Fiction RAI caratterizzata da critiche alla qualità della birra artigianale: niente risarcimento per Unionbirrai

Esclusa l’ipotesi di una condotta diffamatoria a fronte del dialogo, come da sceneggiatura, tra alcuni protagonisti in un episodio di una fiction televisiva. I Giudici sottolineano che una fiction costituisce espressione artistica che, a differenza della comunicazione giornalistica, non è soggetta ai requisiti di verità, continenza ed interesse pubblico della notizia. Rilevante, poi, anche la genericità dei riferimenti alla qualità delle birre artigianali all’interno di un’opera di fantasia e come tale percepita dagli spettatori anche più sprovveduti.

Parlare male di un prodotto, nel contesto di una fiction televisiva, non è catalogabile come condotta diffamatoria. Per questa ragione, è stata definitivamente respinta la richiesta di risarcimento avanzata dall’associazione Unionbirrai nei confronti della RAI a causa di un dialogo in un episodio di una fiction televisiva, dialogo che faceva emergere, in maniera palese, un giudizio negativo sulla qualità della birra artigianale venduta in un locale e confrontata con le birre di produzione industriale. Il fattaccio risale ai primi giorni del 2017 quando la RAI manda in onda la fiction. A far scoppiare il caso è un dialogo tra alcuni protagonisti della fiction, i quali esprimono, come da sceneggiatura, giudizi negativi sulla birra artigianale destinata alla vendita nel locale da loro gestito, sottolineandone la scadente qualità rispetto alle birre cosiddette normali’ , cioè di produzione industriale. Pronta la reazione dell’associazione Unionbirrai, che in qualità di organismo rappresentativo degli interessi dei piccoli birrifici indipendenti italiani, produttori di birra artigianale, chiama in causa, davanti al Giudice di pace di Milano, la RAI, sostenendo che le espressioni utilizzate durante l’episodio incriminato della fiction avevano contenuto diffamatorio , fondato sulla inveritiera rappresentazione della scarsa qualità della birra artigianale e sull’uso di espressioni eccedenti il limite della continenza formale e aggiungendo che da ciò è derivato un danno alla reputazione professionale e commerciale dei numerosi piccoli birrifici rappresentati dall’associazione . Consequenziale la richiesta di risarcimento avanzata dall’associazione nei confronti della RAI, richiesta ritenuta legittima dal giudice di pace, che ravvisa gli estremi dell’illecito diffamatorio e condanna la RAI a versare 3mila euro come risarcimento all’associazione Unionbirrai. Di parere opposto, invece, i giudici del Tribunale di Milano, i quali escludono si possa parlare di diffamazione, soprattutto perché il dialogo oggetto di contestazione appartiene ad un’opera creativa e non costituisce espressione del diritto di cronaca per il quale sono applicabili i criteri della verità anche solo putativa dei fatti, della continenza formale e della pertinenza, cioè dell’interesse pubblico alla notizia e perché essendo la fiction televisiva un’opera di fantasia, ad essa sono analogicamente applicabili i criteri elaborati in materia di opere letterarie . Per i giudici del Tribunale di Milano non si può ignorare che la natura inveritiera delle affermazioni degli attori della fiction riguardo alla qualità della birra artigianale non è da sola sufficiente ad integrare la lesione dell’onore e della reputazione commerciale degli associati della Unionbirrai . In sostanza, non vi è alcun intento diffamatorio nel dialogo oggetto del processo, anche considerata la genericità dei riferimenti alla qualità delle birre artigianali in un’opera di fantasia e come tale percepita dagli spettatori anche più sprovveduti . Peraltro, sempre ad avviso dei giudici del Tribunale, a fronte del fatto lamentato, la difesa dell’associazione non ha significativamente provato la sussistenza di un danno, e cioè di una diminuzione della vendita di birre artigianali ovvero l’offuscamento della immagine commerciale del prodotto . Niente risarcimento per Unionbirrai , quindi, secondo la valutazione dei giudici del Tribunale di Milano, valutazione confermata dalla Cassazione. Inutile il ricorso proposto in terzo grado dall’associazione. Solida, secondo i Giudici, la ratio della decisione che ha portato all’assoluzione della RAI. In sostanza, una fiction costituisce espressione artistica che, a differenza della comunicazione giornalistica, non è soggetta ai requisiti di verità, continenza ed interesse pubblico della notizia . Difatti, i dialoghi contenuti in una fiction sono inseriti in un’opera di fantasia e sono risultati, nella specifica fiction presa in esame, strumentali alla rappresentazione della incapacità di uno dei protagonisti nella gestione appena intrapresa dell’attività commerciale . Infine, la labilità e la genericità dei riferimenti, nei dialoghi degli attori, alla qualità delle birre artigianali è perciò incompatibile con la portata diffamatoria lamentata dall’associazione Unionbirrai , concludono i Giudici della Cassazione.

Presidente Spirito Relatore Moscarini Rilevato che L'Associazione Unionbirrai, associazione rappresentativa degli interessi dei piccoli Birrifici Indipendenti Italiani, produttori di birra artigianale, convenne davanti al Giudice di Pace di Milano la Rai Radiotelevisione Italiana S.p.A. rappresentando che, nel corso della trasmissione della fiction televisiva omissis nella serata del [ ], i protagonisti della fiction avevano espresso giudizi negativi sulla birra artigianale destinata alla vendita nel locale da loro gestito, sottolineando la scadente qualità della medesima rispetto alle birre cd. normali che le espressioni utilizzate avevano contenuto diffamatorio fondato sulla inveritiera rappresentazione della scarsa qualità della birra artigianale e sull'uso di espressioni eccedenti il limite della continenza formale da ciò sarebbe derivato un danno alla reputazione professionale e commerciale dei numerosi piccoli birrifici rappresentati dall'Associazione, con la conseguente domanda di condanna della convenuta al risarcimento del danno. Giudice di Pace adito ravvisò gli estremi dell'illecito diffamatorio ed accolse la domanda liquidando in via equitativa in favore della associazione attrice la somma di Euro 3000. A seguito di appello della RAI il Tribunale di Milano, con sentenza del 7/10/2020, ha accolto il gravame e, per l'effetto, ha rigettato la domanda risarcitoria e condannato l'Associazione attrice alle spese del doppio grado. Per quanto ancora di interesse in questa sede il Tribunale ha escluso la configurabilità di un interesse diffamatorio in ragione del fatto che il dialogo oggetto di contestazione appartiene ad un'opera creativa e non costituisce espressione del diritto di cronaca per il quale sono applicabili i criteri della verità anche solo putativa dei fatti, della continenza formale e della pertinenza, cioè dell'interesse pubblico alla notizia essendo la fiction televisiva un'opera di fantasia, ad essa sono analogicamente applicabili i criteri giurisprudenziali elaborati in materia di opere letterarie. La sentenza fa riferimento a precedenti di questa Corte Cass. n. 7798 del 31/3/2010 e n. 22042 del 31/10/2016 secondo i quali L'estrinsecazione del pensiero che si realizza attraverso un'opera artistica o letteraria è diversa rispetto a quella che si compie tramite l'attività giornalistica mentre quest'ultima, che trova il proprio fondamento nella Cost., art. 21, svolge la funzione di offrire informazioni o notizie su fatti e vicende reali, l'opera letteraria, tutelata dalla Cost., artt. 9 e 33, si connota, invece, per l'affermazione di ideali e valori che l'autore intende trasmettere mediante la trasfigurazione creativa della realtà, pur quando faccia riferimento a vicende realmente accadute. Ne consegue che, a differenza dell'opera letteraria la quale non assume carattere diffamatorio per il solo fatto di essere inveritiera, perché compito dell'arte non è quello di descrivere la realtà nel suo obiettivo e concreto verificarsi , l'attività giornalistica, quale manifestazione del diritto di critica, pur esprimendosi in un'opinione che, come tale, non può che essere fondata su un'interpretazione dei fatti e, quindi, non può che essere soggettiva, è condizionata dal limite della continenza sia sotto l'aspetto della correttezza formale dell'esposizione, sia sotto quello sostanziale della non eccedenza dei limiti di quanto strettamente necessario per il pubblico interesse, e presuppone quindi, da un lato, che il fatto oggetto di critica corrisponda a verità ragionevolmente putativa e, dall'altro, che la narrazione, pur potendosi manifestare con l'uso di un linguaggio colorito non trascenda mai in affermazioni ingiuriose e denigratorie. Da ciò consegue che la natura inveritiera delle affermazioni degli attori della fiction riguardo alla qualità della birra artigianale circostanza allegata dalla difesa dell'Associazione Birrai per la configurazione dell'illecito diffamatorio - non è da sola sufficiente ad integrare la lesione dell'onore e della reputazione commerciale degli associati. Dunque non vi è alcun intento diffamatorio, considerata anche la estrema labilità e genericità dei riferimenti alla qualità delle birre artigianali inserita in un'opera di fantasia, come tale percepita dagli spettatori anche più sprovveduti. Peraltro, ad avviso del Tribunale, a fronte del danno-evento lamentato, la difesa dell'associazione non ha significativamente provato la sussistenza di un danno conseguenza, e cioè di una diminuzione della vendita di birre artigianali ovvero l'offuscamento della immagine commerciale del prodotto, con ciò confermandosi il rigetto della domanda risarcitoria. Avverso la sentenza l'Associazione Unionbirrai ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi. Ha resistito Rai Radiotelevisione Italiana SpA con controricorso. Il ricorso è stato assegnato per la trattazione in Adunanza Camerale ricorrendo i presupposti dell'art. 380 bis c.p.c La ricorrente ha depositato memoria. Considerato che Con il primo motivo di ricorso - violazione dell' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 5 per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti - la ricorrente lamenta che la corte di merito abbia omesso di considerare il carattere tipico della birra artigianale, siccome definita dalla L. 1354 del 1962, art. 2 comma 4 bis, la specificità del prodotto, l'abuso del diritto di espressione artistica, il difetto del requisito della continenza. Ad avviso della ricorrente la corte di merito non avrebbe colto gli elementi decisivi del carattere denigratorio della fiction, quali la specificità del carattere artigianale della birra ed il discredito mirato da valutarsi non solo in rapporto alle caratteristiche del prodotto ma anche alla percezione del messaggio screditante. Con il secondo motivo del ricorso - ulteriore violazione dell' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 5 per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti - con riguardo ad un ulteriore profilo di insussistenza di giustificazioni in base al diritto d'espressione artisticala ricorrente lamenta che la sentenza avrebbe dequotato il danno che le espressioni della fiction hanno arrecato al prodotto birra artigianale e non avrebbe ragionevolmente considerato che il discredito era rivolte non ai produttori ma, per l'appunto, allo specifico prodotto. Con il terzo motivo di ricorso - ulteriore violazione dell' art. 360 c.p.c. , n. 5 per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti - la ricorrente lamenta che la corte di merito avrebbe valorizzato l'assenza del danno-conseguenza e non avrebbe considerato che il discredito arrecato al prodotto tipico rappresentava lesione diretta dell'interesse associativo. I motivi, tutti volti ad evidenziare la pretesa lesione dell' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 5, sono tutti inammissibili. Come reiteratamente affermato da questa Corte il nuovo disposto dell' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 5 ha introdotto nell'ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all'omesso esame di un fatto storico principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo. Ne consegue che, nel rispetto delle previsioni dell' art. 366 comma 1 n. 6 c.p.c. e dell'art. 369 comma 2 n. 4 c.p.c. il ricorrente deve indicare il fatto storico , il cui riesame sia stato omesso, il dato testuale o extratestuale da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia state aggetto di discussione processuale e la sua decisività. Nulla di ciò è presente nel caso di specie. Occorre innanzitutto rilevare che nessuno dei motivi di ricorso attinge la ratio decidendi dell'impugnata sentenza secondo la quale la fiction costituisce espressione artistica che, a differenza della comunicazione giornalistica, non è soggetta ai requisiti di verità, continenza ed interesse pubblico della notizia. Le affermazioni della fiction sono infatti inserite in un'opera di fantasia e sono, nella specie, peraltro, strumentali alla rappresentazione della incapacità di uno dei protagonisti nella gestione appena intrapresa dell'attività commerciale, la cui labilità e genericità è incompatibile con la portata diffamatoria lamentata dall'Associazione. Ciò premesso nessuno dei motivi supera il vaglio di ammissibilità. Con riferimento al primo motivo, che la birra artigianale costituisca oggetto di denominazione legale di prodotto in base alla L. n. 1354 del 1962, art. 2 comma 4 bis non costituisce un fatto storico, essendo peraltro elemento del tutto irrilevante ai fini del decidere. In relazione al secondo motivo, l'asserita omessa valutazione circa il danno al prodotto birra artigianale anziché agli associati di Unionbirrai ancora una volta non costituisce un fatto in senso storico-naturalistico ed è anch'esso privo di decisività. Il terzo motivo è inammissibile perché non correlato alla ratio decidendi. Conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile e la ricorrente è condannata a pagare, in favore della parte resistente, le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo. Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di una ulteriore somma a titolo di contributo unificato, pari a quella versata per il ricorso, se dovuta. P.Q.M. La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente a pagare, in favore della parte resistente, le spese del giudizio di cassazione liquidate in Euro 3.200, più accessori di legge e spese generali al 15%. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 , comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma l-bis del citato art. 13, se dovuto.