Assunzione di cannabis terapeutica: ciò non legittima il possesso di oltre due chili di marijuana

Confermata la condanna per un uomo finito sotto processo dopo essere stato beccato a coltivare cannabis e a detenere un grosso quantitativo di marijuana. Irrilevante, come giustificazione, il richiamo da lui fatto alla prescrizione con cui il medico gli ha raccomandato l’assunzione di marijuana per lenire il dolore causato da una grave polineuropatia.

Se il medico prescrive l’assunzione di marijuana per lenire il dolore causato da una patologia, il paziente non può pensare di essere giustificato nella coltivazione di piantine di cannabis e, soprattutto, nella detenzione di oltre due chilogrammi di sostanza. Ricostruita nei dettagli la vicenda, i giudici di merito ritengono, sia in primo che in secondo grado, colpevole l’uomo sotto processo e lo dichiarano responsabile del reato di illecita detenzione di sostanza stupefacente , del tipo marijuana, e di coltivazione di diverse piante di cannabis . Col ricorso in Cassazione il legale che rappresenta l’uomo contesta duramente la decisione presa dai giudici d’appello. In particolare, egli sostiene che sia stata erroneamente ritenuta penalmente rilevante la condotta tenuta dal suo cliente, poiché si trattava, spiega, di una coltivazione domestica di piante di cannabis , coltivazione giustificata dalla necessità dell’uomo di assumere tale sostanza stupefacente per lenire il dolore causato da una grave polineuropatia . Anche per questo, poi, il legale lamenta il mancato riconoscimento del fatto di lieve entità . Alle obiezioni difensive i magistrati di Cassazione ribattono in modo netto, condividendo il ragionamento compiuto dai giudici d’appello e sottolineando, difatti, che il notevole quantitativo di cannabis rinvenuto oltre due chilogrammi non può trovare giustificazione con un uso esclusivamente personale e terapeutico dello stupefacente . I magistrati ritengono palese come la prescrizione di cannabis fatta dal medico all’uomo sia del tutto incompatibile con la straordinaria quantità di sostanza drogante sequestrata . E proprio il ragguardevole quantitativo di stupefacente posseduto dall’uomo è incompatibile con il requisito della minima offensività penale della condotta , chiosano i magistrati.

Presidente Piccialli Relatore Ranardi Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. Con sentenza del 3.12.2021, la Corte di appello di Torino ha confermato la sentenza di primo grado, emessa in sede di rito abbreviato, con cui L.V. è stato dichiarato responsabile del reato di illecita detenzione di sostanza stupefacente del tipo marijuana e di coltivazione di diverse piante di cannabis di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 4. 2. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione il difensore dell'imputato, lamentando in sintesi, giusta il disposto di cui all' art. 173, comma 1, disp. att. c.p.p. quanto segue. I Violazione di legge e vizio di motivazione, per avere la sentenza impugnata erroneamente ritenuto che la condotta del ricorrente sia penalmente rilevante, trattandosi di una coltivazione domestica di piante di cannabis giustificata dalla necessità del prevenuto di assumere tale sostanza stupefacente per lenire il dolore causato da grave polineuropatia. II Violazione di legge, per mancata applicazione dell'ipotesi di cui al comma 5 del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 . 3. Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha concluso per l'inammissibilità del ricorso. 4. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto sviluppa essenzialmente censure di merito e non si confronta con le argomentazioni dei giudici di merito, in ciò peccando anche di aspecificità. 5. Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, i giudici di merito hanno adeguatamente argomentato nel senso che il notevole quantitativo di cannabis trovato in possesso del prevenuto oltre due chili non poteva trovare giustificazione con un uso esclusivamente personale e terapeutico dello stupefacente, trattandosi di prescrizione di cannabis del tutto incompatibile con la straordinaria quantità di sostanza drogante sequestrata. Quanto al diniego della qualificazione giuridica del fatto nell'ipotesi di cui al comma 5 del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, si osserva che le relative argomentazioni offerte nella sentenza impugnata non possono considerarsi erronee in diritto o manifestamente illogiche, avendo i giudici territoriali congruamente valorizzato sul punto il ragguardevole quantitativo di stupefacente trovato in possesso del prevenuto, ritenuto logicamente incompatibile con il requisito della minima offensività penale della condotta, pur sempre deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione mezzi, modalità, circostanze dell'azione , con la conseguenza che, ove uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, come nel caso, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio cfr. Sez. 6, n. 9892 del 28/01/2014, Rv. 259352 - 01 . 6. Stante l'inammissibilità del ricorso, e non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità Corte Cost. sent. n. 186/2000 , alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria, che si stima equo quantificare nella misura indicata in dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Motivazione semplificata.