Impossibile mettere in discussione la condanna dell’uomo finito sotto processo per i comportamenti ossessivi tenuti per oltre un anno ai danni di una donna. Evidenti le ripercussioni negative subite dalla stessa, che ha sofferto di attacchi di panico e ha perfino pensato al suicidio quando l’uomo l’aveva minacciata di pubblicare alcune foto intime di lei.
Il buon rendimento universitario e l’immagine sorridente nelle fotografie non bastano per ritenere non dimostrate le ripercussioni negative subite a causa della persecuzione subita per opera di uno stalker. A finire sotto processo è un uomo, accusato di stalking per i comportamenti ossessivi da lui tenuti nei confronti di una donna. Ricostruita nei dettagli la vicenda, protrattasi per oltre un anno, i giudici d’Appello sanciscono la condanna dell’uomo, ritenuto colpevole di stalking e perciò sanzionato con quattordici mesi di reclusione e col conseguente obbligo di risarcire i danni arrecati alla persona offesa. Per l’avvocato che rappresenta l’uomo e che propone ricorso in Cassazione, però, la valutazione compiuta in Appello è poco solida e poco logica. Secondo il legale è stata illogicamente ritenuta la sussistenza di due eventi del reato di atti persecutori, ossia il mutamento delle abitudini di vita e il grave stato di ansia , a fronte, osserva, di dati incontroversi che vanno in una direzione opposta, ossia il miglioramento del rendimento universitario della persona offesa e alcune foto ritraenti la donna sorridente e tranquilla nonostante il presunto stalking subito. Secondo il legale, quindi, mancano elementi probanti relativi agli effetti provocati dalla condotta dell’uomo, effetti perturbativi dello stato d’animo e delle abitudini di vita della donna. E in questa ottica egli pone in rilievo anche la totale assenza nella donna di ogni sentimento di ansia, turbamento o paura . Per i Giudici di Cassazione è sufficiente il richiamo al racconto della persona offesa per smentire la tesi proposta dalla difesa. Nello specifico, il racconto fatto dalla donna è risultato attendibile, lineare, coerente, dettagliato e non animato da sentimenti di astio o di rancore nei confronti dell’uomo e ha trovato conferma nelle dichiarazioni rese non solo da congiunti il fratello e i genitori della donna ma anche da una sua amica, la quale, oltre ad aver ricevuto le sue confidenze, ha riferito di esser stata lei stessa destinataria di messaggi inviati dall’uomo contenenti ingiurie nei confronti della donna . E in aggiunta viene anche richiamata la parziale ammissione dei fatti resa dall’uomo in sede di verbale di conciliazione presso la Polizia . Proprio alla luce degli acclarati dettagli dei comportamenti tenuti dall’uomo, i Giudici ritengono provato il mutamento delle abitudini di vita della persona offesa, costretta, oltre che a cambiare il numero di telefono, a evitare di frequentare posti compresa addirittura la chiesa in cui poteva incontrare l’ex fidanzato oppure, in alternativa, a farsi accompagnare da qualcuno . Accertato, poi, lo stato di ansia e di paura in cui la donna era stata costretta a vivere a causa delle condotte persecutorie dell’uomo . Su questo punto i Giudici sottolineano che la donna ha sofferto di attacchi di panico e ha perfino pensato al suicidio quando l’uomo l’aveva minacciata di pubblicare alcune foto intime di lei . In sostanza, i dati evocati dall’uomo, ossia il buon rendimento universitario della donna e le foto che la ritraevano sorridente non consentono di escludere categoricamente la condizione di profonda prostrazione della persona offesa , concludono i magistrati di Cassazione.
Presidente Miccoli Relatore Caputo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza deliberata il 03/01/2020, il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, per quanto è qui di interesse, dichiarava I.G. responsabile del reato di tentati atti persecutori così riqualificata l'originaria imputazione del reato nella forma consumata ai danni di D.F. e lo condannava alla pena di giustizia e al risarcimento dei danni a favore della parte civile. Investita dalle impugnazioni dell'imputato, del pubblico ministero e della parte civile, la Corte di appello di Messina, con sentenza deliberata il 14/05/2021, ha riqualificato il fatto nella forma consumata, ha rideterminato la pena in anni 1 e mesi 2 di reclusione, nonché la somma liquidata a titolo di risarcimento dei danni, confermando nel resto la sentenza di primo grado. 2. Avverso l'indicata sentenza della Corte di appello di Messina ha proposto ricorso per cassazione I.G., attraverso il difensore Avv. Gaetano Pino, articolando due motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all' art. 173, comma 1, disp. att. c.p.p. . 2.1. Il primo motivo denuncia inosservanza della legge penale e vizi di motivazione in ordine alla qualificazione del fatto come consumato. Illogicamente la Corte ha ritenuto la sussistenza di due eventi del reato di atti persecutori, ossia il mutamento delle abitudini di vita e il grave stato di ansia a fronte dei dati incontroversi rappresentati dal miglioramento, da parte della persona offesa, del suo rendimento universitario e dalle foto che la ritraevano sorridente e tranquilla. La sentenza non indica elementi probanti degli effetti della condotta perturbativi dello stato d'animo e delle abitudini di vita, avuto riguardo anche alla totale assenza di ogni sentimento di ansia, turbamento o paura. 2.2. Il secondo motivo denuncia inosservanza della legge, mancata assunzione di una prova decisiva e vizi di motivazione, in quanto erroneamente la Corte di appello ha ritenuto sovrabbondante la lista testi a fronte di un fatto/reato così articolato e complesso, verificatosi tra il 27/03/2017 e il maggio 2018, in un contesto territoriale molto ampio. Considerato in diritto 1. Il ricorso non merita accoglimento. 2. Muovendo, in ordine di priorità logico-giuridica dal secondo motivo, esso è inammissibile, in quanto aspecifico nessuna indicazione viene offerta in ordine ai testi esclusi in quanto sovrabbondanti, mentre del tutto astrattizzante è il riferimento alla durata degli atti persecutori e ai luoghi in cui furono realizzati. 3. Il primo motivo non è fondato. Il racconto della persona offesa descritto dai giudici di merito come già di per sé attendibile, lineare, coerente, dettagliato e non animato da sentimenti di astio o di rancore nei confronti dell'imputato ha trovato conferma nelle dichiarazioni rese non solo da congiunti il fratello e i genitori , ma anche da un'amica della vittima, la quale, oltre ad aver ricevuto le sue confidenze, ha riferito di esser stata lei stessa destinataria di messaggi contenenti ingiurie nei confronti di D.F. a ciò si aggiunga, osserva ancora il giudice di appello, la parziale ammissione dei fatti resa dallo stesso imputato in sede di verbale di conciliazione presso la polizia. Quanto agli eventi del reato, la sentenza impugnata ha rilevato la prova del mutamento delle abitudini di vita della persona offesa, costretta, oltre che a cambiare il numero di telefono, a evitare di frequentare posti in cui poteva incontrare l'ex fidanzato compresa la chiesa ovvero si faceva accompagnare da qualcuno. Rileva ancora il giudice di appello la sussistenza dello stato di ansia e di paura in cui la vittima era costretta a vivere a causa delle condotte persecutorie dell'imputato, tanto da aver sofferto di attacchi di panico e da avere perfino pensato al suicidio quando I. l'aveva minacciata di pubblicare sue foto intime. La sentenza impugnata si confronta poi puntualmente con i dati evocati dall'imputato, ossia il buon rendimento universitario e le foto che ritraevano la ragazza sorridente, escludendo che essi possano escludere l'evento indicato. Le censure del ricorso non infirmano il ragionamento del giudice di appello, fondato su plurimi e solidi elementi, mentre, sul piano logico, il riferimento ai dati richiamati dal ricorso non è certo incompatibile con la condizione di profonda prostrazione descritta dalla vittima. Del resto, il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità è nel senso che la prova dell'evento del delitto di atti persecutori, in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente e anche da quest'ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l'evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata Sez. 5, Sentenza n. 17795 del 02/03/2017, Rv. 269621 conf., ex plurimis, Sez. 6, n. 50746 del 14/10/2014, Rv. 261535 . Circostanze, queste, tutte conferenti nel senso dell'insussistenza del vizio denunciato dal ricorso. 4. Complessivamente considerato, pertanto, il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo in caso di diffusione della presente sentenza, andranno omesse le generalità e gli altri dati identificativi. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, il ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che liquida in complessivi Euro 2.965,00, oltre accessori di legge. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell 'art. 52 D.Lgs. numero del 200 3 in quanto imposto dalla legge.