Marito condannato per violenza sessuale nonostante la “ritrattazione” della moglie

Impossibile, secondo i Magistrati, ridimensionare l’episodio e catalogare come ritrattazione la lettera consegnata ai giudici del Tribunale dalla donna. Ciò anche perché la violenza sessuale è stata descritta compiutamente dalla moglie durante il processo di primo grado.

Confermata la condanna del marito che ha costretto ad un rapporto sessuale la moglie anche se quest’ultima ha inviato una lettera ai giudici del Tribunale per manifestare l’intenzione di rimettere la querela nei confronti del compagno e per ridimensionare l’episodio oggetto del processo sostenendo, in sostanza, che l’uomo aveva solo insistito per avere un rapporto sessuale. Riflettori puntati, nel contesto della Cassazione, sulla responsabilità penale dell’uomo finito sotto processo con l’accusa di violenza sessuale ai danni della moglie. Il legale che rappresenta l’uomo sostiene sia stata trascurata la ritrattazione fornita dalla compagna del suo cliente, ritrattazione messa nero su bianco e mirata a testimoniare la consensualità del rapporto sessuale oggetto del processo e a chiarire che la denuncia nei confronti dell’uomo era stata determinata dalla rabbia e che successivamente lei e il compagno si erano riappacificati . I Magistrati di Cassazione non mettono in discussione il dato posto in rilievo dalla difesa. Riconoscono che durante il processo di primo grado la donna aveva, nel corso del suo esame, confermato di avere scritto di suo pugno una lettera, indirizzata al Tribunale, in cui rappresentava la volontà di rimettere la querela nei confronti del compagno , in quanto quest’ultimo era cambiato, e dichiarava che i fatti denunciati non corrispondevano alla verità, non avendo il ricorrente abusato sessualmente di lei ma avendo solo insistito per avere un rapporto sessuale . In quella occasione, però, la donna ha anche raccontato i maltrattamenti subiti, anche alla presenza dei figli minori , per mano del marito, e, quanto alla violenza sessuale, ha precisato che l’uomo le si era avvicinato palpeggiandola e, al rifiuto da lei opposto all’idea di avere un rapporto sessuale, l’aveva costretta con la forza aprendole le gambe e così lei aveva avuto un rapporto sessuale contro la sua volontà . Per i Giudici di Cassazione, però, la lettera messa nero su bianco dalla donna non è decisiva. In premessa i Magistrati riconoscono che la donna aveva scritto che l’atto sessuale era consensuale e, dunque, aveva negato che l’uomo avesse abusato sessualmente di lei e aggiungono che quella lettera era originata dalla volontà di ridimensionamento dei fatti a seguito della rappacificazione tra lui e lei. Ciò nonostante, la lettera non incide sulla ricostruzione dei fatti come operata dalla persona offesa nel corso dell’esame dibattimentale , poiché ella ha raccontato, con dovizia di particolari, le condotte di maltrattamento, anche violento, poste in essere dal compagno , come confermato, osservano i Giudici, da altre fonti testimoniali e dal clima famigliare vissuto e in cui si inserisce l’episodio della violenza sessuale . Su quest’ultimo punto, infine, i Giudici osservano che la violenza sessuale è stata descritta compiutamente dalla donna senza che ella abbia mai sminuito il fatto, senza alcuna rettifica diretta a ridimensionarlo e, a fortiori, senza compiere alcuna ritrattazione , contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa dell’uomo. Tirando le somme, le dichiarazioni rese dalla donna nel corso dell’esame dibattimentale hanno restituito un quadro probatorio assolutamente chiaro in ordine all’affermazione della responsabilità penale dell’uomo , quadro non inficiato dal contenuto della lettera, di cui la donna ha confermato unicamente la paternità, escludendo però, in definitiva, la ritrattazione .

Presidente Sarno Relatore Gai Ritenuto in fatto 1. Con l'impugnata sentenza, la Corte d'appello di Napoli, in riforma della sentenza del Tribunale di Torre Annunziata, previo riconoscimento della circostanza di cui all' art. 609 bis comma 3 c.p. in relazione al capo 2 , ha ridotto la pena inflitta all'imputato, ad anni tre di reclusione, in relazione ai reati di cui all' art. 572 c.p. capo 1 , artt. 609 bis , 609 ter comma 4 quater c.p. capo 2 , artt. 582 -585 in relazione all' art. 576 n. 1 c.p. capo 3 . 2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso l'imputato, a mezzo del difensore, e ne ha chiesto l'annullamento deducendo con un unico motivo di ricorso la violazione di cui all'art. 606 comma 1 lett. e c.p.p. in relazione alla conferma della affermazione della responsabilità ed assenza di motivazione in relazione alla valutazione della ritrattazione della persona offesa. Argomenta il ricorrente che la corte territoriale, nel confermare il giudizio di responsabilità penale in relazione al reato di violenza sessuale, non avrebbe reso una motivazione con riferimento alla ritrattazione della persona offesa in punto consensualità del rapporto sessuale, né avrebbe valutato la circostanza che la donna aveva scritto che denuncia era stata determinata dalla rabbia e che successivamente i coniugi si era rappacificati. Chiede l'annullamento della sentenza. 3. Il Procuratore Generale ha chiesto l'inammissibilità del ricorso. Considerato in diritto 4. Il ricorso, che proviene dalla settima sezione non essendo stata ravvisata una causa di inammissibilità, non mostra ragioni di fondatezza e va, pertanto, rigettato. Va rilevato che il ricorso non contiene censure in relazione ai reati di cui all' art. 572 c.p. capo 1 e artt. 582 -585 in relazione all' art. 576 n. 1 c.p. capo 3 , essendo unicamente censurato il capo dell'affermazione della responsabilità per il reato di violenza sessuale di cui al capo 1 . In relazione al motivo di doglianza, ed in particolare in ordine alla censura di omessa motivazione in relazione alla valutazione della ritrattazione', osserva, la Corte, che può essere esaminata prendendo in considerazione sia la motivazione della sentenza impugnata sia quella della sentenza di primo grado, e ciò in quanto i giudici di merito hanno adottato decisioni e percorsi motivazionali comuni, che possono essere valutati congiuntamente ai fini di una efficace ricostruzione della vicenda processuale e di una migliore comprensione delle censure del ricorrente. Allorché infatti le sentenze di primo e secondo grado concordino, come in specie, nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complesso corpo argomentativo cui occorre far riferimento per giudicare della congruità della motivazione, integrando e completando quella adottata dal primo giudice le eventuali carenze di quella d'appello Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, Rv. 277218 - 01 Sez. 5, n. 40005 del 07/03/2014, Lubrano Di Giunno, Rv. 260303, Sez. 1, n. 1309 del 22/11/1993, Scardaccione, Rv. 197250 . Ciò premesso, risulta, dalla sentenza di primo grado, che nel corso del suo esame, la persona offesa aveva confermato di avere scritto di suo pugno una lettera indirizzata al Tribunale in cui rappresentava la volontà di rimettere la querela nei confronti del compagno in quanto era cambiato e dichiarava che i fatti denunciati non corrispondevano alla verità, non avendo il ricorrente abusato sessualmente della stessa in quanto l'imputato aveva solo insistito ad avere un rapporto sessuale. La teste, poi, proseguiva nell'esame raccontando le condotte di maltrattamento, alla presenza dei figli minori capo 1 , l'episodio di lesioni personali capo 3 , e, quanto alla violenza sessuale, narrava che nell'agosto 2020 l'imputato si era avvicinato alla stessa palpeggiandola e, al suo rifiuto ad avere un rapporto sessuale, l'aveva costretta con la forza aprendole le gambe e così aveva avuto un rapporto sessuale contro la sua volontà cfr. pag. 4 . La corte territoriale, seppur con succinta motivazione, ha risposto alla censura difensiva, argomentando come la lettera scritta dalla persona offesa in cui aveva scritto che l'atto sessuale era consensuale e che, dunque, negava che l'imputato avesse abusato sessualmente della stessa, originata dalla volontà di ridimensionamento dei fatti a seguito di rappacificazione, non incideva sulla ricostruzione dei fatti come operata dalla persona offesa nel corso dell'esame dibattimentale, esame dibattimentale nel corso del quale ella aveva raccontato con dovizia di particolari le condotte di maltrattamento anche violente poste in essere dal compagno, che hanno trovato, per inciso, conferma in altre fonti testimoniali, e nel clima famigliare vissuto nel contesto del quale si inserisce l'episodio di violenza sessuale. La violenza sessuale è stata descritta compiutamente dalla donna senza che la stessa abbia sminuito il fatto, senza alcuna rettifica diretta a ridimensionarlo e, a fortiori, senza compiere alcuna ritrattazione. I giudici del merito hanno ritenuto che le dichiarazioni rese nel corso dell'esame dibattimentale restituivano un quadro probatorio assolutamente chiaro in ordine all'affermazione della responsabilità penale del ricorrente, e che queste non erano inficiate dal contenuto della lettera, di cui la persona offesa aveva confermato unicamente la paternità, escludendo, in definitiva, che vi fosse stata ritrattazione. Infine, nemmeno il ricorrente contesta l'attendibilità della persona offesa. Si impone il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell 'art. 52 D.Lgs. n. 196 del 200 3 in quanto imposto dalla legge.