che non può ipotizzarsi una condizione di buona fede e di affidamento incolpevole quando un dato fatto illecito non sia stato conosciuto, ma risultava pur sempre conoscibile , se non avesse spiegato incidenza sulla rappresentazione del reale uno stato soggettivo addebitabile a condotta colposa. 6. In definitiva, per ottenere il riconoscimento del suo diritto correlato a un bene confiscato in via definitiva, il terzo deve allegare elementi idonei a rappresentare non solo la sua buona fede intesa come assenza di accordi sottostanti che svelino la consapevolezza dell'attività illecita realizzata all'epoca dal contraente poi sottoposto al sequestro , ma anche l'affidamento incolpevole, inteso come applicazione, in sede contrattuale, di un livello di media diligenza, da rapportarsi al caso in esame, volto a escludere una rimproverabilità di tipo colposo. 7. L'elaborazione giurisprudenziale ha trovato peraltro una parziale conferma a livello normativo con il D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 52 il cui comma 1 dispone che la confisca non pregiudica i diritti di credito dei terzi che risultano da atti aventi data certa anteriore al sequestro, nonché i diritti reali di garanzia costituiti in epoca anteriore al sequestro, ove ricorrano le seguenti condizioni a che il proposto non disponga di altri beni sui quali esercitare la garanzia patrimoniale idonea al soddisfacimento del credito, salvo che per i crediti assistiti da cause legittime di prelazione su beni sequestrati b che il credito non sia strumentale all'attività illecita o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego, sempre che il creditore dimostri la buona fede e l'inconsapevole affidamento c nel caso di promessa di pagamento o di ricognizione di debito, che sia provato il rapporto fondamentale d nel caso di titoli di credito, che il portatore provi il rapporto fondamentale e quello che ne legittima il possesso. Ebbene, tale previsione, per quanto riferita alla cd. confisca di prevenzione, esprime un principio generale che deve ritenersi valido anche per gli altri tipi di confisca, come quella in ambito tributario D.Lgs. n. 74 del 2000, ex art. 12-bis per i quali venga in rilievo la posizione del terzo titolare di diritti di credito o di garanzia, a nulla rilevando che si tratti di confisca disposta non in via diretta ma per equivalente. 8. Tanto premesso in termini generali, la Corte ritiene che la verifica relativa ai requisiti della buona fede e dell'affidamento incolpevole non sia stata adeguatamente compiuta nell'ordinanza impugnata. 8.1. In particolare, il Giudice dell'esecuzione ha disatteso la richiesta difensiva osservando che la documentazione allegata dalla società ricorrente - in uno con quella acquisita d'ufficio - non era idonea a provare la buona fede della banca che aveva deliberato l'affidamento, non essendo stato provato quale procedura fosse stata seguita per l'erogazione del credito, se standardizzata o meno, quali informazioni fossero state acquisite in ordine alle capacità economiche e patrimoniali del R., né se fosse stato valutato il mutuo ancora in corso, erogato nel Omissis per 810.000 Euro, per l'acquisto di un altro immobile. Nessuna verifica, inoltre, era stata compiuta sulla società di cui il soggetto era consigliere di amministrazione, né, dunque, sulla crisi finanziaria di questa, divenuta significativa già negli anni Omissis , quindi prima del finanziamento in esame. Profili colposi, inoltre, potevano essere rinvenuti nella stima dell'immobile in fase istruttoria, valutato in circa 1,2 milioni di Euro, poi divenuti circa 440.000 solo alcuni anni più tardi. Infine, l'affidamento incolpevole è stato escluso in ragione della piena contestualità tra l'attività criminosa posta in essere dal condannato e la erogazione del credito. 9. Ebbene, l'ordinanza impugnata, pur enunciando in tal modo una serie di profili fattuali astrattamente suscettibili di assumere rilievo, non ha tuttavia chiarito, in concreto, quali elementi si siano rivelati idonei ad escludere la buona fede e l'affidamento incolpevole dell'istituto bancario, nell'accezione in precedenza delineata. 9.1. Innanzitutto, proprio con riferimento ai reati per i quali R. è stato condannato, occorre evidenziare che, all'epoca della stipula del mutuo Omissis , non vi era alcuna evidenza di procedimenti penali a carico dello stesso, essendo stato iscritto quello in esame soltanto nel Omissis , ossia due anni dopo l'erogazione. 9.2. Ancora, non risulta accertato se e in che termini la conoscenza dei reati tributari - che sono poi risultati coevi alla stipula del mutuo - fosse esigibile dalla banca, non essendo noto alcun collegamento tra la concessione del finanziamento e i medesimi delitti. La piena contestualità tra l'attività criminosa e l'erogazione, valorizzata nell'ordinanza, non costituisce dunque un argomento affidabile, non spiegando come l'istituto avrebbe potuto essere a conoscenza, in tempo reale , degli illeciti solo ben più avanti contestati. 9.3. Allo stesso modo, l'ordinanza non chiarisce se e in che senso le condizioni economiche e personali del R. non fossero compatibili con l'erogazione del mutuo ciò, peraltro, anche alla luce di un precedente finanziamento acceso nel Omissis , che, sebbene di importo significativo 810.000 Euro , non risultava aver manifestato criticità all'epoca dell'erogazione del successivo, nel Omissis . 10. In definitiva, l'esclusione della buona fede e dell'affidamento incolpevole in capo al terzo titolare del diritto reale di garanzia risulta affermata in maniera apodittica, senza un'adeguata disamina degli elementi di fatto disponibili e ritenuti eventualmente rilevanti, elementi la cui valutazione deve necessariamente essere operata in una prospettiva non astratta, ma riferita in concreto alle modalità e alla tipologia dell'operazione contrattuale. In particolare, ciò che risulta carente, nell'ordinanza oggetto di impugnazione, è l'individuazione dell'impegno informativo che sarebbe stato necessario nella vicenda in esame e al quale l'istituto bancario sarebbe venuto colposamente meno nella fase preparatoria all'erogazione del mutuo, dovendo la violazione del dovere di diligenza negoziale essere ancorata a parametri oggettivi e non assertivi. A tale lacuna motivazionale dovrà quindi porsi rimedio in sede di rinvio, alla luce delle premesse in precedenza richiamate. Si impone, pertanto, l'annullamento con rinvio dell'ordinanza. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Venezia.