I beni ricompresi nell’attivo fallimentare possono essere oggetto di sequestro preventivo?

Sulla base di un approccio interpretativo logico sistematico che fa leva sugli artt. 317 e ss. del codice della crisi di impresa d.lgs. n. 14/2019 , la Cassazione conferma la possibilità di procedere, in caso di reato fiscale, al sequestro preventivo finalizzato alla confisca della somma corrispondente al profitto del reato a carico della società, nonostante l’intervenuta dichiarazione di fallimento.

Il Tribunale di Trani ha rigettato la richiesta di riesame proposta avverso il decreto di sequestro preventivo con cui era stata applicata, a carico di due società, la misura suddetta cautelare, finalizzata alla confisca diretta, per l'importo corrispondente al profitto del reato di omesso versamento di ritenute art. 10 d.lgs. n. 74/2000 . Il curatore fallimentare di una delle due società ha proposto ricorso per cassazione, invocando l'impossibilità di procedere con il sequestro preventivo di beni rientranti nella disponibilità della curatela fallimentare , successivamente alla dichiarazione di fallimento. Il ricorso risulta infondato. Il Collegio rileva sul punto un contrasto interpretativo , poiché da un lato è stato affermato che è illegittimo il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di cui all'art. 12- bis d.lgs. n. 74/2000 su beni già assoggettati alla procedura fallimentare v. Cass. pen. sez. III n. 27706 del 24 giugno 2022 Cass. pen. sez. II n. 19682 del 13/04/2022 Cass. pen. sez. III n. 3716 del 26/11/2021 , dep. 2022 . Tale affermazione si fonda sulla considerazione per cui a seguito del fallimento si assiste allo spossessamento del patrimonio della persona fisica o giuridica, con il conseguente venir meno del potere di disposizione che viene trasferito al curatore fallimentare nella prospettiva della conservazione delle tutele patrimoniali per i creditori. Alcune pronunce di senso opposto hanno messo in dubbio tale ricostruzione attribuendo la titolarità dei beni in capo al fallito fino al momento della vendita fallimentare v. Cass. pen. sez. III n. 31921 del 4/05/2022 Cass. pen. sez. IV n. 864 del 3/12/2021 , dep. 2022 . Secondo tale orientamento è dirimente il fatto che la dichiarazione di fallimento, pur comportando lo spossamento della società fallita, non comporta alcuna alterazione della compagine sociale i cui organi restano in funzione seppur con i limiti della procedura fallimentare . Logico corollario del fatto che la società continua ad esistere come soggetto giuridico è che essa non possa essere giuridicamente affrancata dall'applicazione di una misura ablativa obbligatoria. Il Collegio aderisce a tale interpretazione che trova riscontro non soltanto nei diversi arresti giurisprudenziali v. Cass. pen. sez. III n. 1577 del 2020 Cass. pen. sez. III n. 28077 del 09/02/2017 Cass. pen. sez. III n. 23907 del 01/03/2016 , ma anche nel codice della crisi di impresa e dell'insolvenza d.lgs. n. 14/2019 il quale prevede espressamente la legittimazione del curatore alle impugnazioni de libertate avverso il decreto di sequestro preventivo e le relative ordinanze. Inoltre, l' art. 317 c.c.i.i. sancisce il principio di prevalenza delle misure cautelari reali e della disciplina della tutela dei terzi contenute nel libro I, titolo IV, d.lgs. n. 159/2011 rispetto alle procedure concorsuali, limitando tale prevalenza alle ipotesi di sequestro preventivo penale strumentale alla confisca ai sensi dell' art. 321, comma 2, c.p.p. che ricomprende anche i sequestri per reati fiscali . Così ricostruiti i rapporti tra le procedure concorsuali e le misure cautelari reali tramite un approccio interpretativo logico-sistematico, il Collegio rigetta il ricorso.

Presidente Ramacci Relatore Andronio Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 16 maggio 2022, il Tribunale di Trani ha rigettato la richiesta di riesame proposta avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal Gip dello stesso Tribunale il 30 marzo 2022, con il quale era stato disposto, nei confronti della società T.A. S.r.l. ovvero della scissa omissis S.r.l., il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca diretta, per l'importo di Euro 957.869,24, quale profitto del reato di cui all' art. 10-bis del D.Lgs. n. 74 del 2000 . 2. Avverso l'ordinanza D.F.L. , in qualità di curatore fallimentare della società T.A. S.r.l., ha proposto ricorso per cassazione. 2.1. Con un primo motivo di doglianza, si deduce la violazione degli artt. 321, comma 2, c.p.p. , 12-bis del D.Lgs. n. 74 del 2000 e 42 R.D. n. 267 del 1942, in relazione alla possibilità di operare il sequestro preventivo, successivamente alla declaratoria di fallimento, di beni rientranti nella disponibilità della curatela fallimentare - che sarebbe soggetto terzo estraneo al reato - e non della persona indagata o della compagine fallita. Sostiene il ricorrente che la più recente giurisprudenza di legittimità è orientata nel senso che, una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, il sequestro preventivo dei beni della società non può più essere eseguito, dato che i beni oggetto della predetta misura cautelare reale sono nella disponibilità della curatela fallimentare Sez. 2, n. 19682 del 13/04/2022 il vincolo apposto a seguito della dichiarazione di fallimento sul patrimonio della persona fisica o giuridica, che ne è la destinataria, importa lo spossessamento e il venire meno del potere di disporne in capo al fallito, essendo automaticamente trasferito agli organi della procedura fallimentare, con attribuzione al curatore del compito di gestire tale patrimonio al fine di evitarne il depauperamento Sez. 3, n. 47299 del 16/11/ 2021 Sez. 3, n. 12125 del 5/02/2021 . Tale dato normativo, che non sarebbe stato valutato dal Tribunale del riesame, sarebbe di ostacolo all'applicabilità dell' art. 12-bis del D.Lgs. n. 74 del 2000 . Ulteriormente, si afferma che questa impostazione ermeneutica è stata implicitamente fatta propria dalla sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, n. 45936 del 26/11/2019, perché la peculiare natura dell'attivo fallimentare è di ostacolo all'applicabilità del D.Lgs. n. 74 del 2000 art. 12-bis , che individua, quale limite all'operatività della confisca, l'appartenenza dei beni che costituiscono il profitto o il prezzo del reato a terzi estranei al reato . Sulla base di ciò, la difesa osserva come la giurisprudenza, per quanto attiene alla confisca diretta del profitto o del prezzo del reato, riferendosi al concetto di appartenenza , ha inteso privilegiare una forma di dominio sui beni di natura sostanziale, essendo pacifico che, dopo la dichiarazione di fallimento, i beni della massa fallimentare cessano di appartenere al fallito, in quanto quest'ultimo non può più nè disporne nè goderne in termini giuridicamente rilevanti. Nel caso di specie, non vi è alcun dubbio che la curatela avesse la disponibilità dei beni della società fallita e fosse soggetto terzo estraneo al reato, in quanto la T.A. S.r.l. era stata dichiarata fallita dal Tribunale di Treviso il omissis , in data antecedente all'emissione del provvedimento cautelare, del 30 marzo 2022. Ancora, si evidenzia che è la stessa legittimazione del curatore all'impugnativa dei provvedimenti in materia reale che costituisce premessa logica dell'esclusione di una subordinazione della procedura fallimentare rispetto al sequestro preventivo, non potendosi negare la posizione di terzietà di quest'ultimo rispetto al soggetto indagato Sez. 2, n. 19682 del 13/04/2022 . In questa prospettiva, la soluzione interpretativa condivisa dal Tribunale di Trani si rileva paradossale, in quanto si determinerebbe, non solo una inammissibile violazione della regola della par conditio creditorum, ma anche la postergazione dei creditori che godano di una posizione privilegiata rispetto alla massa fallimentare e degli stessi interessi tributari, che non siano assistiti, nel caso di omissione del loro adempimento, dalla previsione di un illecito penale Sez. 3, n. 11068 del 28/09/2021 . Da ultimo, si afferma che il richiamo all' art. 317 del D.Lgs. n. 14 del 2019 , effettuato dai giudici di merito per sancire il principio di prevalenza del sequestro preventivo penale, è confutato dalla giurisprudenza di legittimità, in quanto tale dato normativo deve essere letto nel complessivo quadro di riferimento, tenendo anche conto dell'art. 318, che è volto ad affermare la preminenza della procedura concorsuale, con la sola esclusione dell'ipotesi in cui il sequestro attenga a beni intrinsecamente pericolosi. 2.2. Con un secondo motivo di ricorso, si lamentano la violazione degli artt. 321, comma 2, c.p.p. , 12 del D.Lgs. n. 74 del 2000 e 42 del R.D. n. 267 del 1942, avendo il Tribunale erroneamente ritenuto che non fosse necessario evidenziare le ragioni dell'anticipazione dell'effetto ablativo della confisca, non essendo sufficienti a tal fine il fumus e la confiscabilità del bene la violazione degli artt. 111 Cost. , 125 e 324 c.p.p., in quanto il Tribunale avrebbe confermato il provvedimento di sequestro senza addurre alcuna motivazione in ordine all'effettiva sussistenza del requisito del periculum in mora. La difesa ricorda che si deve escludere qualsiasi automatismo che colleghi la pericolosità alla mera confiscabilità del bene oggetto di sequestro, dovendo il giudice dare conto del periculum in mora che giustifica l'apposizione del vincolo Sez. U, n. 36959 del 24/06/2021 , perché, se l'autonomia del sequestro ai fini di confisca può giustificare che i parametri di adozione e i conseguenti oneri motivazionali non ricalchino quelli del sequestro impeditivo, non per questo la motivazione della misura adottata potrà sempre esaurirsi nel dare semplicemente atto della confiscabilità della cosa, non rilevando neanche la qualificazione formale della confisca come obbligatoria. E si afferma che il richiamo nell'ordinanza impugnata alla sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, n. 40847 del 2019, è inconferente rispetto al caso di specie, poiché attiene al diverso caso delle cose soggette a confisca obbligatoria di cui all' art. 240, comma 2, c.p. , per le quali è stato affermato che il divieto di restituzione, fissato dall' art. 324, comma 7, c.p.p. , si applichi anche al di fuori del procedimento di riesame. Da ultimo, si evidenzia come le ragioni dell'impossibilità di attendere il provvedimento che definisca il giudizio, ovvero il pericolo che i beni sfuggano alla futura ablazione, si appalesano come insussistenti, dal momento che è intervenuto il fallimento e che i beni si trovano nella esclusiva disponibilità della curatela. 3. Con memoria pervenuta in data 17 ottobre 2022 presso la cancelleria di questa Suprema Corte, la difesa ha insistito nelle proprie conclusioni, riportando ulteriori pronunce di legittimità, che aderiscono all'indirizzo interpretativo richiamato nel primo motivo di doglianza. Si cita, in particolare, la sentenza della Sez. 3, n. 26275 del 26 maggio 2022, che ha affrontato un caso sovrapponibile a quello di specie, e ha ribadito che è illegittimo il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca di cui all' art. 12-bis del D.Lgs. n. 74 del 2000 , su beni già assoggettati alla procedura fallimentare, posto che il vincolo apposto a seguito della dichiarazione di fallimento importa lo spossessamento e il venir meno del potere di disporre del proprio patrimonio in capo al fallito, con conseguente attribuzione al curatore del compito di gestire tale patrimonio al fine di evitarne il depauperamento. Negli stessi termini, si richiama Sez. 3, n. 27706 del 24/06/2022. Considerato in diritto 1. Il ricorso non è fondato. 2. Il primo motivo è infondato, per le seguenti ragioni. 2.1. Si deve osservare che, sul punto oggetto di censura, vi è un contrasto interpretativo, in quanto, secondo un orientamento condiviso anche da alcune pronunce questa Sezione, in tema di reati tributari, è illegittimo il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000 art. 12-bis , su beni già assoggettati alla procedura fallimentare, posto che il vincolo apposto a seguito della dichiarazione di fallimento importa lo spossessamento e il venir meno del potere di disporre del proprio patrimonio in capo al fallito e l'attribuzione al curatore del compito di gestire tale patrimonio al fine di evitarne il depauperamento ex plurimis, Sez. 3, n. 27706 del 24 giugno 2022, non mass. Sez. 2, n. 19682 del 13/04/2022, Rv. 283225 Sez. 3, n. 3716 del 26/11/2021, dep. 2022, non mass. Sez. 3, n. 47299 del 16/11/2021, Rv. 282618 Sez. 3, n. 14766 del 26/02/2020, Rv. 279382 Sez. 3, n. 45574 del 29/05/2018, Rv. 273951 . Si osserva che, ove si consideri che il vincolo apposto a seguito della dichiarazione di fallimento sul patrimonio della persona fisica o giuridica - che ne è la destinataria - importa lo spossessamento e il venir meno del potere di disporne, automaticamente trasferito, come previsto dall' art. 42, comma 1, L. Fall ., agli organi della procedura fallimentare, ne consegue che, a partire da tale momento, il curatore subentra ope legis nell'amministrazione della massa attiva nella prospettiva della sua conservazione ai fini della tutela dell'interesse dei creditori costoro, invero, in virtù dell'ammissione al passivo, sono portatori di diritti alla conservazione dell'attivo, in vista della ripartizione finale del ricavato derivato dalla liquidazione del patrimonio del fallito, la cui amministrazione da parte del curatore, sotto la direzione del giudice delegato, è finalizzata a garantire la par condicio, attraverso la quale soltanto possono essere soddisfatti, nei limiti della capienza dell'attivo e nel rispetto delle legittime cause di prelazione, i crediti facenti capo ad ognuno. Posto ciò, si afferma che il profilo squisitamente privatistico dell'insolvenza è, con l'apertura della procedura fallimentare, superato dai riflessi pubblicistici cui lo stesso procedimento, attraverso indisponibilità dei beni da parte del fallito, è sotteso, correlati alla necessità che il tracollo dell'impresa non si estenda indistintamente a quei soggetti che con questa abbiano avuto rapporti e, dunque, posti a salvaguardia delle esigenze economiche della collettività che, implicando la certezza del diritto, non ne consente l'assoggettabilità al vincolo penale per effetto del sequestro finalizzato alla confisca cfr. Sez. 3, n. 26275 del 26/05/2022, non mass. Sez. 3, n. 17750 del 17.12.2019, non mass. Sez. 3, n. 45574 del 29/05/2018, Rv. 273951 . La canalizzazione nella procedura fallimentare della composizione della crisi di impresa, così come la espulsione dell'impresa dal mercato quando ne sia accertato lo stato di decozione, renderebbe evidente come l'interesse originario facente capo al singolo creditore resti, in ultima analisi, relegato in posizione di subalternità rispetto a quello pubblicistico che interviene, al fine di tutelare proprio il mercato, a regolamentarlo. Ulteriormente, si sostiene che i beni facenti parte della massa fallimentare su cui la misura reale, avendo attinto le somme in giacenza sul conto corrente intestato alla curatela, è caduta, rappresentino un'entità a sé stante rispetto al patrimonio del fallito risulta evidente ove si consideri che in essa sono compresi non soltanto i beni facenti parte del patrimonio del fallito, ma altresì, atteso il potere di gestione e di amministrazione demandato alla curatela, i proventi derivati dall'esercizio del suddetto potere che, vuoi per effetto dell'esperimento fruttuoso di azioni revocatorie fallimentari, vuoi attraverso azioni di inefficacia dei pagamenti post-fallimentari, vuoi a seguito di attività strettamente liquidatorie e comunque di tutte le iniziative poste in essere dal curatore al fine di soddisfare le ragioni dei creditori concorsuali, vengono ad accrescere la massa attiva. Di nessuna rilevanza, pertanto, è che il fallito conservi sul suo patrimonio il diritto di proprietà atteso che questo, una volta disgiunto dal potere di gestione e di amministrazione conferito al curatore, resta congelato per tutta la pendenza della procedura fallimentare, fermo restando che, essendo la stessa finalizzata al soddisfacimento dei creditori previa liquidazione della massa fallimentare, è solo sull'eventuale residuo che il suddetto diritto spiega i suoi effetti, il che consente di definirlo come una proprietà vincolata al soddisfacimento dei creditori. Si ritiene che tale conclusione sia stata, da ultimo, implicitamente fatta propria dalla sentenza delle Sezioni Unite, n. 45936 del 26/09/2019, Rv. 277257, laddove la stessa ha dato per acquisita l'esclusione della possibilità di eseguire il sequestro su beni appartenenti alla massa fallimentare e, quindi, in una situazione cronologica di posteriorità rispetto alla dichiarazione di fallimento, in quanto sui beni che si trovano in questa condizione si è ormai costituito un potere di fatto della curatela Sez. 3, n. 45574 del 29/05/2018, Rv. 273951 , nei confronti della quale si realizzerebbe pertanto il presupposto della legittimazione all'impugnazione . 2.2. Il richiamato orientamento giurisprudenziale è posto in dubbio da pronunce che hanno invece individuato in capo al fallito la titolarità dei beni sino al momento della vendita fallimentare Sez. 3, n. 31921 del 04/05/2022, non mass. Sez. 4, n. 864 del 03/12/2021, dep. 2022, Rv. 282567 Sez. 3, n. 3575 del 26/11/2021, dep. 2022, non mass. Sez. 5, n. 52060 del 30/10/2019, Rv. 277753 Sez. 4, n. 7550 del 05/12/2018, dep. 2019, Rv. 275129 . Preliminarmente, questo diverso indirizzo ricorda come la giurisprudenza di legittimità, espressa dalle Sezioni civili della Corte, non abbia mai dubitato del fatto che la dichiarazione di fallimento di una società priva la stessa di ogni potere in relazione al suo patrimonio eccezion fatta per i beni sottratti all'esecuzione concorsuale per disposizione di legge e per i beni sopravvenuti che non siano acquisiti dalla massa , ma non comporta di per sé alcuna alterazione della compagine sociale, i cui organi restano in funzione, sia pur con le limitazioni derivanti dall'intervenuta dichiarazione di fallimento, tant'è che, analogamente, la chiusura del fallimento fa venir meno lo spossessamento della società fallita, con il conseguente riacquisto da parte della stessa della libera disponibilità dei beni ma non comporta invece l'estinzione della società Sez. 1, n. 9723 del 23/04/2010, Rv. 613181 Sez. 1, n. 11361 del 11/10/1999, Rv. 530561 . È perciò singolare che - pure al cospetto della perdurante esistenza di un ente che, avendo beneficiato di un risparmio fiscale, ha conservato i beni che costituiscono il profitto o il prezzo di un reato tributario - la società possa risultare giuridicamente affrancata dall'applicazione di una misura ablativa obbligatoria e conseguentemente dall'applicazione di misure prodromiche alla confisca. Se il fallimento comporta lo spossessamento dei beni ma lascia inalterata la struttura dell'ente fallito, logico corollario di tale affermazione è che la società continua ad esistere come soggetto giuridico, suscettibile di essere sanzionato nei casi in cui sia previsa una responsabilità dell'ente ai sensi della L. n. 231 del 2001 o di essere privato, ope legis, dei beni costituenti il profitto o il prezzo di un reato tributario e così, pertanto, si spiegano le pronunce che giustificano la perdurante vigenza del sequestro preventivo funzionale alla confisca riguardante una società fallita. Ad ulteriore dimostrazione di ciò, oltre a quanto affermato dal Collegio cautelare in conformità alla pronuncia di Sez. 3, n. 15776 del 2020 - che merita adesione - la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, in tema di rapporti tra sequestro preventivo e fallimento, è legittimo il sequestro preventivo dei beni ricompresi nell'attivo fallimentare, in quanto la deprivazione che il fallito subisce dell'amministrazione e della disponibilità dei suoi beni, vincolati dalla procedura concorsuale a garanzia dell'equa soddisfazione di tutti i creditori mediante l'esecuzione forzata, non esclude che egli conservi, sino al momento della vendita fallimentare, la titolarità dei beni stessi Sez. 5, n. 52060 del 30/10/2019, Rv. 277753 . L'orientamento che ammette la prevalenza del sequestro preventivo funzionale alla confisca, diretta o per equivalente, del profitto dei reati tributari, prevista dal D.Lgs. n. 74 del 2000art. 12-bis, comma 1, è stato anche ritenuto in materia di concordato preventivo, essendo stato affermato che la misura cautelare reale de qua prevale sui diritti di credito vantati sul medesimo bene per effetto della ammissione al concordato, attesa l'obbligatorietà della misura ablatoria alla cui salvaguardia è finalizzato il sequestro, sul fondamentale rilievo che il rapporto tra il vincolo imposto dall'apertura della procedura concorsuale e quello discendente dal sequestro, avente ad oggetto un bene di cui sia obbligatoria la confisca, deve essere risolto a favore della seconda misura, prevalendo sull'interesse dei creditori l'esigenza di inibire l'utilizzazione di un bene intrinsecamente e oggettivamente pericoloso , in vista della sua definitiva acquisizione da parte dello Stato Sez. 3, n. 28077 del 09/02/2017, Rv. 270333 Sez. 3, n. 23907 del 01/03/2016, Rv. 266940 . 2.3. Tale affermazione trova riscontro anche sulla base di alcune disposizioni incorporate nel D.Lgs. n. 12 gennaio 2019, n. 14 Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza in attuazione della L. 19 ottobre 2017, n. 155 , dovendosi ricordare, sia pure con la precisazione che di esse è stata differita la vigenza, come, da un lato, in via generale, il codice della crisi d'impresa all'art. 320 preveda espressamente la legittimazione del curatore alle impugnazioni de libertate avverso il decreto di sequestro e le relative ordinanze, dall'altro, sancisca, all'art. 317, il principio di prevalenza delle misure cautelari reali e della disciplina della tutela dei terzi contenute nel libro I, titolo IV del D.Lgs. n. 6 settembre 2011, n. 159 , rispetto alle procedure concorsuali, limitando però tale prevalenza alle sole ipotesi di sequestro preventivo penale strumentale alla confisca disposto ai sensi dell' art. 321, comma 2, c.p.p. tra cui rientrano, tra gli altri, i sequestri per reati fiscali e, invece, escludendo, con alcune eccezioni, la prevalenza del sequestro preventivo penale impeditivo art. 321, comma 1, c.p.p. e, in toto, del sequestro penale conservativo art. 316 c.p.p. nonché stabilendo che i beni sequestrati all'impresa sottoposta a liquidazione giudiziale siano assoggettati alle disposizioni, anche procedimentali, previste per le confische di prevenzione, che estende a tutti i sequestri finalizzati alla confisca le disposizioni del codice antimafia . Cosicché la nuova disciplina non sancisce una vera e propria soccombenza degli interessi creditizi al sequestro penale, posto che - in disparte le previsioni di cui agli artt. 318 e 319 del codice della crisi d'impresa, che già limitano l'ambito di operatività dei vincoli penali - gli artt. 63 e 64 del D.Lgs. n. 159 del 2011 rinviano, inoltre, agli artt. 52 e ss. del codice antimafia ossia a disposizioni che consentono una pur parziale soddisfazione delle pretese del ceto creditorio in buona fede e con un titolo che cronologicamente preceda l'applicazione della misura cautelare reale. Si può, pertanto, affermare che i rapporti tra le procedure concorsuali e le misure cautelari reali possono essere dedotti con interpretazione logico-sistematica, oltre che dalle norme già vigenti nell'ordinamento anche dalla disciplina fissata dagli artt. 317 e ss. del D.Lgs. n. 14 del 2019 . 2.4. Il ricorrente, nel caso di specie, contesta al tribunale del riesame di non aver preso posizione in conformità al diverso orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità alla luce del quale, in tema di reati tributari, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di cui all' art. 12-bis, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 , non può essere adottato sui beni già assoggettati alla procedura fallimentare, in quanto la dichiarazione di fallimento importa il venir meno del potere di disporre del proprio patrimonio in capo al fallito, attribuendo al curatore il compito di gestire tale patrimonio al fine di evitarne il depauperamento. Ciò posto, sulla base degli argomenti precedentemente enunciati, questo Collegio condivide l'orientamento per cui è legittimo il sequestro preventivo dei beni ricompresi nell'attivo fallimentare, in quanto la deprivazione che il fallito subisce dell'amministrazione e della disponibilità dei suoi beni, vincolati dalla procedura concorsuale a garanzia dell'equa soddisfazione di tutti i creditori mediante l'esecuzione forzata, non esclude che egli conservi, sino al momento della vendita fallimentare, la titolarità dei beni stessi sul punto, Sez. 3, n. 31921 del 04/05/2022, non mass. Sez. 3, n. 3575 del 26/11/2021, dep. 2022, non mass. Sez. 5, n. 52060 del 30/10/2019, Rv. 277753 Sez. 4, n. 7550 del 05/12/2018, dep. 2019, Rv. 275129 . 2.5. Da ultimo, si deve evidenziare che il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente prevista dagli artt. 1, comma 143, della L. n. 244 del 2007 e 322-ter c.p. non può essere disposto sui beni dell'ente, ad eccezione del caso in cui questo sia privo di autonomia e rappresenti solo uno schermo attraverso il quale il reo agisca come effettivo titolare dei beni Sez. U., n. 10561 del 30/01/2014, Rv. 258646 mentre la confisca del denaro o di beni fungibili può essere sempre disposta nei confronti della società, perché è una confisca diretta Sez. U, n. 42415 del 27/05/2021, Rv. 282037 Sez. U., n. 31617 del 26/06/2015, Rv. 264434 Sez. U., n. 10561 del 30/01/2014, Rv. 258646 . Nel caso di specie, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca è stato disposto in via diretta nei confronti delle società T. S.r.l. denaro e beni fungibili e per equivalente nei confronti dell'imputato denaro e beni mobili e immobili . Il curatore del fallimento T. S.r.l. ricorre sostenendo, da una parte, che il sequestro è stato eseguito dopo l'apertura del fallimento, e, dall'altra, che è stato compiuto non solo sul denaro ma anche su beni immobili della società pag. 3 del ricorso per cassazione . La difesa, però, non pone compiutamente la questione di diritto circa la sequestrabilità di beni della società, nè individua compiutamente tali beni, nè pone in discussione la corrispondenza tra il contenuto del decreto di sequestro e l'oggetto concretamente appreso dall'esecuzione del sequestro stesso. 2.6. Quanto al denaro presente nell'attivo fallimentare e oggetto di sequestro dopo il fallimento, va ribadito, in punto di diritto, che il denaro di una società, che si è avvantaggiata del reato, è sempre oggetto di confisca diretta, dovendosi sottolineare che la disposizione dell'art. 322-ter c.p.p., nonché quella dell' art. 12-bis del D.Lgs. n. 74 del 2000 impediscono la confisca diretta solo nel caso in cui il suo oggetto appartenga a persona estranea al reato. Ma non è questo il caso di specie, perché certamente non si può sostenere che la società, anche se fallita, sia estranea al reato, essendo - nella prospettazione accusatoria - il soggetto nell'interesse del quale i reati tributari contestati sono stati commessi, e avendo conseguito il corrispondente profitto. Il criterio applicabile per la confisca diretta non è, dunque, quello della disponibilità dei beni da parte del reo, ma il criterio, diverso e più ampio, della non estraneità rispetto al reato Sez. 4, n. 864 del 03/12/2021, dep. 2022, Rv. 282567 . E questa ricostruzione sistematica fa venire meno, in casi come quello di specie, la rilevanza dell'argomento, sostenuto dall'orientamento contrario all'ammissibilità del sequestro preordinato alla confisca, secondo cui questo sarebbe impedito dal fatto che il fallito ha perso la disponibilità del suo patrimonio. Deve infatti osservarsi che la disponibilità non è comunque il parametro che deve essere preso in considerazione. 3. Il secondo motivo è infondato. Non vi è dubbio che l'ordinanza impugnata sia errata in punto di diritto nella parte in cui ritiene superflua la motivazione sulla necessità di anticipare gli effetti della confisca. Infatti, deve ribadirsi che il provvedimento di sequestro preventivo di cui all' art. 321, comma 2, c.p.p. , finalizzato alla confisca, deve contenere la concisa motivazione anche del periculum in mora, da rapportare alle ragioni che rendono necessaria l'anticipazione dell'effetto ablativo della confisca rispetto alla definizione del giudizio, salvo restando che, nelle ipotesi di sequestro delle cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituisca reato, la motivazione può riguardare la sola appartenenza del bene al novero di quelli confiscabili ex lege Sez. U, n. 36959 del 24/06/2021, Rv. 281848 . Nè tale ultima ipotesi ricorre nel caso di specie. Nondimeno, la necessità di anticipare l'effetto ablativo rispetto alla definizione del giudizio penale emerge dalla stessa situazione che si evince dagli atti e dalla prospettazione difensiva, essendo in corso una procedura fallimentare, che potrebbe portare - attraverso la distribuzione dell'attivo ai creditori - alla frustrazione, parziale o totale, della pretesa erariale assistita dalla confisca penale. 4. Da quanto precede consegue che il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.