Studi legali ed employee retention rate

Gli studi professionali, tra cui gli studi legali, occupano al proprio interno due tipologie di collaboratori i professionisti forniti di partita IVA e i dipendenti assunti. Questi ultimi rappresentano lo staff di studio, dove la segretaria è la figura storicamente più presente in ogni studio che abbia un minimo di organizzazione seguono poi le receptionist, il personale amministrativo, fino alla lunga lista di addetti alle singole funzioni utili a far funzionare lo studio responsabili IT, HR manager, office manager, responsabili marketing e così via.

I professionisti di studio, invece, annoverano al proprio interno figure gerarchicamente organizzate per seniority professionale e per ruolo si va dai partner agli associate, ai trainee. A voler essere precisi con i termini, dunque, con “collaboratori” di studio bisognerebbe indicare solo i dipendenti, ma genericamente con tale termine il riferimento è sia ai professionisti che ai dipendenti. Turnover. La premessa di cui sopra si rende necessaria per spiegare una espressione anglosassone tipicamente applicata al mondo dell'azienda, dove esiste una unica categoria, accanto alla dirigenza, che sono i dipendenti dell'azienda. Qui, ovviamente, applicheremo questi concetti agli studi legali. Con turnover viene indicato il fenomeno di ricambio dei dipendenti in un contesto organizzato, quindi il fenomeno di alternanza dei dipendenti, dove a fronte di uscite si registrano corrispettive entrate di nuovi collaboratori. Più alto è il tasso di turnover e maggiore è questo “ricambio” di persone all'interno dell'organizzazione. Un alto tasso di turnover, solitamente oltre il 15% all'anno del totale dei dipendenti dell'organizzazione indica qualche tipo di problema dell'organizzazione stessa, dove il ricambio così frequente e accentuato in termini percentuali è un sintomo da non trascurare. Le ragioni del turnover posso essere le più svariate e un certo tasso di turnover è fisiologico in ogni organizzazione. Quando sale oltre la fatidica soglia del 15% ecco che l'organizzazione dovrebbe chiedersi se ci sono problemi di clima al proprio interno, oppure difficoltà relazionali nelle gerarchie o tra colleghi, piuttosto che difficoltà legate agli orari di lavoro, al work-life-balance percepito dai collaboratori, ai percorsi di carriera o ad altri aspetti ulteriori. In sostanza, il turnover elevato manifesta un problema strutturale e non più situazioni occasionali e fisiologiche individuali, che spingono le persone ad andarsene. Il danno del turnover. È utile ricordare che il turnover oggi è un vero e proprio problema , in quanto la fuoriuscita di un certo numero di collaboratori e il ricambio frequente comporta la perdita di know how dello studio professionale, la cessione ad altro studio del know how acquisito dal collaboratore, l'investimento di ulteriore tempo per effettuare nuove ricerche e selezione di nuove figure che andranno a sostituire chi è uscito e l'investimento di nuovo tempo per formare queste nuove leve che entreranno in studio. Non poco, quindi. Spesso queste conseguenze sono sottovalutate dai titolari di studio, soprattutto se con una mentalità tradizionale, dove tutto è concentrato sulla propria figura e gli altri, soprattutto i giovani, sono considerati fungibili e, quindi, facilmente rimpiazzabili. Un tempo forse era così, ma oggi dove c'è una certa “ scarsità ” di giovani motivati e volenterosi che vogliono intraprendere seriamente la professione e dove anche i dipendenti di staff sono risorse preziose per il funzionamento dello studio, ecco che lo scenario appare completamente diverso. Innanzitutto, i giovani e meno giovani professionisti e dipendenti che vanno via dallo studio si portano con sé quanto hanno appreso in studio e, quindi, saranno altri a giovare di tali competenze inoltre, spesso portano con sé contatti di clienti, collaboratori e informazioni di studio che sarebbe meglio mantenere in studio. In secondo luogo, se il turnover è eccessivamente frequente, per cui vuol dire che le persone restano presso lo stesso studio poco tempo, a volte mesi e non anni, ciò porta ad aver mal investito da parte dello studio il tempo per la selezione e la formazione dello stesso collaboratore. Ci sono studi, per esempio, con brand anche importanti, che hanno alti tassi di turnover e questo vuol dire che i giovani entrano in studio perché attratti dal brand da mettere sul curriculum vitae e poi appena possibile se ne vanno. Lo studio diventa quindi una palestra che forma professionisti per altri. Ultimo, ma non meno importante, è considerare anche l'aspetto della reputation dello studio se sul mercato “gira la voce” che in quello studio si lavora male, si lavora troppo, “ti sfruttano” etc. ciò non gioverà certo alla reputazione del brand di studio, né verso i talenti, né verso i clienti. Employee retention rate. Come si definisce, dunque, il tasso di turnover? Oppure, meglio, come possiamo definire il tasso di retention? Con ciò indichiamo la capacità dello studio di trattenere i collaboratori e i talenti. Se preferite, potremmo anche parlare di tasso di fidelizzazione dei collaboratori, cioè quanti rispetto al totale restano in studio sul lungo periodo. Insomma, è come la salita e la discesa possiamo guardare il fenomeno da due prospettive diverse per descrivere la medesima realtà. Esiste una espressione anglosassone che avrete sicuramente sentito e letto più volte employee retention rate . Con tale espressione si indica il tasso rate di retention lett. capacità di trattenere i dipendenti employee . Esiste una formula per calcolare questo indice e capire se siamo in un range fisiologico sotto il 15% , oppure patologico sopra il 15% . La formula è la seguente collaboratori rimasti in studio a fine anno / collaboratori presenti in studio all'inizio dell'anno moltiplicato x 100. Otteniamo così la capacità di retention di uno studio, cioè il tasso di retention . A questo punto saprete se si è accesa la “spia” che indica di fare attenzione a qualcosa, oppure se potete stare ragionevolmente tranquilli, perché si è in un processo fisiologico di ricambio. Ovviamente le percentuali hanno tanto più valore, quanto maggiore è il numero complessivo di persone che operano in studio come professionisti o dipendenti. Se in studio c'è un professionista, un praticamente e la segretaria, è ovvio che se il praticante va via, siamo già oltre il 30% di tasso, perché rappresentava un terzo del totale, ma in ottica di valore assoluto è una sola persona ad essersene andata e potrebbe aver avuto delle sue ragioni soggettive che nulla c'entrano con problematiche eventuali dell'organizzazione. Al contrario, se lo studio conta 100 teste al proprio interno e alla fine dell'anno sono andate via in 30, capite che qui il tasso è pari al 30% ed indica che c'è qualcosa che non va, perché è troppo alto. La capacità di trattenere i collaboratori, soprattutto quelli di maggior valore sarà in futuro un aspetto su cui tutti gli studi si confronteranno e che potrà fare la differenza.