Salva il figlio dall’aggressione omicida del padre ma non è in grado di prendersene cura: legittima l’adozione

Respinte le obiezioni proposte dalla donna. Inequivocabile la precaria situazione del bambino che a 7 anni si presentava in condizioni di malnutrizione, mangiava solo cose liquide, portava ancora il pannolino e non si era mai relazionato con altri bambini.

Salva il figlio dall'aggressione omicida del padre ma questa fondamentale azione non consente alla donna di evitare che i giudici sanciscano l' adottabilità del bambino. Prevalenti, in senso negativo, difatti, sono le carenze riscontrate nei suoi comportamenti quotidiani come madre . Concordi i giudici di merito, i quali dichiarano «lo stato di adottabilità» del bambino, nonostante l'opposizione della madre. A inchiodare la donna è, precisano i giudici d'Appello, la sua «totale assenza di volontà di recupero della capacità genitoriale ». Senza dimenticare, poi, che «i comportamenti della donna non manifestano un possibile recupero in tempi accettabili e in modo da conseguire una equilibrata crescita psico-fisica del bambino». Tirando le somme, è vero che la donna «ha salvato la vita al figlio dal tentato omicidio del padre » ma, purtroppo, «ha manifestato comportamenti inadeguati sotto il profilo dell'alimentazione e della crescita» del bambino, che «all'età di 7 anni si presentava in condizioni di malnutrizione , mangiava solo cose liquide, portava ancora il pannolino e non si era mai relazionato con altri bambini». Per chiudere il cerchio, infine, in Appello viene posto in evidenza un ulteriore fondamentale dettaglio «la donna ha osteggiato il percorso di recupero iniziato dal figlio in comunità – contesto in cui egli mostrava di migliorare significativamente – e lo ha abbandonato» lasciando la comunità, seppur fosse stata «invitata più volte a non allontanarsi» dalla struttura. Per i giudici di merito, quindi, «la donna è impossibilitata » palesemente « a prendersi cura del figlio », e ha anche «stranamente ritenuto che il bambino fosse autistico , dato infondato come accertato più volte da diversi neuropsichiatri». Inutile il ricorso proposto in Cassazione dalla donna e mirato ad evitare l'adozione del figlio. I giudici di terzo grado ritengono inequivocabile il quadro tracciato in Appello. In sostanza, non vi sono dubbi sullo « stato di abbandono » del bambino e sulle inadeguate «capacità genitoriali» della donna. Decisivo il riferimento alle accertate «gravi condizioni di deprivazione psico-fisica del bambino» e alla «inesistenza della patologia autistica» del minore, contrariamente a quanto sostenuto dalla donna. Rilevante, come detto, anche «la complessiva incapacità della donna di far fronte ai bisogni primari del bambino, sia sotto il profilo della cura che della nutrizione che del sostanziale isolamento in cui veniva cresciuto». Evidente, infine, «la non volontà di recupero del rapporto con il minore, atteso il trasferimento della donna in un diverso Comune rispetto a quello della comunità in cui era stata accolta assieme al figlio», senza ignorare, infine, «la sostanziale continuativa opposizione della donna ai progetti comunitari». In conclusione, «la totale impossibilità da parte della donna di prendersi cura del figlio» è «inconciliabile con l'esigenza primaria del bambino di conseguire una meritevole crescita psico-fisica», sanciscono i giudici. Definitiva, quindi, la dichiarazione di adottabilità del minore.

Presidente/Relatore Acierno Fatti di causa e ragioni della decisione 1. La Corte di Appello di Salerno, ha rigettato, per quel che ancora interessa, così confermando la sentenza emessa il 18.10.2021 dal Tribunale dei Minorenni di Salerno, l'appello proposto dalla madre D.M.A.T. avverso la dichiarazione dello stato di adottabilità del figlio minore C.S. . A sostegno della decisione, la Corte di Appello di Salerno ha ritenuto una totale assenza volontà di recupero della capacità genitoriale da parte dell'appellante tale da non necessitare di procedere ad ulteriore accertamento, atteso che i comportamenti della D.M. non manifestano un possibile recupero in tempi accettabili in modo da conseguire una equilibrata crescita psicofisica del minore. Nel dettaglio, l'appellante, nonostante abbia salvato la vita al minore dal tentato omicidio del padre, ha manifestato comportamenti inadeguati sotto il profilo dell'alimentazione e della crescita atteso che il piccolo all'età di omissis si presentava in condizioni di malnutrizione, mangiava solo cose liquide, portava ancora il pannolino e non si era mai relazionato con altri bambini. La Corte di Appello ha ulteriormente evidenziato che la madre ha osteggiato il percorso di recupero medio tempore iniziato dal minore in comunità - presso la quale C.S. migliorava significativamente - abbandonandolo, seppur invitata più volte a non allontanarsi. Dunque, la Corte ha ritenuto che la madre fosse impossibilitata a prendersi cura del figlio, avendo - tra l'altro - stranamente ritenuto che il minore fosse autistico, dato infondato accertato più volte dai relativi neuropsichiatri. 2. Contro la sentenza della Corte di Appello di Salerno, la Sig.ra D.M. ha proposto ricorso per Cassazione affidato a due motivi di ricorso. Ragioni della decisione 3. Nei due motivi di ricorso D.M. ha lamentato nel primo, la violazione di norma di diritto in relazione agli della L. numero 184 del 04.05.1983, articolo 1, 8, 11 e 15, per aver la Corte di Appello dichiarato lo stato di adottabilità del minore in presenza della possibilità di poter crescere nella propria famiglia naturale in particolare la ricorrente deduce l'astrattezza e l'incompletezza dell'accertamento relativo allo stato di abbandono in quanto l'allontanamento della stessa dalla comunità è derivato esclusivamente da ragioni mediche disturbo di adattamento con ansia e depressione , relativamente alle quali si è accertato lo stato di non pericolosità nonché la attuale fase di remissione e sulla base delle quali non è possibile configurare di per sé lo stato di abbandono dati, altresì, i tentativi della madre - osteggiati dalla struttura - di rientrare in comunità nel secondo, la violazione di norma di diritto in relazione all'articolo 3 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, nonché la Convenzione di Strasburgo del 25.01.1996 e la Carta dei diritti fondamentali dell'UE del 7.12.2000 e dell'articolo 8 della CEDU per aver la Corte di Appello reciso il legame genitore-figlio sulla base di istruttoria sommaria nonché attraverso una ingerenza alla vita privata familiare in assenza di progetti sociali di sostegno e di una situazione grave ed imprescindibile. 4. Il primo motivo di ricorso è inammissibile in quanto le censure proposte mirano alla prospettazione di un quadro alternativo dei fatti finalizzato a contestare lo stato di abbandono nonché le capacità genitoriali della D.M. . La Corte d'Appello ha svolto un puntuale ed insindacabile accertamento di fatto sulla capacità genitoriale della ricorrente escludendo margini di reversibilità. In particolare ha evidenziato le condizioni di deprivazione psico fisica del minore, molto gravi, e l insussistenza della patologia autistica oltre ad una complessiva incapacità della madre di far fronte ai bisogni primari del bambino, sia sotto il profilo della cura che della nutrizione che del sostanziale isolamento in cui veniva cresciuto. La Corte ha altresì evidenziato la non volontà di recupero del rapporto con il minore atteso il trasferimento in diverso comune omissis rispetto a quello della comunità nella quale era stata accolta assieme al figlio e la sostanziale continuativa opposizione ai progetti comunitari. In definitiva la Corte ha stabilito una totale impossibilità da parte della madre di prendersi cura del minore, inconciliabile con l'esigenza primaria del figlio di conseguire una meritevole crescita psico-fisica. Relativamente ai fatti acquisiti e ritenuti rilevanti dal giudice del merito la ricorrente ha fornito una lettura ed una valutazione del tutto contrastante così esprimendo una censura esclusivamente di merito. Il giudizio di Cassazione è un giudizio a critica vincolata, in quanto la Corte non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa. Dunque la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenute nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti Cass. 6519-2019 in relazione allo stato di abbandono cfr. Cass. 11171-2019 . 5. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile. Sul punto si evidenzia che la ricorrente indica genericamente che, secondo le disposizioni di fonte internazionale, è primario il collocamento del minore nella famiglia d'origine e che, in presenza di situazioni di difficoltà, risulta necessaria, prima di dichiarare lo stato di adottabilità del minore, la predisposizione di mezzi di sostegno statali al fine di supportare la famiglia vulnerabile, ma la censura non super la soglia dell'astrattezza. Ne consegue che si tratta di doglianze che, in ragione del loro carattere assolutamente generico si risolvono, essenzialmente ed inammissibilmente, o nella mera indicazione di disposizioni asseritamente violate, ma affatto carenti della necessaria specificazione di quali sarebbero le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata in contrasto con le individuate norme regolatrici della fattispecie o con l'interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, o in una richiesta di rivisitazione del giudizio di fatto effettuato dalla Corte distrettuale Cass. 4525-2019 . In conclusione il ricorso è inammissibile. In mancanza di parti controricorrenti non vi è statuizione sulle spese processuali. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso. 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