Le indagini bancarie possono essere utilizzate dal Fisco per l’accertamento del maggior reddito della società

In caso di avviso di accertamento fondato su indagini bancarie riferibili ad una società di capitali, il contribuente può dimostrare che i proventi dalla stessa desumibili non debbono essere recuperati a tassazione perché ne ha già tenuto conto nelle sue dichiarazioni dei redditi oppure perché fiscalmente irrilevanti in quanto riconducibili ad operazioni non imponibili.

L'Agenzia delle Entrate notificava ad una contribuente un avviso di accertamento con cui, previa rettifica della base imponibile, venivano ripresi a tassazione i maggiori redditi accertati. Il provvedimento era frutto dalle attività ispettive avviate dal Fisco sulla s.r.l. di cui la contribuente possedeva quote per il 6,5%, dalle quali erano emerse, tramite acquisizione dei dati bancari , movimentazioni ingiustificate. L'accertamento veniva confermato sia dalla CTP che dalla CTR, salvo una rideterminazione in difetto del maggior reddito accertato. La contribuente ha proposto ricorso in Cassazione dolendosi, per quanto d'interesse, per la ritenuta utilizzabilità dei risultati delle indagini bancarie . Sul tema la giurisprudenza di legittimità ha già avuto modo di affermare che il ricorso alla movimentazione bancaria riferibile ad una società di capitali, nei casi previsti, onera unicamente il contribuente della dimostrazione del fatto che i proventi dalla stessa desumibili non debbono essere recuperati a tassazione, o perché egli ne ha già tenuto conto nelle sue dichiarazioni dei redditi, o perché non sono fiscalmente rilevanti in quanto riconducibili ad operazioni non imponibili v. Cass. n. 24402/22 Cass. n. 20118/18 Cass. n. 15003/17 . In tale ottica, non sussiste dunque alcun obbligo dell'Ufficio di preventiva individuazione della fonte del reddito né, tantomeno, di specifica indicazione dell'attività produttiva di reddito dalla quale potrebbero trarre origine le movimentazioni oggetto di esame. Tali affermazioni di principio non costituiscono alcuna presunzione in bianco , come sostenuto invece dalla ricorrente. Afferma difatti il Collegio che l'onere del contribuente di giustificare la provenienza e la destinazione degli importi movimentati sui conti correnti, giustificata dall'ipotesi che tali conti siano stati messi a disposizione di una società, non viola il principio praesumptum de praesumpto non admittitur . Per un verso, infatti, tale principio è, in realtà, inesistente, non essendo riconducibile agli artt. 2729 e 2697 c.c. né a qualsiasi altra norma dell'ordinamento per altro verso, ed anche a volerne assumere l'esistenza, esso atterrebbe esclusivamente alla correlazione di una presunzione semplice con un'altra presunzione semplice, e non con una presunzione legale, come invece avviene nel caso di specie . Il ricorso viene in conclusione rigettato.

Presidente Napolitano Relatore Cortesi Rilevato che 1. Il 10 dicembre 2009 l'Agenzia delle entrate notificò ad D.G.A. un avviso di accertamento con il quale, previa rettifica della base imponibile, riprendeva a tassazione i maggiori redditi accertati per l'anno 2004. La rettifica traeva origine da attività ispettive avviate nei confronti della società Fondiaria Mercantile s.r.l., della quale la contribuente possedeva quote per il 6,5% in tale contesto, l'Amministrazione aveva proceduto ad acquisire i rapporti bancari intrattenuti dai soci, accertando la sussistenza, nel conto della contribuente, di prelievi e versamenti non giustificati. In seguito al deposito di istanza di accertamento con adesione da parte della D.G., contenente giustificazioni a versamenti e prelievi, l'Ufficio aveva poi ridotto la propria pretesa con atto in rettifica del 7 aprile 2010. 2. L'impugnazione dell'avviso, proposta dalla contribuente innanzi alla CTP di Latina, venne respinta. Il successivo appello, interposto avanti la CTR del Lazio, fu parzialmente accolto, con rideterminazione del maggior reddito in difetto. I giudici regionali, in particolare, rilevarono che le prove offerte dalla contribuente a giustificazione delle movimentazioni bancarie non fossero idonee a sovvertire la presunzione di riferibilità delle stesse a maggiori entrate della società, eccezion fatta che per un versamento di Euro 37.000,00, ritenuto giustificato in base alla disposta consulenza tecnica. 3. La sentenza d'appello è impugnata dalla contribuente con ricorso per cassazione affidato a tre motivi. Resiste l'amministrazione intimata con controricorso. Considerato che 1. Il primo motivo di ricorso denunzia violazione del D.P.R. 31 dicembre 1986, n. 917, artt. 32, 34 e 55, d'innanzi t.u.i.r . . Dopo aver premesso che - come rilevato dallo stesso Ufficio - essa era imprenditrice agricola ed esercitava l'attività di coltivazione di fondi, la contribuente si duole del fatto che la CTR, riconoscendo fondata la pretesa erariale, abbia ricondotto gli importi, che sono stati accertati a suo carico come ingiustificati, alla categoria del reddito d'impresa commerciale, senza precisare quale fosse l'attività generatrice del contestato maggior imponibile e senza considerare il dato della produzione, da parte sua, di reddito agrario. A tale ultimo riguardo, peraltro, rileva che il reddito agrario viene determinato con metodo forfetario, in base alle caratteristiche obiettive del fondo, e può essere qualificato come reddito d'impresa solo se prodotto da società di tipo commerciale e riconducibile alle attività di cui all'art. 32, comma 2, lett. b e c , t.u.i.r . che eccedano i limiti di cui all'art. 55, comma 1, dello stesso testo unico ipotesi, entrambe, non ricorrenti nella specie. 2. Il secondo mezzo d'impugnazione denunzia violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 , art. 2697 c.c., e art. 32, comma 1, n. 2 , e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, comma 1, n. 2 La ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto la piena utilizzabilità dei risultati delle indagini bancarie, sul presupposto del fatto che essa non aveva offerto adeguata prova contraria. Di tale ragionamento assume l'erroneità, evidenziando che l'Ufficio avrebbe dovuto quantomeno indicare, a monte, l'esistenza di un'attività dalla quale derivava il maggior reddito accertato e la natura giuridica dello stesso in mancanza, infatti, le richiamate disposizioni configurerebbero una sorta di presunzione legale in bianco , in forza della quale qualunque informazione comunicata da intermediari finanziari nel corso delle indagini assumerebbe valenza impositiva e consentirebbe di ritenere tutti i contribuenti come imprenditori commerciali , onde affermarne la titolarità di un reddito d'impresa. 3. Infine, con il terzo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. 22 luglio 2000, n. 217, art. 7, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, assumendo che la CTR avrebbe erroneamente disatteso il motivo di gravame con il quale essa aveva contestato la mancata allegazione, da parte dell'Ufficio, dell'autorizzazione ad acquisire la documentazione relativa ai conti correnti individuali. Una tale omissione, secondo la contribuente, non consentiva di apprezzare le ragioni concrete della scelta di utilizzare tale mezzo istruttorio nei suoi specifici riguardi e non appena con riferimento alla società sottoposta a verifica , risolvendosi in una violazione delle sue garanzie difensive e delle prescrizioni in tema di motivazione degli atti impositivi. 4. Le prime due censure, che possono essere scrutinate congiuntamente per la loro connessione, sono infondate. 4.1. In tema di accertamenti fondati su indagini bancarie, questa Corte ha da tempo e ripetutamente affermato che il ricorso alla movimentazione bancaria riferibile ad una società di capitali, nei casi previsti, onera unicamente il contribuente della dimostrazione del fatto che i proventi dalla stessa desumibili non debbono essere recuperati a tassazione, o perché egli ne ha già tenuto conto nelle sue dichiarazioni dei redditi, o perché non sono fiscalmente rilevanti in quanto riconducibili ad operazioni non imponibili così, fra le numerose altre, Cass. n. 24402/2022 Cass. n. 20118/2018 Cass. n. 15003/2017 Cass. n. 4829/2015 Cass. n. 2130/2013 Cass. n. 8041/2008 Cass. n. 28324/2007 Cass. n. 1739/2007 . In tale ottica, non è dunque predicabile un obbligo dell'Ufficio di preventiva individuazione della fonte del reddito né, tantomeno, di specifica indicazione dell'attività produttiva di reddito dalla quale potrebbero trarre origine le movimentazioni oggetto di esame. 4.2. Tale consolidata impostazione non vale a costituire alcuna presunzione in bianco nei termini stigmatizzati dalla ricorrente. Ed anzi, come correttamente rilevato dalla sentenza impugnata, l'onere del contribuente di giustificare la provenienza e la destinazione degli importi movimentati sui conti correnti, giustificata dall'ipotesi che tali conti siano stati messi a disposizione di una società, non viola il principio praesumptum de praesumpto non admittitur. Per un verso, infatti, tale principio e', in realtà, inesistente, non essendo riconducibile agli artt. 2729 e 2697 c.c. né a qualsiasi altra norma dell'ordinamento per altro verso, ed anche a volerne assumere l'esistenza, esso atterrebbe esclusivamente alla correlazione di una presunzione semplice con un'altra presunzione semplice, e non con una presunzione legale, come invece avviene nel caso di specie v. Cass. n. 23860/2020 Cass. n. 15003/2017 . 4.3. Peraltro, in relazione allo specifico caso che qui occupa, questa Corte ha recentemente affermato che l'attività di imprenditore agricolo non può essere ricondotta alla previsione di cui all'art. 32, comma 2, lett. b , t.u.i.r . se è esercitata oltre il limite indicato da tale disposizione in tal caso, il reddito che eccede detto limite ha natura di reddito d'impresa la cui entità, predeterminata secondo i criteri di cui all'art. 56, comma 5, del medesimo testo unico, non preclude all'amministrazione finanziaria di procedere all'accertamento della sua reale consistenza in presenza di indici di capacità patrimoniale sproporzionata al reddito stimato in modo forfetario v. Cass. nn. 16474 e 16475/2022 . 5. Anche il terzo motivo di ricorso è infondato. La CTR si è infatti conformata al principio, ormai consolidato in seno alla giurisprudenza di questa Corte, secondo il quale l'autorizzazione all'espletamento di indagini bancarie - esplicando una funzione organizzativa che incide nei rapporti tra uffici - non richiede alcuna motivazione. Pertanto, ove la stessa non sia allegata o esibita all'interessato, non si determina alcuna illegittimità dell'avviso di accertamento fondato sulle risultanze di tali indagini questa, infatti, può derivare unicamente dalla materiale assenza di un'autorizzazione, e sempre che da ciò sia derivato un concreto pregiudizio per il contribuente v. Cass. n. 22754/2020 Cass. n. 13353/2018 Cass. n. 3628/2017 , ciò che la ricorrente non ha affatto dedotto nel caso di specie. 6. Il ricorso va pertanto rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-bis se dovuto. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 5.600,00 oltre spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.