Dolo incidente: per il risarcimento il promissario acquirente deve provare solo il raggiro

L’attore, una volta provata l’esistenza di un raggiro su un elemento non trascurabile del contratto, non è tenuto a provare altro ai fini dell’an debeatur, in quanto opera la presunzione iuris tantum, che, senza la condotta illecita, le condizioni contrattuali sarebbero state diverse e quindi per lui più favorevoli.

I promissari acquirenti di un immobile agivano in giudizio per ottenere il risarcimento dei danni da parte dei promittenti venditori in quanto l'oggetto del preliminare di compravendita era gravato da una formalità pregiudizievole ostativa alla concessione di un mutuo bancario, circostanza dolosamente taciuta. La domanda veniva respinta dal Tribunale e il relativo gravame rigettato dalla Corte d'appello competente, che pur riconoscendo che la reticenza dei venditori avrebbe potuto fondare una domanda ex articolo 1440 c.c., affermava che i promissari acquirenti non avevano fornito alcun elemento probatorio utile a stabilire il reale valore di mercato dell'immobile e commisurare il minor vantaggio o maggior aggravio economico prodotto dal comportamento che violava l'onere di buona fede. Questi ultimi ricorrevano quindi in Cassazione, sostenendo che certamente avrebbero trattato un prezzo di vendita più basso se avessero saputo dell'esistenza del pregiudizio. Impugnavano la sentenza poi nella parte in cui la Corte territoriale rimproverava loro di aver omesso l'indicazione del valore di mercato e di non aver fornito prova che non avrebbero concluso l'acquisto per l'importo concordato. La Suprema Corte ha ritenuto fondate le doglianze prospettate dai promissari acquirenti, ricordando che in tema di responsabilità precontrattuale «in tema di dolus incidens articolo 1440 cod. , l'attore, una volta provata l'esistenza di un raggiro su un elemento non trascurabile del contratto, non è tenuto a provare altro ai fini dell'an debeatur, in quanto opera la presunzione iuris tantum, che, senza la condotta illecita, le condizioni contrattuali sarebbero state diverse e quindi per lui più favorevoli». L'esame della Corte d'appello era quindi limitato al quantum debeatur, in particolare, sotto forma di risarcimento, la minor somma costituente il prezzo già fissato nel contratto preliminare. Per monetizzare tale importo le parti chiedevano una CTU che non veniva concessa per non aver fornito gli stessi “alcun elemento probatorio utile a stabilire il reale valore di mercato dell'immobile […] e neanche hanno dimostrato le eventuali disponibilità di somme liquide di cui gli stessi disponevano al momento della sottoscrizione del preliminare di compravendita”. Tuttavia «il punto di partenza sarebbe dovuto essere non il valore reale dell'immobile quanto il prezzo liberamente concordato fra le parti e attestato dal contratto preliminare». Il ricorso viene accolto.

  Presidente Di Virgilio – Relatore Mocci Fatti di causa Il Tribunale di Palermo respinse la domanda di L.B. e L.M., volta ad ottenere il risarcimento dei danni nei confronti di F.G. ed F.A., promittenti venditori di un immobile sito in omissis , gravato da una formalità pregiudizievole ostativa alla concessione di un mutuo bancario, che era stata dolosamente taciuta ai promissari acquirenti. A seguito di rituale impugnazione dei soccombenti, la Corte d'appello territoriale rigettò il gravame, con sentenza numero 786 depositata il 21 aprile 2017. Il giudice di appello riconosceva che la reticenza dei venditori rispetto alla formalità pregiudizievole gravante sull'immobile, avrebbe potuto da sola fondare la domanda ex articolo 1440 c.c., ma affermava che gli appellanti non avevano fornito alcun elemento probatorio utile a stabilire il reale valore di mercato dell'immobile ed a commisurare il minor vantaggio o il maggior aggravio economico prodotto dal comportamento tenuto in violazione dell'obbligo di buona fede. Contro la predetta sentenza ricorrono per cassazione L.B. e L.M., sulla scorta di tre motivi. Sono rimasti intimati F.G. ed F.A Ragioni di diritto 1 Attraverso la prima censura, i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione dell'articolo 1440 c.c. Affermano che, ove al momento delle trattative avessero saputo dell'esistenza del pregiudizio, avrebbero trattato certamente un prezzo di vendita più basso, sia per l'alea collegata alla possibilità di retrocessione del titolo di proprietà, sia per la piena consapevolezza di incontrare notevolissime difficoltà nell'ottenimento di un nuovo mutuo. 2 Con il secondo mezzo, il L. e la L. si dolgono della violazione e falsa applicazione dell'articolo 1440 c.c. con riferimento ai motivi di impugnazione di cui ai punti sub 2 e sub 3 dell'atto di appello , considerato che la Corte d'appello aveva fatto leva sulla mancata indicazione del valore di mercato dell'immobile promesso in vendita e sulla mancata dimostrazione circa l'originaria disponibilità liquida, al momento della stipula del preliminare, per negare lo svolgimento di una CTU contabile. In realtà, nessuno dei due elementi avrebbe avuto rilevanza, giacché avrebbe dovuto farsi riferimento esclusivamente al corrispettivo stabilito liberamente, di comune accordo fra le parti. Inoltre, sarebbe stato dimostrato che, alla data di sottoscrizione del preliminare, oltre ad aver corrisposto una caparra di Euro 10.000, i ricorrenti disponessero aliunde della somma di Euro 53.291,76. In ogni caso, sarebbe stato nella facoltà del giudice di merito determinare, in via equitativa, l'entità del pregiudizio economico subito dal L. e dalla L., oltre al risarcimento del danno non patrimoniale. 3 Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell'articolo 92 c.p.c. La Corte d'appello non avrebbe considerato che le controparti avevano formulato - ancorché tardivamente - specifiche domande, fra cui quella volta a far dichiarare risolto il contratto preliminare per grave inadempimento degli attori. Inoltre, gli stessi giudici avevano accolto il primo motivo di gravame, riconoscendo esplicitamente l'erroneità del principio di diritto formulato dal Tribunale. Da tutto ciò, quantomeno, la sussistenza di una reciproca soccombenza, che avrebbe dovuto indurre la Corte d'appello a compensare integralmente le spese di lite anche del secondo grado. 4 I primi due motivi - che possono essere trattati congiuntamente per la loro evidente assonanza - sono fondati. 4.a Secondo la più recente giurisprudenza di questa Corte, in tema di responsabilità precontrattuale, qualora il danno derivi dalla conclusione di un contratto valido ed efficace ma sconveniente, il risarcimento deve essere ragguagliato al minore vantaggio o al maggiore aggravio economico determinato dal contegno sleale di una delle parti, restando irrilevante che la violazione del dovere di buona fede sia intervenuta cronologicamente a valle e non a monte della conclusione del contratto, salvo la prova di ulteriori danni che risultino collegati a tale comportamento da un rapporto rigorosamente consequenziale e diretto Sez. 2, numero 4715 del 14 febbraio 2022 Sez. 1, numero 5762 del 23 marzo 2016 Sez. 2, numero 5965 del 16 aprile 2012 . In altri termini, in tema di dolus incidens articolo 1440 cod. , l'attore, una volta provata l'esistenza di un raggiro su un elemento non trascurabile del contratto, non è tenuto a provare altro ai fini dell'an debeatur, in quanto opera la presunzione iuris tantum che, senza la condotta illecita, le condizioni contrattuali sarebbero state diverse e quindi per lui più favorevoli Sez. 2, numero 8318 del 16 agosto 1990 . Non ha pertanto pregio l'affermazione della sentenza impugnata, secondo cui gli appellanti non hanno fornito alcuna prova che non avrebbero concluso l'acquisto per l'importo di Euro 126.532,00, essendo tale elemento privo di riscontro . 4.b L'esame della Corte d'appello era dunque limitato al quantum debeatur, ed, in particolare, a determinare, sotto forma del risarcimento del danno, la minor somma costituente il prezzo già fissato nel contratto preliminare inter partes. E per monetizzare tale importo - la cui quantificazione in astratto costituiva una probatio diabolica - gli odierni ricorrenti avevano richiesto una CTU contabile, rapportata al maggior costo del mutuo ottenibile in relazione al differente valore del denaro, alle garanzie fornite ed alla graduale riduzione degli anni lavorativi del L. , rispetto a quello che avevano dovuto estinguere per poter vendere la casa coniugale ed avere la liquidità sufficiente per il nuovo acquisto. 4.b.1 I giudici di secondo grado hanno negato la suddetta istanza, giacché gli appellanti non hanno fornito alcun elemento probatorio utile a stabilire il reale valore di mercato dell'immobile, elemento indispensabile per valutare le diverse condizioni più favorevoli richieste dall'articolo 1440 c.c. rispetto al prezzo concordato e neanche hanno dimostrato le eventuali disponibilità di somme liquide di cui gli stessi disponevano al momento della sottoscrizione del preliminare di vendita. Ma a tale motivazione è agevole opporre - come correttamente si legge nel ricorso - che il punto di partenza sarebbe dovuto essere non il valore reale dell'immobile quanto il prezzo liberamente concordato fra le parti ed attestato dal contratto preliminare. Inoltre, il L. , nella sua qualità di lavoratore dipendente com'è pacifico disponeva necessariamente di un reddito annuo, sicuramente determinabile. Da ciò la conclusione che la CTU richiesta non sarebbe stata meramente esplorativa. 4.b.2 Risulta pertanto intrinsecamente contraddittoria l'affermazione della Corte distrettuale che la richiesta di ctu contabile, finalizzata a comprovare il preteso aumento del valore delle singole rate di mutuo rispetto alle condizioni ottenibili nell'anno 2003, appare assolutamente fuorviante e rappresenta comunque un fatto strettamente correlato alla variabilità dei mercati finanziari, al momento della richiesta del mutuo . In questo modo, invero, è stata preclusa alla parte la possibilità di assolvere l'onere probatorio su lei gravante, sulla base di motivazioni apparenti o perplesse Sez. 3, numero 12884 del 22 giugno Il terzo motivo, ancorché fondato Sez. U. numero 32062 del 31 ottobre 2022, in caso di reciproca soccombenza , resta assorbito. In definitiva, vanno accolti i primi due motivi del ricorso e dichiarato assorbito il terzo la sentenza è cassata in relazione alle censure accolte e rinviata alla Corte d'appello di Palermo in diversa composizione, che provvederà altresì in ordine alle spese relative al presente giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione civile, accoglie il primo ed il secondo motivo del ricorso, dichiara assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Palermo in diversa composizione.